“E’ importante individuare il rischio recidiva, soprattutto alla luce di nuovi studi che ci indicano che possiamo correggere la rotta nella fase Continua a leggere
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Rapporto rischi-benefici nell’assunzione dei farmaci
Per ogni situazione clinica e ogni paziente, il rischio deve essere soppesato in rapporto ai benefici, tenendo presenti gli effetti qualitativi e Continua a leggere
Morsa da ragno mentre dorme: giovane ragazza rischia la morte
«Prima non ero aracnofobica, ora ho il terrore dei ragni». Non potrebbe essere altrimenti per una 29enne che ha rischiato di morire in seguito alla puntura di un ragno che le ha causato un’infezione così grave da compromettere le funzioni dei suoi organi vitali.
Il peggio, per Claressa Coleman, una donna sposata che vive nell’Arkansas, sembra essere passato. Il suo è stato un vero e proprio incubo, iniziato la notte dello scorso 26 giugno: stava dormendo a letto accanto a suo marito quando ha sentito una lieve puntura. Pensando che fosse una zanzara, si è riaddormentata come se niente fosse. Il mattino seguente, la donna aveva notato il segno della puntura tra la spalla e il braccio destro, ma era andata a lavorare. Una volta giunta in ufficio ha iniziato ad accusare forti dolori allo stomaco, nausea e vomito. Il capo l’aveva quindi rimandata a casa, ma nel tragitto il vomito era aumentato e per questo Claressa si era recata in un pronto soccorso. Qui esami approfonditi avevano rivelato la tremenda verità: la donna era stata punta da un ragno eremita marrone, non ancora adulto, data la ridotta circonferenza della puntura.
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Quello che Claressa non sapeva è che il veleno del ragno, molto pericoloso per chiunque, può essere letale per chi ne è allergico: per questo motivo l’organismo della donna subì un costante peggioramento a causa dell’infezione dilagante e a nulla sembravano servire gli antibiotici prescritti dai medici. Dopo qualche giorno, le sue condizioni erano diventate allarmanti: il buco prodotto dalla puntura si allargava a dismisura e gli organi vitali iniziavano a malfunzionare. Claressa iniziò a soffrire di disfunzioni renali e cardiache e fu ricoverata d’urgenza: i macchinari svolgevano le funzioni al posto dei suoi organi e nel frattempo le venivano somministrati antibiotici più potenti che, dopo qualche tempo, avevano iniziato a contrastare l’infezione.
Il quadro clinico di Claressa iniziò a migliorare fino a quando i medici, nella seconda metà del luglio scorso, avevano deciso di dimetterla. Oggi è ancora convalescente e i reni potrebbero aver subito danni permanenti, ma la donna sa di essere fortunata ad essere sopravvissuta.
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Differenza tra rischio e pericolo
Che differenza c’è tra rischio e pericolo? Queste due parole sembrano apparentemente uguali eppure nascondono due significati molto diversi. Quando parliamo di pericolo, infatti, parliamo di un qualcosa che solo potenzialmente può causarci danni. Quando invece parliamo di rischio ci riferiamo alla probabilità di poterci vedere arrecati dei danni a causa di qualcos’altro. Per cui il pericolo è una certezza di poter ricevere o causare danni, il rischio è solo una possibilità. Il pericolo è oggettivo, il rischio varia di soggetto in soggetto.
Per spiegare che differenza c’è tra rischio e pericolo è più facile fare alcuni esempi. Se ci troviamo a pochissimi centimetri da un burrone corriamo il pericolo di poterci cadere dentro. È quindi oggettivo che una volta oltrepassata la soglia di sicurezza si può cadere. Se invece decidiamo di fare un viaggio on the road corriamo il rischio di poter trovare lungo la strada tanti pericoli, burrone compreso. Il rischio quindi contiene in sé il pericolo, ma il pericolo non contiene in sé il rischio.
Le assicurazioni sulla macchina, sulla vita e così via sanno che differenza c’è tra rischio e pericolo. Non assicuriamo la nostra auto perché siamo in pericolo, ma perché siamo a rischio incidenti. È possibile che nell’arco di un’intera vitanon ci capiti mai nulla così come è possibile fare un incidente al giorno. Ci auguriamo quindi di non dover mai usufruire dell’assicurazione restando consapevoli dei rischi. Guidare con prudenza limita i pericoli, ma non ci difende completamente dai rischi. Questo non vuol dire che non dobbiamo più guidare, ma che dobbiamo essere sempre attenti.
Possiamo capire che differenza c’è tra rischio e pericolo anche semplicemente pensando a come parliamo. Usiamo tutti molto spesso l’espressione “Non c’è pericolo”, nessuno però ha mai usato “Non c’è rischio”. Non corriamo alcun pericolo a camminare per strada con attenzione e prudenza, ma c’è sempre il rischio che possa cadere un vaso da un balcone o che possa sbucare un’auto all’improvviso. Quindi: il rischio è la possibilità che si verifichi qualcosa di non previsto, il pericolo è il verificarsi di una cosa prevista. È la vita con tutte le sue infinite variabili che noi possiamo solo assaporare a nostro senza fossilizzarci troppo su tutti i rischi e i pericoli.
