Con l’espressione “disforia di genere” o “incongruenza di genere” in medicina e psicologia si intende una condizione – fino a pochi anni fa considerata patologia – caratterizzata dal malessere percepito da un individuo che non si riconosce nel sesso che gli è stato assegnato alla nascita. Nel soggetto con disforia di genere, il soggetto avverte quindi che esiste una discrepanza tra il genere a cui egli sente di appartenere e quello che gli è stato assegnato. Ad esempio un individuo può essere stato assegnato al genere maschile alla nascita e ciononostante può sentire di avere una identità femminile, oppure un individuo assegnato al genere femminile può sentire di essere in realtà uomo o non binario. La non corrispondenza tra il genere che “appare sui propri documenti” e quello a cui si sente di appartenere, può generare un profondo disagio che, se associato a compromissione del funzionamento in aree di vita significative come ad esempio i rapporti sociali, le relazioni ed il lavoro, sfocia nella disforia di genere.
Trattamento
Il trattamento della disforia di genere include numerose tipologie di cure, tra cui terapie psicoterapiche, farmacologiche e – in determinati casi – anche chirurgiche. La scelta del trattamento dipende da numerosi fattori, tra cui l’eventuale presenza di altre condizioni o malattie (soprattutto se di interesse psichiatrico, come ad esempio depressione maggiore) e la fase di sviluppo dell’identità sessuale. Secondo Bocking e Coleman (1993) il miglior modello di trattamento dei pazienti con disforia di genere, comprende cinque step:
- assessment;
- gestione di eventuali altre condizioni o patologie;
- facilitazione della formazione dell’identità;
- gestione dell’identità sessuale;
- valutazione dopo la cura.
Le varie opzioni terapeutiche comprendono:
- psicoterapia individuale e/o di coppia e/o familiare e/o di gruppo: ha l’obiettivo di esplorare le varie identità di genere, modificare l’impatto negativo della disforia di genere e dello stigma sociale sulla salute mentale, alleviare la transfobia interiorizzata e promuovere la capacità di recupero;
- farmaci per la gestione di condizioni e/o patologie (ad esempio farmaci antidepressivi in caso di depressione);
- terapia ormonale sostitutiva: modifica farmacologicamente i caratteri sessuali;
- riconversione chirurgica di sesso: sono un gruppo di trattamenti chirurgici che hanno lo scopo di modificare le caratteristiche sessuali primarie/secondarie.
Psicoterapia
In alcuni casi è la persona stessa a richiedere volontariamente una assistenza psicoterapeutica, mentre in altri può essere raccomandato un iter psicoterapeutico in previsione di una terapia ormonale o di quella chirurgica. Sebbene l’attuale normativa italiana non preveda la consulenza psicologica quale passaggio necessario per ottenere la rettificazione anagrafica del sesso, è prassi consolidata il ricorso a essa. Possono essere usati diversi tipi di psicoterapia, dal momento che – secondo le conoscenze attuali – per il trattamento della disforia di genere non esiste un modello psicoterapeutico migliore rispetto ad un altro.
In alcuni casi il paziente – ad esempio un adolescente – viene inviato dallo psicoterapeuta per “curare” la disforia di genere e “far tornare normale il ragazzo“, come richiesto dai suoi genitori. Niente di più sbagliato! La psicoterapia non deve essere usata per “curare” la disforia di genere e “far tornare normale il paziente”: deve invece accompagnare la persona nell’esplorazione della propria identità, in modo da garantire ad essa uno stile di vita stabile a lungo termine con probabilità realistiche di successo nelle relazioni interpersonali, nel lavoro e nell’espressione stessa dell’identità di genere, soprattutto se il paziente è molto giovane. In alcuni casi il paziente stesso può chiedere di coinvolgere la famiglia nella terapia per risolvere eventuali conflitti sorti in infanzia, mentre in altri è lo psicoterapeuta stesso a richiedere dei colloqui con i famigliari del paziente, in modo da far comprendere loro la situazione, soprattutto se essi reputano “anormale” il proprio parente. Lo psicoterapeuta deve mettere il paziente nella posizione di sentirsi compreso e non giudicato e deve possibilmente mettere i famigliari nella condizione di non giudicarlo.
La psicoterapia deve dare rilevanza all’esplorazione della storia di genere e dello sviluppo dell’identità sessuale del paziente per dargli la possibilità di ristrutturare cognitivamente eventi significativi, validare le sue emozioni e rafforzare il senso di sé come individuo assolutamente normale e con pregi e difetti come chiunque altro.
