Con “flebite” in medicina si identifica genericamente l’infiammazione della tonaca intima di una vena, determinata da varie cause. La flebite si associa generalmente, ma non necessariamente, alla formazione di “trombosi venosa”. Il termine “trombosi venosa” indica il fatto che uno o più trombi ostruiscano una o più vene, più spesso a carico degli arti inferiori, anche se virtualmente ogni vena può essere colpita; particolarmente a rischio sono le vene varicose nelle gambe, comuni nelle donne in gravidanza e negli anziani. Quando l’infiammazione della vena (flebite) si associa alla presenza di un trombo nella vena (trombosi venosa), allora si parla di “tromboflebite“. Se la vena colpita è superficiale si parla di “tromboflebite superficiale“, mentre invece se la vena interessata è profonda e all’interno di un muscolo, si parla di “tromboflebite profonda” o più correttamente di “trombosi venosa profonda” o “TVP” situazione quest’ultima molto più grave che pone il paziente a rischio di complicazioni anche mortali. La flebite colpisce generalmente i distretti venosi superficiali e profondi di arti superiori e inferiori, ma possono essere interessate tutte le vene del corpo umano. Le vene delle gambe risultano quelle più colpite a causa della maggiore possibilità di sviluppare una stasi venosa.
ATTENZIONE Il termine “flebite” viene spesso usato come sinonimo di “tromboflebite superficiale“, sebbene ciò non sia del tutto corretto visto che la tromboflebite superficiale, come prima spiegato, è solo uno dei possibili tipi di flebite, quello caratterizzato dalla formazione di un trombo che occlude una vena superficiale.
La flebite è “mortale”?
La flebite è una condizione patologica con prognosi generalmente favorevole, ma che caratterizza negativamente il decorso clinico di un gran numero di pazienti ogni anno, determinando un aumento del periodo di ospedalizzazione. Se non correttamente diagnosticata e trattata può riservare complicazioni importanti quali ascessi e infezioni locali, a cui può aggiungersi la formazione di coaguli dovuta al danno endoteliale, seguita da trombosi venosa profonda con pericolo di rottura del trombo, formazione di embolo che si dirige nelle arterie polmonari ostruendole, condizione che prende il nome di “embolia polmonare“,una patologia che è effettivamente molto pericolosa ed in alcuni casi mortale. Ricapitolando: la maggioranza delle flebiti non sono gravi, ma – in alcuni casi – possono portare a complicanze fatali.
Classificazione
In base ai fattori che hanno scatenato il processo infiammatorio è possibile distinguere:
- flebite meccanica: è l’infiammazione di una vena causata dall’attrito contro l’endotelio da parte di un accesso vascolare;
- flebite chimica: è l’infiammazione di una vena causata da farmaci o soluzioni che possono avere un effetto irritante sulle pareti venose interne;
- flebite batterica: è l’infiammazione di una vena causata dall’azione di tossine batteriche veicolate ad esempio da strumenti per iniezioni o flebo; l’infiammazione della vena è quindi determinata da una infezione.
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Cause e fattori di rischio
La flebite chimica è una delle complicanze più comuni nei pazienti ai quali viene somministrata una terapia endovenosa per via periferica nel medio-lungo periodo. Studi scientifici dimostrano un rapporto di proporzionalità diretta fra assunzione di farmaci endovena con elevata osmolarità e insorgenza di flebiti; queste ultime si manifestano con maggiore frequenza in seguito alla sospensione dei trattamenti endovenosi continui e alla rimozione delle cannule. Fra i soggetti più a rischio è possibile annoverare tutti quelli che presentano una ridotta capacità di emodiluizione e quelli che necessitano di somministrazioni endovenose frequenti nel corso di una giornata. Le cause della flebite meccanica sono imputabili al danno endoteliale causato dallo sfregamento degli aghi e delle cannule sulle pareti venose interne. Questo danno può essere la conseguenza di una scelta sbagliata del calibro dei presidi in relazione al diametro dei vasi da parte dei professionisti sanitari. Associata ai presidi per la perforazione delle vene e alla condotta professionale di infermieri e medici è senza dubbio la flebite batterica: chiamata anche infettiva o settica, è la conseguenza dell’immissione di tossine batteriche capaci di determinare l’infiammazione vasale nel corso di procedure che prevedono una tecnica asettica (ad esempio prelievo ematico). Fra le altre possibili cause responsabili della comparsa di flebiti e tromboflebiti ritroviamo:
Sintomi e segni
Le manifestazioni della flebite sono quelle classiche degli episodi infiammatori. Il paziente presenta dolore acuto mentre la cute appare tesa, lucida, arrossata e calda. Possono essere associati iperpiressia crampi e prurito. In caso di flebiti superficiali le vene possono assumere le sembianze di un cordoncino duro e gonfio, pienamente apprezzabile al tatto. Nei casi più gravi la flebite può presentarsi anche attraverso la presenza di ulcere.
Diagnosi
La diagnosi viene sospettata all’anamnesi e trova conferma all’esame obiettivo e soprattutto con l’ecografia con colordoppler. Gli esami di laboratorio (esami del sangue) consentono di individuare eventuali patologie della coagulazione. I dati più importanti in tal senso derivano da: ematocrito, trombociti, tempo di Protrombina, INR, fibrinogeno, d-dimero. Se la sintomatologia è indicativa di un’embolia polmonare, è necessario indagare con ulteriori esami di imaging, ad esempio scintigrafia; RX torace, spirometria, risonanza magnetica e/o angio-TC polmonare.
Terapia
Il trattamento della flebite prevede una serie di interventi diversificati a seconda della causa scatenante, dei sintomi, della posizione e del grado di estensione. In caso di flebiti associate a stravaso di farmaci la letteratura medico-infermieristica consiglia in alcuni casi l’applicazione di impacchi caldo-umidi per favorire il riassorbimento e la vasodilatazione, mentre prevede il trattamento con impacchi freddi per alleviare il dolore. A questi vengono spesso associati farmaci antinfiammatori per il trattamento del processo infiammatorio, prevalentemente ad uso topico allo scopo di scongiurare tutte le tipologie di complicazioni generate da quelli ad azione sistemica. Nelle flebiti degli arti inferiori è utile sia l’utilizzo di bendaggi elastocompressivi a compressione graduale che delle classiche calze elastiche nella fase di mantenimento. Lo scopo è quello di ridurre l’edema, l’infiammazione e favorire la circolazione sanguigna nell’arto. Viene particolarmente utilizzata a fini preventivi in caso di tromboflebite. Altri trattamenti includono:
- terapia anticoagulante;
- terapia chirurgica;
- cure termali.
In caso di flebite chimica in corso di somministrazione di terapia endovenosa è necessario sospendere l’infusione, rimuovere la cannula e avvisare il medico. È fondamentale cambiare la posizione del nuovo accesso venoso e sorvegliare costantemente la sede ove si è sviluppata la flebite.
Dieta
In caso di flebite non è necessaria una dieta particolare: si può seguire una dieta di mantenimento “normocalorica” (al contrario “ipoclalorica” se si è sovrappeso, seguendo le indicazioni del medico). E’ importante ricordarsi di ingerire la giusta quantità di acqua, evitare i cibi ricchi di grassi (merendine, dolci, condimenti, cibo “spazzatura”, fritti, maionese, cibo da fast food) ed assumere cibi “sani” come carni bianche, pasta e pane integrali, fibre, frutta e verdura di stagione.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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