Donnie Darko (2001): trama, recensione e spiegazione del film

MEDICINA ONLINE Donnie Darko film Richard Kelly Jake Gyllenhaal, Noah Wyle Drew Barrymore Patrick Swayze Holmes Osborne Drammatico, durata 108 min. - USA 2001 WALLPAPER HI RES PICTURE MOVIE PHOTODonnie Darko un film di Richard Kelly. Con Jake Gyllenhaal, Noah Wyle, Drew Barrymore, Patrick Swayze, Holmes Osborne. Drammatico, durata 108 min. – USA 2001

Trama senza spoiler

È il 2 ottobre 1988 e il motore di un aereo precipita sulla camera di Donnie, da allora la vita del ragazzo non sarà più la stessa: inizia a vedere Frank, il coniglio che lo ha salvato da morte certa, ma che gli ha anche vaticinato la fine del mondo. 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi, questo è il tempo che rimane per cercare di bloccare la profezia.

Recenzione

Questo film può non piacere a tutti, ma – se sei una di quelle persone a cui piace – probabilmente non ti piace soltanto: lo ami. Lo ami e lo avrai visto tante e tante volte ed in ogni volta forse ti sembra di aver colto qualcosa e di aver capito qualcosa che non eri mai riuscito a capire prima. Alla mia forse quindicesima visione del film pensai questa cosa:

Se Dio esiste, è nascosto da qualche parte in questo film.

Si, a chiunque questa può sembrare semplicemente una affermazione un po’ bizzarra, ma per me è valida ancora oggi, a distanza di anni. Donnie Darko è un mistero che nessuno può cogliere a pieno. Ha una storia davvero travagliata. Uscì nelle sale dopo gli attentati alle Twin Towers dell’11 settembre e sparì ben presto dalla circolazione, anche a causa della scena in cui è coinvolto un aereo che perde un reattore. Ma il passaparola ha fatto resuscitare questo film, che ormai conta stuoli di aficionados… Lo stato di cult di cui gode Donnie Darko è dovuto al fatto che molti giovani si sono riconosciuti nel personaggio principale. E’ il medesimo flash autoterapeutico che ha reso immortali James Dean, Il giovane Holden e Arancia Meccanica. Per un adolescente, certo, non è difficile sentirsi vicino a Donnie: in fondo il ragazzo è sì “matto”, ma appare come un matto abbastanza innocuo – oltre che quasi casto. La sua ribellione, a fronte di genitori che riescono ad esserci simpatici nonostante un modo di vivere ordinario e borghese e che dimostrano di amare i loro figli, nasce dallo scombussolamento interiore e non da una riflessione metafisica e/o sul sociale.
Alcuni critici stranamente ritengono Donnie Darko un film che mostra la protesta giovanile contro il sistema scolastico e, più in generale, contro gli adulti, ma in realtà tale presunta rivolta si limita ai soliti gesti di bullismo in classe e nel cortile scolastico, oltre che alle atroci – e sterili – mascherate di Halloween. Insomma, il telaio portante è apparentemente quello di un film sui teenagers. Viene tracciata anche una originale storia d’amore e il rischio latente era quello di creare un’ennesima fiaba moderna, imperdonabilmente stupida per via di un romanticismo sciatto e rimasticato da ragazzini stelle-e-strisce; per fortuna però Richard Kelly ha voluto rendere omaggio a Philip K. Dick e il film, dopo essere scivolato sul paludoso sentiero dell’horror (tramite le allucinazioni del protagonista borderline), si risolve in un bel rebus fantascientifico. E’ proprio la struttura narrativa ad affascinarci maggiormente. Anche se è individuabile una storyline o trama che dir si voglia, Kelly mima le acrobazie fabulanti di un Kurt Vonnegut e la vicenda finisce per rivelarsi un serpente che si mangia la coda o, per usare un termine matematico, un nastro di Möbius. Non può essere altrimenti, d’altronde, quando viene affrontato il tema dei viaggi temporali, i quali, come si sa, comportano uno o più paradossi, costringendo perciò gli scrittori a inventarsi una logica alternativa.

A questo proposito, abbiamo il sospetto che l’autore (e regista) di Donnie Darko abbia attinto da un altro maestro della fantascienza, ovvero da Murray Leinster (vedi soprattutto la “trovata” dell’Universo Tangente), che di viaggi e paradossi temporali fu uno dei primi specialisti, tanto da fondare su di essi la propria carriera scribatoria.

La recitazione di Jake Gyllenhaal è indimenticabile. Come già successe per Anthony Perkins in Psycho, Jake “è” Donnie Darko. Impossibile ormai per chiunque immaginarsi qualcun altro nello stesso ruolo. La sua addirittura non è nemmeno più un’interpretazione nel senso di “abile prestazione istrionica”, bensì una vera e propria incarnazione.

