Emostasi fisiologica e chirurgica: significato e fasi

MEDICINA ONLINE PRELIEVO VALORI ANEMIA DONAZIONE SANGUE ANALISI BLOOD LABORATORI VES FORMULA LEUCOCITARIA PLASMA FERESI SIERO FIBRINA FIBRINOGENO COAGULAZIONE GLOBULI ROSSI BIANCHI PIASTRINE WALLPAPER HI RES PIC PICTURE PHOCon “emostasi” (o “emostasia“) in medicina per definizione si intende un insieme di processi che permettono di arrestare direttamente e/o indirettamente il sanguinamento, ovvero di trattenere il sangue in un vaso danneggiato, pur mantenendo al contempo il sangue fluido in un vaso normale. L’emostasi può essere:

  • fisiologica: quando ci si riferisce all’arresto spontaneo del sanguinamento da parte dell’organismo;
  • patologica: quando si verifica una alterazione che impedisce all’organismo di arrestare spontaneamente il sanguinamento oppure che porta alla formazione di trombi;
  • chirurgica: quando l’arresto del sanguinamento viene attivamente provocato dal personale medico mediante medicazione o manovre chirurgiche atte ad impedire, anche preventivamente, la fuoriuscita di sangue da una lesione di continuo di un vaso.

L’emostasi fisiologica è il risultato finale di un insieme di processi sinergici cellulari e biochimici, ben regolati; una corretta emostasi è necessaria alla sopravvivenza dell’organismo: in sua assenza anche un piccolo trauma potrebbe determinare emorragie pericolose e letali, mentre sue alterazioni potrebbero determinare un pericoloso aumento della coagulazione con elevato rischio di trombi. L’emostasi chirurgica è essenziale in praticamente qualsiasi tipo di operazione chirurgica: in assenza della quale nessuna pratica chirurgica sarebbe possibile.

Etimologia e pronuncia

Il termine “emostasi” deriva dalla parola greca αἱμόστασις composta da αἷμα (sangue) e στάσις (blocco, arresto, stasi) ad indicare appunto il “blocco del sangue”.
La pronuncia di “emostasi” è “emòstasi” (con l’accento sulla O) o anche “emostàsi” (con l’accento sulla A): entrambe le pronunce sono corrette.

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Fisiologia dell’emostasi

L’emostasi, in un organismo sano, avviene spontaneamente ogni qualvolta che si verifica una interruzione dell’integrità del letto vascolare può dipendere da una lesione tissutale superficiale o da un trauma tissutale interna. Per ridurre il sanguinamento ed evitare la perdita di sangue dopo un danno tissutale sono attivati i componenti del sistema emostatico. I componenti di questo sistema dinamico integrato comprendono principalmente:

  • piastrine;
  • cellule endoteliali;
  • fattori plasmatici della coagulazione.

Essi possono essere attivati o per l’esposizione nel letto vascolare a superfici estranee o da prodotti liberati dalle cellule danneggiate.

L’emostasi può essere vista come una successione di quattro eventi separati ma correlati. Le principali fasi dell’emostasi possono essere riassunte schematicamente come segue:

  1. fase parietale;
  2. fase endotelio-piastrinica;
  3. fase plasmatica o della coagulazione;
  4. fase trombo-dinamica.

Anche se per comodità descrittiva le diverse fasi vengono trattate separatamente esse in realtà avvengono pressoché contemporaneamente. Le attività che si susseguono in rapida sequenza, sono:

  1. spasmo vascolare;
  2. formazione del tappo piastrinico;
  3. coagulazione del sangue;
  4. organizzazione fibrosa o dissoluzione del coagulo.

