Attaccamento: legame genitori e figli, comportamenti interdipendenti, rapporto padre/bambino

MEDICINA ONLINE COMPLESSO DI EDIPO BAMBINO BIMBO MASCHIO FIGLIO MADRE MASCHIETTO AMORE SIGMUND FREUD FASE ORALE ANALE FALLICA FAMIGLIA PADRE UOMO DONNA PSICOLOGIA PEDAGOGIA SCUOLA MENTEIl processo di attaccamento è a doppio senso. Sia il bambino che i genitori svilup-
pano legami reciproci e noi dobbiamo comprendere entrambi i processi.
Cominciamo dai genitori .

Il legame dei genitori con i figli

Vi sarà certamente capitato di leggere, specialmente sulla stampa popolare, qualche articolo che dichiara che le madri (o i padri) devono avere un contatto immediato con il loro bambino appena nato, una sorta di “imprinting“, se vogliono instaurare con lui un legame corretto. Questa convinzione si è basata principalmente sull’ipotesi che le prime ore dopo la nascita sono un «periodo critico» per lo sviluppo di un legame della madre con il proprio bambino. Le madri a cui è impedito di avere un contatto immediato formano probabilmente legami più deboli e sono più a rischio per una serie di problemi relativi all’educazione dei figli. Questa ipotesi è uno dei molti fattori che hanno portato a cambiamenti significativi nelle abitudini del parto, compresa la ormai normale presenza del padre, ma sembra che oggi il contatto immediato non risulti essere né necessario né sufficiente per la formazione di un legame affettivo stabile e duraturo tra i genitori e il bambino.

Sincronia e comportamenti di attaccamento interdipendenti

Perché i genitori stabiliscano un legame con il figlio, è molto più importante che
entrambi abbiano l’opportunità di sviluppare uno schema di comportamenti di
attaccamento, reciproci e interdipendenti. Il bambino segnala i suoi bisogni piangendo o sorridendo, risponde all’abbraccio calmandosi o mettendosi in posizione
rilassata e guarda i genitori quando essi lo guardano. I genitori, a loro volta, partecipano a questa “danza” con il loro repertorio di comportamenti (forse istintivi) che
manifestano prendendosi cura del bambino: lo prendono in braccio quando piange, rispondono ai suoi segnali di fame o di altre necessità, gli sorridono quando sorride, lo guardano fisso negli occhi quando li guarda. Alcuni ricercatori hanno descritto questo processo come lo sviluppo della sincronia.
Una delle cose più interessanti di questo processo è che sappiamo tutti come comportarci in questa danza particolare e lo facciamo in maniera molto simile. Alla presenza di un bambino piccolo, la maggior parte degli adulti -anche di nazionalità e culture molto diverse – mostrerà automaticamente uno schema fisso e caratteristico di comportamenti interattivi, come sorridere, alzare le sopracciglia, spalancare gli occhi e utilizzare particolari intonazioni di voce. Tuttavia, pur potendo interpretare tutti questi comportamenti di attaccamento con molti bambini, noi non instauriamo un legame con ogni bambino con cui «scherziamo» nel negozio del droghiere. Per gli adulti, l’elemento importante per la formazione di un legame sembra essere l’opportunità di sviluppare una reale reciprocità o sincronismo – praticare la danza finché i partner non rispondono l’uno all’altro con facilità e con piacere. In questo processo, che richiede tempo e molte prove, alcuni genitori (e bambini) diventano più abili di altri e, generalmente, più facile e prevedibile diventa, più i genitori provano soddisfazione e il loro legame con il figlio si rafforza. Per instaurare un legame forte con il bambino, questa seconda fase risulta essere molto più importante dell’immediato contatto al momento della nascita. Anche questo processo, però, può fallire con conseguenze anche drammatiche (ad esempio maltrattamenti sui bambini).

I legami padre/bambino

La maggior parte delle ricerche sui neonati storicamente ha avuto come oggetto di studio le madri, tuttavia molti degli stessi principi restano validi anche per i padri. Il legame di padre e bambino è in genere tanto più forte quanto più il primo si prende cura del secondo: genitori maschi che vengono coinvolti nella cura giornaliera del figlio (ad esempio cambiare il pannolino o dare da mangiare), ottengono lo ricompensa di un attaccamento più forte da parte del bambino, rispetto a quelli che non vengono coinvolti in tale cura. Il legame del padre, come quello della madre, risulta dipendere più dallo sviluppo della reciprocità, che dall’immediato contatto dopo la nascita. Favorendo lo sviluppo di tale reciprocità i padri dimostrano di avere lo stesso repertorio di comportamenti di attaccamento delle madri, infatti, durante le prime settimane di vita del bambino, lo toccano, gli parlano e lo cullano allo stesso modo della madre.
Ma trascorse queste prime settimane, nei rapporti dei genitori con i figli, osserviamo i segnali di una sorta di specializzazione dei comportamenti. I padri trascorrono più tempo giocando con il bambino e i loro giochi sono più rumorosi e di tipo
fisico (ad esempio correre, “fare a botte”), mentre le madri trascorrono più tempo accudendolo, gli parlano e gli sorridono di più, inoltre i loro giochi sono mediamente più di tipo intellettuale (ad esempio disegnare o guardare insieme un libro di illustrazioni). Questo non significa che i padri abbiano un legame affettivo più debole con il bambino, ma che i comportamenti di attaccamento che manifestano sono generalmente diversi da quelli che mostrano le madri. Ancora non sappiamo se tali differenze nei comportamenti dei genitori siano conseguenze delle definizioni dei ruoli su base culturale o se siano differenze istintive o innate: probabilmente entrambi i fattori sono presenti contemporaneamente.

