Trapianto di microbiota fecale (trapianto di feci): a cosa serve e come si esegue?

MEDICINA ONLINE INTESTINO COLON TENUE DUODENO DIGERENTE ANATOMIA RETTORRAGIA BRUCIORE DOLORE DIGESTIONE FECI STIPSI COSTIPAZIONE PANCIA GONFIA STITICHEZZA FIBRE METEORISMO FLATULENZA GASCon “trapianto di microbiota fecale” (noto anche come “trapianto di feci“) in medicina si indica il processo col quale vengono trasferiti batteri fecali e altri microbi da un individuo sano ad un altro individuo. La trapianto di microbiota fecale è un trattamento efficace per l’infezione causata dal batterio Clostridioides difficile (CDI). Tale batterio fino ad alcuni anni fa era conosciuto come Clostridium difficile. Per le infezioni ricorrenti causate da questo batterio, il trapianto di microbiota fecale è più efficace della terapia con l’antibiotico vancomicina.

Gli effetti collaterali possono includere il rischio di infezioni, pertanto il donatore deve essere sottoposto a screening. Il trapianto di microbiota fecale prevede il ripristino della microflora del colon introducendo una flora batterica sana attraverso l’infusione di feci tramite colonscopia, clistere, tubo orogastrico o per via orale sotto forma di una capsula contenente le feci di un donatore sano, che in alcuni casi viene liofilizzata.

Con la diffusione della CDI, il trapianto di microbiota fecale sta acquisendo sempre maggiore importanza, con alcuni esperti che chiedono che diventi la terapia di prima linea per la CDI. Il trapianto di microbiota fecale è stata utilizzata sperimentalmente per il trattamento di altre malattie gastrointestinali, tra cui colite, costipazione, sindrome dell’intestino irritabile e condizioni neurologiche, come la sclerosi multipla e il Parkinson. Negli Stati Uniti, le feci umane sono state regolamentate come farmaco sperimentale dal 2013. Nel Regno Unito, la regolamentazione per il trapianto di microbiota fecale è di competenza dell’Agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari.

Ad oggi, l’Unità Operativa di Gastroenterologia del Policlinico Gemelli di Roma, diretta dal prof. Antonio Gasbarrini, è l’unica in Italia ad annoverare il trapianto di microbiota fecale tra le opzioni terapeutiche disponibili per i pazienti con infezione recidivante da Clostridioides difficile. Nel momento in cui il lettore stà leggendo questo articolo, tuttavia, la terapia potrebbe essere disponibile presso altre strutture: in caso di dubbio chiedere al proprio medico di Medicina Generale (il “medico di famiglia”).

Cos’è il microbiota fecale?

Il “microbiota umano” è l’insieme di microorganismi simbiontici (virus, batteri e funghi) che convivono con l’organismo umano senza danneggiarlo, ma anzi favorendolo, in un rapporto di mutuo vantaggio. Il microbiota intestinale umano è la parte di microbiota umano presente nell’intestino, importante per la nostra salute. Il “microbiota intestinale umano” è anche detto “microbiota umano intestinale” o “microbiota fecale” ed è composto per la maggior parte da batteri. Una volta veniva definito “flora batterica intestinale” ma, essendo composto non da soli batteri e non appartenendo i batteri al regno vegetale, la denominazione è stata cambiata.

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Cenni storici

Il primo uso delle feci dei donatori come agente terapeutico per intossicazione alimentare e diarrea è stato registrato nel Manuale di medicina d’urgenza dal cinese Ge Hong, nel IV secolo a.C. Duecento anni dopo, il medico della dinastia Ming Li Shizhen usò la “zuppa gialla” (anche chiamata “sciroppo d’oro“) che conteneva acqua e feci fresche, secche o fermentate. La zuppa gialla veniva bevuta dalla persona che manifestava sintomi di malanni addominali.

Il consumo di “feci di cammello fresche e calde” è stato raccomandato anche dai beduini come rimedio per la dissenteria batterica; la sua efficacia probabilmente attribuibile alla subtilisina antimicrobica prodotta dal Bacillus subtilis fu confermata aneddoticamente dai soldati tedeschi dell’Afrika Korps durante la seconda guerra mondiale. Tuttavia, questa storia è probabilmente un mito, la ricerca indipendente non è stata in grado di verificare nessuna di queste affermazioni.

