Con “amniocentesi” (in inglese “amniocentesis”) in medicina si indica una procedura che consente il prelievo di liquido amniotico dalla cavità uterina attraverso l’addome, su cui poi eseguire una analisi del cariotipo del feto, cioè l’analisi del numero e dalla morfologia dei suoi cromosomi. Il test viene effettuato sulla donna incinta per valutare il rischio che il feto abbia alcune malattie, come la sindrome di Down. Permette non solo la diagnosi prenatale, ma anche di prelevare cellule staminali contenute nel liquido amniotico.
Negli anni l’amniocentesi si è molto evoluta dal punto di vista tecnologico, a partire dall’amniocentesi standard fino ad arrivare alle più recenti amniocentesi molecolari e genomiche.
Al contrario di alcuni decenni fa, l’esame è oggi molto sicuro, ma non scevro da rischi. Il rischio abortivo della tecnica precoce si aggira mediamente intorno allo 0,1%, cioè determina aborto in circa un feto su 1000.
In circa un caso su 1000 esami, la coltura delle cellule non riesce (per mancata crescita della coltura cellulare, per contaminazione massiva di sangue materno…) e il prelievo va ripetuto.
In quali pazienti viene consigliata?
In virtù dei rischi connessi a questa tecnica, l’amniocentesi non viene proposta di routine a tutte le donne incinte, bensì solo a quelle giudicate ad elevato rischio di anomalie cromosomiche a causa della presenza di numerosi fattori di rischio, tra cui:
- età della paziente superiore ai 35 anni;
- genitori portatori di alterazioni cromosomiche (traslocazioni, inversioni, aneuploidie) o gravi malattie genetiche (talassemie, fibrosi cistica etc.) già note o rilevate tramite test genetico pre-concepimento;
- feto considerato ad alto rischio di anomalie in base ai risultati di ecografia, duo test, test combinato, tri test, quad test, translucenza nucale, test combinato, test integrato e/o test integrato sierico;
- presenza di difetti fetali individuati con l’ecografia;
- uno o più figli precedenti affetti da anomalia cromosomica;
- malattie infettive (ad esempio da citomegalovirus o da parvovirus B19);
- infiammazioni in utero (l’esistenza di un’infezione endoamniotica è anche causa di diverse patologie che possono impedire il corretto svolgimento della gravidanza.
In quale settimana si pratica?
Vi sono due momenti distinti della gravidanza in cui è possibile eseguire l’amniocentesi, con scopi diagnostici assai diversi:
- amniocentesi precoce: si effettua tra la 16ª e la 18ª settimana, quando l’amnios ha raggiunto dimensioni sufficienti perché la pratica non costituisca un rischio per il feto;
- amniocentesi tardiva: si effettua dopo la 25ª settimana, quando possono verificarsi condizioni nelle quali sia richiesto il prelievo di liquido amniotico per fini diversi da quelli citogenetici.
La sempre maggiore richiesta di ottenere risposte precoci ha indotto, negli ultimi anni, ad eseguire il prelievo del liquido amniotico anche in epoca inferiore alla 15ª settimana di gestazione, come valida alternativa al prelievo dei villi coriali (villocentesi o amniocentesi precocissima).
Nel terzo trimestre, fra la 32ª e la 39ª settimana di gravidanza, l’amniocentesi può essere utilizzata per valutare la maturazione dei polmoni del feto nelle donne in cui si consideri di anticipare il parto prima del termine della gravidanza.
A che serve una amniocentesi precoce (eseguita tra la 16ª e la 18ª settimana)?
Una amniocentesi precoce viene effettuata per:
- valutare il cariotipo, cioè dell’assetto cromosomico fetale, al fine di valutarne la normalità o al contrario per evidenziare la presenza di anomalie (malattie genetiche), o per determinazione del sesso fetale, importante nel sospetto di trasmissione ereditaria di una malattia legata al cromosoma X;
- valutare i dosaggi enzimatici nelle cellule fetali per rivelare possibili malattie metaboliche del feto: oggi è possibile, tramite il semplice prelievo di liquido amniotico, diagnosticare più precocemente, con maggiore accuratezza e con minore rischio rispetto alle tradizionali tecniche di diagnosi come la funicolocentesi o il prelievo di cute fetale, tutte quelle affezioni per le quali si ha a disposizione la diagnosi molecolare;
- valutare il dosaggio di alfafetoproteina o di acetilcolinesterasi, sostanze presenti in quantità superiori alla norma nel liquido quando il feto presenta un’anomalia di sviluppo del tubo neurale (anencefalia, spina bifida, encefalocele, mielomeningocele).
