Differenza tra astice ed aragosta: l’astice è il maschio dell’aragosta?

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A sinistra un’astice; a destra una aragosta

In molti confondono astice ed aragosta: i due crostacei vengono spesso scambiati per la stessa specie commettendo l’errore di pensare che l’astice sia il maschio dell’aragosta. Ciò è invece un errore!

Aragosta ed astice hanno caratteristiche simili ed il loro riconoscimento non e’ per nulla difficile. Sono le chele (o zampe chelate), presenti solamente nell’astice e non nell’aragosta a differenziare i due crostacei. Le chele sono due appendici molto sviluppate che servono all’animale per catturare le sue prede, utilizzate come arma di difesa e addirittura come “apribivalvi”.

L’aragosta mediterranea (Palinurus elephas)

L’aragosta e’ un crostaceo decapode che vive in Mediterraneo ed atlantico. Puo’ raggiungere, anche se raramente gli 8 Kg di peso e la dimostrazione e’ l’aragosta gigante catturata alle bermuda. L’aragosta a differenza dell’astice non ha chele. Questo crostaceo decapode riesce a crescere per tutta la sua vita cambiando il carapace centinaia di volte. Si stima che possa arrivare a vivere anche 80 anni. Vive su fondali rocciosi dai 15 ai 200 metri dove si riunisce in gruppo per colonizzare un area che non lascerà fino alla fine della sua vita. Si nutre di spugne, vermi marini, piccoli crostacei sia vivi che già morti. L’aragosta e’ molto apprezzata in cucina in quasi tutta la parte del globo. Gli stock però, soprattutto in Mediterraneo, non godono di buona salute tanto da essere inserita tra le specie in pericolo nella Convenzione di Berna.

Una morte atroce

E’ opinione diffusa che i crostacei devono essere immersi vivi in acqua bollente dato che non sentono dolore. La realtà e’ ben diversa, e questo non farà certo felice chef e ristoratori . A confermarlo è stato uno studio Norvegese del 2013. I risultati parlano chiaro: i movimenti ed i salti del crostaceo immerso in acqua bollente non sono dovuti a riflessi automatici ma ad una reale percezione del dolore.

L’Astice europeo  (Homarus gammarus)

L’astice e’ anch’esso un crostaceo decapode. A differenza dell’aragosta che appartiene alla famiglia dei palinuridi l’astice appartiene alla famiglia Nephropidae. L’astice normalmente e’ colorato di marrone scuro con dellechiazze gialle sul ventre ma puo’ anche presentare delle tonalità di blu sul dorso. Raramente si possono osservare degli astici totalmente blu. Gli astici europei sono presenti nel Mare del Nord ed in Mediterraneo, vivono tra i 50 ed i 150 metri di profondità nascosti sotto grossi massi.

L’astice in cucina

Al mercato, nelle pescherie o nei banchi del congelato non troviamo  l’astice europeo ma quello americano. Una specie molto simile anche se il sapore e’ ritenuto meno gustoso. L’astice mediterraneo e’ oramai divenuto sempre più raro. Viene catturato casualmente con le reti da posta o con le nasse.

Aragoste ed astici sono parenti ?

L’astice non e’ strettamente imparentato con l’aragosta o almeno lo e’ quanto l’aragosta lo possa essere con un granchio.

Lo staff di Medicina OnLine

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The Lobster (2015): trama, recensione e spiegazione del film

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Una scena del film The Lobster

The lobster. Un film di Yorgos Lanthimos. Con Colin Farrell, Rachel Weisz, Jessica Barden, Olivia Colman, Ashley Jensen. Titolo originale The Lobster. Fantascienza, durata 118 min. – Grecia, Gran Bretagna, Irlanda, Paesi Bassi, Francia 2015

