Auguri di buona famiglia a tutti, di qualsiasi tipo essa sia

MEDICINA ONLINE FESTA DELLA FAMIGLIA Auguri di buona famiglia a tutti, di qualsiasi tipo essa siaAvere un famiglia unita, dei figli, degli affetti, è uno dei privilegi più grandi che un essere umano possa avere durante la sua esistenza su questa Terra.

Non cose, non soldi, non oggetti preziosi, ma Continua a leggere

La tua vita in puntini…

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO INTERA VITA DI UNA PERSONA IN PUNTINI OGNI PUNTO CORRISPONDE GIORNOQuesta immagine, apparentemente insensata, è l’intera vita di una persona di 90 anni rappresentata in puntini.

In che senso?

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Arrival (2016): trama, recensione e spiegazione del film

MEDICINA ONLINE 2016 TRAMA SPIEGAZIONE FINALE FILM RECENSIONE.pngRegia di Denis Villeneuve; con Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Tzi Ma, Mark O’Brien. Titolo originale: Arrival. Genere Fantascienza – USA, 2016, durata 116 minuti. Uscito al cinema giovedì 19 gennaio 2017.

Trama senza spoiler

La pellicola, diretta da Denis Villeneuve, racconta di dodici misteriose navi aliene chiamate “gusci” apparse improvvisamente sul nostro pianeta. Sin dall’inizio non è chiaro né lo scopo di questa apparizione né il perché della scelta dei punti di atterraggio sulla Terra. Per questo motivo la linguista Louise Banks (una Amy Adams in gran forma) ed il fisico teorico Ian Donnely (Jeremy Renner) vengono contattati dal colonnello dell’esercito americano Weber (Forest Whitaker) e posti a capo di un team che ha come obiettivo quello di entrare in contatto con le forme di vita aliena.

Trama senza grossi spoiler ma che racconta qualcosa in più

Sin da subito la comunicazione con gli alieni si rivela possibile ma complessa: le misteriose forme di vita si esprimono infatti tramite dei simboli circolari con componenti tra loro collegati che si rivelano difficilmente interpretabili. Con l’aiuto di Ian, Louise riesce pian piano a decifrare e riprodurre il linguaggio alieno ma la difficoltà di comunicazione dà subito vita a forti incomprensioni. Gli omologhi team dislocati su tutto il pianeta interpretano con grandi differenze le risposte date dagli alieni alla domanda “perché siete qui”, traducendo la risposta con “offrire armi”, elemento che verrà colto dalla Cina come un segnale di pericolo che renderà inevitabile un attacco preventivo. Louise invece sosterrà che proprio la difficoltà di traduzione potrebbe aver creato un difetto di interpretazione laddove “arma” potrebbe in realtà essere tradotto anche come “strumento”. Solo qualcosa di apparentemente inspiegabile potrà impedire una guerra contro gli alieni.

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Recensione

Scritto da Eric Heisserer, Arrival è basato sul racconto “Storia della tua vita“, incluso nell’antologia di racconti “Storia della tua vita”, scritto da Ted Chiang. Lontano dal classico genere action-movie tipico di colossal come “Indipendence Day“, Arrival propone una componente di introspezione psicologica ed una presenza aliena che viene addirittura ribaltata rispetto all’immaginario collettivo dominato dall’unica, possibile dicotomia “amici/nemici”. Gli eptapodi compaiono sul pianeta ma “aspettano” di essere contattati. Le loro navi aprono letteralmente i portelli ogni 18 ore per dare l’opportunità agli umani di comunicare con loro, anche se questo all’inizio si rivelerà estremamente complicato. Il film si concentra dunque sulla necessità di capirsi e di capire. Capire gli alieni, comunicando con loro nella loro difficile lingua ma anche capire e comunicare a livello di specie uomo-alieno, ma soprattutto capirsi tra nazioni, in un mondo di 7 miliardi di persone che parlano (e quindi ragionano, come spiego più avanti) in modo diverso, azioni che – come vedremo poi – sono strettamente correlate. E non è un caso che l’errata traduzione di “arma” porti come immediata conseguenza la rottura del canale di coordinamento tra tutte le nazioni operanti e rischi di scatenare una guerra.