E’ importante indagare l’eventuale presenza di “transfobia interiorizzata” o “auto-transfobia“, cioè un insieme di sentimenti negativi che il paziente può provare nei confronti della propria condizione, che includono: scarsa accettazione di sé stessi, bassa autostima, senso di inferiorità, vergogna per il proprio stato, il sentirsi “anormali”, provare senso di colpa nei confronti dei propri genitori e l’identificazione con gli stereotipi denigratori. La psicoterapia deve promuovere l’accettazione di sé e la comprensione di non essere “anormali”. Superati questi aspetti, la psicoterapia si può concentrarsi sul supporto dell’individuo nell’attuare il suo progetto di transizione con le modalità che ricerca.
Terapia ormonale sostitutiva (TOS)
Una volta accertata la disforia di genere e si ritenga che la persona transgenere sia pronta ad affrontare il percorso di transizione, può essere usata la terapia ormonale sostitutiva (TOS), in accordo con un medico endocrinologo. L’obiettivo della terapia ormonale sostitutiva è quello di modificare i caratteri sessuali, femminilizzando l’aspetto nelle persone MtF (da maschio a femmina) e mascolinizzandolo (virilizzandolo) nelle persone FtM (da femmina a maschio), inibendo manifestazioni fisiche proprie del sesso biologico.
La terapia ormonale sostitutiva è gratuita per persone transgenere su tutto il territorio nazionale, previa diagnosi di disforia di genere formulata da una equipe multidisciplinare e specialistica dedicata. Grazie alla TOS, la persona si sente più fiduciosa ad adottare il ruolo di genere a cui sente di appartenere, ad esempio indossando abiti femminili se MtF o maschili se FtM. In questo periodo, continua il supporto psicoterapico, nella fase chiamata “Test di vita reale” (“RLT”, acronimo di Real Life Test).
Terapia mascolinizzante
Lo scopo della terapia mascolinizzante è quello di aumentare le caratteristiche sessuali proprie del sesso maschile (virilizzazione). La terapia mascolinizzante si basa sulla somministrazione di farmaci contenenti l’ormone sessuale testosterone per via intramuscolare (attraverso punture) o per via transdermica (attraverso la pelle, tramite gel).
Le modificazioni dei caratteri fisici si realizzano dopo circa 2-6 mesi e includono:
- ipertrofia del clitoride (il clidoride si ingrandisce);
- aumento della libido;
- aumento della massa muscolare;
- arresto del ciclo mestruale;
- abbassamento del tono di voce;
- crescita dei peli del viso e del corpo;
- riduzione del tessuto mammario;
- aumentata produzione di grasso da parte di ghiandole presenti nella pelle e acne
- alopecia androgenetica (caduta dei capelli).
Terapia de-mascolinizzante
Lo scopo della terapia de-mascolinizzante è quello di ridurre le caratteristiche sessuali proprie del sesso maschile. La terapia si basa sulla somministrazione di farmaci antiandrogeni (che bloccano gli effetti dell’ormone testosterone), tra i quali, il ciproterone acetato e lo spironolattone. Anche la somministrazione di farmaci analoghi dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRHa) sopprime la produzione degli ormoni sessuali. Le modificazioni dei caratteri fisici includono:
- riduzione della crescita dei peli e della barba;
- diminuzione della libido;
- perdita di erezioni spontanee e difficoltà di erezione durante i rapporti).
La terapia in post pubertà non è in grado di modificare il timbro di voce e renderla più maschile.
Terapia femminilizzante
Lo scopo della terapia femminilizzante è quello di indurre le caratteristiche sessuali proprie del sesso femminile (femminilizzazione). La terapia si basa sulla somministrazione di farmaci contenenti ormoni estrogeni in compresse (estradiolo valerato) o sotto forma di cerotti o gel (estradiolo o estradiolo emiidrato) e di antiandrogeni. Le modificazioni dei caratteri fisici includono:
- ridistribuzione del grasso in senso femminile (più sui fianchi e sui glutei e meno sull’addome);
- aumento della dimenzione del seno;
- miglioramento delle pelle, che appare più liscia e meno grassa.
La terapia in post pubertà non è in grado di modificare il timbro di voce e renderla più femminile.
Chirurgia
La riconversione chirurgica di sesso (RCS), in inglese sex reassignment surgery (SRS), è quel gruppo di interventi chirurgici a cui una persona transgenere può sottoporsi, successivamente all’autorizzazione del Tribunale, per allineare anatomicamente il proprio genere a quello a cui sente di appartenere.
