La batterioterapia fecale, detta anche trapianto fecale o trapianto di feci o trasfusione fecale o infusione di probiotici umani (HPI) o trapianto di microbioma fecale, è un trattamento medico non farmacologico, in fase sperimentale, utilizzato con una certa efficacia in soggetti affetti da colite pseudomembranosa sostenuta dal batterio Clostridium difficile (recentemente rinominato “Clostridioides difficile“); o anche in caso di colite ulcerosa refrattaria alle comuni terapie. Scopo di questa innovativa terapia è quello di ripristinare l’ecologia microbica e l’omeostasi del colon, reintroducendo un microbiota umano sano (equilibrato), prelevato da feci di un donatore sano o in certi casi da feci “donate” precedentemente dallo stesso soggetto (omotrasfusione o ripristino autologo della flora gastrointestinale – ARGF).
I razionali teorici di questa tecnica terapeutica vanno ricercati nelle ricerche più avanzate che riguardo l’uso dei probiotici e gli studi sul microbioma, che è l’insieme di microrganismi: batteri, archeobatteri, funghi, virus, presenti in un ambiente specifico (in questo caso l’ambiente fecale). E’ noto come una buona ecologia microbica possa respingere il sovra-sviluppo di organismi patogeni. Nel colon si stimano vi siano 500 a circa 1000 specie diverse di batteri per un totale di 1013 batteri. Infatti, il microbioma che va considerato come entità biologica a sé stante, che è simbionte con l’organismo ospite. Il complesso dei batteri o microbioma agisce nel mantenere l’omeostasidell’organismo ospite; questa flora microbica è relativamente innocua se reintrodotta nell’organismo. Non si sa molto del ruolo del microbioma, però molte specie animali erbivore e non, è noto hanno abitudini coprofaghe, probabilmente ciò per avere un doppio ciclo digestivo (digestione doppia).
Il vantaggio principale della batterioterapia fecale è quello di ridurre il rischio di indurre resistenza agli antibiotici in batteri ad alta patogenicità. Altri vantaggi sono un costo relativamente basso, la mancanza di necessità di farmaci e una buona efficacia (da confermare – però – con studi più ampi) per il trattamento di casi in cui esiste una resistenza agli antibiotici. Il metodo è tuttavia ancora considerato un trattamento di “ultima spiaggia” per la sua maggiore invasività rispetto al trattamento convenzionale con antibiotici, e per i potenziali rischi di trasmissione di infezioni (batteri, virus, prioni, parassiti intestinali). Anche se l’esperienza con batterioterapia fecale è ancora limitata, i risultati pubblicati sulla procedura mostrano che oltre 80 pazienti hanno dimostrato un tasso medio di successo superiore al 90%. La batterioterapia fecale è una procedura a basso contenuto tecnologico, facile da eseguire, che può rompere i cicli di uso ripetuto di antibiotici, cosa che a sua volta riduce il rischio dei recentemente sempre più diffusi fenomeni di antibiotico-resistenza. Inoltre, ha anche un potenziale risparmio di costi, rispetto alle ripetute somministrazione di antibiotici con le necessarie ospedalizzazioni.
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Colite pseudomembranosa
L’importanza come patogeno del Clostridium difficile (CDI) è stata stabilita con certezza a partire dal 1978, ma l’importanza di questa tecnica nel trattamento della colite pseudomembranosa nasce anche dal fatto che la sua epidemiologia è recentemente cambiata, ponendo seri problemi diagnostici e terapeutici per i clinici. I tassi di infezione (CDI) sono raddoppiati da 31/100.000 persone del 1996 a 61/100.000 nel 2003. Nel corso degli ultimi anni, infatti, la gravità e la mortalità dell’infezione da C. difficile CDI, è in aumento e ciò è stato attribuito a un nuovo ceppo virulento di C. difficile conosciuto come il ceppo North American Pulsed-field gel electrophoresis type 1 (NAP-1) o anche PFGE tipo BI/NAP1 ribotipo 027. L’unicità del ceppo NAP-1 consiste nella sua maggiore produzione di tossine A e B e nella produzione di una tossina binaria e nella sua resistenza al fluorochinolone. Ceppi NAP1 ipervirulenti di C. difficile sono responsabili della maggioranza delle recenti epidemie nosocomiali, inoltre, l’uso diffuso di antibiotici di tipo fluorochinolone può avere facilitato la proliferazione selettiva di questo ceppo. Il ceppo NAP1 è anche in grado di provocare, con più alta probabilità, la colite grave e fulminante caratterizzata da leucocitosimarcata, insufficienza renale acuta, instabilità emodinamica, e megacolon tossico. Il C. difficile è diventato la più comune causa batterica di diarrea nosocomiale. L’infezione da Clostridium difficileprovoca la CDAD (Clostridium difficile Associated Disease) o più raramente la colite pseudomembranosa, che è una grave condizione medica causa di una significativa morbidità e mortalità, specialmente nei pazienti sottoposti a trattamento con antibiotici o pazienti con cancro sottoposti a trapianto di cellule staminali, o anche in pazienti sottoposti a radioterapia. L’aumento della frequenza delle infezioni da parte di ceppi di C. difficile ipervirulenti ha portato a complicazioni e fallimenti terapeutici con il trattamento tradizionale a base di metronidazolo e vancomicina. Pur con un’esperienza clinica limitata, preliminarmente, la batterioterapia fecale ha mostrato di garantire elevati tassi di guarigione clinica, tuttavia, mancano ad oggi per questo approccio terapeutico studi clinici randomizzati.