L’amniocentesi precoce (eseguita tra la 16ª e la 18ª settimana) rappresenta a tutt’oggi la metodica più frequentemente utilizzata ai fini diagnostici di citogenetica prenatale.
A che serve una amniocentesi tardiva (eseguita dopo la 25ª settimana)?
Una amniocentesi tardiva viene effettuata per:
- rilevare lo stadio di maturità fetale, attraverso la rilevazione di alcuni parametri del liquido quali la percentuale di cellule squamose nucleate, il rapporto lecitina/sfingomielina, il rapporto acido palmitico/acido stearico;
- valutare la gravità dell’immunizzazione materno-fetale, principalmente attraverso la rilevazione della concentrazione di bilirubina;
- studiare la condizione di maturità polmonare del feto attraverso il dosaggio dei fosfolipidi.
Quali anomalie rivela?
Tramite amniocentesi possono essere esaminate numerose patologie cromosomiche e genetiche, tra cui:
- sindrome di Down (trisomia 21): è caratterizzata dalla presenza di un cromosoma 21 in soprannumero (47,XX/XY,+21);
- sindrome di Edwards (trisomia 18): è caratterizzata dalla presenza di un cromosoma 18 in soprannumero (47,XX/XY,+18);
- sindrome di Patau (trisomia 13): è caratterizzata dalla presenza di un cromosoma 13 in soprannumero (47,XX/XY,+13);
- sindrome di Klinefelter: è caratterizzata dalla presenza di un cromosoma X in soprannumero (47,XXY, invece di 46,XY).
- sindrome di Turner: è causata dall’assenza di un cromosoma X nelle femmine (45,X invece di 46,XX).
- leucemia mieloide cronica: è caratterizzata dalla presenza del cromosoma Philadelphia, che origina dallo scambio (traslocazione) di materiale genico fra il cromosoma numero 9 e il cromosoma numero 22.
Inoltre:
- Trisomia 8;
- Trisomia 9 a mosaico;
- Triploidia;
- Sindrome di Wolf-Hirschhorn;
- Sindrome del cri du chat;
- Sindromi da delezione;
- Sindrome XYY (doppio Y);
- Sindrome XXX (triplo X).
Cosa fare prima dell’esame?
Prima dell’amniocentesi è necessario svolgere alcuni esami preliminari, tra cui:
- Gruppo sanguigno AB0 e fattore Rh
- Transaminasi GOT e GPT
- Markers epatite
- Test HIV
- Mycoplasma hominis (solo soggetti con anamnesi positiva per PROM)
- Uraplasma (solo soggetti con anamnesi positiva per PROM)
- Clamydia (solo soggetti con anamnesi positiva per PROM)
- Tampone vaginale per germi comuni (solo soggetti con anamnesi positiva per PROM)
- Complesso TORCH
- Test di Coombs indiretto, se Rh-
- PCR per epatite B e C (solo soggetti con anticorpi positivi).
In alcuni centri è stata introdotta nella pratica una copertura antibiotica con Azitromicina o Trozocina al dosaggio di 500 mg 1 cp al giorno per 3 giorni prima della procedura (giorno del prelievo compreso). A tal fine ci si propone di ridurre sostanzialmente l’incidenza delle rotture del sacco che si associa in modo altamente significativo alla preesistenza di germi specifici e particolarmente del Mycoplasma. Nei casi in cui il mycoplasma non sia sensibile all’eritromicina, si può utilizzare la clindamicina. Indipendentemente dall’uso dell’antibiotico, che deve comunque associare al più ampio spettro di azione anche l’innocuità per il feto, si deve ricercare di ottenere una procedura garantita dalla minore incidenza possibile di amniotite. Si è infatti sempre più convinti che la rottura del sacco amniotico (PROM) determinata dall’amniocentesi o avvenuta spontaneamente, sia conseguente ad una infezione delle membrane.
Anticoagulanti
E’ bene sospendere per 24 ore l’uso di anticoagulanti perché tali farmaci potrebbero determinare la formazione di piccoli ematomi sull’addome materno. Chiedere comunque sempre al proprio medico prima di interrompere qualsiasi farmaco.
