Gli studi sulla comunicazione nascono nel mondo occidentale con l’affermarsi della civiltà urbana su quella contadina e con il passaggio da un’economia agricola a una
industriale. La nascita delle metropoli urbane porta con sé nuove abitudini sociali prima sconosciute, fra cui, come abbiamo visto, la diffusione della stampa di massa: nel
1910, nei soli Stati Uniti, si vendevano circa. ventiquattro milioni di giornali, e una diffusione tanto improvvisa e imponente inizia a destare preoccupazioni. Si teme che il
semplice contatto con i mass media sia sufficiente a influenzare le coscienze del pubblico, producendo effetti diretti, forti e immediati. Gli studiosi che agli inizi del secolo assistono all’invasione di cinema, stampa e libri, si chiedono dunque se ed in che modo i mass media possono modificare i ritmi della vita sociale, le forme di comunicazione, i modelli di interazione e soprattutto il sistema cognitivo degli individui. Già prima che Blumer formalizzasse il concetto di “massa” come pubblico dei media, diversi studiosi avevano parlato di “massa” come aggregato di individui uguali, indistinti, isolati, separati e atomizzati. Questa condizione nasce dall’allentamento dei tradizionali legami che tenevano unita la comunità contadina, e dalla disgregazione delle culture locali. Le persone che formano la “massa” non hanno valori o tradizioni comuni, e quindi possono difficilmente comunicare fra loro. È evidente, in una tale prospettiva che le persone appaiano estremamente fragili, passive e sottomesse agli unici soggetti che possono ormai trasmettere informazioni forti e valori comuni: i mezzi di comunicazione.
Il singolo rinuncia al proprio ideale dell’Io
È Sigmund Freud in particolare che nei primi anni Venti parla di “psicologia delle masse”. “La psicologia delle masse», scrive in Psicologia delle masse e analisi dell’io, «considera l’uomo singolo in quanto membro di una stirpe, di un popolo, di una casta, di un ceto sociale, di un’istituzione o in quanto elemento di un raggruppamento umano che a un certo momento e in vista di un determinato fine si è organizzato come massa”. Aderire alla massa significa, per Freud, annullare ogni pulsione personale e rinunciare alle proprie inclinazioni, tramite i processi che definisce di rimozione e di identificazione: «il singolo rinuncia al proprio ideale dell’Io e lo sostituisce con l’ideale collettivo incarnato dal capo». Da questo punto di vista, per Freud, l’uomo è un essere che vive in branco seguendo un capo supremo. Ma perché l’individuo dovrebbe abbandonare la propria soggettività per lasciarsi condizionare dagli altri? Per spiegarlo, Freud ricorre alla definizione di libido oggettuale: l’uomo ha il bisogno intrinseco di essere d’accordo, e non in contrasto, coi suoi simili, e dunque, dopotutto, forse aderisce
alla massa per amore.
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La teoria dell’ago ipodermico (o del proiettile magico)
In un clima d’opinione non dissimile si sviluppa la “teoria dell’ago ipodermico” (anche chiamata “teoria del proiettile magico”), una delle prime formulazioni sugli effetti sociali dei media, condivisa da numerosi studiosi dei primi decenni del Novecento. Siamo nel periodo fra le due guerre, anni di crescente preoccupazione per il potere che i media stavano improvvisamente assumendo. Chi, durante la Prima Guerra Mondiale, aveva gestito la propaganda attraverso i mass media si rende conto dell’immensa influenza che questa aveva avuto sulle folle: anche le bugie più grossolane erano state tranquillamente prese per vere da un pubblico che non sospettava minimamente l’inganno.
Sono anche gli anni della diffusione del broadcasting: l’avvento della radio mobilita folle mai immaginate prima di allora e i regimi totalitari, specialmente il fascismo in Italia e il nazismo in Germania, usano sapientemente il nuovo mezzo (e in generale tutti i mass media) per avviare una campagna propagandistica senza precedenti. L’elemento di “novità” e le particolari condizioni storiche, dunque, determinano l’idea di un’onnipotenza dei media, tanto nella teoria quanto nella percezione delle persone. Secondo la teoria dell’ago ipodermico, i media operano una sorta di “iniezione” di idee e comportamenti su un pubblico sostanzialmente passivo e incapace di alcuna rielaborazione critica. La teoria è perfettamente sintetizzata dal sociologo statunitense contemporaneo Charles Wright, che ne sottolinea il carattere di aggressione personale: «Ogni membro del pubblico di massa è personalmente attaccato dal messaggio». Ogni individuo della massa, cioè, è il bersaglio direttamente colpito, persuaso e manipolato dalla propaganda. È un atomo isolato che risponde senza reagire agli ordini e alle suggestioni imposti dai mass media. Questa concezione dell’individuo e della massa trova il suo fondamento nella psicologia comportamentista, che in quegli anni studiava l’agire umano secondo i metodi delle scienze biologiche. Il comportamento viene così suddiviso in unità distinte e studiabili, alla cui base c’è l’unità fondamentale stimolo/risposta. I due elementi sono inscindibili: secondo il comportamentismo, non esiste uno stimolo che non abbia una risposta, e su questo si basa l’intero comportamento umano. I punti comuni con la teoria ipodermica sono evidenti: i mass media trasmettono uno stimolo cui segue una risposta immediata, meccanica e acritica da parte del destinatario.
La teoria critica
Negli stessi anni in cui negli Stati Uniti viene formulata la teoria dell’ago ipodermico, si sviluppa in Germania la cosiddetta “teoria critica” per voce della Scuola di Francoforte, fondata nel 1923 e animata, fra gli altri, da Max Horkheimer (1895-1973) e Theodor Wiesengrund Adorno (1903-1969). Per approfondire, leggi anche: Industria della cultura: la Scuola di Francoforte, la teoria critica e l’oppressione sul soggetto
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