A Donnie/Jake appare un inquietante coniglio che è il capovolgimento orrifico di Harvey, la creatura che accompagna il docile matto James Stew. Ricordate? Il titolo di quella pellicola in bianco-e-nero è proprio Harvey. Là il protagonista, Elwood, alias James Stewart, è quasi uno stinco di santo e, sebbene gli manchi qualche rotella, non è privo di una certa saggezza filosofica. Ecco uno dei suoi monologhi:

Harvey e io sediamo nei bar… prendiamo un bicchierino o due, facciamo suonare il juke box. E subito tutte le facce si girano verso di me, e sorridono, e dicono ‘non sappiamo come ti chiami amico, ma sembri un tipo simpatico’. Harvey e io ci accendiamo in quei momenti d’oro. Siamo entrati come estranei… e subito abbiamo degli amici! E loro si avvicinano, e siedono con noi, e parlano con noi. Parlano delle grandi cose terribili che hanno commesso, e delle grandi cose meravigliose che faranno. Delle loro speranze, dei loro rimpianti, dei loro amori, dei loro rancori. E tutto in larga scala, perché nessuno porta mai nulla di piccolo dentro un bar. E poi io presento loro Harvey… e lui è più grande e più straordinario di qualsiasi cosa loro possano mai mostrare a me. E quando se ne vanno, se ne vanno impressionati. Le stesse persone raramente ritornano; ma questa è invidia, caro mio. C’è una piccola dose d’invidia in ciascuno di noi.

Invece Frank, la creatura dalle fattezze di coniglio in Donnie Darko, è cattivo. E’  l’antagonista dell’eroe/antieroe del film, non il suo compagno buono e comprensibile. Per Donnie, alle prese con la pazzia intus et foris, non c’è spazio per i discorsi o i gesti buonisti. Il motore di jet è precipitato sul suo letto quando lui era assente e dunque si è potuto salvare. Almeno questo è quello che vede o crede di vedere lo spettatore.

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Trama di Donnie Darko (SPOILER)

Il personaggio che dà il titolo al film, un adolescente americano con problemi psichiatrici, durante un attacco di sonnambulismo che lo porta fuori di casa si imbatte in Frank, un coniglio gigante che gli predice la fine del mondo. E’ la notte del 2 ottobre 1988. In tivù viene trasmesso il duello elettorale dei due candidati alla Casa Bianca: il repubblicano George Bush senior e il democratico Michael Dukakis. Quella stessa notte avviene uno stranissimo incidente: il motore di un aereo precipita dai cieli sulla villetta dei Darko, distruggendo la camera di Donnie, che naturalmente non era a letto. Da questi due singolari episodi (il motore che precipita e l’incontro col coniglio) prende le mosse una vicenda che non fa che complicarsi passo dopo passo; tra le altre cose Donnie s’innamora, scopre che l’anziana vicina un po’ fuori di testa ha scritto un libro sui viaggi nel tempo, allaga e vandalizza la scuola e brucia la casa di un apprezzato guru locale. Intanto, la sua schizofrenia dilaga: i suoi occhi riescono a vedere fasci trasparenti simili a lunghi lombrichi che escono dal plesso solare delle persone (i famosi wormholes), proprio come aveva predetto Mother Death (il cui nome è stato tradotto in italiano con “Nonna Morte“), un’eccentrica scrittrice ora vecchissima e semidemente, autrice del testo The Philosophy of Time Travel. La vecchia conosce bene tali prodigi. Anzi, a quanto pare, solo la pazzia consente di poter viaggiare nel tempo. La psichiatra del ragazzo è sempre più preoccupata,ma non riesce ad avvertire i genitori che lasciano Donnie in casa con la sorella la notte di Halloween. I due organizzano una festa che culmina con la morte di Gretchen, la ragazza di Donnie, investita da tale Frank, un ragazzo in costume da coniglio, che Donnie uccide con un colpo di pistola. Mentre albeggia, Donnie porta il cadavere di Gretchen sulla collina e osserva il cielo, in cui un vortice si va formando e in cui vola l’aereo che riporta la madre e la sorellina a casa. Improvvisamente, dal velivolo si stacca un motore, che precipita sulla cittadina di Middlesex e sulla casa dei Darko… uccidendo Donnie nel suo letto, ventotto giorni prima. Ma ritorniamo a questa inquietante frase:

Il mondo finirà tra 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi

Questo l’inquietante avvertimento del coniglio. Quando Donnie si risveglia dopo aver ricevuto la previsione, scopre che la sua camera è stata devastata da un motore di aereo caduto letteralmente dal cielo. Si, ma da dove (o da quando?) arriva questo motore?

