In passato l’amputazione comportava una profonda disabilità ma ora, grazie alla continua e notevole evoluzione delle tecniche operatorie ed allo sviluppo di protesi ortopediche sempre più tecnologiche ed efficienti, è possibile recuperare almeno in parte la mobilità persa con buoni risultati e riprendere le proprie attività quotidiane, per quanto limitate.
Rimane il fatto che chiaramente, il moncone rimarrà un’area di ridotta stabilità meccanica e la perdita di una porzione di arto, specie se tale porzione è molto ampia (ad esempio sopra il gomito o sopra il ginocchio) è una menomazione gravissima che può presentare limitazioni pratiche significative (in alcuni casi che rendono il paziente non autosufficiente) ed indurre uno stato di disagio molto intenso, isolamento e pensieri suicidari e questo stato non colpisce solo nel soggetto, ma spesso anche interessa anche chi gli è vicino (ad esempio moglie, marito, padre, madre).
Purtroppo spesso l’aspetto psicologico e la mancata voglia di continuare a vivere da disabili, complica l’aspetto riabilitativo. Una riabilitazione che potrebbe avere ottimi risultati se affrontata con stato d’animo “positivo”, potrebbe rivelarsi molto difficile ed inefficace qualora il paziente non manifesti una forte volontà a reagire e ciò purtroppo accade di frequente. Fattori che rendono più difficile la riabilitazione sono:
- paziente prima particolarmente attivo, ad esempio uno sportivo;
- paziente anziano;
- paziente demotivato;
- paziente solo, senza una famiglia che gli stia vicino;
- paziente in età puberale;
- paziente già disabile;
- paziente già sofferente di patologie psichiatriche (ad esempio depressione).
Spesso la condizione psicologica del paziente è peggiorata dalla percezione alterata del “sé” che scaturisce dal contrasto tra un’immagine corporea interiore integra, precedente all’amputazione, rafforzata dalla presenza dell’arto fantasma, ed un’immagine esteriore acquisita, che il soggetto non riconosce e non accetta.
L’amputazione causa una forte crisi d’identità che coinvolge l’immagine del sé, colpendo le certezze più elementari; è vissuta come un momento fallimentare della terapia medica chirurgica, comporta un allontanamento dal nucleo familiare attraverso il ricovero in strutture sanitarie per periodi lunghi, e può essere intesa come “l’inizio della fine”. E’ opportuno, invece, che l’individuo viva l’intervento di amputazione come uno sradicamento della fonte di dolore e di disabilità, e la conseguente protesizzazione come lo strumento per tornare alla normalità.
Da qui la necessità assoluta di un intervento riabilitativo multiprofessionale specifico che conosca profondamente le modalità psicofisiche che caratterizzano il paziente amputato, quale siano le possibilità reali di recupero e attraverso quali snodi operativi siano realizzabili.
Per approfondire:
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- Sindrome dell’arto fantasma
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