Chirurgia MtF
L’iter chirurgico MtF (da maschio a femmina) può includere:
- orchiectomia (rimozione dei testicoli)
- penectomia (rimozione del pene);
- vaginoplastica (costruzione vagina);
- imenoplastica (costruzione imene);
- mastoplastica additiva (creazione di mammelle con protesi);
- riduzione del pomo di Adamo;
- eliminazione barba e peluria da zone maschili (ad esempio braccia, gambe e petto) con tecniche semi-permanenti (ad esempio laser o luce pulsata medicale).
Chirurgia FtM
L’iter chirurgico FtM (da femmina a maschio) può includere:
- mastectomia (asportazione bilaterale delle mammelle);
- istero-annessectomia (asportazione di utero e ovaie);
- falloplastica (costruzione pene);
- clitoridoplastica (metoidioplastica);
- scrotoplastica (costruzione scroto);
- inserimento di protesi testicolari nello scroto ricostruito;
- trapianto di peli in zone maschili.
La “vaginoplastica” è una complessa operazione chirurgica che, a seconda delle circostanze, può servire alla costruzione, alla ricostruzione o al ringiovanimento della vagina, Nel caso di persone transgender MtF, la vaginoplastica è usata ovviamente non come mezzo per ringiovanire una vagina preesistente, bensì quello di crearne una completamente nuova. L’intervento crea l’apertura vaginale che, oltre all’estetica, aggiunge un’ottima funzionalità, tanto da poter essere utilizzata proprio come una vagina naturale, nel senso che può ad esempio essere penetrata da un pene. Ovviamente una vaginoplastica non permette la possibilità di procreare.
La “falloplastica” è l’intervento di chirurgia plastica per la costruzione, la ricostruzione o l’ingrandimento del pene; è una procedura molto complessa, che in alcune circostanze richiede l’esecuzione di più operazioni distinte. L’impianto di una protesi peniena è necessario per ottenere la funzionalità sessuale, poiché permette una penetrazione soddisfacente. L’impianto della protesi viene effettuato dopo aver completato la ricostruzione del fallo. Per approfondire: Erezione di pene con protesi peniena [VIDEO] Attenzione: immagini sessualmente esplicite
La “metoidioplastica” è un intervento chirurgico che può sostituire la falloplastica. La terapia a base di testosterone (a cui si sottopongono gli individui FtM) allarga gradualmente il clitoride di una dimensione media di 4-5 cm: l’intervento di metoidioplastica consiste nel “trasformare” il clitoride in un clitoride ipertrofico, in grado di avere le funzioni vitali simili a quelle di un pene. Successivamente, se richiesto dal paziente, viene fatto un collegamento con l’uretra e/o si effettua una scrotoplastica, utilizzando le grandi labbra per contenere due protesi testicolari per formare i testicoli. La metoidioplastica è tecnicamente più semplice della falloplastica, ha un costo minore e si rischiano meno infezioni, necrosi dell’organo o complicanze ulteriori. Tuttavia, i pazienti che si sono sottoposti alla falloplastica sono in grado di effettuare una penetrazione sessuale in autonomia, senza aver bisogno di “packer” (una protesi anatomica che riproduce fedelmente l’organo sessuale maschile, compreso il pene e i testicoli). In un intervento di falloplastica, il chirurgo crea attorno al clitoride un fallo utilizzando muscoli, tessuti e nervi da una zona muscolare quale può essere un braccio o una coscia dello stesso paziente, portando numerose cicatrici permanenti o addirittura l’indebolimento dell’arto. Un intervento simile richiede circa 8-10 ore per il completamento e può essere seguito da un secondo intervento chirurgico per impiantare una protesi erettile, in grado di avere un’erezione più o meno realistica. La metoidioplastica invece richiede in genere 2-3 ore, poiché le funzioni del tessuto erettile del clitoride hanno già la possibilità di ottenere un’erezione clitoridea, ovvero un classico orgasmo, nonostante non sia esattamente identica ad un’erezione maschile. Tuttavia si sono riscontrati rari casi in cui successivamente agli interventi non sia stato possibile ottenere un’erezione.
Fino al 2015, in Italia, la riconversione chirurgica di sesso era obbligatoria ai fini del cambio di nome e di sesso sui documenti anagrafici, mentre ora non è più necessaria legalmente: nel caso la persona non ritenga necessario l’intervento chirurgico per raggiungere un proprio equilibrio e superare la disforia di genere, in Italia è possibile comunque ottenere il cambiamento dei dati anagrafici. Le persone che hanno concluso legalmente la transizione da un sesso all’altro, secondo la legge italiana possono sposarsi ed adottare. Uno dei primi casi nella storia di operazione chirurgica per cambio di sesso su una persona transgenere fu quello effettuato dall’artista danese Lili Elbe nel 1930.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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