Dove si esegue?
L’esame si esegue ambulatorialmente.
Quanto dura?
L’esame, salvo complicanze, dura all’incirca 10 minuti.
Anestesia e dolore
L’esame non richiede alcun tipo di anestesia e non è doloroso, seppure sia considerato fastidioso dalla maggioranza delle pazienti. In alcuni casi può essere usata una sostanza che fornisce una lieve anestesia a livello della cute addominale.
Procedura
Di norma l’esame viene preceduto da una ecografia per rilevare la vitalità del nascituro, l’epoca di gestazione o eventuali gravidanze plurime. Successivamente:
- la paziente viene è stesa sul lettino in posizione supina (con la pancia in alto);
- la cute addominale viene disinfettata con una soluzione antisettica, per diminuire il rischio di infezioni;
- si effettua una puntura dell’addome con un sottile ago che viene inserito attraverso la parete addominale stessa e l’utero. L’amniocentesi attuale è “ecoassistita”, cioè l’ago viene inserito cercando di guidarne il percorso attraverso la contemporanea visualizzazione del suo tragitto mediante una sonda ecografica posta vicino all’ago;
- tramite l’ago si preleva il liquido amniotico (in genere 15 – 20 ml);
- il liquido amniotico raccolto viene inviato in laboratorio dove sarà poi analizzato;
- l’esame è terminato e la paziente in genere resta 30 minuti – un’ora in osservazione.
Dopo circa un’ora dal prelievo, può essere effettuata un’ecografia di controllo per verificare la presenza del battito cardiaco fetale.
Cosa fare al termine dell’esame?
Al termine dell’ecografia di controllo si può ritornare al proprio domicilio. E’ preferibile che la paziente non guidi al termine dell’esame, ma che sia invece accompagnata da altra persona. Si consiglia di stare a riposo completo per 12-24 ore. E’ importante evitare di sollevare pesi e/o effettuare sforzi per i 3-4 giorni successivi. Nel caso la paziente dovesse avvertire dolori addominali prolungati, immobilità completa del feto, la comparsa di febbre o perdite vaginali anomale, dovrebbe informare immediatamente il proprio medico curante.
Quanto materiale viene prelevato?
Come regola generale la quantità di liquido amniotico che viene prelevata è generalmente di 1 ml per settimana e cioè 16 -17 -18 ml rispettivamente alla 16ª, 17ª e 18ª settimana. In genere, salvi casi particolari, si prelevano 15 – 20 ml di liquido amniotico. Si consideri per rapporto che alla 14ª settimana in totale vi sono circa 100 ml di liquido amniotico ed alla 20ª settimana circa 500 ml.
In laboratorio
Una piccola parte del campione di liquido amniotico prelevato viene utilizzata per eseguire test biochimici diretti, mentre da un’altra parte del campione vengono isolate le cellule fetali poi coltivate per la valutazione del cariotipo.
Risposta
Alcuni centri eseguono la ibridazione fluorescente in situ (FISH) con la quale si può avere una risposta preliminare dopo solo 48 ore dall’esecuzione del prelievo, mentre la risposta definitiva si ottiene dopo circa 12 – 20 giorni in base al laboratorio di riferimento. Al momento attuale i centri più avanzati eseguono i test rapidi con un’analisi di siti specifici di cromosomi mediante reazione a catena della polimerasi (PCR).
Accuratezza della risposta
L’amniocentesi e la villocentesi riescono a riconoscere la presenza di anomalie genetiche in praticamente la totalità dei feti esaminati (circa il 99%).