Il primo utilizzo del trapianto di microbiota fecale nella medicina occidentale è stato pubblicato nel 1958 da Ben Eiseman e colleghi, un team di chirurghi del Colorado, che ha curato quattro persone in condizioni critiche con colite pseudomembranosa fulminante (prima che Clostridioides difficile fosse la causa nota) utilizzando clisteri fecali, che ha portato a un rapido ritorno alla salute. Per oltre due decenni, il trapianto di microbiota fecale è stata fornita come opzione di trattamento presso il Center for Digestive Diseases in Five Dock, da Thomas Borody, il moderno sostenitore del trapianto di microbiota fecale. Nel maggio 1988 il loro gruppo ha trattato il primo paziente con colite ulcerosa utilizzando il trapianto di feci, che ha portato alla completa risoluzione di tutti i segni e sintomi a lungo termine. Nel 1989 hanno trattato un totale di 55 pazienti con costipazione, diarrea, dolore addominale, colite ulcerosa e malattia di Crohn con trapianto di microbiota fecale. Dopo il trapianto, 20 pazienti sono stati considerati “guariti” e altri 9 pazienti hanno avuto una riduzione dei sintomi. I trapianti di feci sono considerati efficaci per circa il 90% in quelli con casi gravi di colonizzazione da Clostridioides difficile, nei quali gli antibiotici non hanno funzionato.

Il primo studio randomizzato controllato sull’infezione da Clostridioides difficile è stato pubblicato nel gennaio 2013. Lo studio è stato interrotto anticipatamente a causa dell’efficacia del trapianto di microbiota fecale, con l’81% dei pazienti che ha ottenuto la guarigione dopo una singola infusione e oltre il 90% che ha ottenuto una guarigione dopo una seconda infusione. Da allora varie istituzioni hanno offerto il trapianto di microbiota fecale come opzione terapeutica per una varietà di condizioni.

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Terminologia

Il trapianto di microbiota fecale viene anche chiamato “batterioterapia fecale” o “trapianto di microbiota intestinale” o “trapianto fecale” o “trapianto di feci” o “infusione di probiotici umani” o “trapianto di microbioma fecale” o “trasfusione fecale” o “trasfusione di feci” o “clistere fecale” o “innesto di feci” o “innesto fecale”. Poiché la procedura prevede il ripristino completo dell’intero microbiota fecale, non solo di un singolo agente o di una combinazione di agenti, questi termini sono stati ora sostituiti dalla nuova e più corretta denominazione “trapianto di microbiota fecale“.

In inglese

In lingua inglese la procedura viene chiamata “fecal microbiota transplant” (da cui l’acronimo “FMT”) o “stool transplant”. Termini inglesi desueti, ma a volte usati ancora oggi, sono: “fecal bacteriotherapy”, “fecal transfusion”, “fecal transplant”, “stool transplant”, “fecal enema” e “human probiotic infusion” (da cui l’acronimo “HPI”).

Usi medici

Infezioni da Clostridioides difficile

Il trapianto di microbiota fecale è efficace per circa l’85-90% nelle persone con CDI per le quali gli antibiotici non hanno funzionato o in cui la malattia si ripresenta dopo l’assunzione di antibiotici. La maggior parte delle persone con CDI guarisce con un trattamento di trapianto di microbiota fecale.

Uno studio del 2009 ha rilevato che il trapianto di microbiota fecale era una procedura efficace e semplice, più conveniente rispetto alla somministrazione continua di antibiotici e riduceva l’incidenza della resistenza agli antibiotici.