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Universo Primario e Tangente

“Alcuni nascono con la tragedia nel sangue” dice a un certo punto Gretchen, la ragazza di Donnie… Donnie Darko fa a lungo la spaccata tra horror e science fiction. Come detto, non si può non pensare a Philip K. Dick, il romanziere americano che così bene ha saputo descrivere la schizofrenia. Similmente a Dick, Richard Kelly rende “reali” le allucinazioni per poi coniugarle alla teoria della relatività (che, fino a prova contraria, è scaturita dalla mente di uno scienziato, non da quella di un appassionato di fenomeni paranormali). L’autore del film ci suggerisce che esista un Universo Primario e uno Tangente. Quando da quest’ultimo fuoriesce un artefatto (in questo caso, la turbina di un grosso velivolo), è come se si scoperchiasse il vaso di Pandora: la linea di confine spaziotemporale si spezza, le dimensioni a noi note non combaciano più… in pratica, la follia si fa normalità.
Il protagonista compie degli atti vandalici ma è, in fondo, una vittima innocente: non si può imputare a lui, difatti, la circostanza dello squilibrio chimico che avviene nel suo cervello. E, forse, il tunnel dentro cui lo ha spinto la malattia, dove il tempo si ripete uguale all’infinito e ogni cosa è già predestinata e ritorna, è l’unico luogo in cui si può arrivare veramente a comprendere la quintessenza delle cose del mondo.

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Accenni e allusioni “colte”

Oltre al richiamo al coniglio Harvey (che è una reprise di quello di Alice in Wonderland), il film è pieno di citazioni, associazioni di idee e microeventi che legano l’ieri all’oggi, un’opera letteraria e/o cinematografica all’altra. Così, uno dei personaggi è rappresentato da una vecchia pazza che risponde al nome di Roberta Sparrow. Ne abbiamo già accennato nella “Sinossi”: la Sparrow, detta “Mother Death”, è la fittizia autrice di un libro sui viaggi nel tempo.
Nel corso della campagna di pubblicità per il rilancio di Donnie Darko, deciso a distanza di un paio di anni dall’esordio fallimentare, qualcuno della produzione ha addirittura scritto il libro della Sparrow. Un altro libro, stavolta reale, di cui si parla nel film e che qualcuno vocifera sia stato tra le massime fonti d’ispirazioni di Anthony Burgess per il suo Arancia a orologeria (Arancia meccanica), è The Destructors, di Graham Green. La storia di The Destructors si svolge a Londra durante la Seconda Guerra Mondiale e tratta dell’impatto socio-psicologico che il conflitto armato ha su un gruppo di adolescenti, che scaricano le loro frustrazioni trasformandosi in vandali…

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Il sequel: S. Darko

Nel 2009, quindi 8 anni dopo il primo film, esce la “continuazione” di Donnie Darko. Il titolo è S. Darko. Nathan Atkins ne è l’autore. Ed è bravo nel suo mestiere, bisogna dirlo. Il primo film mai realizzato nato dalla sua penna è stato uno short dal titolo Cultivation (del 2003) che, guarda caso, parla di un mondo magico parallelo. Dunque, è lo sceneggiatore più qualificato per un sequel di Donnie Darko.
In S. Darko, sono trascorsi sette anni dalla morte di Donnie (7: cifra carica di significati…). Samantha, la sorellina del defunto (al suo nome si riferisce la S. del titolo), è intanto cresciuta. Ha 17 anni e, insieme al suo amico Corey, si mette in viaggio per una vacanza da trascorrere a Los Angeles. Durante il tragitto, entrambi vengono tormentati da strane visioni… Tornano qui gli wormholes o buchi di tempo.
S. Darko è stato scritto seguendo le direttive di Richard Kelly, ma questi si è dissociato dal film e la regia è stata affidata a Chris Fisher.
Impossibile dire se l’operazione-sequel sia riuscita. Diciamo semplicemente che si tratta di un  film diverso anche se bisogna ricordare al lettore che sia la critica sia il pubblico lo abbiano giudicato decisamente un brutto film. A me decisamente non ha fatto impazzire, anche perché scatta in automatico un (impietoso) paragone col primo film, paragone che – neanche a dirlo – vede il seguito pesantemente distrutto.