Arrival è un film di fantascienza pieno di scienza, concetti interessanti e cose tutt’altro che scontate. E’ un fatto scientifico appurato che qualsiasi cosa ripetuta a lungo, come una lingua scritta o parlata, plasmi il nostro cervello, cambiando alcuni circuiti neuronali ed influenzando quindi il nostro modo di ragionare (anche se nel film questo processo, che necessita di anni, avviene un po’ troppo rapidamente!). Sta piacendo molto sia ai critici che al pubblico perché è un film diverso da quelli tipici arrivano-gli-alieni, combatti-gli-alieni, sconfiggi-gli-alieni, e perché Amy Adams è molto brava nell’interpretare la linguista protagonista, un personaggio che supera i soliti stereotipi della donna usata solitamente nella fantascienza.

Ho apprezzato la scelta di astronavi con un design “minimal” che non passa mai di moda: ciò evita il solito fastidioso effetto delle astronavi che appaiono “vecchie” quando il film viene visto a distanza di anni. Altra nota di merito è all’uso della splendida On the Nature of Daylight,  composta da Max Richter, usata anche in numerosi altri film, ad esempio nella colonna sonora di Shutter Island di Martin Scorsese: violino, viola e violoncello che sarebbero capaci di emozionare anche un sasso. In definitiva un film fortemente consigliato, specie se amate una fantascienza più intimista e filosofica, con paradossi temporali tali che dovrete vedere il film due volte, per apprezzarlo davvero.

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SPIEGAZIONE DEL FINALE CON SPOILER 

Avete finito di vedere il film e la vostra faccia ha un grosso punto interrogativo al posto degli occhi? Niente paura, non siete i soli. Cerchiamo di capirci qualcosa, partendo da un piccolo accenno di neuro-psicologia.

La chiave di lettura di “Arrival” risiede nell’Ipotesi di Sapir-Whorf, non a caso citata anche nel film stesso, che sostiene – semplificando – che il modo in cui un popolo si esprime determini il suo modo di pensare. In altre parole, studiare un linguaggio porterebbe ad imparare a interpretare il mondo così come fa un determinato popolo. Addirittura imparare una certa lingua, può letteralmente cambiare la struttura del nostro cervello, ed è esattamente quello che accade alla protagonista. I segni circolari degli eptapodi, che non sono lettere né parole ma interi insiemi di significati connessi (un segno equivale ad un intero discorso “umano”) sono anche l’indicazione di come il loro cervello pensa/vede oltre l’orizzonte degli eventi. Scrivono in “due sensi” (i cerchi si compongono istantaneamente in entrambe le due metà) perché gli alieni “pensano e vedono tutto insieme”: passato, presente e futuro, quello che avviene ad esempio nel caso del Dottor Manhattan, celebre supereroe della serie a fumetti Watchmen.

Per approfondire: Ipotesi di Sapir-Whorf e determinismo linguistico: esempi e spiegazione

Quando Louise comprende come scrivere nella lingua degli alieni, comprende anche il loro modo di percepire il tempo e riesce ad osservare la propria vita (presente, passato e futuro) contemporaneamente. In pratica la protagonista impara a prevedere il futuro. Ecco il perché di tutti i flash forward (salti in avanti) che mostrano lei e Ian come una coppia, la nascita della loro figlia e la sua morte. Le scene iniziali, in cui lei si vede con una figlia e che noi pensiamo sia il suo doloroso passato, in realtà è il suo doloroso futuro. Tutti gli apparenti flash back del film, sono in realtà dei flash forward. Sin dall’inizio del film Villeneuve ci racconta la storia spostandosi tra presente e ciò che accadrà, in maniera istantanea, esattamente come Louise riuscirà a percepire la sua vita grazie allo studio della lingua aliena, che ha plasmato il suo cervello.