Fino a poche decine di anni questa procedura era considerata una “terapia di ultima istanza” da alcuni professionisti medici, a causa della sua natura insolita, dei tabù legati alle feci, della maggiore invasività rispetto agli antibiotici, del potenziale rischio percepito di trasmissione di infezioni e della mancanza di copertura di feci dai donatori. Attualmente, al contrario, numerose dichiarazioni di posizione di specialisti in malattie infettive e gastroenterologi stanno muovendo il sentire comune verso l’accettazione del trapianto di feci come terapia standard per le recidive di CDI. Per alcuni medici è necessario elevare il trapianto di microbiota fecale come trattamento di prima linea per le persone con deterioramento e grave infezione recidivante da Clostridioides difficile.

Colite ulcerosa

Nella rettocolite ulcerosa, nessun agente patogeno è stato trovato finora. Ma l’efficacia della batterioterapia fecale, in questo caso, suggerirebbe che la causa della colite ulcerosa può essere dovuta a una precedente infezione di un agente patogeno rimasto sconosciuto. Infatti l’infezione iniziale può probabilmente essersi risolta naturalmente in questi pazienti; ma talvolta, uno squilibrio della flora intestinale del colon potrebbe portare a una riacutizzazione infiammatoria (il che spiegherebbe la natura ciclica e ricorrente di questa malattia). Questo ciclo sembra, almeno in molti casi, essere interrotto dalla ri-colonizzazione del colon del paziente con di un complesso batterico (probiotico) prelevato da un intestino sano (eterotrapianto). Alcuni medici ritengono che questo trattamento effettuato in soggetti in buone condizioni, è sicuro e molti pazienti potrebbero trarre beneficio da questa innovativa terapia.

Uno studio del maggio 2011, ha confermato la buona disponibilità dei pazienti e di genitori di bambini affetti da colite ulcerosa ad accettare questo trattamento, una volta superato l’iniziale disgusto per la metodica.

«Sebbene il disgusto iniziale e il “fattore puah” sono stati citati in maniera uniforme, queste preoccupazioni sono state più che compensate da benefici percepiti.»
(Kahn et al., Università di Chicago)

Nel 2013 un’altra ricerca conferma la validità della terapia con uno studio prospettico pilota su dieci soggetti di 7-21 anni. Questo studio dimostra la tollerabilità e l’efficacia della terapia di trapianto fecale nella colite ulcerosa; infatti, in sette soggetti c’è stata una remissione clinica entro una settimana e sei su nove hanno mantenuto la remissione clinica a un mese.

Uno studio del maggio 2011, ha confermato la buona disponibilità dei pazienti e di genitori di bambini affetti da colite ulcerosa ad accettare questo trattamento, una volta superato l’iniziale disgusto per la metodica.

Nel maggio 1988, il professore australiano Thomas Borody ha curato il primo paziente con colite ulcerosa utilizzando il trapianto di microbiota fecale, che ha portato a una risoluzione dei sintomi di lunga data. In seguito, Justin D. Bennet ha pubblicato il primo case report che documenta l’inversione della colite di Bennet utilizzando il trapianto di microbiota fecale. Sebbene il Clostridioides difficile sia facilmente eradicabile con una singola infusione di trapianto di feci, questo generalmente non sembra essere il caso della colite ulcerosa. L’esperienza pubblicata sul trattamento della colite ulcerosa con trapianto di microbiota mostra in gran parte che sono necessarie infusioni multiple e ricorrenti per ottenere una remissione o una cura prolungate.

Colite pseudomembranosa

L’importanza come patogeno del Clostridioides difficile è stata stabilita con certezza a partire dal 1978, ma l’importanza di questa tecnica nel trattamento della colite pseudomembranosa nasce anche dal fatto che la sua epidemiologia è recentemente cambiata, ponendo seri problemi diagnostici e terapeutici per i clinici. I tassi di infezione sono raddoppiati da 31/100.000 persone del 1996 a 61/100.000 nel 2003. Nel corso degli ultimi anni, infatti, la gravità e la mortalità dell’infezione da Clostridioides difficile è in aumento e ciò è stato attribuito a un nuovo ceppo virulento di Clostridioides difficile conosciuto come il ceppo North American Pulsed-field gel electrophoresis type 1 (NAP-1) o anche PFGE tipo BI/NAP1 ribotipo 027. L’unicità del ceppo NAP-1 consiste nella sua maggiore produzione di tossine A e B e nella produzione di una tossina binaria e nella sua resistenza al fluorochinolone.