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Spiegazione del film… forse

Come già per Mulholland Drive, e forse anche di più in questo caso, non esiste (è questo è il bello) un’interpretazione giusta o univoca, e lo scopo del film, e del regista, è proprio quello di lasciare all’immaginazione dello spettatore la possibilità di esplorare infinite strade e teorie; ma è anche vero che lo stesso Kelly più volte negli ultimi anni, sul sito web statunitense (altro puzzle misterioso e affascinante) come nel commento audio al dvd, fino ad arrivare al recentissimo Donnie Darko – The Director’s Cut, ha tentato di offrire al vasto pubblico di cultori del film una chiave di lettura tanto precisa quanto complessa.

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Sogno… o sono in un loop?

La forza del film non è in questa charada ma altrove; si può tentare, ad ogni modo, di dare un’interpretazione di questi fatti in modo da fare tornare i conti. In realtà le intepretazioni possono essere svariate, come del resto auspicato dallo stesso regista: una molto semplice vorrebbe Donnie in preda alle risa alla fine del film come al risveglio da un lungo ed intricato sogno… che però era il presagio della sua bizzarra morte. Un’altra, molto affascinante, vuole Donnie (e tutto il mondo) prigioniero di un loop temporale della durata di ventotto giorni, al termine dei quale si torna all’inizio: in questo senso il mondo sarebbe finito, perché intrappolato per sempre tra il 2 e il 31 ottobre. Donnie ne può uscire solo sacrificandosi: per “costringersi” a farlo creerà le visioni con Frank – la sua vittima e il suo Virgilio. Frank lo indurrà ad allagare la scuola perché questo renderà possibile l’incontro con Gretchen, nonché a bruciare la villa del guru Jim Cunningham: l’incendio fa sì infatti che si scopra che l’uomo è un pedofilo, e quindi la professoressa di educazione fisica della scuola, sua amica e ammiratrice, rinunci ad accompagnare il gruppo di danza della sorellina di Donnie per stargli vicino, così che la signora Darko sia costretta a sostituirla e a lasciare Donnie ed Elizabeth soli in casa e liberi di organizzare la festa di Halloween – con tutto ciò che ne consegue.

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Roberta Sparrow e la filosofia di Richard Kelly

Benché questa sembri una chiave di lettura pienamente convincente, ha ben poco a che vedere con quella proposta dall’autore, che ruota tutta intorno il libro scritto da Roberta Sparrow “La filosofia dei viaggi nel tempo“, che nella versione Director’s Cut è recitato quasi parola per parola e sparso in varie parti del film. Questo scritto, non c’è nemmeno bisogno di specificarlo, è assolutamente fittizio (anche se liberamente ispirato a teorie esistenti del famoso scienziato Stephen Hawking) e descrive come il tempo occasionalmente possa “corrompersi” per ragioni sconosciute e dare origine a realtà parallele, chiamate Universi Tangenti. Queste realtà altre sono delle dimensioni temporanee profondamente instabili, della durata di non più di qualche settimana e destinate quindi a collassare su sé stesse provocando la distruzione dell’esistenza. Allo stesso tempo, però, formano anche una sorta di vortice spazio-temporale che permette il viaggio nel tempo e che può ricondurre al punto di origine dell’Universo Tangente. Ne La filosofia dei viaggi nel tempo viene descritto tutto questo e altro: vi sono dettagli specifici su tutti gli elementi che concorrono alla “nascita” e alla “morte” di questo strano fenomeno, come per esempio l’Artefatto (The Artifact), il Ricettore Vivente (The Living Receiver), i Viventi Manipolati (The Manipulated Living) e i Morti Manipolati(The Manipulated Dead).
L’Artefatto è il segno della “nascita” di un Universo Tangente, è solitamente in metallo e la sua improvvisa apparizione non è spiegabile dal punto di vista razionale.
Il Ricettore Vivente è un normale essere umano scelto, non si sa per quale motivo, per riportare l’Artefatto nell’Universo Principale attraverso il vortice spazio-temporale che compare quando l’Universo Tangente sta per collassare. Per fare ciò il Ricettore Vivente ha il dono della telecinesi e vari altri poteri, ma è spesso tormentato da incubi e visioni per tutta la durata della vita dell’Universo Tangente. Naturalmente è Donnie il nostro Ricettore Vivente. Il tempo è stato corrotto dalla materializzazione inspiegabile del motore del jet (l’Artefatto) che cade su casa Darko, ed il nostro giovane eroe deve porvi rimedio prima che ciò causi la distruzione dell’universo. Il Morto Manipolato è ovviamente Frank: come spiega La filosofia dei viaggi nel tempo, chiunque muoia nell’Universo Tangente può tornare, con poteri anche superiori a quelli del Ricettore, ad aiutarlo nella sua impresa; ed è per farne la sua guida, infatti, che Donnie uccide Frank. Ogni accadimento, ogni gesto delle persone che gli sono accanto (i Viventi Manipolati) deve portare Donnie a completare la sua missione creando un motivo valido per l’apparizione del motore e permettendo così la chiusura indolore dell’Universo Tangente. Per ottenere questo risultato Donnie utilizza i poteri di cui è in possesso in quanto Ricettore e approfitta del varco che si crea mentre l’Universo Tangente agonizza per mandare il motore che si stacca dall’aeroplano su cui volano Rose e Samantha Darko indietro nel tempo fino alla notte di ventotto giorni prima, per cadere sulla villetta, uccidere Donnie e cancellare l’Universo Tangente.

