Per ogni situazione clinica e ogni paziente, il rischio deve essere soppesato in rapporto ai benefici, tenendo presenti gli effetti qualitativi e quantitativi dell’impiego di un farmaco e il probabile esito finale della patologia nel caso in cui il farmaco non venga somministrato. La terapia farmacologica è giustificata soltanto se i potenziali benefici sono superiori ai rischi. La decisione dipende da un’adeguata conoscenza del paziente, della malattia e della sua storia naturale, nonché dalla conoscenza del farmaco e dei suoi potenziali effetti indesiderati.
L’espressione “rapporto rischi-benefici” viene usata spesso, ma non esistono previsioni numeriche del rischio e del beneficio e la divisione matematica (ai fini di ottenere un rapporto) non viene mai eseguita. Una definizione più appropriata è quella di analisi rischi-benefici.
Nell’analisi rischi-benefici relativa a uno specifico paziente devono essere tenuti in considerazione molti fattori. Ogni paziente reagisce in modo diverso ai farmaci e alle sostanze chimiche. I fattori legati al paziente comprendono l’età, il sesso, la gravidanza, l’attività lavorativa, il contesto sociale e le caratteristiche genetiche. Ogni fattore, da solo o associato ad altri, può influenzare il decorso e la gravità della malattia o la risposta a un farmaco. Per esempio, i pazienti molto giovani o molto anziani affetti da polmonite che richiede una terapia aggressiva hanno una prognosi sfavorevole; il feto è sensibile a farmaci che possono essere relativamente sicuri per una donna che non sia in gravidanza; e il deficit genetico di colinesterasi o l’esposizione industriale agli organofosfati provoca un aumento della sensibilità ai miorilassanti depolarizzanti. Un paziente di 60 anni con aterosclerosi, riduzione del flusso ematico cerebrale e PA di 200/120 mm Hg richiede una terapia antiipertensiva differente da quella di un paziente giovane altrimenti sano con gli stessi valori di PA, perché pone il problema di un obiettivo terapeutico aggiuntivo: il ripristino del flusso ematico cerebrale in presenza di aterosclerosi.
Devono essere considerati anche i fattori legati alla patologia, come il decorso clinico, la durata, la morbilità e la mortalità. Trattare una malattia autolimitantesi che causa un disturbo modesto (p. es., un herpes labialis) con un potente farmaco sistemico (p. es., la vidarabina) è illogico; tuttavia, trattare una malattia solitamente fatale (p. es., l’encefalite erpetica) con tale terapia può essere giustificato. I farmaci chemioterapici sono potenti e di solito provocano effetti collaterali debilitanti; ciò nonostante, tali farmaci possono essere necessari nel trattamento dei tumori maligni o di altre malattie gravi.
I fattori legati al farmaco comprendono: la frequenza, la gravità e la prevedibilità delle ADR; la relazione tra tali reazioni e il dosaggio; e la disponibilità di misure di prevenzione o trattamento delle ADR e di farmaci o terapie alternativi. Per esempio, l’anafilassi da penicillina, che è rara ma potenzialmente fatale, può essere evitata raccogliendo un’anamnesi adeguata ed eseguendo opportuni test cutanei. Se si verifica anafilassi e il medico è preparato ad affrontarla, essa può essere trattata con successo. La penicillina, quindi, non deve essere scartata a priori nei pazienti con faringite streptococcica a causa del rischio di anafilassi. D’altro canto l’uso del cloramfenicolo, un altro efficace trattamento per la faringite streptococcica, non è giustificato perché esistono alternative più sicure. Il farmaco può causare anemia aplastica, la quale sebbene sia relativamente rara, è imprevedibile e spesso irreversibile e fatale. Tuttavia, per una malattia grave come la meningite da Haemophilus influenzae esistono poche alternative terapeutiche e l’impiego del cloramfenicolo può essere giustificato.
Di un farmaco va anche tenuta in considerazione l’efficacia, comprendente la prevedibilità di una risposta favorevole, la natura dell’effetto (sintomatico o curativo), la relazione tra dose ed effetto e la durata dell’effetto favorevole. La leucemia linfoblastica acuta nei bambini risponde alle associazioni chemioterapiche aggressive, che sono pertanto giustificate. Nondimeno, l’impiego di una chemioterapia aggressiva è discutibile per neoplasie come il carcinoma gastrico, nel quale la risposta è scarsa e la chemioterapia può aumentare la morbilità.
L’impiego giudizioso delle associazioni farmacologiche può aumentare i benefici e ridurre i rischi. Per esempio, nel trattamento dell’ipertensione, l’uso di un diuretico tiazidico in associazione con un b-bloccante contrasta la tendenza del b-bloccante a causare ritenzione di liquidi dovuta all’ipotensione, e l’uso del potassio insieme con la furosemide contrasta la tendenza della furosemide a causare una perdita eccessiva di potassio e ipokaliemia.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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