Il regista Yorgos Lanthimos è un geniale creatore di mondi. The Lobster è un film unico soprattutto per il soggetto, che inventa un mondo totalitario che è al contempo lontanissimo dal nostro, ma che potrebbe paradossalmente, già essere il nostro. La genesi della sceneggiatura di The Lobster (che tradotto significa “l’aragosta“) è stata caratterizzata da un lungo processo di osservazione e discussioni tra Lanthimos e Filippou, attorno ai temi della vita, delle persone, dei rapporti e dei comportamenti umani. I due hanno iniziato a sviluppare quella che inizialmente era solo un’idea trasformandola, poi, in una vera e propria trama, da esplorare più a fondo. Come spiega più dettagliatamente Lanthimos: “L’idea di questo film è nata dalle discussioni su come le persone sentono la necessità di trovarsi costantemente in una relazione amorosa, sul modo in cui alcuni vedono coloro che non hanno una relazione; su come si venga considerati falliti se non si sta con qualcuno; su cosa arrivano a fare certe persone pur di trovarsi un compagno; sulla paura; e su tutto ciò che ci succede quando cerchiamo un partner.”“Bastava osservare sia gli amici che gli sconosciuti,” sottolinea Filippou, “E poi riflettere su come vivono e reagiscono di fronte a situazioni differenti. La necessità principale era quella di scrivere qualcosa sul tema dell’amore. Perciò abbiamo cercato di pensare all’attuale significato dell’amore per gli esseri umani; a come sia collegato al concetto di solitudine e di compagnia.” Questo, in essenza, sembrava il focus ideale per la loro terza collaborazione. The Lobster descrive due mondi diversi, come spiega più approfonditamente Filippou: “Un mondo dove vivono le coppie, opposto a un mondo dove vivono i solitari. Il film cerca di descrivere com’è avere un compagno e com’è stare da soli nella vita.”

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Il soggetto (ATTENZIONE SPOILER)

Esiste un mondo in cui se a 40 anni sei single vieni deportato in un hotel di lusso assieme agli altri “individualisti” come te e lì hai 45 giorni di tempo per trovare l’anima gemella e innamorarti. Le regole sono severissime (se ti beccano a masturbarti ti infilano la mano colpevole in un tostapane rovente…). Se ce la fai e ti accoppi, sei libero, se non ce fai vieni trasformato in un animale a tua scelta, che devi indicare subito al momento del tuo ingresso nell’hotel/lager.
La direttrice dell’hotel si rivela essere una specie di poliziotto carcerario. Le regole che governano l’Hotel sono tediose, complesse e inflessibili. Tutti i detenuti devono obbligatoriamente indossare un’uniforme particolare e seguire un programma rigoroso. Tutti vivono nel terrore di quello che potrebbe accadergli nel caso in cui non si conformassero alle regole. La direttrice mi ricorda molto l’infermiera Ratched (l’infermiera del film Qualcuno volò sul nido del Cuculo). È lei che ha il compito di trasformare le persone in animali se non riescono a trovarsi un compagno.

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Vie d’uscita a questo triste destino?

In teoria puoi sempre provare a scappare. Nei boschi intorno all’hotel vivono i solitari, fuggiaschi che sono riusciti ad evadere. Se vuoi, puoi provare ad unirti a loro. Salvo scoprire che fra loro vigono regole ancora più feroci e crudeli, anche se rovesciate, rispetto a quelle che strutturavano la vita nell’hotel. Si potrebbe infatti pensare che lasciare un sistema così indottrinato come quello dell’hotel per andare nella foresta significhi ottenere la libertà da tutte le regole e strutture artefatto dell’hotel, ma presto si capisce che qualsiasi tipo di struttura dominante, o di regola dura, imposta sugli esseri umani, prima o poi, si rivela innaturale. In sostanza, il mondo dei solitari (il bosco) è ugualmente, se non addirittura maggiormente, brutale di quello dell’hotel. La natura è solo metafora di una finta libertà, che si rivela essere peggio della vita “vera”, come nel finale di quel capolavoro che è Brazil di Terry Gilliam.

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Spiegazione di The Lobster

Rispetto a tanti film che parlano dell’amore per luoghi comuni, per sdolcinatezze languorose, per esibizioni ginnico-muscolari, o per finte provocazioni pseudo-trasgressive, Yorgos Lanthimos ci dice in realtà come proprio intorno all’amore – a come si deve amare, a chi si deve amare, a cosa significhi amare – si imbastiscano i peggiori totalitarismi del nostro tempo. O forse anche i peggiori totalitarismi tout court. Perché The Lobster è come un film fuori dal tempo. Rispetto a chi ti dice che sei obbligato ad amare, o a chi ti dice che ti è proibito amare, Lanthimos rivendica – con gesto anarchico e libertario – il valore ribelle della scelta individuale. Fai quello che senti e quello che vuoi. A qualunque costo, anche a costo di precipitare nell’amore cieco, cioè in quello che ti priva letteralmente del senso della vista. Come capita, appunto, nel finale. Non solo al protagonista, ma anche a noi. Che per qualche secondo proviamo la vertigine di vedere uno schermo totalmente nero. Nel buio, non vediamo più nulla. Che è successo? Stiamo provando anche noi l’esperienza dell’amore cieco?

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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