Le percezioni umane, come la vista e l’udito, sono spesso molto influenzate dagli apprendimenti che facciamo nel corso della nostra vita: ad esempio due luci affiancate che di notte avanzano su una strada buia vengono interpretate come i fari di un’auto non perché riusciamo a vedere realmente un veicolo, ma solo perché noi abbiamo fatto molte esperienze di questo tipo fin dagli anni dell’infanzia; questa facile interpretazione non sarebbe stata possibile in passato, prima dell’invenzione dell’automobile, oppure da un soggetto nato su un’ipotetica isola deserta in cui non siano mai esistite macchine. Se dunque la percezione è un tratto fondamentale della nostra psiche, altrettanto importante lo è l’apprendimento che nasce dall’esperienza. Ma che cosa si intende esattamente per apprendimento?
Definizione di apprendimento
Una prima definizione comprensiva delle diverse forme di apprendimento potrebbe essere la seguente: un processo secondo cui l’individuo è modificato in misura temporanea o definitiva da ciò che si verifica nell’ambiente circostante e da ciò che egli fa. Si tratta dunque di un’ esperienza piuttosto complessa, dai molti risvolti e dalle molte facce, di cui l’apprendimento scolastico è soltanto uno degli aspetti: ci sono infatti apprendimenti consapevoli e apprendimenti inconsapevoli, espliciti e impliciti, formali e informali, apprendimenti che colpiscono i sensi e attivano dei riflessi e altri invece che comportano un esercizio, un ragionamento, una riflessione .
Apprendimenti inconsapevoli
Anche se non ce ne accorgiamo, impariamo continuamente e senza alcuna sosta durante la nostra vita, dalle esperienze in cui siamo immersi. Prendiamo un bambino piccolo che cammina in strada a fianco di un adulto, deve tener conto di tante cose anche se non ne è consapevole: per esempio, deve evitare i lampioni, le persone che camminano sul marciapiede, le superfici scivolose. Osserva i semafori e come gli adulti li “leggono” e capisce quando può attraversare. Inconsapevolmente imprime nella memoria la mappa dell’itinerario che sta facendo e la volta successiva sarà in grado di riconoscere le strade che ha percorso, i negozi, i marciapiedi che ha calpestato, ricordandosi ad esempio una pizzeria dove sua madre gli ha comprato una gustosa pizza “quella volta”.
Su molte cose sorvoliamo, su altre invece concentriamo la nostra attenzione. Per esempio, i discorsi delle persone mentre siamo in metropolitana non ci interessano molto e quindi siamo propensi ad ignorarli. Tuttavia, se qualcuno fa il nostro nome, immediatamente ci volgiamo verso quello stimolo per noi «significativo»: si verifica cioè il fenomeno del cocktail party che evidenzia l’esistenza di un ascolto selettivo, ossia di una sorta di filtro che esclude i discorsi, le parole, i suoni che non ci interessano. Per approfondire, leggi anche: Effetto Cocktail Party: discriminare la voce dell’interlocutore e interessarsi se qualcuno dice il nostro nome
Messaggi attesi e messaggi inattesi
In realtà i messaggi a cui «non si presta attenzione» vengono sottoposti ad una valutazione preliminare e rapidissima da parte di alcune zone del cervello che ci consente di decidere se immagazzinarli nella memoria oppure scartarli in quanto li riteniamo inutili o non interessanti. Il nostro cervello compie questo processo miliardi di volte nella nostra vita, senza sosta. Più che di filtro selettivo è preferibile allora parlare di due complessi processi di elaborazione dei messaggi, quelli «attesi» e quelli «non attesi»: questi ultimi vengono respinti o ignorati dopo che li abbiamo valutati e dopo che abbiamo deciso se sono rilevanti o meno. Mentre per i bambini le informazioni vengono immagazzinate quasi totalmente (e questo è un bene perché il cervello è estremamente plastico da bambini e serve incamerare più informazioni possibili), con l’aumentare dell’esperienza molti dati vengono scartati: è più facile e più rapido decidere ciò che vogliamo ascoltare e ciò che invece preferiamo non immagazzinare in memoria perché non rientra nei nostri interessi e nelle nostre priorità, oppure perché ci infastidisce o ci obbliga ad uno sforzo supplementare che rende il processo meno efficace. Questo spiega anche perché i bambini mostrano curiosità per parole o dialoghi che noi consideriamo irrilevanti o di routine, e che invece per loro, che li sentono per la prima volta, rivestono un notevole interesse.
Leggi anche: Il condizionamento meccanico nella vita quotidiana: il “lavaggio del cervello” delle pubblicità
Il fenomeno dell’assuefazione
Nel tempo, nei confronti di molti stimoli e sollecitazioni si sviluppa una assuefazione che ci aiuta a selezionare ciò a cui dobbiamo dare rilevanza da ciò che invece può essere ignorato. Se siamo assorti in altre attività non notiamo il rumore del traffico in strada, e questo è un vantaggio perché altrimenti saremmo alla mercé di ogni stimolo e la nostra memoria sarebbe piena di «spazzatura»: sarebbe affollata da una massa di ricordi non selezionati e non organizzati che non ci consentirebbe di dare direzionalità al nostro agire. Ciò accade perché nel nostro cervello esistono due zone distinte:
- la corteccia uditiva primaria, che “sente” i suoni;
- la corteccia uditiva secondaria che analizza i dati giunti alla corteccia uditiva primaria e li interpreta
La corteccia uditiva secondaria scarta le informazioni non rilevanti e fornisce priorità a quelle considerate più rilevanti. Ad esempio il continuo ed intenso rumore di traffico durante la notte – una volta abituati ad esso – non ci sveglierà, mentre potrebbe svegliarci un lievissimo rumore del portone di casa che viene aperto: ciò avviene perché la corteccia uditiva secondaria considera più rilevante un suono magari lieve ma inusuale e che può indicare pericolo (un ladro che entra in casa), rispetto ad un suono magari più forte ma a cui noi ci siamo abituati e che sappiamo – per esperienza – non indicare pericolo. La corteccia secondaria ha quindi la capacità di elevare la soglia uditiva cosciente minima in presenza di stimoli non importanti (specie se ripetuti), mentre l’abbassa rapidamente in presenza di stimoli ritenuti importanti.
L’assuefazione si avvale quindi principalmente sulla ripetitività di un evento e quindi dell’esperienza soggettiva. Prendiamo ad esempio il caso di certi uccelli che invadono le piste degli aeroporti: inizialmente, quando – allo scopo di allontanarli – vengono prodotti degli ultrasuoni per loro allarmanti, essi si alzano in volo e si allontanano in fretta, ma con il passare del tempo, poiché a quei suoni non corrisponde un reale pericolo, si abituano, non si allarmano più e rimangono sulle piste.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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