Disturbo paranoide di personalità: caratteristiche, psicoterapia, farmaci

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Benessere Dietologia Sessuologia Ecografie Tabagismo Smettere di fumare Sindrome di Otello, Gelosia Ossessiva, Sindrome di Mairet quando la gelosI disturbi della personalità un insieme di diversi modelli abituali di esperienza o di comportamento che si discostano notevolmente dal contesto sociale e culturale a cui l’individuo appartiene e sono caratterizzati da persistenti schemi di pensiero, percezione, reazione e da modi di relazionarsi che provocano nel soggetto notevole sofferenza e/o compromettono le sue capacità funzionali. I disturbi di personalità sono un gruppo di dieci disturbi raccolti in tre gruppi (chiamati anche “cluster”) in base ad analogie descrittive. Il disturbo paranoide di personalità è incluso nel gruppo A (cluster A) che racchiude tre disturbi di personalità caratterizzati dal comportamento bizzarro, strano o eccentrico:

  • disturbo paranoide di personalità: chi ne soffre tende a interpretare il comportamento degli altri come malevolo, comportandosi così sempre in modo sospettoso;
  • disturbo schizoide di personalità: chi ne soffre non è interessato al contatto con gli altri, preferendo uno stile di vita riservato e distaccato dagli altri;
  • disturbo schizotipico di personalità: solitamente è presentato da persone eccentriche nel comportamento, che hanno scarso contatto con la realtà e tendono a dare un’assoluta rilevanza e certezza ad alcune intuizioni magiche.

Disturbo paranoide di personalità

Ciò che caratterizza il paziente con disturbo paranoide di personalità è uno stile pervasivo di pensare, sentire e relazionarsi con gli altri particolarmente rigido e invariante, caratterizzato da una costante ricerca di significati oscuri. Un individuo paranoide analizza costantemente ciò che lo circonda alla ricerca di particolari insoliti. La realtà in sé non è distorta, lo è il significato di realtà come essa appare (Shapiro, 1965). La sopravvivenza emozionale richiede al paziente di scindere tutta la cattiveria e proiettarla in figure esterne. Il normale mondo di vittima e carnefice viene trasformato in una esperienza esistenziale in cui l’individuo paranoide è costantemente nel ruolo della vittima alle prese con aggressori e persecutori esterni.

I pazienti con disturbo paranoide di personalità diffidano degli altri e ritengono che gli altri intendono danneggiarli o ingannarli, anche quando hanno un’insufficiente o nessuna giustificazione per questi sentimenti. I pazienti con disturbo paranoide di personalità sospettano che gli altri stanno progettando di sfruttarli, ingannarli, o far loro del male. Essi ritengono che possono essere attaccati in qualsiasi momento e senza ragione. Anche se non vi è poca o nessuna prova, persistono nel mantenere i loro sospetti e pensieri. Spesso, questi pazienti pensano che gli altri li hanno notevolmente e irreversibilmente danneggiati. Sono ipervigili per potenziali insulti, offese, minacce e slealtà e cercano significati nascosti nelle osservazioni e le azioni. Esaminano attentamente gli altri per trovare prove per sostenere i loro sospetti. Per esempio, possono interpretare un’offerta di aiuto come se si implichi che essi non sono in grado di fare un compito per conto proprio. Se pensano di essere stati insultati o feriti in alcun modo, non perdonano la persona che li ha feriti. Essi tendono a contrattaccare o ad arrabbiarsi in risposta a queste lesioni percepite. Poiché diffidano degli altri, sentono il bisogno di essere autonomi e di avere il controllo. Questi pazienti sono riluttanti a confidarsi o a sviluppare rapporti stretti con gli altri, perché temono che l’informazione possa essere usata contro di loro. Essi dubitano della lealtà di amici e della fedeltà del coniuge o del partner. Essi possono essere estremamente gelosi e possono costantemente mettere in dubbio le attività e le motivazioni del loro coniuge o partner, nel tentativo di giustificare la loro gelosia. Pertanto, può essere difficile andare d’accordo con i pazienti con disturbo paranoide di personalità. Quando gli altri reagiscono negativamente con loro, prendono queste risposte come conferma dei loro sospetti originali.

A volte coesistono altri disturbi e condizioni, tra cui:

  • uno stato depressivo,
  • schizofrenia,
  • fobia sociale (disturbo d’ansia sociale),
  • disturbo post traumatico da stress,
  • disturbi da abuso di alcol,
  • un altro disturbo di personalità (spesso il borderline),
  • un progressivo isolamento sociale,
  • problemi relativi a comportamenti impulsivi e aggressivi.