1) Spasmo vascolare

Non appena un vaso sanguigno viene reciso o si rompe, per lo stimolo rappresentato dal trauma vascolare la sua parete si contrae riducendo così immediatamente il flusso e la fuoriuscita del sangue. La contrazione deriva da riflessi nervosi, spasmo miogeno locale, e fattori umorali locali li­berati dai tessuti traumatizzati e dalle piastrine del sangue. I riflessi nervosi vengono presumibilmente scatenati da impulsi dolorifici o di altra natura originatisi dal vaso trau­matizzato o dai tessuti ad esso circostanti. Probabilmente, però, lo spasmo è per gran parte dovuto a vasocostrizione miogena locale direttamente scatenata dalla lesione subita dalla parete vascolare. Per i vasi più piccoli, le piastrine sono responsabili di gran parte della vasocostrizione libe­rando la sostanza vasocostrittrice trombossano A2.Quanto maggiore è il trauma subito dal vaso, tanto più intenso è lo spasmo, cioè un vaso sanguigno reciso netta­mente tende in genere a sanguinare molto più di un vaso rotto in seguito a schiacciamento traumatico. Lo spasmo vascolare locale dura parecchi minuti o anche ore e durante questo lasso di tempo i processi successivi, di formazione del tappo piastrinico e della coagulazione sanguigna, hanno modo di attuarsi.L’importanza dello spasmo vascolare nel meccanismo emostatico appare evidente se si considera che individui, i quali abbiano subito amputazione traumatica delle gambe per schiacciamento, presentano talvolta questo spasmo con una tale intensità a livello dell’arteria tibiale anteriore che l’emorragia non risulta letale.

2) Formazione del tappo piastrinico

A contatto di una superficie vasale danneggiata, e in particolare delle fibre collagene della parete vascolare o anche di cellule endoteliali lese, le piastrine modificano immediata­mente e drasticamente le loro caratteristiche. Cominciano a rigonfiarsi, assumono forme irregolari ed emettono numerosi prolungamenti che protrudono dalla loro superficie; per azione delle loro proteine contrattili si contraggono energicamente provocando così liberazione di granuli con­tenenti molteplici fattori attivi, diventano adesive e si attac­cano alle fibre collagene. Cominciano quindi a secernere notevoli quantità di ADP e i loro enzimi inducono la forma­zione di trombossano A, che viene anch’esso secreto nel plasma. L’ADP e il trombossano, a loro volta, agiscono sulle piastrine circostanti attivandole. L’adesività di queste altre piastrine attivate fa si che esse aderiscano a quelle ori­ginariamente attivate. Perciò, dovunque si determini una le­sione vasale, la parete vascolare lesa o i tessuti extravasali provocano un ciclo di reazioni che va attivando via via un numero sempre più grande di piastrine; queste, ammassan­dosi, formano un tappo piastrinico. Se la lesione della parete in un vaso è piccola, il tappo piastrinico da solo è in grado di arrestare completamente la perdita di sangue, ma nel caso di una grossa apertura, per arrestare l’emorragia è necessario che, oltre al tappo piastrinico, si formi un coagulo san­guigno.
Il meccanismo di tamponamento da parte delle piastrine è estremamente importante per chiudere le piccolissime rotture che si verificano a carico di piccoli vasi sanguigni centinaia di volte al giorno. In effetti, una molteplicità di piccole aperture attraverso le cellule endoteliali stesse sono spesso chiuse da piastrine che vengono praticamente a fondersi con queste cellule formando con esse una sorta di membrana cellulare aggiuntiva. Pertanto, il paziente con poche piastrine nel sangue presenta letteralmente centinaia di piccole aree emorragiche sotto la pelle e nei tessuti cosa che non avviene nel soggetto normale.

3) Coagulazione del sangue

Se il trauma della parete vascolare è di grave entità, il terzo meccanismo dell’emostasi consiste nella forma­zione del coagulo sanguigno. Il coagulo si comincia a for­mare in 15-20 secondi per lesioni più gravi, mentre ci vorranno 1-2 minuti per traumi di minore entità. L’inizio del processo di coa­gulazione è dovuto a sostanze attivatrici provenienti sia dalla parete vascolare traumatizzata sia da piastrine e da proteine sanguigne che ad essa aderiscono. Entro 3-6 minuti dalla rottura di un vaso, se l’apertura non è troppo ampia,  la sua  lacerazione o estremità recisa, viene riempita per intero dal coagulo. Da 20 minuti ad 1 ora dopo, il coagulo si retrae determinando un ulteriore restringimento del lume vascolare. Nella retrazione del coagulo le piastrine svolgono un ruolo importante.