Ecco perché, proprio nel futuro, il generale dell’esercito cinese – sapendo ormai le doti di Louise, note al mondo in quel dato futuro – le parlerà dandole le istruzioni affinché in passato lui avesse potuto crederle scongiurando la guerra.
Questo è un paradosso temporale noto come “bootstrap paradox” ed è lo stesso di tanti altri film basati su paradossi, come l’affascinante Interstellar di Christopher Nolan. Semplificando: se Louise si ricorda quelle frasi solo perché le ha sentite in un futuro in cui la guerra è stata scongiurata grazie proprio a quelle frasi, come fa ad arrivare in quel dato futuro se prima non le conosceva? Semplicemente Louise trascende il presente per avere accesso alla futura conoscenza di un evento passato, percependo la sua vita come un unico blocco che vede dall’esterno. E’ difficile da capire per un motivo: la nostra mente è abituata ad elaborare un rapporto causa-effetto che nei paradossi viene scavalcato: non siamo abituati a pensare quadrimensionalmente, come direbbe Doc Emmett Brown di Ritorno al futuro. Per approfondire: Bootstrap paradox e paradosso della predestinazione: spiegazione ed esempi nei film

…o forse tutto il paradosso è solo un espediente narrativo che permette di correggere una trama lievemente diversa rispetto a “Storia della tua vita” di Ted Chiang, da cui è tratto Arrival.

Differenze con il libro

Parlavo prima di un espediente narrativo. Il racconto da cui è stato tratto Arrival era concettualmente lievemente diverso: nella storia di Chiang infatti gli alieni e la protagonista non prevedono il futuro, ma lo vedono così come sarà senza possibilità di cambiarlo, nel film invece si dà l’idea che il dono alieno permetta di prevedere il futuro e quindi cambiarlo, variazione apparentemente banale che è perfetta per un film di fantascienza accattivante per tutti (qualcuno direbbe “americanata“), ma che stravolge in parte il racconto originale ed ha fatto infuriare in tutto il mondo i suoi estimatori. Per alcuni nel film è stato banalizzato il tema del libero arbitrio: nel film Lousie lo usa cambiando liberamente il proprio modo di agire in base alla conoscenza del futuro e ciò cambia il proprio futuro, mentre nel racconto lei agisce in base al libero arbitrio, ma allo stesso modo però agisce adeguandosi a ciò che sa di aver compiuto nel proprio futuro, il quale è ineluttabile. È una situazione paradossale, quasi da dibattito ateo-religioso: come fa l’essere umano ad avere il libero arbitrio se il futuro è già scritto e Dio (o chi per lui) già conosce cosa succederà con certezza nel suo domani? Siamo liberi o schiavi piegati ad un destino ineluttabile? In questo, ogni volta che rivedo Arrival, mi viene in mente uno stupendo dialogo del meraviglioso film “Donnie Darko“, tra Donnie (Jake Gyllenhaal) e il suo insegnante Monnitoff (Noah Wyle):

Donnie: Ogni essere vivente si muove su un sentiero già tracciato, ma se uno vedesse il proprio sentiero fino in fondo potrebbe vedere il futuro. E questa non è una specie di viaggio nel tempo? 
Prof. Monnitoff: Beh, c’è una contraddizione nel tuo discorso: se potessimo vedere il nostro destino, avere davanti l’immagine di ciò che sarà, avremmo allora la facoltà di scegliere se tradirlo o no, questo destino. E per il solo fatto che esiste questa possibilità nessun destino si potrebbe considerare “prestabilito”. 
Donnie: Non se si viaggia lungo il sentiero di Dio. 

Il futuro di “Arrival libro” è quello immaginato da Donnie: lo possiamo vedere, ma rimane prestabilito ed immutabile in quanto, nonostante il libero arbitrio, è già incanalato lungo un sentiero già scritto e immutabile, contraddittorio verso ogni tipo di libera scelta, come se tutti i bivi del nostro diagramma di flusso di vita fossero stati già attraversati nel momento stesso in cui veniamo al mondo. Ad ogni bivio possiamo quindi scegliere o non scegliere da che parte andare? Abbiamo già scelto? Qualcuno ha già scelto per noi? Esistono davvero dei bivi, o il percorso è unico? Siamo davvero responsabili delle nostre scelte se non siamo noi a scegliere? Purtroppo questo trip mentale molto interessante, in “Arrival film” si perde completamente perché in quel caso il libero arbitrio non ha limiti nel poter cambiare il futuro e la visione “aliena” di passato-presente-futuro già incanalati, così originale del racconto, viene banalizzata in una mera previsione di un futuro mutabile, molto meno originale e già vista in tante altre opere di fantascienza.

