Il primo tipo di stretching comparso sulla scena dei runner, il cosiddetto stretching balistico, è stato abbandonato diversi decenni fa. Gli atleti che lo provarono scoprirono che il passaggio rapido da una posizione a un’altra provocava dolori muscolari e a volte anche stiramenti. Dopo questa prima versione ne apparve una seconda, lo stretching statico, che raggiunse ben presto un’enorme diffusione grazie a libri, articoli e poster nelle palestre. Nello stretching statico il runner raggiunge la posizione e la mantiene per 30-60 secondi. Poiché non ci sono movimenti rapidi, affermano i sostenitori di questa attività, lo stretching statico non può provocare dolori muscolari. Al contrario, dovrebbe favorire la flessibilità mediante un adattamento graduale all’allungamento.
Molti runner hanno ricevuto notevoli benefici dallo stretching statico, ma altri hanno comunque sofferto di dolori ai muscoli e non hanno risolto i loro problemi a livello di infortuni. Peraltro, un articolo pubblicato sulla rivista Research Quarterly qualche anno fa sollevò alcuni dubbi circa i benefici di questa pratica specifica. I ricercatori utilizzarono due gruppi di persone di sesso maschile in età compresa fra i 18 e i 22 anni e li sottoposero rispettivamente a una serie di 17 esercizi di stretching balistico e statico.
I risultati mostrarono che il secondo gruppo andò incontro a un maggior livello di dolore ai muscoli e a una maggiore produzione di CPK (un enzima che, come noto, è correlabile agli infortuni a livello del tessuto muscolare) rispetto al primo gruppo. Perché? Una possibile spiegazione può essere ricavata osservando la fisiologia muscolare. Tutti i muscoli hanno un riflesso d’estensione che viene attivato dopo un movimento rapido e intenso oppure dopo due secondi di allungamento. Questo riflesso fa sì che il muscolo cominci una lenta contrazione. Se si continua l’allungamento mentre il muscolo cerca di contrarsi possono sorgere problemi.
Oggi si preferiscono sostanzialmente due strade:
a) lo stretching statico non massimale; non essendo massimale si minimizzano le probabilità di infortunio. Essendo la corsa prolungata non particolarmente critica in termini di elasticità (come i salti o la velocità), si ottengono buoni risultati pratici.
b) Lo stretching attivo (metodo Wharton); poiché la posizione viene mantenuta per 1-2 secondi solamente, si evitano i problemi eventualmente presenti con gli altri tipi di stretching. Per ottenere il massimo beneficio la difficoltà è quindi totalmente esecutiva.
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