Babadook (2014) trama, recensione, significato e spiegazione del finale

MEDICINA ONLINE BABADOOK SPIEGAZIONE FILM FINALE TRAMA RECENSIONE SPOILER SIGNIFICATO IL MOSTRO BABADOOK ESISTE DAVVERO O NO METAFORA SIMBOLO JENNIFER KENT ESSIE DAVID WALLPAPER.jpgUn film di Jennifer Kent con Essie Davis, Noah Wiseman, Daniel Henshall, Hayley McElhinney, Barbara West. Titolo originale The Babadook; drammatico, horror, psicologico, durata 95 min. – Australia 2014 VM 14 anni.

Trama senza spoiler

Il film segue le vicende che ruotano intorno ad una famiglia disastrata dagli eventi, ci presenta una madre – Amelia Vanek – ritrovatasi a dover allevare il suo bambino da sola dopo la tragica morte del marito, andatosene in un incidente nello stesso giorno in cui il loro figlioletto veniva al mondo. Samuel non sembra un bambino “normale”, le scene isteriche sono all’ordine del giorno e la vita di Amelia è oppressiva e sempre più solitaria, a partire dal lavoro in una clinica per anziani sino ai difficili rapporti sociali che ha a causa delle reazioni emotive sempre più esagerate del figlio. La vita di Amelia diventerà sempre più difficile, specie da quando entrerà nella sua vita uno strano libro per bambini, chiamato Mister Babadook.

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Recenzione senza spoiler

Non mi dilungherò troppo perché “non vedo l’ora” di scrivere il prossimo paragrafo, quello della spiegazione e del significato del lungometraggio. A me il film è piaciuto molto ed ho apprezzato il tocco della regia femminile di Jennifer Kent, anche sceneggiatrice, che ha saputo dare una profondità al personaggio della madre ed ai suoi disagi in modo veramente incredibile e credibile, probabilmente molto più di quanto sarebbe riuscito a fare un uomo. Il modo in cui l’attrice australiana Essie Davis esprime questi disagi è fantastico e ottima è l’atmosfera di depressione e tensione crescente che avvolge lo spettatore: sembra di scendere nell’inferno dell’animo umano di un genitore con questo film, un po’ come avviene seguendo il personaggio di Jack Torrance in Shining. Questo è l’orrore che mi piace, senza lupi mannari o vampiri. E’ un horror reale, realistico, che può accadere a tutti noi, affermazione valida solo se avete capito il reale significato simbolico del Babadook (se non lo avete capito, continuate la lettura!)
Un plauso va fatto anche all’estetica del Babadook: il tratto distintivo dell’uomo nero è cartoonesco, proprio come in un classico libro piegabile per l’infanzia, ma il mostro mette ugualmente, ed a maggior ragione grazie al contrasto che evoca, una grande inquietudine ed il contenuto del libro è più scabroso, terrificante e personalizzato (le pagine si scrivono da sole mano a mano che il film avanza) pagina dopo pagina. Una creatura cinematografica che domina la seconda metà del film in modo molto affascinante, per un lungometraggio ottimamente recitato e girato, con buona fotografia e musiche inquietanti al punto giusto. L’idea originale del plot di The Babadook, una bozza di esso, venne espressa dalla regista Jennifer Kent sottoforma di corto nel suo Monster, idea che ha qui allungato e perfezionato in modo piuttosto riuscito. La registra australiana riesce qui a produrre un film che per tutta la sua durata ti pone una domanda fondamentale: Il Babadook esiste o no? La risposta la trovate più in fondo all’articolo.

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Significato del film (SPOILER DA QUI IN POI)

