Differenza grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Specialista in Medicina Estetica Roma DIECI ALIMENTI CONTENGONO PIU OMEGA 3 Radiofrequenza Rughe Cavitazione Peeling Pressoterapia Linfodrenante Dietologo Cellulite Dieta Sessuologia Sesso Filler BotulinoI grassi si dividono in saturi, monoinsaturi e polinsaturi, quali sono le differenze?

Differenze dal punto di vista chimico

Gli acidi grassi si dividono principalmente in saturi ed insaturi (questi ultimi sono i più salutari). Questi nutrienti sono formati da una lunga catena carboniosa, che inizia con un gruppo carbossilico (-COOH), termina con un gruppo metilico (CH3) e presenta nella parte centrale una serie di atomi di carbonio, ciascuno dei quali è accoppiato a due atomi di idrogeno. Se questa concatenazione rispecchia quanto descritto in ogni suo punto si parla di acidi grassi saturi, se invece lungo la catena una o più coppie di atomi di carbonio legano a sé un solo atomo di idrogeno per unità, l’acido grasso si definisce insaturo (presenta uno o più doppi legami C=C). Quando tale deficit si registra soltanto in un punto della catena l’acido grasso viene detto monoinsaturo, al contrario, quando vengono a mancare due o più paia di idrogeni si definisce polinsaturo.
Per ognuna di queste tre famiglie esistono diversi tipi di acidi grassi, che differiscono per numero di atomi di carbonio e disposizione degli eventuali doppi legami.

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I grassi saturi
I grassi animali, a eccezione di quelli di pesce, sono tutti prevalentemente saturi ma vi sono anche alcuni grassi saturi vegetali, come ad esempio l’olio di cocco.
Un sondaggio recente condotto dal Medical Research Council ha dimostrato che gli uomini che mangiavano burro correvano la metà del rischio di sviluppare malattie cardiocircolatorie rispetto a quelli che mangiavano margarina.
Risultati analoghi sono stati ottenuti in numerosi altri studi. Mi limito qui a citare il più recente e importante, una meta-analisi condotta presso l’Università di Cambridge, in cui sono stati analizzati 76 studi che hanno coinvolto mezzo milione di persone, arrivando alla conclusione che coloro che assumono elevate quantità di grassi saturi non soffrono di problemi cardiaci in misura superiore a coloro che evitano questi grassi. Non molti decenni fa si raccomandava di sostituire il burro con la margarina, composta da oli vegetali idrogenati, e cioè trattati con una speciale procedura diretta a renderli solidi e più a lungo conservabili senza pericolo di diventare rancidi. Si è poi ammesso che questi consigli erano sbagliati, poiché i grassi idrogenati erano dei prodotti del tutto “innaturali”, simili alla plastica, e hanno provocato molti danni alla salute. Anche oggi molte persone quando leggono sulle etichette la dizione “grassi vegetali” si sentono tranquillizzate: occorre invece perlomeno controllare che vi sia la dizione “grassi non idrogenati”. Vediamo quindi ora quali funzioni, della massima importanza, svolgono i grassi saturi nel nostro corpo:

  •  costituiscono almeno il 50% delle membrane cellulari (e infatti, guarda caso, nei grassi del latte materno sono presenti per il 48 % circa);
  • svolgono un ruolo vitale nella salute delle nostre ossa. Affinché il calcio possa essere bene integrato nelle ossa, il 50% circa dei grassi alimentari dovrebbe essere saturo;
  • sono necessari per il corretto utilizzo degli acidi grassi polinsaturi-essenziali. Gli acidi grassi omega 3 sono meglio conservati nei tessuti quando la dieta è ricca di grassi saturi;
  • l’acido palmitico è il grasso (saturo) che si trova intorno al muscolo cardiaco e lo protegge.

A conforto dei vegetariani: come accennato, non tutti i grassi saturi sono animali. Ve ne sono anche di origine vegetale, che fino a poco tempo fa erano anch’essi sconsigliati, come quello da noce di cocco, di cui stanno emergendo sempre di più le proprietà benefiche (per il buon funzionamento della tiroide e, grazie all’acido laurico in esso contenuto, per le sue proprietà antibatteriche e antivirali). I grassi animali, il colesterolo e anche i grassi vegetali saturi, a lungo demonizzati, iniziano ora a essere in parte rivalutati, ma la rivalutazione procede troppo lentamente, e nelle linee guida “ufficiali”, nei consigli dietetici popolari e nell’opinione pubblica sono ancora visti come dannosi e da evitare.

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I grassi monoinsaturi
Quanto ai grassi monoinsaturi (che peraltro contengono anch’essi una parte di grassi saturi) è quasi inutile soffermarsi sull’argomento poiché sono ben note e provate le proprietà benefiche dell’olio d’oliva, al quale sono attribuiti molti degli effetti positivi della dieta mediterranea: l’acido oleico dal quale è in gran parte formato è anch’esso contenuto in notevoli quantità nel latte materno. Altri oli con buone quantità di acido oleico sono quelli di mandorle, noci pecan, anacardi, arachidi e avocado.

I grassi polinsaturi
Quanto ai grassi polinsaturi: i due acidi grassi polinsaturi che si trovano con maggiore frequenza nei nostri alimenti sono l’acido linoleico (omega 6) e l’acido linolenico (omega 3). Il nostro corpo non può produrre questi acidi grassi, pertanto detti “essenziali”, e quindi il nostro fabbisogno deve essere ricoperto tramite l’assunzione di alimenti che li contengono.
Si tratta di oli altamente reattivi, che irrancidiscono facilmente; non dovrebbero pertanto essere esposti alla luce e all’aria e soprattutto non dovrebbero essere riscaldati: infatti i grassi saturi e monoinsaturi (come quelli di cocco e d’oliva) che resistono meglio al calore, provengono da climi caldi. I grassi polinsaturi vegetali omega 6 sono estratti dalla soia, dal mais, dal cartamo, dal girasole, dalla colza e dal altri semi, mentre gli omega 3 si trovano soprattutto nel pesce.
Ovviamente anche i grassi polinsaturi essenziali (crudi e freschi) sono importanti e ne abbiamo assolutamente bisogno (costituiscono dall’8% al 12% del totale dei lipidi contenuti nel latte materno) ma le consuete raccomandazioni alimentari che li hanno additati e continuano ad additarli come gli unici grassi sani, hanno portato a un loro consumo eccessivo. Meglio sarebbe, pur con gli adattamenti del caso, attenersi anche qui alle proporzioni che si trovano nel latte materno, e assumerli in proporzioni non superiori a una media del 10% del totale dei grassi assunti quotidianamente.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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