Un sacrificio voluto

Ma davvero tutto è stato cancellato? Quello di Donnie è un sacrificio volontario? Kelly sembra suggerire che la risposta sia negativa alla prima di queste domande e positiva alla seconda: i volti dei vari personaggi che vediamo nella sequenza finale sembrano suggerire che essi in qualche modo ricordino quanto accaduto nell’Universo Tangente, e quindi probabilmente anche Donnie avesse percepito l’avvicinarsi del pericolo, scegliendo volontariamente di non evitare il proprio tragico destino. Per andare incontro a quel mistero che nessuna “guida alla comprensione” potrà mai provarsi ad interpretare.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Arrival (2016): trama, recensione e spiegazione del film

MEDICINA ONLINE 2016 TRAMA SPIEGAZIONE FINALE FILM RECENSIONE.pngRegia di Denis Villeneuve; con Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Tzi Ma, Mark O’Brien. Titolo originale: Arrival. Genere Fantascienza – USA, 2016, durata 116 minuti. Uscito al cinema giovedì 19 gennaio 2017.

Trama senza spoiler

La pellicola, diretta da Denis Villeneuve, racconta di dodici misteriose navi aliene chiamate “gusci” apparse improvvisamente sul nostro pianeta. Sin dall’inizio non è chiaro né lo scopo di questa apparizione né il perché della scelta dei punti di atterraggio sulla Terra. Per questo motivo la linguista Louise Banks (una Amy Adams in gran forma) ed il fisico teorico Ian Donnely (Jeremy Renner) vengono contattati dal colonnello dell’esercito americano Weber (Forest Whitaker) e posti a capo di un team che ha come obiettivo quello di entrare in contatto con le forme di vita aliena.

Trama senza grossi spoiler ma che racconta qualcosa in più

Sin da subito la comunicazione con gli alieni si rivela possibile ma complessa: le misteriose forme di vita si esprimono infatti tramite dei simboli circolari con componenti tra loro collegati che si rivelano difficilmente interpretabili. Con l’aiuto di Ian, Louise riesce pian piano a decifrare e riprodurre il linguaggio alieno ma la difficoltà di comunicazione dà subito vita a forti incomprensioni. Gli omologhi team dislocati su tutto il pianeta interpretano con grandi differenze le risposte date dagli alieni alla domanda “perché siete qui”, traducendo la risposta con “offrire armi”, elemento che verrà colto dalla Cina come un segnale di pericolo che renderà inevitabile un attacco preventivo. Louise invece sosterrà che proprio la difficoltà di traduzione potrebbe aver creato un difetto di interpretazione laddove “arma” potrebbe in realtà essere tradotto anche come “strumento”. Solo qualcosa di apparentemente inspiegabile potrà impedire una guerra contro gli alieni.

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Recensione

Scritto da Eric Heisserer, Arrival è basato sul racconto “Storia della tua vita“, incluso nell’antologia di racconti “Storia della tua vita”, scritto da Ted Chiang. Lontano dal classico genere action-movie tipico di colossal come “Indipendence Day“, Arrival propone una componente di introspezione psicologica ed una presenza aliena che viene addirittura ribaltata rispetto all’immaginario collettivo dominato dall’unica, possibile dicotomia “amici/nemici”. Gli eptapodi compaiono sul pianeta ma “aspettano” di essere contattati. Le loro navi aprono letteralmente i portelli ogni 18 ore per dare l’opportunità agli umani di comunicare con loro, anche se questo all’inizio si rivelerà estremamente complicato. Il film si concentra dunque sulla necessità di capirsi e di capire. Capire gli alieni, comunicando con loro nella loro difficile lingua ma anche capire e comunicare a livello di specie uomo-alieno, ma soprattutto capirsi tra nazioni, in un mondo di 7 miliardi di persone che parlano (e quindi ragionano, come spiego più avanti) in modo diverso, azioni che – come vedremo poi – sono strettamente correlate. E non è un caso che l’errata traduzione di “arma” porti come immediata conseguenza la rottura del canale di coordinamento tra tutte le nazioni operanti e rischi di scatenare una guerra.