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Nel film previsione di un futuro modificabile, nel libro visione di un futuro assoluto

Altra differenza apparentemente banale ma importantissima è la morte della figlia. Nel racconto di Chiang la figlia della protagonista muore in un incidente di montagna e Louise non può evitarlo. Non potrà pur sapendo cosa sta per accadere, perché ciò che lei conosce è ciò che dovrà accadere e che accadrà/è accaduto. Inevitabile ed inesorabile: anche se già lo sa non può cambiarlo perché se riesce a vederlo, quello è il futuro e le sue azioni la porteranno comunque lì. Non può neanche decidere di non mettere la figlia al mondo: quello è il suo futuro, è un domani già scritto e immutabile e dovrà affrontarlo soffrendo ogni giorno sapendo che sarà quello il loro destino e che sua figlia morirà comunque. Nel film il futuro diventa una previsione, e non una visione. Per questo motivo hanno scelto di far morire la figlia della protagonista di un male incurabile, non di un incidente evitabile, perché altrimenti ci si poteva chiedere: se Louise può prevedere il futuro e cambiarlo, perché lascia morire la figlia in un incidente evitabile? Ecco quindi nel film la scelta di una malattia incurabile ed inevitabile. Purtroppo però così facendo, la simpatia che si prova per la Louise del racconto (una donna costretta a vivere con la tragica consapevolezza costante di mettere al mondo una figlia che morirà in modo immodificabile), si trasforma in potenziale antipatia per una persona egoista che decide di avere una figlia pur sapendo che soffrirà di una malattia incurabile e morirà giovane, solo per poter godere di momenti di gioia che la riscatteranno dalla sua depressione. Tanto che suo marito la lascia per questo, qualcosa sul tipo: “sapevi di mettere al mondo una figlia che morirà, potevi impedirlo e l’hai messa al mondo lo stesso? Sei una egoista”.
Nel film gli alieni, quando scrivono di fatti futuri, prevedono quello che avverrà nel futuro in base alle condizioni di quel dato momento: scrivere dello stesso fatto futuro dopo ad esempio mezz’ora potrebbe prevedere un futuro diverso, dal momento che la stessa osservazione del fenomeno tende a cambiarlo come se la scatola del gatto di Schrödinger fosse improvvisamente aperta. E’ un mondo perfetto per un film di fantascienza che vuole fornire tanti punti esclamativi al grande pubblico.
Nel libro gli alieni, quando scrivono di fatti futuri, invece descrivono quello che avverrà nel futuro: pur osservandolo e ri-descrivendolo dopo mezz’ora, il futuro rimane quello perché immutabile e l’osservazione del fenomeno non cambia la predestinazione. Quello del libro è un mondo originale fatto dalla consapevolezza amara che i nostri destini, apparentemente di persone libere di scegliere, sia legato a catene indissolubili che ci rendono schiavi, concetto che vuole fornire tanti punti interrogativi a chi ha voglia di riflettere sul libero arbitrio.

Pur rimanendo quindi Arrival un gran bel film, soffre di alcuni espedienti narrativi che sono perfetti per attrarre le persone al cinema, ma elimina alcuni particolari che nel libro sono davvero molto originali e lasciano il cervello a lavorare per mesi sul significato delle nostre esistenze.

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Perché gli alieni sono venuti sulla terra?

Gli alieni sono venuti per aiutare l’umanità portando in dono la loro lingua, che è un “arma” o “strumento”, poiché in grado di cambiare la percezione del tempo (se ci pensate vedere in anticipo il futuro è davvero una gran bella arma, da ricevere in regalo!). Fanno questo perché, in cambio del loro dono, tra 3000 anni noi umani dovremo ricambiare il favore, aiutando gli alieni che – per una non specificata ragione – avranno bisogno del nostro sostegno. Ricordate: gli alieni sanno già oggi cosa accadrà nel loro futuro, quindi prevedono che grazie al loro dono gli umani li aiuteranno sicuramente.

