Il disturbo post-traumatico da stress (o “disturbo da stress post-traumatico“, in inglese “post-traumatic stress disorder” da cui l’acronimo PTSD) è un disturbo psichiatrico transitorio che può insorgere in soggetti di qualunque età che abbiano vissuto o che abbiano assistito a un evento traumatico che ha implicato un rischio per l’integrità fisica o per la vita, propria o di altre persone. Affinché si sviluppi il disturbo post-traumatico da stress non è indispensabile che la situazione sperimentata sia stata effettivamente catastrofica (come una guerra, un incidente aereo, un grave incendio o una calamità naturale devastante), ma che la persona coinvolta l’abbia percepita come tale. Entro certi limiti, quindi, la probabilità che si instauri il disturbo non dipende solamente dal tipo di evento vissuto, ma anche dal profilo psicoemotivo e da fattori di vulnerabilità individuali della persona interessata.
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Sintomi e diagnosi del disturbo post-traumatico da stress
I sintomi del disturbo post-traumatico da stress possono manifestarsi dopo periodi di tempo variabili dal momento del trauma, e possono essere molto diversi da persona a persona. Il sintomo cardine per la diagnosi di disturbo post-traumatico da stress è la “riesperienza del trauma“, che consiste in un insieme di ricordi e sensazioni così intensi e realistici da dare al paziente la netta sensazione di rivivere il momento “catastrofico”. La sua manifestazione più estrema e coinvolgente è il flashback. Non si tratta di un’allucinazione, poiché la persona interessata è cosciente di non essere nel luogo e nel momento già vissuto, ma gli elementi che stimolano il ricordo e le sensazioni che ne derivano sono esattamente sovrapponibili a quelle originali. La riesperienza del trauma può verificarsi in qualunque momento: di solito compare con maggior probabilità quando la persona si trova in situazioni che ricordano il trauma, ma spesso si manifesta anche in circostanze insospettabili. L’elemento scatenante può essere anche soltanto un colore, un odore o un suono. Altre manifestazioni tipiche del disturbo post-traumatico da stress sono l’appiattimento affettivo (con perdita di interesse verso cose, persone e situazioni), uno stato di allerta costante (caratterizzato tensione, ansia, iper-reattività agli stimoli, difficoltà di concentrazione e insonnia) e l’evitamento degli stimoli che possono ricordare il trauma (associato a una sensazione di disagio invalidante, che va ben al di là della comune preoccupazione vissuta dalla maggior parte delle persone quando, per esempio, si cerca di ricominciare a guidare l’automobile dopo un incidente stradale, e che può essere scatenato anche dal semplice rumore di una frenata, dal suono di un clacson o dalle luci dei fari in movimento). Per poter affermare che è presente un disturbo post-traumatico da stress questi sintomi devono persistere costantemente per più di un mese e interferire con la qualità di vita oppure compromettere seriamente il funzionamento sociale, lavorativo o relazionale dell’individuo.
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Trattamento del disturbo post-traumatico da stress
Il disturbo post-traumatico da stress non corrisponde alla normale fase di adattamento fisiologico che ogni persona sperimenta dopo uno shock, ma a un disagio molto intenso e protratto che deve essere affrontato in modo specifico. Per ottenere una remissione completa dal disturbo post-traumatico da stress servono in media 6-8 mesi, ma in genere i pazienti iniziano a stare meglio già dopo le prime 4-6 settimane di terapia.
Terapia farmacologica del Disturbo post-traumatico da stress
L’intervento farmacologico indirizzato ad attenuare i sintomi del disturbo post-traumatico da stress si basa essenzialmente sull’impiego di antidepressivi della classe degli inibitori del riassorbimento della serotonina (SSRI). Si tratta di farmaci utilizzati anche nel trattamento di altri disturbi d’ansia e dei disturbi dell’umore che risultano efficaci anche nel disturbo post-traumatico da stress poiché i sistemi neurobiologici coinvolti in queste diverse problematiche sono in parte sovrapponibili. Gli SSRI si sono dimostrati efficaci nell’alleviare tutti i principali sintomi del disturbo post-traumatico da stress, compresa la ri-esperienza del trauma. Inoltre, hanno effetti positivi sull’ansia, l’irritabilità, l’insonnia e il tono dell’umore, offrendo un mezzo per ripristinare l’equilibrio psicofisico globale del paziente. Per trarne i massimi benefici è importante seguire attentamente le indicazioni del medico rispetto a dosaggi e tempi di assunzione.
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Approccio psicoterapico nel disturbo post-traumatico da stress
La ri-esperienza del trauma e la tendenza a evitare le situazioni che lo ricordano possono essere affrontate anche con interventi psicoterapeutici e cognitivo-comportamentali che aiutano a rielaborare il vissuto emotivo legato al trauma e a riavvicinarsi alle situazioni associate all’evento. Lo stato di allarme costante e l’ansia possono, invece, essere gestiti e resi meno invasivi grazie a pratiche come il training autogeno, il rilassamento muscolare e la respirazione guidata. Un’altra tecnica utile contro il disturbo post-traumatico da stress è il cosiddetto Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR): un approccio che consiste nell’attivazione contemporanea di entrambi gli emisferi cerebrali, mediante una stimolazione bilaterale alternata di tipo visivo, tattile o acustico, eseguita durante la rievocazione dell’evento traumatico. L’EMDR sembrerebbe facilitare il processo di rielaborazione emotiva e cognitiva della situazione critica vissuta.
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Interventi di supporto nel disturbo post-traumatico da stress
Amici e familiari possono aiutare chi soffre di disturbo post-traumatico da stress a superare il disagio, assumendo un atteggiamento accogliente e supportivo. In particolare, chi sta vicino a una persona che ha vissuto un evento traumatico non dovrebbe mai sottovalutarne le eventuali lamentele o richieste d’aiuto. Se la persona con disturbo post-traumatico da stress si mostra agitata a causa di un incubo ricorrente legato a un episodio violento da poco vissuto, quindi, non si devono drammatizzare, ma neppure banalizzare le sue emozioni, ritenendole esagerate e irragionevoli. Il comportamento più utile consiste nel cercare di comprendere il disagio (reale e significativo) e aiutare a ridimensionarlo, elaborandolo in modo razionale.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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