4) Organizzazione fibrosa o dissoluzione del coagulo

Una volta formato il coagulo, questo può andare incontro a due destini diversi: può essere invaso da fibroblasti che, successivamente, formano tessuto connettivo che si estende attraverso tutto il coagulo, o può subire una lisi completa.

  • Il destino abituale di un coagulo che vada ad occludere una piccola apertura di una parete vasale è l’invasione da parte dei fibroblasti (promossa almeno in parte dal fattore di crescita secreto dalle piastrine). Il fenomeno inizia entro poche ore dalla formazione del coagulo e continua fino alla completa organizzazione di quest’ultimo in tessuto fibroso nel giro di circa 1-2 setti­mane.
  • Quando, invece, si forma un grosso coagulo san­guigno, come nel caso di uno stravaso di sangue nei tes­suti, vengono attivate all’interno del coagulo stesso spe­ciali sostanze ad attività enzimatica che provocano la sua dissoluzione. Più specificatamente, una notevole quantità dell’euglobulina plasminogeno (o profibrinolisina) viene ad incorporarsi nel coagulo insieme ad altre plasmaproteine. I tessuti e l’endotelio vascolare lesi liberano un potente attivatore, detto attivatore tessutale del plasminogeno (t-PA), che in un giorno circa, dopo che il coagulo ha arrestato l’emor­ragia, finisce col trasformare il plasminogeno in plasmina (o fibrinolisina) e rimuove il coagulo. La  plasmina è un enzima proteolitico simile alla tripsina. Essa digerisce i filamenti di fibrina ed anche altre sostanze presenti nel sangue circostante, come il fibrinogeno, il fattore V, il fattore VIII, la protrombina ed il fattore XII. Pertanto, ogni volta che in un coagulo sanguigno viene a formarsi plasmina, essa è capace di indurre la lisi del coagulo, nonché la distruzione di molti dei fattori della coagulazione, per cui rende il sangue meno coagulabile. Molti piccoli vasi sanguigni in cui, per la formazione di coaguli, è stato arrestato il flus­so sanguigno, vengono riaperti con questo meccanismo.

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Fasi dell’emostasi

L’emostasi si svolge in varie fasi, sinteticamente riportate:

  1. Le piastrine sono respinte dall’endotelio intatto, ma quando questo si rompe avviene una vasocostrizione riflessa e le sottostanti fibre collagene risultano esposte. Le piastrine aderiscono al fattore di Von Willebrand, diventano piatte e aumentano la loro superficie, per azione dell’ADP. Le piastrine ancorate rilasciano granuli secretori che, fungendo da chemochine, attirano ulteriori piastrine e queste, continuando ad ammassarsi, finiscono per formare sulla zona dove l’endotelio è leso il cosiddetto tappo piastrinico o trombo bianco.
  2. Una volta ancorate, le piastrine, oltre a produrre sostanze che attirano altre piastrine, rilasciano serotonina che provoca spasmi (contrazioni) del vaso sanguigno danneggiato; agendo nei pressi della lesione gli spasmi riducono la perdita di sangue per cui il coagulo riesce a formarsi. Tra i fattori che provocano spasmi vascolari vanno annoverati i danni a carico delle cellule muscolari lisce e la stimolazione dei recettori locali del dolore.
  3. Contemporaneamente i tessuti danneggiati rilasciano tromboplastina, una sostanza che svolge un ruolo importante nella coagulazione.
  4. Il fattore piastrinico 3 (PF3) è un fosfolipide che riveste la superficie delle piastrine; interagisce con la tromboplastina, con altre proteine ematiche della coagulazione e con ioni Ca2+ per formare l’attivatore protrombinico che innesca il processo a cascata della coagulazione.
  5. L’attivatore protrombinico converte la protrombina, presente nel plasma, nell’enzima trombina.
  6. La trombina quindi unisce tra loro le molecole proteiche solubili di fibrinogeno trasformandole in lunghe catene molecolari di fibrina insolubile; questa forma una sorta di traliccio che, intrappolando i globuli rossi, costituisce la base del coagulo. Entro un’ora, il coagulo inizia a retrarsi, spremendo fuori dalla massa siero (plasma deprivato dalle proteine della coagulazione) e avvicinando i margini della rottura della parete vasale. Di norma il sangue coagula in 3-6 minuti e, una volta iniziato il processo a cascata della coagulazione, i fattori che l’hanno scatenato vengono di solito rapidamente inattivati per impedire che la coagulazione del sangue si diffonda per tutto l’apparato circolatorio. Alla fine l’endotelio si rigenera e il coagulo si dissolve. L’emostasi può essere indotta anche meccanicamente come accade in chirurgia ove rappresenta una parte determinante dell’atto operatorio.