Arrival è un film di fantascienza pieno di scienza, concetti interessanti e cose tutt’altro che scontate. E’ un fatto scientifico appurato che qualsiasi cosa ripetuta a lungo, come una lingua scritta o parlata, plasmi il nostro cervello, cambiando alcuni circuiti neuronali ed influenzando quindi il nostro modo di ragionare (anche se nel film questo processo, che necessita di anni, avviene un po’ troppo rapidamente!). Sta piacendo molto sia ai critici che al pubblico perché è un film diverso da quelli tipici arrivano-gli-alieni, combatti-gli-alieni, sconfiggi-gli-alieni, e perché Amy Adams è molto brava nell’interpretare la linguista protagonista, un personaggio che supera i soliti stereotipi della donna usata solitamente nella fantascienza.

Ho apprezzato la scelta di astronavi con un design “minimal” che non passa mai di moda: ciò evita il solito fastidioso effetto delle astronavi che appaiono “vecchie” quando il film viene visto a distanza di anni. Altra nota di merito è all’uso della splendida On the Nature of Daylight,  composta da Max Richter, usata anche in numerosi altri film, ad esempio nella colonna sonora di Shutter Island di Martin Scorsese: violino, viola e violoncello che sarebbero capaci di emozionare anche un sasso. In definitiva un film fortemente consigliato, specie se amate una fantascienza più intimista e filosofica, con paradossi temporali tali che dovrete vedere il film due volte, per apprezzarlo davvero.

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SPIEGAZIONE DEL FINALE CON SPOILER 

Avete finito di vedere il film e la vostra faccia ha un grosso punto interrogativo al posto degli occhi? Niente paura, non siete i soli. Cerchiamo di capirci qualcosa, partendo da un piccolo accenno di neuro-psicologia.

La chiave di lettura di “Arrival” risiede nell’Ipotesi di Sapir-Whorf, non a caso citata anche nel film stesso, che sostiene – semplificando – che il modo in cui un popolo si esprime determini il suo modo di pensare. In altre parole, studiare un linguaggio porterebbe ad imparare a interpretare il mondo così come fa un determinato popolo. Addirittura imparare una certa lingua, può letteralmente cambiare la struttura del nostro cervello, ed è esattamente quello che accade alla protagonista. I segni circolari degli eptapodi, che non sono lettere né parole ma interi insiemi di significati connessi (un segno equivale ad un intero discorso “umano”) sono anche l’indicazione di come il loro cervello pensa/vede oltre l’orizzonte degli eventi. Scrivono in “due sensi” (i cerchi si compongono istantaneamente in entrambe le due metà) perché gli alieni “pensano e vedono tutto insieme”: passato, presente e futuro, quello che avviene ad esempio nel caso del Dottor Manhattan, celebre supereroe della serie a fumetti Watchmen.

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Quando Louise comprende come scrivere nella lingua degli alieni, comprende anche il loro modo di percepire il tempo e riesce ad osservare la propria vita (presente, passato e futuro) contemporaneamente. In pratica la protagonista impara a prevedere il futuro. Ecco il perché di tutti i flash forward (salti in avanti) che mostrano lei e Ian come una coppia, la nascita della loro figlia e la sua morte. Le scene iniziali, in cui lei si vede con una figlia e che noi pensiamo sia il suo doloroso passato, in realtà è il suo doloroso futuro. Tutti gli apparenti flash back del film, sono in realtà dei flash forward. Sin dall’inizio del film Villeneuve ci racconta la storia spostandosi tra presente e ciò che accadrà, in maniera istantanea, esattamente come Louise riuscirà a percepire la sua vita grazie allo studio della lingua aliena, che ha plasmato il suo cervello.

Ecco perché, proprio nel futuro, il generale dell’esercito cinese – sapendo ormai le doti di Louise, note al mondo in quel dato futuro – le parlerà dandole le istruzioni affinché in passato lui avesse potuto crederle scongiurando la guerra.
Questo è un paradosso temporale noto come “bootstrap paradox” ed è lo stesso di tanti altri film basati su paradossi, come l’affascinante Interstellar di Christopher Nolan. Semplificando: se Louise si ricorda quelle frasi solo perché le ha sentite in un futuro in cui la guerra è stata scongiurata grazie proprio a quelle frasi, come fa ad arrivare in quel dato futuro se prima non le conosceva? Semplicemente Louise trascende il presente per avere accesso alla futura conoscenza di un evento passato, percependo la sua vita come un unico blocco che vede dall’esterno. E’ difficile da capire per un motivo: la nostra mente è abituata ad elaborare un rapporto causa-effetto che nei paradossi viene scavalcato: non siamo abituati a pensare quadrimensionalmente, come direbbe Doc Emmett Brown di Ritorno al futuro. Per approfondire: Bootstrap paradox e paradosso della predestinazione: spiegazione ed esempi nei film

…o forse tutto il paradosso è solo un espediente narrativo che permette di correggere una trama lievemente diversa rispetto a “Storia della tua vita” di Ted Chiang, da cui è tratto Arrival.

