D-dimero alto in tumori, mestruazioni, gravidanza, infezioni

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE FECI URINE GLICEMIA ANALISI GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MCon “D-dimero” in medicina si intende il prodotto di degradazione della fibrina, in particolare un frammento proteico rilevabile nel sangue in caso di fibrinolisi. Il nome della sostanza deriva dal fatto che è costituito da due frammenti D di fibrina, stabilizzati da legami crociati covalenti. Il peso molecolare del D-dimero si aggira intorno a 180.000 dalton e l’emivita è pari a 4-6 ore. La sua determinazione mediante esame del sangue trova indicazione clinica soprattutto nella diagnosi di:

  • embolia polmonare;
  • trombosi venosa profonda;
  • CID (coagulazione intravascolare disseminata).

La misurazione presenta alta sensibilità (poiché se bassa ci permettere di escludere una patologia trombo-embolica di tipo coagulativo) ma bassa specificità (se alta non è detto che sia esclusivamente dovuta a patologia trombo-embolica).

Valori normali

Dal momento che anche in soggetti in buona salute è possibile dosare il D-dimero, esiste un intervallo di riferimento che individua soggetti “normali”. Tale intervallo viene appunto definito range di normalità. Tuttavia al medico che deve escludere una possibile trombosi venosa profonda, riferirsi a dei valori normali di una popolazione sana, in genere è di scarsa o nulla utilità.
Per il clinico è molto meglio individuare dei valori che permettano di stratificare i pazienti in gruppi a bassa, media, oppure alta probabilità di patologia trombotica. A tale fine sono stati individuati dei valori di cut-off (limite superiore dell’intervallo di riferimento e livello decisionale per tromboembolia venosa). Il limite inferiore di normalità per la maggior parte dei kit in commercio è intorno a 0, mentre quello superiore varia fra 50 e 500 ng/ml.

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Fisiologia

La coagulazione, ovvero la formazione di un coagulo di sangue o trombo, si verifica quando le proteine della cascata della coagulazione vengono attivate, sia per il contatto con le pareti del vaso sanguigno danneggiato (via intrinseca) sia per attivazione del fattore VII, attivazione dovuta al rilascio di altri fattori tissutali.
Entrambe le vie (intrinseca ed estrinseca) conducono alla generazione di trombina, un enzima che trasforma il fibrinogeno, una proteina solubile presente nel sangue, in fibrina, la quale tende ad aggregarsi in proteofibrille. Un altro enzima, attivato dalla trombina, il fattore XIII, è anche in grado di stabilizzare le proteofibrille in corrispondenza del sito del frammento D, portando alla formazione di un gel insolubile che serve come impalcatura per la formazione dei coaguli di sangue. L’enzima circolante plasmina, l’enzima principale della fibrinolisi, scinde il gel di fibrina in diversi pezzi. I frammenti risultanti, “polimeri ad alto peso molecolare”, sono digeriti più volte dalla plasmina fino a dar luogo ad un polimero di peso intermedio e poi a piccoli polimeri (i cosiddetti prodotti di degradazione della fibrina o FDP). Il legame reticolare tra due frammenti D rimane intatto, tuttavia, e questi sono esposti sulla superficie quando i frammenti di fibrina sono sufficientemente digeriti. Il tipico frammento di D-dimero contiene due domini D e un dominio E della molecola originale di fibrinogeno. Il D-dimero teoricamente non è normalmente presente nel plasma del sangue umano, tranne quando viene attivato il sistema di coagulazione, come per esempio in caso di trombosi o coagulazione intravascolare disseminata.
In realtà una bassa concentrazione di D-dimero può essere riscontrata anche nel sangue dei soggetti in buona salute. Ciò indica che esiste un equilibrio dinamico fra la fase di formazione di fibrina e la sua degradazione da parte del sistema fibrinolitico, anche in condizioni fisiologiche.
Quindi la concentrazione del D-dimero in vivo riflette la condizione di quella che può essere definita bilancia emostatica, e pertanto presenta una marcata variabilità da individuo ad individuo, sia esso in buona salute od affetto da condizioni patologiche.

Condizioni e patologie che determinano aumento del D-dimero

Il D-dimero può risultare aumentato in varie condizioni fisiologiche e patologiche:

Cause fisiologiche:

  • età avanzata (incremento nel soggetto anziano > 65 anni, forse correlato a minore mobilità e all’aterosclerosi);
  • periodo neonatale;
  • gravidanza (espressione dell’aumentata ipercoagulabilità propria della condizione)
  • ciclo mestruale;
  • limiti di laboratorio (più frequenti con il classico test al lattice: interferenza di proteine plasmatiche, emolisi, sostanze cross-reagenti, anticorpi).