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Se ho fatto le lampade, posso prendere il sole senza rischi?
Fare le lampade non protegge la vostra pelle dai raggi solari. Le lampade donano una colorazione poco duratura ossidando solo la melanina superficiale, che non sarà in grado dunque di proteggere la pelle una volta che vi esporrete al sole, specie nei mesi e nelle ore più calde. Quindi, anche se apparentemente siete già abbronzati grazie a varie lampade, applicate sempre adeguati schermi solari prima di esporvi al sole, sia al mare che in montagna, per evitare danni anche gravi alla vostra cute.
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Esame invasivo o non invasivo: significato ed esempi
L’invasività è un parametro che viene utilizzato in medicina per descrivere la capacità di un esame clinico di penetrare le difese naturali dell’organismo umano e quindi procurargli danno. Può essere di grado moderato, medio o elevato. Anche una tecnica medica od un intervento chirurgico possono essere più o meno invasivi.
Invasività negli esami clinici
I diversi esami che vengono utilizzati in medicina per indagare le cause di una qualche malattia, hanno ognuno un potenziale di invasività che è utile al medico per scegliere quale esame sia meglio utilizzare, in rapporto alle condizioni di salute del paziente. Questo potenziale si riferisce alla possibilità che l’esame finisca per compromettere ulteriormente lo stato di salute del soggetto, invece di aiutare il medico a migliorarlo: questo perché gli esami più invasivi (per esempio prelievo di liquor cefalorachidiano, biopsia cerebrale) sono anche quelli che hanno la maggior probabilità di portare agenti contaminanti (virus, batteri, tossine, sporcizia) all’interno del distretto interessato, e di causare così un’infezione che finirebbe inevitabilmente per aggravare le condizioni del paziente; oppure, come nel caso della biopsia cerebrale, la sua pericolosità deriva anche dal fatto che un solo movimento errato del medico potrebbe seriamente danneggiare un’importante area encefalica, con conseguenze anche molto gravi.
Come regola generale, dunque, in medicina si tende a privilegiare sempre l’esame meno invasivo, mentre quelli più invasivi vengono utilizzati solo se il paziente è abbastanza in buona salute da poterli sopportare senza grossi rischi, oppure se le sue condizioni fanno supporre una patologia tanto grave da rendere accettabile il rischio di comprometterne ulteriormente la salute pur di ottenere una diagnosi migliore e potenzialmente salvavita.
Esempi di esami ad invasività differente
La misurazione della pressione arteriosa sistemica può avvenire mediante due metodi:
- la misurazione della pressione arteriosa periferica viene effettuata mediante l’utilizzo di uno sfigmomanometro, cioè un bracciale la cui pressione sul braccio del paziente può essere regolata manualmente o elettronicamente dal medico stesso;
- la misurazione della pressione arteriosa centrale viene effettuata mediante l’utilizzo di una sonda o catetere, che viene inserito nell’arteria femorale e va a misurare la pressione a livello dell’aorta ascendente.
La seconda tecnica, pur essendo più precisa della prima, non viene utilizzata di frequente proprio per la sua maggiore invasività: l’inserimento di un catetere arterioso centrale, infatti, comporta un rischio maggiore di quello del tradizionale sfigmomanometro, ed è da riservare ai casi in cui i benefici superano i rischi.
Un esempio di esame ad invasività moderata che viene utilizzato con una certa frequenza è il prelievo sanguigno: pur comportando l’inserimento di un ago in vena, e quindi un certo rischio correlato all’introduzione accidentale di microrganismi patogeni se l’ago non è ben sterilizzato, questo esame è l’unico in grado di darci tante informazioni sullo stato di salute dell’organismo con un rischio così piccolo. Il rapporto utilità/rischio molto favorevole lo rende quindi uno degli esami più utilizzati nella pratica medica di tutti i giorni.
Una ecografia della tiroide ha ovviamente una invasività decisamente minore rispetto allo stesso esame eseguito associandolo a biopsia, come anche una cavitazione per l’eliminazione del grasso corporeo ha una invasività molto più bassa rispetto ad una liposuzione. Una ecografia sovrapubica (eseguita con la sonda poggiata sul pube) ha una invasività minore di quella eseguita con una sonda transrettale (inserita nel retto) ed entrambe sono meno invasive di una laparoscopia che a sua volta è meno invasiva della chirurgia “open” (a “cielo aperto”).
Un esempio di come gli sviluppi tecnologici abbiano permesso di abbandonare tecniche più rischiose a favore di tecniche meno invasive, è rappresentato dalla diagnosi di encefalite, soprattutto per quanto riguarda le encefaliti da HSV. Fino all’inizio degli anni ’90, infatti, l’unico metodo che consentiva una diagnosi tempestiva di encefalite da HSV (permettendo così una sua rapida eradicazione prima dell’insorgere di gravi danni) era una biopsia cerebrale, tecnica però estremamente pericolosa per i motivi già ricordati. Al giorno d’oggi, con gli sviluppi della tecnologia, la biopsia cerebrale è stata abbandonata per un metodo molto meno invasivo, la ricerca di materiale virale nel liquor tramite PCR: pur non essendo scevra di rischi, questa tecnica permette infatti di evitare il contatto con le sensibilissime cellule encefaliche, ed è quindi dotata di un potenziale di invasività decisamente minore della biopsia cerebrale.