Differenze con il libro

Parlavo prima di un espediente narrativo. Il racconto da cui è stato tratto Arrival era concettualmente lievemente diverso: nella storia di Chiang infatti gli alieni e la protagonista non prevedono il futuro, ma lo vedono così come sarà senza possibilità di cambiarlo, nel film invece si dà l’idea che il dono alieno permetta di prevedere il futuro e quindi cambiarlo, variazione apparentemente banale che è perfetta per un film di fantascienza accattivante per tutti (qualcuno direbbe “americanata“), ma che stravolge in parte il racconto originale ed ha fatto infuriare in tutto il mondo i suoi estimatori. Per alcuni nel film è stato banalizzato il tema del libero arbitrio: nel film Lousie lo usa cambiando liberamente il proprio modo di agire in base alla conoscenza del futuro e ciò cambia il proprio futuro, mentre nel racconto lei agisce in base al libero arbitrio, ma allo stesso modo però agisce adeguandosi a ciò che sa di aver compiuto nel proprio futuro, il quale è ineluttabile. È una situazione paradossale, quasi da dibattito ateo-religioso: come fa l’essere umano ad avere il libero arbitrio se il futuro è già scritto e Dio (o chi per lui) già conosce cosa succederà con certezza nel suo domani? Siamo liberi o schiavi piegati ad un destino ineluttabile? In questo, ogni volta che rivedo Arrival, mi viene in mente uno stupendo dialogo del meraviglioso film “Donnie Darko“, tra Donnie (Jake Gyllenhaal) e il suo insegnante Monnitoff (Noah Wyle):

Donnie: Ogni essere vivente si muove su un sentiero già tracciato, ma se uno vedesse il proprio sentiero fino in fondo potrebbe vedere il futuro. E questa non è una specie di viaggio nel tempo? 
Prof. Monnitoff: Beh, c’è una contraddizione nel tuo discorso: se potessimo vedere il nostro destino, avere davanti l’immagine di ciò che sarà, avremmo allora la facoltà di scegliere se tradirlo o no, questo destino. E per il solo fatto che esiste questa possibilità nessun destino si potrebbe considerare “prestabilito”. 
Donnie: Non se si viaggia lungo il sentiero di Dio. 

Il futuro di “Arrival libro” è quello immaginato da Donnie: lo possiamo vedere, ma rimane prestabilito ed immutabile in quanto, nonostante il libero arbitrio, è già incanalato lungo un sentiero già scritto e immutabile, contraddittorio verso ogni tipo di libera scelta, come se tutti i bivi del nostro diagramma di flusso di vita fossero stati già attraversati nel momento stesso in cui veniamo al mondo. Ad ogni bivio possiamo quindi scegliere o non scegliere da che parte andare? Abbiamo già scelto? Qualcuno ha già scelto per noi? Esistono davvero dei bivi, o il percorso è unico? Siamo davvero responsabili delle nostre scelte se non siamo noi a scegliere? Purtroppo questo trip mentale molto interessante, in “Arrival film” si perde completamente perché in quel caso il libero arbitrio non ha limiti nel poter cambiare il futuro e la visione “aliena” di passato-presente-futuro già incanalati, così originale del racconto, viene banalizzata in una mera previsione di un futuro mutabile, molto meno originale e già vista in tante altre opere di fantascienza.

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Nel film previsione di un futuro modificabile, nel libro visione di un futuro assoluto