Lo sviluppo dell’attaccamento del bambino verso i genitori

Come il legame genitore-figlio, anche l’attaccamento del bambino emerge gradualmente. Secondo lo psicologo, medico e psicoanalista britannico John Bowlby (Londra, 26 febbraio 1907 – Isola di Skye, 2 settembre 1990), i bambini nascono con una serie di modelli innati di comportamento che li orientano verso gli altri e segnalano i loro bisogni. La psicologa canadese Mary Ainsworth, allieva di Bowlby, li definisce comportamenti che «promuovono la vicinanza», che guidano, cioè, le persone a stare più vicine. Come sapete, i neonati piangono, stabiliscono contatti con lo sguardo, si aggrappano, si fanno coccolare e rispondono alle premure di cui sono oggetto placandosi. Ma all’inizio, come afferma Ainsworth, «questi comportamenti di attaccamento vengono semplicemente espressi, anziché essere diretti verso una persona specifica».
A 3 mesi il bambino inizia a orientare i suoi comportamenti di attaccamento in
modo un po’ più circoscritto e diretto più in esclusiva ad alcuni: egli sorride con maggiore sollecitudine alle persone che si curano regolarmente di lui che agli estranei ma, nonostante il cambiamento, l’attaccamento non è ancora in atto. Nei comportamenti del bambino che «promuovono la vicinanza», vi sono ancora diverse persone preferite e nessuna che, secondo Bowlby, sia diventata la «base sicura»: soltanto a 6 mesi circa il bambino dimostra, infatti, un vero attaccamento. In questo periodo, il bambino cambia la modalità predominante del comportamento di attaccamento e passa dall’uso prevalente di segnali del tipo «vieni qui» (quelli che promuovono la vicinanza) a ciò che Ainsworth chiama la «ricerca della vicinanza», ovvero i comportamenti del tipo
«vado là». Poiché a 6-7 mesi è in grado di spostarsi più liberamente strisciando e andando carponi, il bambino può andare verso la persona che lo accudisce e anche attrarla verso di lui. Inoltre, a questa età, il bambino utilizza la «persona più importante» come base sicura da cui esplorare il mondo che lo circonda – uno dei segnali importanti che ci fa capire che esiste un attaccamento. Dovrei far notare, a questo punto, che non tutti i bambini hanno un’ unica figura di attaccamento, neanche in questo periodo iniziale. È possibile che alcuni manifestino un forte attaccamento nei confronti di entrambi i genitori oppure di un genitore e di un’altra persona che lo accudisce, ad esempio una baby-sitter o un nonno, ma anche questi bambini, quando sono sotto stress, tra tutte le persone a cui sono attaccati, mostrano generalmente di preferirne soprattutto una.

La paura nei confronti degli estranei e le proteste per la separazione

Paura nei confronti degli estranei e proteste per la separazione sono due forme di angoscia insolite prima dei 5-6 mesi ed aumentano di frequenza fino ai 12-16 mesi circa per poi calare gradatamente. I risultati delle ricerche non sono del tutto costanti, ma pare che normalmente compaia prima la paura per gli estranei, mentre l’ansia per la separazione inizia un po’ più tardi, ma continua a manifestarsi per un periodo più lungo. Questo incremento della paura e dell’ ansia è stato osservato in bambini appartenenti a differenti culture e, negli Stati Uniti, sia in quelli cresciuti a casa che in un nido, e tutto questo fa pensare che alla radice di questo schema ci siano dei programmi di sviluppo cognitivo di base o altri relativi all’età; ma mentre i tempi generali di questi due fenomeni possono essere praticamente comuni a tutti i bambini, l’intensità della reazione di paura non lo è. I bambini differiscono molto nella quantità di paura che mostrano verso gli estranei o verso situazioni nuove. Alcune di queste differenze possono riflettere fondamentali variazioni di temperamento, un argomento che prenderò in considerazione fra un momento. L’elevata paura può anche essere una risposta ad uno sconvolgimento recente o a una situazione stressante nella vita del bambino, come un trasloco, un divorzio, la morte di un nonno o il cambiamento di lavoro di un genitore. Qualunque sia l’origine di tali variazioni della paura, lo schema può scomparire col tempo praticamente in tutti i bambini, generalmente a metà del secondo anno.
A partire dai 7-8 mesi, quando si osservano per la prima volta forti attaccamenti, i bambini preferiscono il padre o la madre a un estraneo. Infatti, quando il padre e la madre sono presenti, il bambino sorriderà o si avvicinerà a entrambi o a uno dei due, ad eccezione, però, di quando è impaurito o sotto stress, situazioni in cui, specialmente tra gli 8 e i 24 mesi, si rivolge generalmente alla madre anziché al padre. Come è presumibile, la forza dell’ attaccamento del bambino al padre, a questa età, è legata alla quantità di tempo che il padre ha trascorso con il figlio.

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