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Colite ulcerosa
Nella colite ulcerosa, nessun agente patogeno è stato trovato fino ad oggi. Ma l’efficacia della batterioterapia fecale, in questo caso, suggerirebbe che la causa della colite ulcerosa può essere dovuta ad una precedente infezione di un agente patogeno rimasto sconosciuto. Infatti l’infezione iniziale può probabilmente essersi risolta naturalmente in questi pazienti; ma talvolta, uno squilibrio della flora intestinale del colon potrebbe portare ad una riacutizzazione infiammatoria (il che spiegherebbe la natura ciclica e ricorrente di questa malattia). Questo ciclo sembra, almeno in molti casi, essere interrotto dalla ri-colonizzazione del colon del paziente con di un complesso batterico (probiotico) prelevato da un intestino sano (eterotrapianto). Alcuni medici ritengono che questo trattamento effettuato in soggetti in buone condizioni, è sicuro e molti pazienti potrebbero trarre beneficio da questa innovativa terapia. Uno studio del maggio 2011, ha confermato la buona disponibilità dei pazienti e di genitori di bambini affetti da colite ulcerosa ad accettare questo trattamento, una volta superato l’iniziale disgusto per la metodica Nel 2013 un’altra ricerca conferma la validità della terapia con uno studio prospettico pilota su dieci soggetti di 7-21 anni. Questo studio dimostra la tollerabilità e l’efficacia della terapia di trapianto fecale nella Colite ulcerosa; infatti, in sette soggetti c’è stata una remissione clinica entro una settimana e sei su nove hanno mantenuto la remissione clinica ad un mese. Per approfondire, leggi: Colite ulcerosa: cause, diagnosi, cura, dieta, cosa mangiare, rimedi
Altre patologie studiate
Attualmente la tecnica è studiata in soggetti affetti da malattia di Parkinson, diabete, obesità, sindrome del colon irritabile, malattie infiammatorie croniche intestinali, sclerosi multipla, porpora trombocitopenica idiopatica, malattia di Crohn, insulinoresistenza e sindrome da fatica cronica.
Procedura classica
Normalmente si usano le feci di un parente, stretto e in buona salute, del paziente dopo aver indagato ed escluso la presenza di batteri o virus o parassiti contagiosi tipo: Salmonella, virus dell’epatite ecc. Dopo la raccolta, il campione di feci viene lavorato e preparato in un laboratorio clinico sotto forma di una sospensione liquida, che viene successivamente instillata nella tratto gastrointestinale superiore attraverso un sondino nasogastricoche risale fino a livello del cieco. La procedura comporta a volte 5-10 giorni di trattamento con clisteri, fatti con il microbiota umano dalle feci di un donatore sano, la maggior parte dei pazienti guarisce dopo un solo trattamento. La scelta migliore per il donatore è un parente stretto che è stato testato per una vasta gamma di agenti batterici e parassitari. I clisteri sono preparati e somministrati in ambiente ospedaliero per garantire tutte le attenzioni necessarie. L’infusione del probiotico può anche essere fatta attraverso un sondino nasogastrico, fornendo i batteri direttamente all’intestino tenue. I due metodi possono essere combinati per ottenere il miglior risultato. Regolari controlli vanno fatti fino ad un anno dopo la procedura.
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ARGF (ripristino autologo della flora gastrointestinale)
Una forma modificata di batterioterapia fecale, attualmente in fase di sviluppo, è il ripristino autologo della flora gastrointestinale – (ARGF). Questa metodica è più sicura, più efficace e più facile da somministrare. Un campione fecale autologo (proprio), è fornito dal paziente prima del trattamento medico e conservato in frigorifero. Se il paziente sviluppa successivamente la patologia da C. difficile il campione viene estratto con soluzione salina e filtrata. Il filtrato è liofilizzato e il solido risultante viene racchiuso in capsule gastroresistenti. La somministrazione delle capsule ripristina la flora del colon propria del paziente, cosa utile per combattere l’infezione da C. difficile eventualmente subentrata. Questa procedura permette di evitare i rischi della classica batterioterapia fecale, dove una eventuale infezione potrebbe essere trasmessa al paziente dal donatore e, inoltre, si eviterebbe la necessità di somministrare il campione di feci nel duodeno attraverso una sonda gastrica.
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Efficacia
L’efficacia della metodica nel prevenire le recidive della colite pseudomembranosa è stimata attorno a 90% Uno studio del dicembre del 2011 conferma questi dati mostrando un’efficacia della metodica del 92%, nel prevenire la diarrea o un’ulteriore recidiva in un gruppo di 26 pazienti con infezioni ricorrenti da C. difficile. Uno studio finlandese del 2011, sottolinea come il trattamento con gli antibiotici delle infezioni ricorrenti da Clostridium difficile (CDI) porta a recidive nel 50% nei pazienti. L’utilizzo del trapianto fecale durante una procedura di esame colonscopico previa una preparazione intestinale con il polietilenglicole (lavaggio), ha consentito, con un follow-up ad un anno, un risoluzione dell’89% dei casi di colite pseudomembranosa recidivante, sottolineando che i casi trattati erano causati da un ceppo di C. difficile (tipo 027) particolarmente virulento. Sempre nel dicembre del 2011, su 317 pazienti, una review ha mostrato un’efficacia della metodica del 92% mostrando, anche, scarsi effetti collaterali. Nel 2015 viene pubblicato uno studio di confronto con la vancomicina che mostra la superiorità della batterio terapia fecale rispetto questo antibiotico.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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