In lingua italiana, il termine “diagnosi” indica una procedura in grado di ricondurre un fenomeno o un gruppo di fenomeni ad una categoria specifica o ad un gruppo ristretto di categorie, dopo averne considerato ogni aspetto e seguendo un processo decisionale simile ad un diagramma di flusso. Generalmente il processo diagnostico non è fine a sé stesso ma è il passo necessario per individuare un problema e successivamente mettere in atto delle soluzioni specifiche che lo risolvano.
Etimologia
Diagnosi viene dal greco διάγνωσις, da δια + γιγνώσκω, cioè riconoscere attraverso.
Diagnosi in medicina e psicologia
In medicina la diagnosi è quella fase in cui il medico, valutando i dati che ha a disposizione (ottenuti con anamnesi ed esame obiettivo ed analizzati alla luce di successivi esami specifici), tramite un processo decisionale, generalmente improntato sull’esclusione di malattie meno probabili (diagnosi differenziale), individua la patologia e la causa che l’ha determinata, fatto necessario per impostare la più efficace cura possibile. Stesso significato acquista la parola diagnosi nel campo della psicologia.
L’importanza di una diagnosi corretta
Da quanto detto precedentemente, si intuisce quanto sia importante una diagnosi corretta: se la diagnosi è sbagliata, anche la terapia non sarà adeguata e ciò determinerà la mancata cura del malato e – se la patologia è grave – una sua eventuale progressione e peggioramento. Una diagnosi precisa e rapida impedisce inoltre al malato di sottoporsi ad esami diagnostici inutili, magari anche costosi, rischiosi e costosi per il SSN. Una corretta diagnosi permette anche, conoscendo la malattia, il suo abituale decorso, le complicanze cui può andare incontro e soprattutto le condizioni generali dell’organismo del paziente, formulare la prognosi, ovvero un giudizio di previsione su quello che sarà il probabile esito dell’evento patologico.
Esempio
Dal medico si reca un uomo di 50 anni in sovrappeso, poiché presenta alcuni sintomi che nell’ultimo periodo sono peggiorati: si sente stanco, ha facile affaticabilità, riferisce di avere spesso “fame d’aria” (dispnea). Stanchezza ed affaticabilità sono sintomi aspecifici (poco specifici), mentre già la dispnea – pur essendo presente in moltissime patologie – ci dice qualcosa di più sulla patologia dell’uomo. Se al posto della dispnea, il paziente avesse riferito “mal di testa” con una progressiva difficoltà a camminare bene (ad esempio “ultimamente inciampo spesso”), il medico si sarebbe diretto verso una indagine mirata a scoprire una patologia neurologica e/o muscolare. Grazie al riferimento alla dispnea, il medico si indirizza verso una probabile patologia cardiaca e/o polmonare. I sintomi riferiti dal paziente sono tuttavia provocati da moltissime patologie diverse quindi la diagnosi differenziale è necessaria perché deve discriminare tra tutte le patologie caratterizzate da stanchezza-affaticabilità-dispnea.
A questo punto diventa importantissima l’anamnesi: il paziente ha una storia di allergie? Oppure di ipertensione? Ha dei genitori che soffrono di patologie cardiache o respiratorie? Fuma? Ha mai avuto un infarto? La dispnea viene a riposo o sotto sforzo, di giorno o di notte? Compare insieme a palpitazioni o a dolori al petto? Sono solo alcuni esempi di domande che permettono al medico di scartare alcune patologie, focalizzarsi su alcuni aspetti e formulare una serie di ipotesi diagnostiche.
Alla anamnesi segue l’esame obiettivo che è già in parte “condizionato” dall’anamnesi: se il paziente è un forte fumatore, il medico si focalizzerà su patologie polmonari e ad esempio ausculterà con più attenzione i polmoni; se il paziente è iperteso si focalizzerà su patologie cardiache ed ausculterà con più attenzione il cuore, facendo attenzione alla presenza di eventuali fattori di rischio cardiovascolare (ad esempio, ricordate che il paziente è in sovrappeso? Potrebbe essere utile sapere i valori del suo colesterolo totale ed LDL, la sua glicemia e l’emoglobina glicosilata). Il medico non dovrà tuttavia tralasciare ogni possibile ipotesi, fatto che potrebbe portarlo su una strada totalmente sbagliata. Raggiungere la diagnosi è seguire un vero e proprio diagramma di flusso, tanto più pieno di ramificazioni quanto più la diagnosi differenziale è complessa.
Dopo l’esame obiettivo, specie se sintomi e segni sono abbastanza specifici, il medico tende ad aver già ristretto di molto il gruppo di possibili patologie. Per avere una diagnosi di certezza, ha però quasi sempre bisogno di ulteriori esami che confermino una delle ipotesi diagnostiche, come esami di laboratorio e/o di diagnostica per immagini. Tali indagini sono ovviamente condizionate dalle ipotesi di diagnosi: se si sospetta una patologia polmonare il medico prescriverà ad esempio una spirometria e/o una rx torace; se si sospetta una patologia immunologica, prescriverà una prova allergica; se si sospetta una patologia cardiaca prescriverà un elettrocardiogramma ed una ecografia cardiaca con colordoppler. In base alla diagnosi di certezza, il medico potrà infine impostare una terapia adeguata.
Quella che ho appena fatto è ovviamente una semplificazione (schematizzata in parte nell’immagine che segue), ma è grossomodo il processo decisionale che il medico affronta partendo dal sintomo “dispnea” per arrivare alla patologia che l’ha determinato e quindi alla giusta cura.
Cosa facilita o rende più complessa una diagnosi?
La diagnosi è facilitata quando:
- il paziente è collaborante e riferisce correttamente i propri sintomi, descrivendoli attentamente (e non inventandoli come talora accade!);
- il medico raccoglie con attenzione ogni dato possibile relativo alla diagnosi, tramite anamnesi completa ed esame obiettivo;
- i sintomi e/o i segni sono molto caratteristici e specifici di un gruppo molto ristretto di patologie;
- il medico ha esperienza ed usa alberi decisionali in modo efficace, talvolta affidandosi anche a software appositi che lo aiutano nelle diagnosi differenziali più complesse.
Per approfondire:
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