In genere, chi soffre di questo disturbo non cerca spontaneamente aiuto; sono spesso i familiari a spingere il paziente alla terapia, stanchi di avere a che fare con continue problematiche relazionali e rimostranze circa le conseguenze di tali problematiche. La terapia è in genere difficile, in quanto chi ne è affetto non ne riconosce la necessità e raramente richiede aiuto (disturbo egosintonico), anzi, in alcune situazioni questi soggetti vedono i propri comportamenti come positivi e vantaggiosi per condurre una esistenza di loro gradimento. 

Psicoterapia

La psicoterapia individuale è il trattamento di scelta anche se difficile da impostare perché la sfiducia e la sospettosità dei pazienti con disturbo paranoide si estendono a  coinvolgere anche la figura del terapeuta.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale è volta a individuare non solo i comportamenti disfunzionali, ma anche il tessuto di cognizioni, gli aspetti affettivi e le strategie che caratterizzano il disturbo; in altre parole, il paziente viene allenato a riconoscere e identificare quali emozioni prova, come pensa, agisce e fronteggia i problemi. Più specificatamente, il trattamento si basa, in un primo momento, sul riconoscimento degli stati d’animo tipici di questo disturbo; si aiuta il paziente a riconoscere, per esempio, lo stato di minaccia, pericolo o derisione, a cui seguono emozioni quali ansia, tensione, rabbia, oppure lo stato in cui sente di essere stato escluso dagli altri, a cui, invece, seguono tristezza e isolamento.
Grazie alla presa di consapevolezza e alla maggiore conoscenza di questi e di altri stati d’animo è possibile, in un secondo momento, lavorare per migliorare le due importanti difficoltà che tipicamente presentano i soggetti con questo disturbo:

  • l’incapacità di porsi nella prospettiva dell’altro;
  • la difficoltà di distinguere tra mondo esterno e mondo interiore.

Questo è uno degli aspetti più importanti del trattamento ed è fondamentale per regolare lo stato interno del paziente e le sue relazioni. Per aiutarlo a porsi nella prospettiva dell’altro il paziente viene guidato a osservare i processi mentali del terapeuta; quest’ultimo illustra ed esplicita al paziente cosa pensa in un dato momento, come arriva a determinate conclusioni e quali elementi prende in considerazione per formarsi delle convinzioni. Il terapeuta, inoltre, mostra in vivo quanto questa difficoltà occupa la mente del soggetto e quanto gli condiziona la vita e le relazioni. Un’ulteriore parte del trattamento, infine, è costituito dalla messa in discussione delle interpretazioni disfunzionali del paziente riguardo al comportamento e alle intenzioni degli altri, attraverso la formulazione di ipotesi alternative alle sue convinzioni. In altre parole il paziente viene allenato a fornire nuove interpretazioni delle situazioni, dei comportamenti e dei pensieri degli altri, diverse a quelle a cui è abituato. Questo permette al soggetto di migliorare le sue difficoltà e acquistare nuovi strumenti per verificare l’attendibilità delle sue interpretazioni e ipotesi.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale, dunque, non solo mirerà a costruire strategie utili e adeguate per affrontare e gestire gli stati interni e le difficoltà di cui abbiamo parlato, ma permetterà al paziente di migliorare il suo funzionamento sociale e le relazioni interpersonali.

Nella psicoterapia psicodinamica il primo passo del terapeuta è quello di empatizzare con il bisogno del paziente di proiettare, poiché ciò assume un significato di sopravvivenza emozionale. Il terapeuta, quindi, deve essere disposto a servire da contenitore per sentimenti di odio, cattiveria, impotenza e disperazione. Riconoscendo che è la scarsa stima di sé che crea il bisogno di vedere difetti negli altri, si può empatizzare con il punto di vista del paziente e accettarne autenticamente i suggerimenti al fine di rendere il trattamento più produttivo. Non si dovrebbe mettere in discussione la ricostruzione degli eventi fornita dal paziente o la sua percezione del terapeuta, piuttosto richiedere maggiori dettagli ed empatizzare con i sentimenti e le percezioni del paziente stesso.
L’obiettivo è quello di aiutare il paziente a cambiare le percezioni relative all’origine dei propri problemi da una fonte esterna a una interna. Il terapeuta deve saper confrontarsi con i ripetuti sbarramenti di accuse e di sospetti senza sfinirsi o logorarsi. Contenendo i sentimenti piuttosto che agirli, si offre al paziente una relazione d’oggetto nuova che con il tempo può essere interiorizzata fino a giungere al dubbio creativo sulle proprie percezioni del mondo.

Terapia farmacologica

La terapia farmacologica può essere introdotta, come supporto alla psicoterapia, se il paziente presenta sintomi che interferiscono con il suo funzionamento quotidiano (sociale e/o professionale), oppure in presenza di sintomi che richiedono un inevitabile intervento farmaco-terapeutico come nel caso di presenza di ideazione suicidaria. I farmaci più spesso usati sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI).

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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