Teoria dell’attaccamento e John Bowlby: la tendenza innata al legame tra figli e genitori

MEDICINA ONLINE NEONATO BAMBINO BIMBO GENITORE PAPA PADRE FIGLIO DORMIRE SONNO LETTO NOTTE MATERASSO CUSCINO DONNA SLEEP APNEA OSTRUTTIVA RESPIRARE BITE DENTI RUMORE CERVELLO RIPOSO STRESS SVEGLIA OROLOGIO MELATONINA INTEGRAd una riunione mondana diversi anni fa, quando ancora non ero io stesso genitore, incontrai due giovani amici con il loro figlio di 4 mesi. Il bambino riusciva facilmente ad attirare l’attenzione di tutto il gruppo di amici: si guardava attorno, di quando in quando sorrideva, sgambettava, scuoteva un sonaglino e, ogni tanto, piangeva. Con questi semplici comportamenti era riuscito a radunare attorno a sé tutti gli adulti della stanza, i quali cercavano di fare del loro meglio per ottenere da lui un sorriso.
Anch’io mi lasciai sedurre dal suo fascino, esibii tutto il mio repertorio adatto a giocare con i bambini piccoli, sollevavo le sopracciglia, facevo larghi sorrisi, chiamavo il suo nome, gli facevo il solletico a una guancia o ai piedini e facevo schioccare la lingua. La mia ricompensa fu un piccolissimo sorriso e un breve sguardo. I genitori del bimbo, dopo quattro mesi di pratica, erano molto più abili di me in questo gioco: entrambi riuscivano a ottenere un sorriso in pochi secondi ed a placare il suo pianto con facilità. I genitori erano molto più abili di me sia perché in quel momento io non ero ancora padre di mio figlio, mentre loro erano già genitori da quattro mesi, sia perché avevano sviluppato una intimità che nessun altro individuo al mondo avrebbe mai potuto sviluppare col bambino. In quella situazione notai tutte le abilità sociali di quel bimbo: la sua capacità di attrarre l’attenzione e quanto genitori e figlio avessero già appreso reciprocamente e interpretassero con facilità una specie di «danza» dell’interazione. Il bambino in questa interazione porta le sue innate ed emergenti abilità fisiche e cognitive (ad esempio sorridere, guardarsi attorno con curiosità, piangere…) ed i genitori portano le loro abilità e qualità personali, oltre alle loro istintive risposte al figlio (cullarlo, parlargli, guardarlo negli occhi, dargli da mangiare…), cioè tutte cose che avevano cementato nei mesi quella intimità che, in pedagogia, prende il nome di “comportamenti di attaccamento”.

Teoria dell’attaccamento, John Bowlby e Mary Ainsworth

La teoria dell’attaccamento e in particolare il lavoro del celebre psicologo, medico e psicoanalista britannico John Bowlby (Londra, 26 febbraio 1907 – Isola di Skye, 2 settembre 1990), hanno rappresentato e rappresentano ancor oggi l’influenza teorica più efficace nelle ricerche attuali sui rapporti tra bambino e genitori. Le idee di Bowlby hanno le radici nel pensiero psicoanalitico, specialmente per quanto riguarda l’enfasi data al significato dei primi rapporti tra madre e figlio, ma vi ha aggiunto importanti concetti evolutivi e etologici. Secondo il suo punto di vista, i bambini nascono con una tendenza innata a creare forti legami emotivi con le persone che si prendono cura di loro (generalmente i genitori). Tali rapporti sono utili alla sopravvivenza perché procurano cure e attenzioni al bambino, cure ed attenzioni che sarebbero probabilmente minori se il bambino non spingesse i genitori ad amarlo. I legami emotivi sono costruiti e mantenuti da un repertorio interdipendente di comportamenti istintivi che creano e sostengono la vicinanza tra genitore e figlio o tra altre coppie legate affettivamente. Negli scritti di Bowlby e in quelli ugualmente influenti della psicologa canadese sua allieva Mary Ainsworth (1913 – 1999), ci sono alcuni concetti chiave:

  • legame affettivo;
  • attaccamento;
  • comportamenti di attaccamento.

Ainsworth definisce il legame affettivo come «un vincolo abbastanza duraturo in cui il partner è importante come fosse un individuo unico e non è sostituibile con nessun altro. In un legame affettivo c’è il desiderio di mantenere l’intimità con il partner». L’attaccamento è una sottovarietà del legame emotivo nel quale il senso di sicurezza di una persona dipende completamente dal rapporto. Quando siamo attaccati, sentiamo (o ci aspettiamo di sentire) uno speciale senso di sicurezza e di conforto alla presenza dell’altro e possiamo usare l’altro come «base sicura» dalla quale esplorare il resto del mondo. In questi termini, il rapporto del bambino con il genitore è un attaccamento, ma il rapporto del genitore con il figlio no, in quanto è presumibile che il genitore non senta un maggiore senso di sicurezza alla presenza del bambino o non usi il figlio come base sicura, mentre il rapporto di un adulto con un amico molto intimo o con un partner adulto è tipicamente un attaccamento nel senso in cui Ainsworth e Bowlby intendono il termine.

Comportamenti di attaccamento

Poiché il legame affettivo e l’attaccamento sono stati interni, e non possono essere osservati direttamente, è possibile dedurre la loro esistenza osservando i comportamenti di attaccamento, che sono quei comportamenti che permettono a un bambino o a un adulto di raggiungere e mantenere la vicinanza con qualcuno a cui sono attaccati. Questi comportamenti comprendono il sorridere, lo stabilire contatti con lo sguardo, il chiamare ad alta voce l’altra persona quando è dall’altra parte di una stanza, il toccare, l’aggrapparsi e il piangere. È importante chiarire che non c’è alcuna corrispondenza biunivoca tra il numero dei diversi comportamenti di attaccamento manifestati da un bambino (o da un adulto) in qualsiasi occasione e la forza dell’ attaccamento che ne sta alla base. I comportamenti di attaccamento si rivelano principalmente quando l’individuo ha bisogno di cure, di sostegno o di conforto e un bambino è in tale stato di necessità gran parte del tempo tanto più quanto è piccolo. Il bambino si attaccherà ai genitori tanto più essi riusciranno a coprire tale bisogno. I bambini più grandi, o gli adulti, mostreranno probabilmente comportamenti di attaccamento soltanto quando saranno impauriti o stanchi o in altre situazioni stressanti. È il modello di questi comportamenti, non la frequenza, che ci dice qualcosa sulla forza o sulla qualità dell’attaccamento o del legame affettivo.

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