Attualmente, gli esami clinici con l’invasività più bassa e la più alta capacità di dare al medico informazioni sullo stato di salute del paziente, sono quelli appartenenti alla cosiddetta diagnostica per immagini: la radiografia, la RMN e la TAC.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Fumare non fa male: mio nonno fumava 50 sigarette al giorno e ha vissuto bene fino a 90 anni
E’ una frase che sento dire a molti miei pazienti fumatori, che non ne vogliono proprio sapere di smettere di fumare:
“Fumare non fa male. Mio nonno fumava 50 sigarette al giorno e ha vissuto bene fino a 90 anni”
A parte la stranissima coincidenza di tutti questi fumatori accomunati dalla parentela con simpatici vecchietti ultra-fumatori… Questa situazione non è ovviamente sufficiente a smentire i danni del fumo per svariati motivi. Innanzitutto in questioni mediche non esiste mai il 100 % e non esistono mai regole matematiche precise. La medicina ruota sempre intorno a questioni di statistiche e probabilità.
Il formarsi di un tumore maligno ai polmoni per esempio dipende da molteplici variabili quali fattori interni all’organismo, fattori esterni, predisposizioni, presenza di altre malattie etc. Per cui è la sommazione di più fattori che determina l’origine della malattia. Il fumare non determina il tumore “sicuramente” ma “con più alta probabilità” così come il non fumare non annulla del tutto il rischio ma lo rende molto meno probabile, quindi è assolutamente possibile che una persona possa avere un tumore ai polmoni a 30 anni non fumando e che un altra possa vivere anche 100 anni pur fumando. Quello che però è assolutamente certo è che chi fuma, statisticamente, vive undici anni in meno rispetto alla popolazione non fumatrice.
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Supernonni
A ciò dobbiamo aggiungere che l’organismo di oggi è geneticamente più vulnerabile rispetto a quello dei nostri nonni e questo perché essi sono soggetti selezionati, molto più di quanto lo siamo noi. Gli attuali novantenni sono sopravvissuti a malattie che oggi sono curabili ma che prima mietevano vittime (che altro non erano che le persone più deboli). Sono sopravvissuti ad un periodo di stenti e di fame (pensi al periodo delle guerre mondiali). Non hanno avuto accesso a cibi estremamente industriali come quelli che mangiamo noi oggi. Sono stati abituati a lavori più fisici e “meno di scrivania”: ciò ha contribuito a mantenerli informa. I figli del 2000, in Italia, sono i bambini più obesi al mondo, secondi solo a quelli statunitensi.
Per cui io non mi stupisco troppo quando un novantenne che fuma 50 sigarette sta bene mentre un quarantenne fumatore di oggi va in giro con l’ossigeno. In ogni caso, per un fumatore 90enne che sta “bene”, ce ne sono almeno altri dieci che stanno molto male, e ce ne sono altri 100 che sono deceduti molti anni prima.
Infine, se il fumatore 90enne sta bene, significa due cose:
- Ha una salute di ferro NONOSTANTE le sigarette e non certo GRAZIE ad esse.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Perché anche 10 anni dopo aver smesso di fumare, il rischio di tumore è più elevato rispetto a chi non ha mai fumato?
Smettere di fumare sigarette fa sempre bene, a qualsiasi età. Uscire dal tunnel della tossicodipendenza da nicotina, fa diminuire in poco tempo il rischio di sviluppare non solo vari tipi di tumore, ma anche moltissime altre patologie, specie quelle cardiovascolari. Tuttavia, specie se l’ormai ex fumatore ha fumato per molto tempo prima di smettere, ci vogliono parecchi anni prima di tornare ad avere lo stesso rischio di sviluppare certe patologie rispetto alla popolazione che non ha mai fumato. Se il paziente smette di fumare da giovane, questo rischio tornerà più rapidamente simile a quello di chi non ha mai fumato; invece se non si smette in giovane età, questo rischio non tornerà probabilmente mai più quello di una persona che non ha mai fumato.
In alcuni soggetti, anche se hanno smesso ormai da dieci anni, il rischio di sviluppare alcune patologie tumorali e cardiovascolari, rimane più elevato rispetto a chi non ha mai fumato. Ma perché ciò avviene?
Un tumore polmonare può svilupparsi anche a distanza di anni perché l’organismo non riesce a liberarsi subito delle sostanze nocive che si sono accumulate nei tessuti umani durante tanti anni di dipendenza dalla nicotina. Queste sostanze quindi hanno tutto il tempo per creare alterazioni cellulari irreparabili. All’interno delle cellule ci sono meccanismi di riparazione del DNA ma se i danni di quest’ultimo sono continui e reiterati ad un certo punto un tumore può originarsi anche se è passato molto tempo dall’ultima sigaretta fumata, specie se il soggetto è anziano e/o è in sovrappeso/obeso.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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