Diciamo che per capire realmente questo film, forse dovete essere… genitori. In caso contrario le mie prossime parole potrebbero apparirvi esagerate se non assurde. Partiamo da un fatto che sembrerebbe off topic ma non lo è: qualsiasi genitore al mondo sa quanto sia difficile gestire un figlio nei suoi primi mesi ed anni di vita e qualsiasi genitore onesto ammette che – alla quinta notte di fila insonne – c’è un momento di tale stanchezza, esasperazione e – in certi casi – alienazione, che sarebbe disposto a tutto pur di far star zitta la propria prole per 10 minuti e riposarsi il cervello (che poi questo è il reale motivo per cui esistono i cartoni animati!). Dormire male la notte (o non dormire affatto), poi porta a sonnolenza diurna e in alcuni casi ad una continua sensazione di irritazione e fastidio. Ecco, immaginate quindi il livello di stress che può raggiungere un genitore, una donna in questo caso, quando è costretto a vivere quei primi mesi ed anni di vita del figlio, da solo. E non sto parlando di quelle donne che hanno bimbi tranquilli, un ricco assegno di mantenimento da parte del marito benestante divorziato e tate al seguito: in questo caso parliamo di una donna sola che deve lavorare duro perché suo marito è morto e suo figlio è sicuramente molto più “impegnativo” della media. A stress si aggiunge un probabile disturbo post traumatico da stress. Anche se sono passati anni dalla sua morte, lei pensa ancora a quel tragico incidente, come dimostra l’incubo che viene mostrato all’inizio del film ed il fatto che non riesce addirittura neanche a festeggiare il compleanno del figlio – evento solitamente molto lieto – perché il marito è morto nel portarla all’ospedale per partorire: in pratica compleanno del figlio e morte del marito sono lo stesso giorno. E’ una corrispondenza devastante per la mente di una persona.

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Se l’inconscio prevale

La mia esperienza con pazienti affette da depressione post partum mi fa dire con sicurezza che – seppur la donna non lo ammetta – a livello inconscio, spesso “darebbe volentieri indietro” suo figlio per avere nuovamente il marito, sia a livello emotivo (lo dimostra il trasporto verso le altre coppie che si baciano) che a livello fisico (la scena del vibratore, un oggetto “sostituto” di un uomo che lei potrebbe avere facilmente ma non vuole, per rimanere fedele al marito). Ad Amelia lui manca molto e ne è ancora molto innamorata, tanto che – nonostante la giovane età – non si è risposata, non convive con nessuno e neanche accetta le avances del suo collega di lavoro. Inconsciamente poi nei suoi circuiti neuronali è ben stampato il concetto che il bambino sia la causa della morte del marito, perché – a livello irrazionale – se non fosse stato per lui, non avrebbero avuto l’incidente. Ovviamente questi sono tutti pensieri inconsci e non significano che lei detesti o stia covando rancore nei confronti di suo figlio, anzi nel film si vede chiaramente quanto lei tenga a lui. E qui sorge il problema: cosa succederebbe se la parte oscura ed inconscia venisse fuori? Le tante notizie di cronaca di genitori che uccidono i propri figli (volontariamente o per apparente fatalità, come lasciare il bimbo nell’auto sotto il sole) ce lo indicano: la parte inconscia desidera far fuori qualsiasi cosa – cani inclusi – per poter ritornare liberi e senza responsabilità, a prima della nascita dei figli, quando la notte si rimaneva svegli per andare in discoteca e non per cambiare pannolini o pulire le lenzuola sporche di vomito. E Babadook è esattamente questa parte inconscia: un mostro che nessuno ammette di avere e che è nascosto in ognuno di noi, in attesa di trovare quell’attimo di stress in più, per venire fuori come un Herpes per mesi quiescente in un ganglio nervoso, e manifestarsi in tutta la sua virulenza repressa quando calano le difese che contengono il male.

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Babadook esiste o non esiste?

La risposta è NO, almeno nel mondo reale. Babadook, nonostante nel film prenda forma e sostanza ed alla fine venga fisicamente messo in trappola nella cantina, è solamente la metafora di una parte dell’essere umano che tutti noi cerchiamo, chi più chi meno, di rifuggire: ovvero la nostra parte oscura e repressa, ingigantita ed incattivita da un passato traumatico come quello di Amelia e quindi rimossa con forza. Non è un caso che nel film il mostro sia logisticamente posizionato in cantina: come immaginato nel sogno della casa a più piani dallo psichiatra e psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung – inizialmente promotore delle idee di Sigmund Freud – in “Ricordi, sogni, riflessioni” (1961), la cantina è la sede del nostro inconscio. L’Io di Amelia, per affrontare il suo mostro, deve aprire una porta e recarsi nella cantina, sede dell’Es, cioè appunto del suo inconscio, in modo simile a quello che avviene in psicoterapia. A tal proposito non credo che sia un caso quanto nel film i sogni siano ritenuti importanti nella comprensione della psiche di Amelia, al punto che il lungometraggio stesso inizia con un sogno e che, in una sequenza del film intorno al minuto 57, si possano vedere i “rapidi movimenti degli occhi” di Amelia mentre dorme, tipici della fase REM del sonno, quella in cui sogniamo e quella in cui – se dovessimo svegliarci all’improvviso – ricorderemmo il nostro sogno.