Ceppi NAP1 ipervirulenti di Clostridioides difficile sono responsabili della maggioranza delle recenti epidemie nosocomiali, inoltre, l’uso diffuso di antibiotici di tipo fluorochinolone può avere facilitato la proliferazione selettiva di questo ceppo. Il ceppo NAP1 è anche in grado di provocare, con più alta probabilità, la colite grave e fulminante caratterizzata da leucocitosi marcata, insufficienza renale acuta, instabilità emodinamica, e megacolon tossico.

Il Clostridioides difficile è diventato la più comune causa batterica di diarrea nosocomiale. L’infezione da Clostridioides difficile provoca la CDAD (Clostridioides difficile Associated Disease) o più raramente la colite pseudomembranosa, che è una grave condizione medica causa di una significativa morbidità e mortalità, specialmente nei pazienti sottoposti a trattamento con antibiotici o pazienti con cancro sottoposti a trapianto di cellule staminali, o anche in pazienti sottoposti a radioterapia.

L’aumento della frequenza delle infezioni da parte di ceppi di Clostridioides difficile ipervirulenti ha portato a complicazioni e fallimenti terapeutici con il trattamento tradizionale a base di metronidazolo e vancomicina.

Pur con un’esperienza clinica limitata, preliminarmente, la batterioterapia fecale ha mostrato di garantire elevati tassi di guarigione clinica, tuttavia, mancano oggi per questo approccio terapeutico studi clinici randomizzati

Trapianto di microbiota fecale contro obesità e diabete

L’ultima frontiera del trapianto di microbiota fecale è il contrasto dell’obesità e del diabete. Questa terapia potrebbe essere infatti proposta per dimagrire e per contrastare il diabete mellito di tipo 2, come suggerito da uno studio dell’Università di Copenaghen. I risultati sono promettenti, per ora, sui topi da laboratorio. Nella ricerca gli scienziati hanno testato sui topi un nuovo tipo di trapianto fecale che consiste nel trasferimento solo di virus batteriofagi presenti nei campioni di feci degli animali, escludendo i batteri. I ricercatori hanno estratto feci da topi alimentati con una dieta a basso contenuto di grassi e le hanno filtrate in modo da eliminare tutti i batteri vivi, mantenendo invece i virus batteriofagi. Il materiale ottenuto è stato trapiantato nell’intestino dei topi in sovrappeso che per altre sei settimane hanno continuato ad alimentarsi come prima. I risultati hanno dimostrato che la strategia è efficace: i riceventi hanno ridotto l’accumulo di grasso nonostante avessero mangiato gli stessi soliti alimenti ed hanno visto diminuire il loro rischio di sviluppare intolleranza al glucosio, una delle condizioni che favoriscono l’insorgenza del diabete. Il prof. Dennis Sandris Nielsen, uno degli autori dello studio, ha affermato: “Quando trasferiamo particelle di virus dalle feci di topi magri a topi obesi, i topi obesi acquistano un peso significativamente inferiore rispetto a quelli che non ricevono le feci trapiantate”. Un altro autore dello studio, il prof. Torben Sølbeck Rasmussen, ha affermato: “Nei topi obesi con una dieta ad alto contenuto di grassi che non hanno ricevuto il trapianto di virus, abbiamo osservato una ridotta tolleranza al glucosio, un fattore che è un precursore del diabete. Ma intervenendo sul microbioma intestinale abbiamo evitato che topi con stili di vita insalubri sviluppino alcune delle malattie comuni scatenate da una alimentazione scorretta”.

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Cancro

Sono in corso studi clinici per valutare se il trapianto di microbiota fecale da donatori di immunoterapia anti-PD-1 può promuovere una risposta terapeutica nei pazienti refrattari all’immunoterapia.

Disordine bipolare

Un caso aneddotico di una paziente con Disturbo Bipolare 1 resistente al trattamento che risolve i suoi sintomi con trapianto di microbiota fecale è stato pubblicato dallo psichiatra Russell Hinton nel 2020

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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