Perché Ian lascia Louise?

Lei lo spiega, solo che quando lo spiega ancora noi spettatori non sappiamo che Ian è (sarà, era stato: fate voi) il marito di Louise. Lui la lascia perché scopre che, pur sapendo il futuro (e quindi che loro figlia sarebbe morta) lei ha scelto comunque di farla nascere (senza dire a lui che sarebbe morta).

Adesso che avete capito il finale (spero!), il mio consiglio è di rivedere il film dall’inizio e cogliere tutti quei particolari incomprensibili alla prima visione: resterete sorpresi!

La frase più bella del film, che secondo me ne racchiude il senso:

Se potessi vedere la tua vita dall’inizio alla fine, cambieresti qualcosa?

Curiosità sull’etimologia del nome “canguro”, citata nel film

Il nome dato all’animale canguro, deriverebbe da una incomprensione. La leggenda narra che durante una delle spedizioni di James Cook durante la seconda metà del ‘700, venne avvistato uno strano animale, mai visto prima, che si muoveva salterellando. Quando gli esploratori videro la creatura, incuriositi andarono subito a chiedere agli aborigeni del luogo: “Come si chiama quella strana creatura?” Al che gli aborigeni risposero: “Non capisco“, frase che nella lingua aborigena agli inglesi suonava come “Kan-ga-roo“…e da allora, Kangaroo divenne il nome di questo curioso animale. In realtà questa storia è un falso: la parola “canguro” deriva infatti dalla parola Guugu Yimithirr “gangurru”, che si riferisce ai canguri grigi. La leggenda prima citata è stata sfatata nel 1970 dal linguista John B.Haviland nella sua ricerca riguardo la lingua Guugu Yimithirr.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Sul perché non c’è bisogno di dimostrare la non esistenza di Dio

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma PERCHE DIMOSTRARE NON ESISTENZA DI DIO  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgVedo che molte persone atee o agnostiche, si impegnano a trovare dei sistemi, dei sillogismi, delle logiche, alcuni addirittura delle formule matematiche, per dimostrare il fatto che non esista alcun dio, per rispondere a tono alla marea di fallacie logiche che il credente elenca ogni volta in ogni discussione sull’esistenza o non di dio. Certamente ne può venir fuori un interessante allenamento intellettuale, tuttavia – essendomi anche io posto il problema e non volendo perdere intere giornate a dimostrare razionalmente e con logica un fatto irrazionale ed illogico – sono arrivato alla seguente, facile conclusione: non c’è da dimostrare niente (letteralmente).

Infatti già i latini sostenevano che:

Affirmanti incumbit probatio

ed anche:

Onus probandi incumbit ei qui dicit, non ei qui negat

Sono principi giuridici tutt’ora attuali ed importantissimi, traducibili rispettivamente con “la prova tocca a chi afferma” e “l’onere della prova è a carico di chi afferma qualche cosa, non di chi lo nega“. La necessità di portare prove dell’esistenza di una divinità invisibile ed extraterrena è dunque sulle spalle del credente. È lui che afferma l’esistenza di una o più divinità intangibili e tocca quindi a lui dimostrare tale esistenza.

Il non credente afferma che esiste l’universo, il credente afferma che esiste l’universo e – in aggiunta – Dio: fornire verifica di quell’aggiunta è suo compito.

