Forse siete qui perché avete appena visto il film di Martin Scorsese “The Wolf of Wall Street”, dove se ne parla nelle prime scene del film: mi riferisco al “lunedì nero“, il più grave crollo economico della storia dell’economia mondiale, un tipico cigno nero, cioè un evento inaspettato che cambia il mondo.
Tutto iniziò lunedì 19 ottobre 1987. Quella storica mattina molti operatori raccontarono di essere andati a lavorare con una strana sensazione di disagio, perché il venerdì precedente l’indice dei titoli industriali, il Dow Jones, era sceso di 108.35 punti.
Il primo mercato ad aprire dopo il weekend era stata la Borsa australiana di Melbourne. I prezzi furono messi sotto pressione fin dall’inizio, registrando grandi perdite. Anche a Tokio la Borsa aveva aperto più bassa, chiudendo tuttavia con una perdita limitata del 2,5%. Ma a Hong Kong non ci fu moderazione. In una febbrile attività di compravendita l’indice azionario perse l’11%, raggiunto il quale la Borsa sospese gli scambi per eccesso di ribasso per tutta la settimana. Lo scenario fu lo stesso a Singapore.
In vista di questi eventi le borse europee aprirono sotto la minaccia di una tempesta. A Londra e a Zurigo gli indici scesero dell’11% a Francoforte e a Parigi, Stoccolma e Copenhagen del 6% con pesanti vendite su tutti i comparti e in un’atmosfera da differenti livelli di panico collettivo. Prima della chiusura delle borse europee, le principali società finanziarie americane avevano iniziato le consuete riunioni della mattina per fare il punto sui mercati. Una era la Merrill Lynch, il cui analista capo, Robert J. Farrell, annunciò che era estremamente pessimista. “Una caduta di 200 punti” non sarebbe stata impossibile. Anche il presidente della Kidder, Peabody &Co., Max C. Chapman Jr. aveva visto le sue preoccupazioni aumentare nel weekend e quel lunedì mattina avvertì i suoi collaboratori che avrebbero dovuto affrontare una giornata difficile. E quando gli operatori arrivarono in ufficio in una terza società di intermediazione, la Donaldson, Lufkin & Jenrette, furono sorpresi nello scoprire che il consiglio d’amministrazione aveva assunto delle guardie armate per proteggersi dai clienti infuriati. La ramanzina del presidente, che si concludeva con queste parole: “Cerchiamo di ragionare a mente fredda e forse riusciremo a sopravvivere a questa situazione”, non risollevò certo il morale. Poi suonò il gong e iniziarono gli scambi.
Quando i primi prezzi iniziarono a scorrere sugli schermi dei computer l’indice industriale era a 2180 punti, 67 punti in meno rispetto al livello del venerdì precedente. Cinquanta milioni di azioni furono scambiate già nei primi 30 minuti dopo l’apertura. Poi i prezzi iniziarono a scendere lentamente e inesorabilmente, mentre gli scambi raggiunsero un livello mai registrato prima. Ogni minuto tre milioni di azioni cambiavano mani. Dopo un’ora, 140 milioni di azioni erano state scambiate e l’indice era sceso ulteriormente a 2145. Poi iniziò il vero collasso. Un operatore urlò “Stiamo affondando”, le linee telefoniche diventarono incandescenti e i computer non riuscivano più a tenere il passo, erano sempre più indietro rispetto agli scambi, riportando alla fine i prezzi delle azioni con mezz’ora di ritardo. La causa principale era stato il computer trading, allora molto diffuso. Un esercito di computer, programmati per tenere allineati i prezzi delle azioni con quelli dei future, iniziò a immettere sul mercato un flusso infinito di stop-order, dato che in quel momento i prezzi dei future erano inferiori del 20% a quello delle azioni sottostanti. Il mercato scese inesorabilmente, minuto dopo minuto, e nessuno aveva la minima idea di quanto sarebbe successo ancora. Alla Shearson Lehman gli operatori misero sulle loro scrivanie un cartello su cui c’era scritto: “Alle scialuppe di salvataggio!”
Quando finalmente arrivarono le 4 e suonò il gong di chiusura, si sentì l’urlo disperato di un operatore: “Questa è la fine del mondo!” Poi venne la quiete. Nel corso di sette ore l’indice azionario americano era sceso del 23% raggiungendo 1739 punti, con un volume record di 604 milioni di azioni.
Ma le borse non dormono a lungo. Un paio di ore dopo che la Borsa della West Coast aveva chiuso, aprì la Borsa di Tokio, in un evidente stato di shock. Nella prima mezz’ora di scambi 247 dei 250 principali titoli furono sospesi e gli altri vennero scambiati a prezzi che colavano a picco, chiudendo con una caduta del 15%.
Il martedì il mostro si scatenò anche in Europa. A Londra l’indice crollò del 12% e a Parigi il mercato aprì con un tonfo del 10%, raggiunto il quale i sistemi informatici della Borsa crollarono e gli scambi furono in parte sospesi. A Piazza Affari ci fu una caduta dei prezzi del 10% dall’inizio degli scambi. Poi diversi titoli guida furono sospesi. In Spagna cercarono di gestire la situazione con i titoli principali, ma alla fine sospesero tutti i titoli guida. L’Europa era capitolata e l’unica speranza era che gli Usa rompessero il circolo vizioso.
Quando New York aprì alle 15.30 (orario europeo), non sembrava che questo potesse accadere. Fin dall’apertura i prezzi fluttuarono selvaggiamente, e presto fu presa la decisione di sospendere gli scambi di quasi 90 titoli. Ma non appena il presidente della Borsa dichiarò la completa disfatta e una chiusura di tutta la Borsa, iniziò un rally frenetico e l’indice chiuse a 1841,01, il 6% in più del livello del giorno precedente.
Il mercoledì mattina era tutto finito. In tutto il mondo gli operatori iniziarono a lavorare in un mercato positivo, in cui tutto era come prima. Così improvvisamente come il mostro era apparso, scomparve di nuovo. Dopo i due giorni più strani della Borsa iniziò una fase di grandi guadagni e si diffuse una strana sensazione attraverso i mercati, in cui tutti facevano la stessa domanda: “Che cosa è successo?”.
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