Rischio di aborto
Il rischio di aborto nei centri specializzati si aggira oggi attorno allo 0,1%. Secondo alcuni autori, questo rischio è più alto e si aggirerebbe intorno allo 0.5% – 0.8%. Il rischio è legato essenzialmente all’esperienza di chi esegue la procedura. Vi è unanime consenso di ritenere che:
- esperienza dell’operatore,
- corretta tecnica utilizzata,
- uso della profilassi con azitromicina,
abbassino il rischio di aborto. La corionamnionite rappresenta una rara complicanza, piuttosto temibile che conduce ad aborto e, seppur molto raramente, può determinare gravi problemi per la madre. In tali casi al solo sospetto che si stia verificando tale eventualità bisogna non porre il minimo indugio al trattamento. Trattare con antibiotici a dosi generose ad ampio spettro i casi in cui il feto è ancora vitale e non differire assolutamente l’intervento di revisione della cavità uterina se il feto è morto. Ciò in considerazione delle temibilissime sequele che possono mettere a grave rischio anche la vita della madre. Come conseguenza di amniotiti parziali e guarite si possono, inoltre, creare delle bande amniotiche. La complicanza più temibile risulta comunque la rottura traumatica delle membrane. Tale evenienza accade con un’incidenza di circa 1 caso su 300 amniocentesi. Come detto in precedenza, ciò accade solo se l’amniocentesi è transamniotica (circa 1 volta su 150/200 amniocentesi transamniotiche). La temibilità di tale evenienza risiede nel fatto che conduce all’aborto in un caso su 3. Le rimanenti 2 gestazioni si complicano comunque con oligoidramnios, amniotiti, parto pretermine, e, più raramente, distacco intempestivo di placenta. Nei casi in cui ciò avvenisse, può essere indicato, oltre al riposo a letto ed alla terapia antibiotica e tocolitica, la collocazione di una coppetta cervicale, il più precocemente possibile, monitorizzando attentamente la possibile insorgenza di infezione endoamniotica.
Rischio di trasmissione di malattie infettive
L’amniocentesi, come tutte le indagini invasive materno fetali, presenta il rischio di trasmettere al feto malattie infettive in senso materno-fetale. Presenta inoltre la possibilità di mettere in contatto dal punto di vista antigenico i due compartimenti. Per il primo problema si deve, in linea di principio, evitare di eseguire esami invasivi in presenza di infezione materna in atto. Innanzitutto è buona norma evitare di eseguire il prelievo durante un episodio febbrile materno. Gli esami preliminari devono quindi escludere la presenza di un agente infettivo circolante.
Alternative all’amniocentesi
Esami alternativi e meno invasivi includono la ricerca di alcune sostanze nel sangue materno (alfa-fetoproteina, beta HCG ed estriolo nel tri test; PAPP-A e Free Beta HCG nel duo test) e poi ancora all’analisi di alcune caratteristiche anatomiche del feto (misurazione della translucenza nucale, analisi delle ossa nasali). Una tecnica che offre buoni risultati è il cosiddetto test combinato: si abbina il duo test con la traslucenza nucale. La sensibilità è dell’85%, i falsi positivi il 5%. Altra alternativa è il test integrato (duo test più translucenza nucale più quad test). È necessario però sapere che tutti questi screening, per quanto sempre più sensibili, non possono offrire una certezza diagnostica pari al 100%, ma solo esprimere una percentuale di rischio.
Amniocentesi o villocentesi?
Le due tecniche non devono venir confuse:
- l’amniocentesi consiste nel prelievo di liquido amniotico dalla cavità uterina mediante una puntura dell’addome con un ago che viene inserito attraverso la parete addominale stessa e l’utero; in questo liquido verranno isolate delle cellule provenienti dall’embrione sulle quali si possono effettuare degli esami per individuare la presenza di anomalie cromosomiche o genetiche. L’amniocentesi si effettua in genere tra la 16ª e la 18ª settimana o dopo la 25ª settimana;
- la villocentesi (o analisi dei villi coriali) consente – tramite una tecnica simile a quella dell’amniocentesi – di prelevare direttamente delle cellule dai villi coriali, anziché cercarle nel liquido amniotico. La villocentesi si effettua fra 10ª e la 13ª settimana di gravidanza, in alcuni casi anche nella nona settimana. La villocentesi può quindi essere effettuata fino a 6 o 7 settimane PRIMA dell’amniocentesi. Ciò è un vantaggio perché permette di avere una valutazione del rischio più precoce.
Entrambe le tecniche sono attualmente usate e sono ugualmente utili, tuttavia la diagnosi molecolare sui villi coriali sta sempre più soppiantando le ricerche tradizionali sul liquido amniotico e sul sangue fetale proprio in ragione della rapidità con cui si può ottenere il risultato citogenetico. Le cellule trofoblastiche possiedono, infatti, un alto indice di crescita mitotica e permettono di eseguire colture a lungo termine spesso molto rapide (soli 5-7 giorni), periodo inferiore rispetto alle colture degli amniociti. La possibilità inoltre di poter esaminare direttamente le cellule prelevate in mitosi spontanea rende i termini temporali riducibili a soli 2-3 giorni.
