Con il termine “emorroidi” si identifica un gruppo di strutture vascolari appartenenti al canale anale che proteggono i muscoli dello sfintere anale durante il passaggio delle feci e giocano un ruolo molto importante nella continenza fecale; quando le emorroidi sono gonfie ed infiammate, diventano “patologiche” e causano una sindrome nota come malattia emorroidaria, spesso semplicemente chiamata “emorroidi“. Esistono diverse terapie per le emorroidi e le loro complicazioni:
- terapie mediche:
- trattamento igienico-sanitario,
- farmaci per via orale,
- farmaci per via parenterale,
- antiemorroidari per uso topico,
- trattamenti ambulatoriali strumentali:
- terapia sclerosante,
- legatura elastica,
- crioterapia,
- dilatazione anale e sfinterotomia,
- evacuazione di ematoma anale,
- escissione dei cavoccioli emorroidari ambulatoriale,
- terapia sclerosante con coagulazione all’infrarosso,
- diatermoterapia bipolare,
- terapie chirurgiche.
In questo articolo ci occuperemo in particolare della tecnica di esecuzione della terapia sclerosante.
Terapia sclerosante
Il trattamento sclerosante rappresenta il metodo strumentale più utilizzato nella pratica ambulatoriale proctologica. Da solo o in associazione alla legatura elastica è il metodo di scelta nel sanguinamento della mucosa emorroidaria perché sicuro, non costoso e di facile applicazione.
Tecnica di esecuzione
Il paziente è posto nella posizione preferita dall’esaminatore; si esegue l’esplorazione rettale, l’anoscopia e la rettosigmoidoscopia per una diagnosi corretta. Quindi, reintrodotto l’anoscopio a fondo lo si ritira leggermente per mettere bene in evidenza il canale anale prossimale con la circonferenza emorroidaria.
La siringa carica viene tenuta con la mano destra mentre l’anoscopio è tenuto e ruotato dalla mano sinistra. L’ago viene quindi inserito nella sottomucosa ben al di sopra della
linea pettinea (circa 1 cm) quindi nella porzione prossimale del gavocciolo che protrude nel lume dell’anoscopio (vedi immagine in alto nell’articolo). Aiutandosi con l’impugnatura della siringa si aspira per accertarsi di non essere penetrati in un grosso vaso, evenienza comunque molto rara.
L’iniezione deve essere eseguita nello spessore della sottomucosa, spazio facile da distendere senza provocare dolore. Se si spinge più in profondità si raggiunge lo strato muscolare, ci si rende conto che lo stantuffo è resistente e l’iniezione può essere dolorosa. Se invece si punge troppo superficialmente, si inietta nello spessore stesso della mucosa: il tessuto non permette una diffusione sufficiente del liquido e si gonfia in una bolla edematosa biancastra con sensazione di corpo estraneo, tenesmo e formazione di un’escara che, cadendo, può dare emorragie importanti. Al contrario l’iniezione nella sottomucosa crea un leggero rigonfiamento senza modificare il colore della mucosa e non induce dolore. Per l’aspetto del tessuto iniettato, si può confrontare l’iniezione corretta ad una iniezione sottocutanea, mentre quella troppo superficiale ad una intradermica che fa impallidire la cute.
Sede dell’iniezione
L’iniezione dev’essere effettuata nella parte superiore del gavocciolo emorroidario, là dove la mucosa è più turgida. L’iniezione troppo bassa è da evitare perché può fare prolassare all’esterno l’area trattata che aumenta di volume e ne può seguire una trombosi. Inoltre provoca immediatamente dolore ed arrossamento cutaneo perché il liquido per gravità si propaga alla zona sensibile sotto stante la linea pettinea.
L’iniezione troppo alta, invece, rischia di iniettare nello spessore della muscolare. Si può cominciare l’iniezione nel tratto maggiormente interessato dalla malattia emorroidaria, nel gavocciolo di maggiori proporzioni. Si consiglia di evitare sia il lato coccigeo per la difficoltà ad infilare il giusto spessore di mucosa, che quello anteriore per il rischio di iniettare nella prostata.
L’inserimento dell’ ago deve essere dolce poiché non vi è nessuna resistenza consistente da vincere; la punta, inserita nella mucosa verticalmente e non tangenzialmente, va mobilizzata e leggermente sollevata per avere la certezza di essere nello spazio sottomucoso; quindi si inietta lentamente una quantità variabile da 0,5 a 2 ml di soluzione per ogni iniezione per un totale di 5-1 ml per seduta. Se l’iniezione avviene con difficoltà può trattarsi di un errore per eccessiva profondità o per una particolare resistenza di tessuti, come accade in pazienti che sono già stati sottoposti a terapia sclerosante o a chirurgia. Se l’iniezione è dolorosa, va sospesa.
Completate le iniezioni, si può lasciare in sede per qualche secondo l’anoscopio per ridurre la fuoriuscita del liquido sclerosante dall’orifizio prodotto dall’ago.
Specialmente in caso di prolasso o di particolare mobilità della mucosa, può essere difficile inserire l’ago. Allora si può bloccare la mucosa con una pinza di Allis. Non conviene infilare l’ago con un colpo secco che potrebbe spingerne la punta
troppo in profondità. Può essere indicata una esplorazione digitale dopo l’iniezione: la sensazione normale deve essere quella di una distensione a limiti imprecisi. Se c’è invece una bolla superficiale può essere apprezzata alla palpazione ed eventualmente massaggiata per ridurre la concentrazione di liquido e quindi la possibile formazione di un’ escara.
Controllo
Al controllo, 3-6 settimane dopo, si noterà una zona più chiara e leggermente indurita nella sede del trattamento. In sede di iniezione è possibile che si sviluppi del tessuto di granulazione con aspetto talvolta polipoide che sanguina con facilità: può essere necessario trattarlo con toccature di nitrato d’argento. Se opportuno, questo trattamento potrà essere ripetuto 3 o 4 volte. Se dopo questa serie di iniezioni il miglioramento non è significativo, conviene programmare una terapia chirurgica; la terapia ambulatoriale non influisce comunque negativamente.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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