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Negare il lato oscuro significa dargli forza

Il Babadook in definitiva non esiste nel mondo fisico e rappresenta il puro male che si antepone al puro bene, qui rappresentato dall’amore sconfinato di una madre per il proprio figlio, ed ognuna di queste due cose è presente in qualsiasi essere vivente. Sono due poli opposti che solitamente ci impediscono di raggiungere l’uno o l’altro estremo perché l’uno non potrebbe mai esistere senza l’altro. La vita vera non è una favola e non esistono i superbuoni e i supercattivi: esistono le persone con le loro debolezze ed esistono i Babadook che prendono il sopravvento e quelli che vengono controllati.
Nel film come nella nostra vita noi fuggiamo continuamente dal nostro (o dai nostri) Babadook cercando di far finta che il nostro lato oscuro non esista, anche se in realtà è sempre lì, più o meno sopito, reprimendolo a dismisura e quanto più possibile. Peccato che, come insegna magistralmente il film (il libro che prima viene strappato poi bruciato e ritorna in entrambi i casi), più si neghi l’esistenza di certi istinti, di certe zone grigie, irrazionali in noi, più questi diventano forti, scavano nel nostro essere ed a volte, scoppiano finendo a comporre i mosaici conclusivi più drammatici che si possa immaginare, dalle malattie e disturbi psichici fino alle peggiori delle ipotesi: suicidi, omicidi e torture verso animali o altri esseri umani, perfino i nostri cari. I nostri figli, sangue del nostro sangue, indifesi, che si fidano di noi, quindi i primi candidati ad essere annientati psicologicamente e/o fisicamente dalle trame ordite dal Babadook, come accade ad Amelia nel film.

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Come affrontare il Babadook che vive in ognuno di noi?

Il finale del film ci da un consiglio ed una lezione di vita d’oro, che da medico e – soprattutto – da padre di due bambini piccoli, mi sento di confermare in pieno: ci mostra che non si possono cancellare del tutto i mostri del passato o del presente, ma in compenso si può imparare a domarli e controllarli. Accettate di avere il vostro Babadook in cantina, al riparo da tutti gli sguardi dei vicini, degli amici e dei colleghi, ma guardato da vicino con coraggio e consapevolezza. Vincete anche voi quella paura che vi porterebbe a non accettare che esista in voi o a girarvi “dall’altra parte”: guardatelo in faccia e affrontatelo, il vostro mostro interiore. Scendete con coraggio quelle scale verso una zona della vostra mente che avete per anni tentato di rimuovere e date lui da mangiare gli avanzi della vostra vita prima che sia lui a decidere di uscire da solo e mangiarla tutta, la vostra vita, comprese le parti migliori.
Quei vermi significano questo: Amelia ha imparato a nutrire regolarmente il mostro con cose che non le servono ed a “calmarlo” quel tanto che basta per evitare che prenda il sopravvento sul lato razionale di lei. Ignorarlo del tutto è impossibile ed alla lunga controproducente (potrebbe impazzire!) quindi la madre regala lui quel minimo di attenzione che merita e non di più. Amelia in questo modo ha appreso come gestire il trauma e domare la bestia nascosta in lei, accettando la sua esistenza, ammettendo a sé stessi che non è perfetta e che in lei coesiste tanto il bene quanto il male. La scena finale che in tanti non hanno capito, rappresenta quindi la comprensione del fatto che il demone non possa essere distrutto, ma che sia necessario accettarlo, conviverci, superarlo e “sfamarlo” periodicamente un minimo, in modo che in un certo senso non venga ignorato, represso e non prenda il controllo delle nostre azioni, con effetti catastrofici.
Prima di chiudere, una curiosità: il nome Babadook è un anagramma di ‘A bad book‘ (che tradotto significa “un libro cattivo“) ed è in parte ispirato al termine “babaroga”, parola che in serbo significa… “uomo nero“.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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