Cause patologiche:

  • soggetti ospedalizzati e/o con disabilità grave;
  • infezioni in atto (sepsi da batteri Gram negativi);
  • traumi maggiori;
  • ictus cerebrale;
  • infarto del miocardio;
  • scompenso cardiaco;
  • tumori;
  • coagulazione intravasale disseminata (CID);
  • interventi chirurgici;
  • epatopatie;
  • nefropatie;
  • malattie infiammatorie croniche come il lupus eritematoso e l’artrite reumatoide);
  • tromboembolia venosa;
  • terapia trombolitica.

Terapie

La terapia per ripristinare valori normali di D-dimero, dipende dalla causa specifica che a monte ne ha determinato l’aumento.

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Metodi di dosaggio del D-Dimero

Esistono diversi metodi di dosaggio del D-dimero. Purtroppo i diversi laboratori sono ancora lontani da una adeguata standardizzazione dei diversi metodi, principalmente per la notevole eterogeneicità del D-dimero (la maggior parte del quale è contenuta in frammenti più grandi quali DD/E, YD/DY, YY/DXD), per la difficoltà di scelta di un calibratore adeguato, e per la diversa reattività verso i prodotti di degradazione della fibrina dei diversi anticorpi monoclonali utilizzati. I principali metodi sono:

  • Metodi ELISA (metodo classico su micropiastra, metodo di immunofiltrazione)
  • Metodi di agglutinazione semiquantitativi
  • Metodi di agglutinazione quantitativi
  • Metodi che impiegano sangue in toto (anche point of care testing)

Usi clinici

Il test del D-dimero è di utilità clinica quando vi è un sospetto di trombosi venosa profonda (TVP), embolia polmonare (EP) oppure coagulazione intravascolare disseminata (CID). Attualmente il test è in fase di studio anche per la diagnosi di dissecazione aortica. Per la TVP e la EP, sono possibili diversi sistemi di punteggio che vengono utilizzati per determinare la probabilità a priori clinica di queste malattie. Tra tutti si segnala quello introdotto da Wells e collaboratori nel 2000.

  • Per un punteggio molto alto, oppure una elevata probabilità pre-test, il valore del D-dimero fa poca differenza e la terapia anticoagulante viene generalmente iniziata a prescindere dai risultati dei test. Naturalmente possono essere eseguiti ulteriori test per la trombosi venosa profonda o l’embolia polmonare.
  • Per un punteggio oppure una probabilità pre-test bassa o moderata:[7]
    • un test D-dimero negativo praticamente esclude la tromboembolia: il grado in cui il D-dimero riduce la probabilità di malattia trombotica dipende dalle proprietà intrinseche del test specifico che è stato utilizzato; la maggior parte dei test disponibili quando danno un risultato negativo riducono la probabilità di malattia tromboembolica a meno dell’1%, se la probabilità pre-test è inferiore al 15-20%.
    • se la risposta del test del D-dimero dà valori elevati, sono richiesti ulteriori esami (ecocolordoppler delle vene degli arti inferiori, scintigrafia polmonare o TAC) per confermare la presenza di trombi. La terapia anticoagulante può essere iniziata subito, continuata oppure sospesa sulla base delle risultanze degli ulteriori esami eseguiti, a seconda della situazione clinica.

In alcuni ospedali l’esecuzione del test del D-dimero viene eseguita solo dietro presentazione di uno specifico modulo che mostra il punteggio di probabilità pre-test, e solo se il punteggio di probabilità è basso o intermedio.Questo atteggiamento riduce la necessità di test inutili in questi soggetti che si trovano già in una condizione di alta probabilità per test. L’esecuzione del test del D-dimero può evitare un numero significativo di esami di imaging ed è meno invasiva.

Caratteristiche del test

Vari kit hanno una sensibilità compresa tra 93 e 95 % e circa il 50 % di specificità nella diagnosi di malattia trombotica.

  • Falsi positivi: possono essere dovuti a varie cause: malattie del fegato, un elevato vaolore del fattore reumatoide, infiammazioni, tumori maligni, traumi, gravidanza, interventi chirurgici recenti, così come l’età avanzata.
  • Falsi negativi: si verificano in particolare se il campione è raccolto troppo presto dopo la formazione dei trombi oppure se il test è eseguito con grave ritardo (nell’ordine di diversi giorni).
  • Inoltre, un trattamento anticoagulante in corso può rendere il test negativo perché impedisce l’estensione del trombo.
  • Falsi valori possono essere ottenuti se la provetta del campione non viene sufficientemente riempita (si registra un valore falsamente basso se viene riempito in modo insufficiente, e un valore falsamente alto se riempita eccessivamente). Ciò è dovuto all’effetto di diluizione dell’anticoagulante (il campione è raccolto correttamente quando i rapporto sangue-anticoagulante è pari a 9:1).
  • Nei pazienti anziani il D-dimero presenta una specificità ridotta e perciò è meno utile. È però possibile costruire dei valori di cut-off dipendenti dall’età in modo da adattare e rendere utile l’esecuzione del test anche nei soggetti anziani.

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