Altra differenza apparentemente banale ma importantissima è la morte della figlia. Nel racconto di Chiang la figlia della protagonista muore in un incidente di montagna e Louise non può evitarlo. Non potrà pur sapendo cosa sta per accadere, perché ciò che lei conosce è ciò che dovrà accadere e che accadrà/è accaduto. Inevitabile ed inesorabile: anche se già lo sa non può cambiarlo perché se riesce a vederlo, quello è il futuro e le sue azioni la porteranno comunque lì. Non può neanche decidere di non mettere la figlia al mondo: quello è il suo futuro, è un domani già scritto e immutabile e dovrà affrontarlo soffrendo ogni giorno sapendo che sarà quello il loro destino e che sua figlia morirà comunque. Nel film il futuro diventa una previsione, e non una visione. Per questo motivo hanno scelto di far morire la figlia della protagonista di un male incurabile, non di un incidente evitabile, perché altrimenti ci si poteva chiedere: se Louise può prevedere il futuro e cambiarlo, perché lascia morire la figlia in un incidente evitabile? Ecco quindi nel film la scelta di una malattia incurabile ed inevitabile. Purtroppo però così facendo, la simpatia che si prova per la Louise del racconto (una donna costretta a vivere con la tragica consapevolezza costante di mettere al mondo una figlia che morirà in modo immodificabile), si trasforma in potenziale antipatia per una persona egoista che decide di avere una figlia pur sapendo che soffrirà di una malattia incurabile e morirà giovane, solo per poter godere di momenti di gioia che la riscatteranno dalla sua depressione. Tanto che suo marito la lascia per questo, qualcosa sul tipo: “sapevi di mettere al mondo una figlia che morirà, potevi impedirlo e l’hai messa al mondo lo stesso? Sei una egoista”.
Nel film gli alieni, quando scrivono di fatti futuri, prevedono quello che avverrà nel futuro in base alle condizioni di quel dato momento: scrivere dello stesso fatto futuro dopo ad esempio mezz’ora potrebbe prevedere un futuro diverso, dal momento che la stessa osservazione del fenomeno tende a cambiarlo come se la scatola del gatto di Schrödinger fosse improvvisamente aperta. E’ un mondo perfetto per un film di fantascienza che vuole fornire tanti punti esclamativi al grande pubblico.
Nel libro gli alieni, quando scrivono di fatti futuri, invece descrivono quello che avverrà nel futuro: pur osservandolo e ri-descrivendolo dopo mezz’ora, il futuro rimane quello perché immutabile e l’osservazione del fenomeno non cambia la predestinazione. Quello del libro è un mondo originale fatto dalla consapevolezza amara che i nostri destini, apparentemente di persone libere di scegliere, sia legato a catene indissolubili che ci rendono schiavi, concetto che vuole fornire tanti punti interrogativi a chi ha voglia di riflettere sul libero arbitrio.

Pur rimanendo quindi Arrival un gran bel film, soffre di alcuni espedienti narrativi che sono perfetti per attrarre le persone al cinema, ma elimina alcuni particolari che nel libro sono davvero molto originali e lasciano il cervello a lavorare per mesi sul significato delle nostre esistenze.

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Perché gli alieni sono venuti sulla terra?

Gli alieni sono venuti per aiutare l’umanità portando in dono la loro lingua, che è un “arma” o “strumento”, poiché in grado di cambiare la percezione del tempo (se ci pensate vedere in anticipo il futuro è davvero una gran bella arma, da ricevere in regalo!). Fanno questo perché, in cambio del loro dono, tra 3000 anni noi umani dovremo ricambiare il favore, aiutando gli alieni che – per una non specificata ragione – avranno bisogno del nostro sostegno. Ricordate: gli alieni sanno già oggi cosa accadrà nel loro futuro, quindi prevedono che grazie al loro dono gli umani li aiuteranno sicuramente.

Perché Ian lascia Louise?

Lei lo spiega, solo che quando lo spiega ancora noi spettatori non sappiamo che Ian è (sarà, era stato: fate voi) il marito di Louise. Lui la lascia perché scopre che, pur sapendo il futuro (e quindi che loro figlia sarebbe morta) lei ha scelto comunque di farla nascere (senza dire a lui che sarebbe morta).

Adesso che avete capito il finale (spero!), il mio consiglio è di rivedere il film dall’inizio e cogliere tutti quei particolari incomprensibili alla prima visione: resterete sorpresi!

La frase più bella del film, che secondo me ne racchiude il senso:

Se potessi vedere la tua vita dall’inizio alla fine, cambieresti qualcosa?

Curiosità sull’etimologia del nome “canguro”, citata nel film

Il nome dato all’animale canguro, deriverebbe da una incomprensione. La leggenda narra che durante una delle spedizioni di James Cook durante la seconda metà del ‘700, venne avvistato uno strano animale, mai visto prima, che si muoveva salterellando. Quando gli esploratori videro la creatura, incuriositi andarono subito a chiedere agli aborigeni del luogo: “Come si chiama quella strana creatura?” Al che gli aborigeni risposero: “Non capisco“, frase che nella lingua aborigena agli inglesi suonava come “Kan-ga-roo“…e da allora, Kangaroo divenne il nome di questo curioso animale. In realtà questa storia è un falso: la parola “canguro” deriva infatti dalla parola Guugu Yimithirr “gangurru”, che si riferisce ai canguri grigi. La leggenda prima citata è stata sfatata nel 1970 dal linguista John B.Haviland nella sua ricerca riguardo la lingua Guugu Yimithirr.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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