Con “morte cerebrale” (in lingua inglese “brain death”) si descrive una condizione in cui il cervello del paziente, più precisamente il suo tronco encefalico, smette di svolgere qualsiasi attività: in questo stato la perdita di coscienza è definitiva, così come la risposta a qualsiasi stimolo esterno. Anche se il paziente in stato di morte cerebrale può apparire ai famigliari ed amici come ancora vivo, come se fosse addormentato o in coma, in realtà è da considerarsi clinicamente morto: l’unico motivo che gli impedisce di morire “fisicamente” è il fatto di essere collegato al macchinari per la respirazione artificiale. Per meglio comprendere tale condizione è necessario ricordare che il tronco encefalico (o cerebrale) è una parte del sistema nervoso centrale (SNC) posto superiormente al midollo spinale ed è formato da tre parti: mesencefalo, ponte di Varolio e midollo allungato (o “bulbo”). Il tronco encefalico svolge innumerevoli funzioni necessarie alla vita, è infatti sede di strutture indispensabili per la regolazione di:
- respirazione;
- battito cardiaco;
- deglutizione;
- regolazione della pressione sanguigna.
Se questi centri vengono direttamente danneggiati – ad esempio nei traumi che coinvolgono la testa e la colonna vertebrale cervicale, volgarmente chiamati “rottura del collo” – le conseguenze sono sempre di estrema gravità al punto di condurre il paziente alla morte cerebrale.
Diagnosi
La diagnosi di morte cerebrale viene raggiunta nel momento in cui il paziente:
- non reagisce ad alcuno stimolo esterno, neanche a quello doloroso;
- è incosciente;
- respira solo ed esclusivamente grazie al respiratore artificiale;
- ha segni di un danno cerebrale grave ed irreparabile che determina impossibilità di recupero.
I test per raggiungere la diagnosi sono svolti due volte distinte da tre medici specialisti:
- medico legale (o un medico di direzione sanitaria o un anatomopatologo;;
- neurologo (o neurofisiopatologo o un neurochirurgo);
- anestesista rianimatore.
Il consiglio medico formatosi NON deve essere coinvolto nel successivo eventuale trapianto d’organi. Il consiglio esamina il paziente per due volte (all’inizio e al termine) in un intervallo di tempo prestabilito di sei ore (e non prima di 24 ore in caso di insulto anossico). I tre medici devono soprattutto escludere patologie che determinano sintomi simili ma sono reversibili, come:
- overdose di droghe, farmaci o altre sostanze tossiche;
- ipotermia grave;
- malattie metaboliche gravi come diabete in fase avanzato e cirrosi epatica.
Quali test effettuano i tre medici?
I test principali svolti dai tre specialisti hanno l’obiettivo di valutare i riflessi del tronco cerebrale, sono:
- illuminazione degli occhi alla ricerca del riflesso pupillare, cioè della contrazione (miosi) della pupilla alla luce (in caso di morte cerebrale, non vi è riflesso e la pupilla rimane in midriasi, cioè dilatata);
- stimolazione del riflesso corneale, toccando l’occhio con una garza (in caso di morte cerebrale, non vi è riflesso);
- compressione di fronte, naso, sterno o altre zone del corpo per stimolare una reazione al dolore (in caso di morte cerebrale, non vi è reazione);
- inserimento di acqua fredda nell’orecchio per stimolare il movimento riflesso degli occhi (in caso di morte cerebrale, non vi è riflesso);
- movimento rapido della testa del paziente a destra e sinistra: in caso di morte cerebrale gli occhi del paziente rimangono fissi nella direzione del capo (“occhi di bambola”);
- inserimento di un tubicino di plastica nella trachea per provocare il riflesso faringeo (tosse e/o vomito). In caso di morte cerebrale, non vi è riflesso;
- interruzione temporanea breve della respirazione artificiale, per osservare se il paziente riprende a respirare autonomamente (in caso di morte cerebrale, non vi è ripresa della respirazione autonoma). Questo è generalmente l’ultimo test della batteria.
Altri test sono:
- elettroencefalogramma (EEG) della durata di 30 minuti con il paziente libero da effetti farmacologici che influiscano sullo stato di coscienza (barbiturici o benzodiazepine) né alterazioni della temperatura o della pressione sanguigna). Il tracciato mostra “silenzio elettrico”;
- test di apnea con paziente libero da farmaci in grado di deprimere la respirazione (oppioidi o curari). Per dichiarare la assenza di minima funzionalità respiratoria autonoma la pressione di pCO2 deve salire oltre i 60 mm di Hg, e l’acidità del plasma sanguigno deve salire (il pH scende al di sotto di 7,40).
In caso di bambini di età inferiore ad un anno, o quando non siano valutabili i riflessi del tronco cerebrale (ad esempio per gravi traumi facciali), oppure l’EEG non sia affidabile per la presenza di artefatti non eliminabili, la legge richiede anche una valutazione del flusso ematico cerebrale tramite ecografia doppler o arteriografia o doppler transcranico o angioscintigrafia o tomografia computerizzata con mezzo di contrasto. Il flusso ematico normale è pari a 55 ml/minuto per ogni 100 g di massa cerebrale (in media 2500 grammi). Sotto i 15-20 ml/min si va verso il silenzio elettrico corticale.
Movimenti di arti e tronco
Durante l’esecuzione dei test precedentemente elencati, il paziente potrebbe muovere gli arti e/o il tronco, tuttavia questi movimenti non sono collegati al tronco encefalico, bensì al midollo spinale che potrebbe essere ancora funzionante. Ciò significa che un paziente che non risponda ad alcun test, ma che abbia movimenti di tronco e arti, viene comunque considerato cerebralmente molto.
Elettroencefalogramma e morte cerebrale
L’elettroencefalogramma (EEG) non è strettamente necessario per decretare la morte cerebrale, ciò perché, nonostante appaia “piatto” (“silenzio elettrico” ad indicare l’assenza di attività elettrica nel cervello) nel paziente cerebralmente morto, un EEG piatto non significa sempre e necessariamente morte cerebrale, in quanto può verificarsi anche in patologie reversibili, come stati di profonda ipotermia (sotto i 32°), di intossicazione da farmaci sedativo-ipnotici e immediatamente dopo un arresto cardiaco.
IMPORTANTE: Il fatto che l’elettroencefalogramma sia piatto NON significa necessariamente morte del paziente: alcuni pazienti con elettroencefalogramma piatto possono quindi tornare perfettamente coscienti, se viene loro somministrata rapidamente la giusta terapia.
NOTA: Si presume che la cessazione permanente dell’attività elettrica cerebrale segni la fine della coscienza: coloro che sostengono che la sola neocorteccia del cervello sia la responsabile della coscienza ipotizzano che si dovrebbe considerare la sola attività elettrica di quest’ultima per stabilire la morte, ma ciò non è valido nella maggior parte dei Paesi, tra cui l’Italia, dove oltre all’assenza dell’attività elettrica, sono necessari l’assenza dei riflessi del tronco e dell’attività respiratoria spontanea, per Decreto ministeriale dell’11 aprile 2008.
Quanto dura l’osservazione?
Prima di decretare la morte cerebrale, il paziente rimane a lungo in osservazione. La durata dell’osservazione del paziente, varia in funzione della sua età:
- 6 ore nel caso di adulti e bambini sopra i 5 anni;
- 12 ore nel caso di bambini da 1 a 5 anni;
- 24 ore nel caso di neonati sotto 1 anno.
Per approfondire, leggi: Morte cerebrale: diagnosi, sintomi, risveglio, durata, si può guarire?
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