- Tramite amniocentesi si può avere una risposta preliminare dopo solo 48 ore dall’esecuzione del prelievo, mentre la risposta definitiva si ottiene dopo circa 12 – 20 giorni in base al laboratorio di riferimento.
- Tramite villocentesi la prima risposta diretta per quanto riguarda le malattie cromosomiche la si ottiene dopo solo 48 ore dall’esecuzione del prelievo. La risposta definitiva si ottiene dopo circa 12 – 15 giorni.
Tale maggior rapidità media della villocentesi è molto importante, visto che la donna incinta che ha un rischio elevato, e quindi una elevata possibilità di dover interrompere la gravidanza, richiede una diagnosi quanto più precoce possibile e la villocentesi risponde bene a tale requisito. Si tratta infatti della più precoce diagnosi prenatale ed inoltre, dal punto di vista strettamente laboratoristico, il poter disporre di una adeguata quantità di materiale di pertinenza fetale aiuta ulteriormente nell’abbreviare i tempi di diagnosi. Se si dovesse eseguire la stessa diagnosi sul liquido amniotico, si dovrebbe ricorrere ad una coltura cellulare preliminare che allungherebbe considerevolmente i tempi di analisi.
Si tratta in entrambi i casi di diagnosi praticamente infallibili, che lasciano poco spazio ad errori interpretativi se ben condotte da operatori esperti e su materiale puro. C’è però da ricordare che la villocentesi ha un rischio abortivo mediamente più elevato dell’amniocentesi: la villocentesi con prelievo transaddominale ha un rischio abortivo di circa l’1,8%. mentre l’amniocentesi ha un rischio abortivo di circa lo 0.1% (secondo alcuni autori è invece dello 0.8%).
La villocentesi tende a costare mediamente più di una amniocentesi.
Costi
Il prezzo medio di una amniocentesi nelle strutture private varia da 500 a 700 euro per l’amniocentesi tradizionale nella quale si ha soltanto l’esame citogenetico tradizionale con una risposta ottenibile in 15-20 giorni. Questo costo però può variare grandemente ed aumentare a seconda degli esami aggiuntivi che oggi, quasi abitudinariamente, vengono eseguiti sul liquido amniotico. Inoltre, in molti laboratori di genetica, si eseguono sul liquido amniotico anche metodiche di biologia molecolare quali la ibridazione fluorescente in situ (FISH) o, ancor meglio, la reazione a catena della polimerasi (PCR) che permettono di ottenere un risultato in tempi brevissimi (24 o 48 ore). Questo comporta costi aggiuntivi. Molto recentemente, per ragioni etiche, in alcuni centri si è iniziato ad includere, gratuitamente e di routine, lo screening delle malattie metaboliche, basato sulla rilevazione dei composti amminoacidici, e purinico-purimidinico, nel liquido amniotico. Nelle strutture pubbliche, per le donne con età di 35 anni o superiore, ovvero per i soggetti a rischio, l’esame è in genere gratuito a seconda delle disponibilità dei centri pubblici regionali.
Dopo la risposta
Per esperienza, molte coppie affrontano tutti i rischi connessi all’esecuzione dell’amniocentesi o della villocentesi senza prendere neanche in considerazione, nel loro profondo, la possibilità di ricevere una risposta positiva, cioè che una risposta che indichi che effettivamente nel feto è altissimo il rischio che sia presente una malattia grave ed invalidante. Se questa sfortunata risposta arriva si scopre che non sono pronti a decidere se interrompere o continuare la gravidanza. D’altra parte – usando la logica – che senso ha affrontare i rischi abortivi di una amniocentesi o di una villocentesi (rispettivamente dello 0.1% e dell’1.8% circa) se poi si sceglie di non intervenire? Forse queste domande sarebbe meglio porsele prima, sapendo che sono interrogativi che coinvolgono e sconvolgono nel profondo, che riguardano la nostra personale morale e il proprio senso della vita: ha senso vivere una vita da “diverso”? Sono capace io genitore di sostenere la vita di un figlio Down o Turner oppure uno con profonde disabilità? Il feto per me è considerabile una vita o no? Ovviamente non esistono domane e soprattutto risposte che non siano assolutamente personali e tutte comprensibili, tuttavia – a nostro personale avviso – sarebbe importante analizzarle prima di effettuare un’amniocentesi o una villocentesi.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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