La situazione è paragonabile ad una causa giudiziaria: è l’accusa che, in un tribunale, deve condurre delle prove a sostegno della propria tesi; la difesa deve al massimo invalidare le suddette prove, non di certo fornire alla giuria una dimostrazione di innocenza nei confronti di un’accusa non prima dimostrata e quindi infondata. Se non fosse così, io potrei dire che tu che stai leggendo hai appena ucciso una persona e tocca a te dimostrare che non sia vero: sarebbe impossibile farlo! È di conseguenza necessario – secondo questo principio – che prima ancora di dimostrare che Dio non esista, siano gli stessi credenti a dimostrare che lui esista, altrimenti paradossalmente chiunque potrebbe dire che esiste qualsiasi cosa che non esiste. Per esempio il mio miglior amico e dio è Dumbo Jumbo, lo vedo qui di fronte a me in questo momento e vuole i miei soldi per salvarmi dall’inferno degli elefanti volanti (se lo pensassi veramente sarei nel reparto di psichiatria: i credenti non lo sono solamente perché sono troppi ed è consuetudine reputarli sani). E non basta dire che Dumbo è presente in un libro scritto da qualcuno migliaia di anni fa, né che milioni di persone credano in Dumbo e nei suoi miracoli, per dire che il grazioso animale esista realmente, altrimenti basterebbe prendere come prova migliaia di fumetti e film su l’Uomo Ragno per poter asserire che l’Uomo Ragno esista realmente.

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Gli atei (e per ovvi motivi ancor di più gli agnostici) non hanno tendenzialmente problemi a riconoscere il fatto che non è possibile dimostrare l’inesistenza di Dio: anche perché, come scrive Richard Dawkins:

Non si può dimostrare in maniera incontrovertibile l’inesistenza di niente

La prossima volta che un credente vi chiederà di dimostrare che Dio non esiste, chiedete voi a lui di dimostrare la non esistenza di Dumbo o di Superman. Oppure ditegli che il vostro dio è Zeus (si, proprio il capo dell’Olimpo degli antichi greci) e, quando lui si metterà a ridere, chiedetegli di dimostrare che Zeus non esista, poi osservate la sua espressione ed i suoi tentativi di arrampicarsi sugli specchi della logica. Non c’è nulla da fare: la fede deve essere per forza irrazionale, perché la razionalità porta a dire che:

Ciò che è affermato senza prova, può essere negato senza prova – Euclide

Il ragionamento è abbastanza semplice: tutto quello che vedi esiste, tutto quello che non vedi non esiste. Poi se i batteri non si vedono e tu sei però convinto che loro esistano, tocca a te inventare il microscopio e dimostrare che sono davvero lì nel nostro corpo: finché non ci riesci, la tua rimane una idea e non un fatto oggettivo e se qualcuno viene da te – prima della dimostrazione – e ti dice “I batteri non si vedono quindi non esistono”, tu devi semplicemente dargli ragione. L’onere della prova è di chi afferma, non di chi nega.

Inoltre subentra anche il principio dell’incredibilità/plausibiltà dell’affermazione. Ad esempio, se mi dici che in Thailandia piove, posso crederti anche senza il bisogno di prove, perché l’affermazione è di alta possibilità. Se mi dici che lungo la linea dell’Equatore nevica, già dovresti quantomeno iniziare a fornirmi un indizio che mi possa far credere che sia così, visto che la cosa diventa statisticamente molto meno probabile. Ma se mi dici che hai in giardino un drago viola invisibile che si masturba, allora la prova dev’essere schiacciante e ben documentata, altrimenti resta oggettivamente una fantasia, pur se creduta da molte persone.
Se poi mi dici qualcosa di ancora più incredibile, ovvero che esiste una divinità invisibile che ha creato l’intero universo, che ha plasmato l’uomo ed addirittura si è incarnato in quest’ultimo morendo e resuscitando, per poi salire alla destra di sé stesso per controllare quante volte ti masturbi (e si masturba il drago viola invisibile in giardino), allora mi devi fornire il quintuplo delle prove, e devono essere razionali e logiche secondo un carattere prettamente scientifico. Altrimenti non parli di qualcosa di oggettivo, ma stai raccontando solo una storia fantasy creata dall’uomo, al pari de Il Signore degli Anelli.

Dimostrare che qualcosa NON esiste è possibile? No, perché altrimenti certe discipline scientifiche devono cessare di esistere seduta stante. Ad esempio, la Storia. Gli storici possono confermare quello che possono dimostrare, poi possono sollevare ipotesi in base ai rilievi archeologici. Ma non possono passare la loro vita a smentire tutti coloro che parlano di alieni in riferimento alle piramidi, oppure dimostrare che Napoleone non era un lupo mannaro. Per questo l’onere della prova è sempre una responsabilità di chi afferma e non di chi nega.

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