Valutare la funzionalità emostatica

Grazie alla medicina di laboratorio, è abbastanza semplice ottenere – grazie ad una semplice analisi del sangue – importanti informazioni sulla corretta o alterata funzionalità dell’emostasi. Il medico basa sulla valutazione della conta piastrinica e del tempo di emorragia, eseguito con metodica standardizzata (emostasi primaria), associati alla determinazione del tempo di protrombina (PT) e del tempo di tromboplastina parziale attivato (APTT). Tali test di primo livello sono in grado di indirizzare il clinico sull’eventuale proseguimento dell’iter diagnostico attraverso ulteriori indagini come il dosaggio dei singoli fattori della coagulazione, dell’antiplasmina, dell’attivatore e inibitore del plasminogeno e del D-dimero (prodotto di degradazione della fibrina).

In chirurgia

In campo medico, specie quello chirurgico, esistono varie metodologie per bloccare, preventivamente o non, l’emorragia ed ottenere rapidamente l’emostasi:

  • compressione diretta del vaso più a monte dell’emorragia o della afferenza principale, tramite vari mezzi, ad esempio con laccio emostatico;
  • clip metalliche adoperate soprattutto in neurochirurgia ed in chirurgia mini-invasiva;
  • cauterio, strumento la cui punta veniva portata ad incandescenza e che è ormai abbandonato perché ad effetto non dosabile;
  • elettrocoagulazione ottenuta per passaggio della corrente in una pinza o nel bisturi (elettrico) e che è molto valida nell’ottenere l’emostasi dei piccoli vasi
    pezze o garze imbevute di soluzione fisiologica calda tenute per qualche minuto su ampie superfici cruentate e che presentano emorragie diffuse non controllabili diversamente;
  • pezze o garze zaffate con forza nel sito emorragico che danno emostasi per compressione e che vengono tenute a dimora per qualche tempo (ore, talvolta anche giorni) dopo di che vengono rimosse;
  • spugne di fibrina o collanti biologici per dominare emorragie in zone difficilmente raggiungibili o in organi parenchimatosi;
  • tappi di collagene riassorbibile che, applicati sul foro di ingresso dei cateteri di angioplastica rimossi, fungono da emostasi ed evitano la compressione della gamba del paziente sottoposto a procedure di angioplastica coronarica o periferica. Questi sistemi evitano al paziente il disagio di una dolorosa compressione nel punto di accesso dell’arteria che in genere durerebbe dai trenta ai quaranta minuti. I tappi di collagene permettono inoltre al paziente di camminare ed essere autonomo immediatamente dopo il termine della procedura di angioplastica. Questi sistemi vengono poi “assorbiti” completamente dall’organismo umano in pochi giorni.

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Emostasi farmacologica

In alcune situazioni mediche in cui si richiede una emostasi temporanea, può essere indicata la somministrazione di farmaci detti “emostatici”, tra i quali si distinguono

  • farmaci vasocostrittori: sono farmaci che agiscono sui vasi sanguigni e comprendono preparati capaci di costringere i vasi, usati localmente, come le soluzioni a base di cloruro ferrico, i simpaticomimetici come l’adrenalina, e sostanze che agiscono sulla permeabilità vasale;
  • farmaci coagulanti: sono molecole o sostanze attive sui processi di coagulazione del sangue e comprendono il plasma ed i coagulanti locali a base di spugna, gelatina, fibrina, cellulosa ossidata, derivati dell’acido alginico. Queste sostanze sono le più usate nelle emorragie locali poiché hanno un effetto immediato dovuto alla loro azione tamponante meccanica e al loro intervento diretto nel processo di coagulazione.

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