Levinson e la pet therapy: quella volta in cui il cane Jingles curò un bambino autistico

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO Boris Levinson e il suo cane Jingles Pet Therapy

Nel 1953 lo psicologo statunitense Boris Mayer Levinson aveva in cura un bambino con disturbo dello spettro autistico che era stato sottoposto a molte cure senza però trovare alcun reale giovamento. Lo stesso Levinson era ad un punto morto, in cui non riusciva ad essere più molto utile alla cura del

bimbo, non riuscendo ad instaurare con lui alcun rapporto di fiducia.

Un giorno, i genitori del bambino accompagnarono il figlio alla seduta con un leggero anticipo rispetto all’orario prefissato. In quel momento, inoltre, a causa di un contrattempo, Levinson era molto impegnato in un altro lavoro: per questo motivo nell’attesa fece accomodare la famiglia nel suo studio dimenticandosi di fare uscire dalla stanza il suo cane domestico Jingles.

Non appena il cane vide quel bimbo, l’animale si diresse verso di lui e cominciò a leccarlo e fargli le feste. Il piccolo non mostrò alcun tipo di timore o paura, ma anzi ne fu talmente conquistato che cominciò ad accarezzarlo dolcemente e giocare con lui: in quei pochi minuti di attesa della visita, si creò una fortissima alchimia e complicità tra i due, creando un legame che – di fatto – il bimbo non aveva mai avuto con nessun coetaneo. Alla fine di quell’incontro il bambino, in genere piuttosto apatico e remissivo, manifestò attivamente e con passione uno dei suoi pochi desideri espressi fino a quel momento della sua vita: tornare nello studio dello psichiatra per poter giocare nuovamente con il cane Jingles.

Come spiega bene Levinson, e come scrive anche nell’articolo The dog as co-therapist, in italiano “Il cane come co-terapista” (dove utilizzò per la prima volta l’espressione pet therapy, in uso ancora oggi per indicare le terapie con animali) il bambino, nel tempo, continuò a giocare con Jingles e questo permise allo psichiatra di inserirsi nel gioco, creando così un rapporto intenso e proficuo con il suo piccolo paziente, rapporto che non avrebbe mai potuto creare senza l’aiuto del cane. La presenza di un animale permetteva al bambino di esprimere le proprie difficoltà in modo indiretto, creando uno schermo “amichevole” col medico, che gli permetteva di non essere più intimorito dal rapporto diretto con Levinson. E pensare che tutto era nato da un contrattempo…

Dopo questo evento, lo psicologo sviluppò la teoria della pet oriented child psychotherapy, basata sull’idea che l’animale diventi un sostegno grazie al quale il paziente riesce a parlare più tranquillamente della sua vita e delle sue inquietudini. Levinson constatò che prendersi cura di un animale può calmare l’ansia, trasmettere calore affettivo ed aiutare a superare traumi, stress e depressione. La teoria di Leviston è oggi considerata un caposaldo della pet therapy.

Questo caso, diventato famoso, è stato studiato e confermato da numerose ricerche scientifiche, che hanno dimostrato come il rapporto con gli animali in ambito socio-sanitario possa portare a: un aumento del tasso di sopravvivenza nei pazienti ricoverati con disturbi cardiaci; abbassamento della pressione sanguigna e della frequenza delle pulsazioni; calo dei valori del colesterolo nei pazienti di sesso maschile; riduzione nella percezione di problemi di salute minori e miglioramento della qualità della vita; decrescita delle spese per i farmaci; riduzione delle sensazioni di solitudine, depressione e paura; aumento dell’autostima, in modo particolare nei bambini; miglioramento dell’integrazione sociale dei bambini a scuola, degli anziani e delle persone con problemi fisici. Le terapie assistite con gli animali si configurano come trattamenti alternativi efficaci per i disturbi mentali e del comportamento, inclusi la depressione, la schizofrenia e le dipendenze da sostanza e comportamentali, affiancati alle cure tradizionali.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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