Qualora il medico, in base all’anamnesi, sospetti fondatamente che determinati allergeni possano essere responsabili delle manifestazioni cliniche presentate dal paziente, un orientamento diagnostico può essere fornito dalle prove di eliminazione (anche chiamate “prove di sospensione“), che consistono nell’osservazione clinica di eventuali modificazioni sintomatologiche in rapporto all’eliminazione o sospensione dell’esposizione del paziente all’allergene sospetto. In parole semplici: il paziente evita di assumere una determinata sostanza che si presume sia la causa dell’allergia e, se non ha più reazioni allergiche, si arriva a presumere che la causa dell’allergia sia in effetti l’allergene che si sospettava. Qualora con le diete di eliminazione siano stati ottenuti miglioramenti clinici, alcuni alimenti in esse contenuti possono essere reintrodotti nella dieta uno per volta in modo da identificare l’alimento o gli alimenti responsabili dell’allergia.
Limiti diagnostici
Il principale limite di queste prove è costituito dalla loro non riproducibilità, per cui se ne può ricavare soltanto un orientamento diagnostico di massima, che deve essere confermato da, altri test, soprattutto sierologici e di esposizione. In parole semplici il test di eliminazione da solo ha poco valore diagnostico, ma ne assume se viene associato ad altri test allergologici. Ricordiamo al lettore che i test allergologici possono essere di primo livello (in genere i primi ad essere eseguiti), di secondo livello e di terzo livello (in genere gli ultimi ad essere eseguiti).
Esami allergologici di primo livello:
Esami allergologici di secondo livello:
Esami allergologici di terzo livello:
- test di provocazione orale;
- test di provocazione bronchiale con metacolina;
- test di provocazione congiuntivale;
- test di provocazione nasale.
Le prove di eliminazione o di sospensione trovano elettiva applicazione nelle forme di allergia alimentare, in cui sono state proposte varie diete di eliminazione, che debbono essere protratte per alcune settimane. Allo scopo di disporre di un criterio relativamente obiettivo di valutazione, è necessario uno score clinico ottenuto in due settimane a dieta libera, da confrontare con quello ottenuto durante le settimane in cui il paziente viene tenuto a dieta di eliminazione.
Diete oligoallergeniche
Le diete oligoallergeniche (di Sheldon, di Rowe, di McEwen…) sono costituite da alimenti che molto raramente danno luogo a sensibilizzazione di tipo allergico (riso, carne di agnello…). Queste diete trovano indicazione nei casi in cui si sospetti un’allergia alimentare ma non sia possibile identificare singoli alimenti responsabili.
Le diete oligoallergeniche di McEwen, lievemente modificate in base alle usanze alimentari italiane, sono riportate nella seguente tabella:
Diete elementari e mirate
Infine, nei pazienti con sospette sensibilità multiple ovvero con quadri clinici particolarmente gravi, possono essere adottate diete elementari (Vivonex, Nutrinaut…), estremamente rigide e monotone, di alto costo e male accettate dai pazienti per il loro sapore sgradevole. Indipendentemente da questi schemi, possono essere effettuate diete mirate, in cui siano eliminati gli alimenti maggiormente sospetti nel singolo caso o, comunque, gli alimenti più spesso responsabili di allergia o di intolleranza alimentare.
Tutte queste diete vanno prescritte per periodi di tempo relativamente brevi (2 – 4 settimane); qualora con le diete di eliminazione siano stati ottenuti miglioramenti clinici, altri alimenti possono essere reintrodotti nella dieta uno per volta, per più giorni consecutivi, in modo da identificare l’alimento o gli alimenti responsabili. Le prove di eliminazione possono essere effettuate, ovviamente, anche in caso di sospetta sindrome allergica da farmaci, in cui deve essere immediatamente sospeso il medicamento che si suppone possa dar luogo ad una sindrome reattiva, ovvero anche in casi particolari di sindromi allergiche da allergeni da inalazione (sospensione temporanea dell’attività lavorativa, allontanamento di animali domestici, uso di camere ad aria filtrata, etc.).
Test di provocazione
Quando le diete di eliminazione abbiano prodotto una completa scomparsa o almeno un notevole miglioramento del quadro clinico, e se dall’anamnesi non risultino pregressi episodi di particolare gravità (shock allergico, edema della glottide), è possibile, per l’esatta individuazione dell’alimento responsabile, passare a test di scatenamento o “di provocazione”. Queste prove devono essere effettuate in ambiente medico specializzato (pronto ad intervenire in caso di reazione allegica grave) ed in doppio cieco (scatenamento alimentare in doppio cieco con placebo: DBPCFC, Double-Blind Placebo-Controlled Food Challenge) mediante la somministrazione di capsule opache (test-dose), disponibili in commercio, contenenti alimenti secchi o liofilizzati (latte, uovo, pesce, etc.), iniziando da una capsula contenente una piccola dose dell’alimento da testare e raddoppiando la dose ogni 30 minuti circa sino all’eventuale comparsa di manifestazioni cliniche ovvero sino al raggiungimento di una dose massima cumulativa, corrispondente a circa 15 g di alimento secco o liofilizzato. Per alimenti non disponibili in capsule, il test può essere realizzato mascherando l’alimento da saggiare con una base liquida (sugo, brodo) o inerte. Per approfondire, leggi: Test di provocazione in medicina: cosa sono, a che servono, come si svolgono?
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Lo Staff di Medicina OnLine
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