Levodopa ed altri farmaci usati nella terapia del morbo di Parkinson

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma LEVODOPA TERAPIA MORBO PARKINSON Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.pngAttualmente non esiste una terapia definitiva per il morbo di Parkinson, ma il trattamento farmacologico, la chirurgia e la gestione multidisciplinare sono in grado di fornire un parziale sollievo ai sintomi. I farmaci principalmente utilizzati nel trattamento di sintomi motori sono la levodopa (di solito in combinazione con un inibitore della dopa-decarbossilasi e un inibitore delle COMT), gli agonisti della dopamina e gli inibitori MAO-B (Inibitore della monoamino ossidasi). La fase della malattia determina quale famiglia di farmaci sia più utile. Due fasi sono di solito distinte:

  • una prima fase in cui l’individuo con la malattia ha già sviluppato qualche disabilità e per la quale vi è la necessità di un trattamento farmacologico;
  • una seconda fase in cui in un individuo si sviluppano complicanze motorie legate all’utilizzo della levodopa.

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Il trattamento nella fase iniziale ha come obiettivo un compromesso ottimale tra il buon controllo dei sintomi e gli effetti collaterali derivanti dalla valorizzazione della funzione dopaminergica. L’inizio del trattamento con levodopa (o L-DOPA) può essere ritardato utilizzando altri farmaci come gli inibitori MAO-B e gli agonisti della dopamina, nella speranza di ritardare la comparsa delle discinesie. Nella seconda fase l’obiettivo è quello di ridurre i sintomi. Quando i farmaci non sono più sufficienti a controllarli, la chirurgia e la stimolazione cerebrale profonda possono rivelarsi utili. Nelle fasi finali della malattia, le cure palliative vengono offerte per migliorare la qualità di vita.

  • Levodopa. La Levodopa è il trattamento più ampiamente usato fin dagli anni settanta. L-DOPA è convertito in dopamina nei neuroni dopaminergici (neuroni che producono dopamina) mediante DOPA-decarbossilasi. Poiché i sintomi motori sono prodotti da una mancanza di dopamina nella substantia nigra, la somministrazione di L-DOPA diminuisce temporaneamente i sintomi motori. Solo il 5-10% dell’L-DOPA attraversa la barriera ematoencefalica. Il resto è spesso metabolizzato altrove in dopamina, provocando una serie di effetti collaterali tra cui nausea, discinesia e rigidità articolare. La carbidopa e la benserazide sono inibitori periferici della DOPA-decarbossilasi, che aiutano a bloccare il metabolismo della L-DOPA, prima che raggiunga i neuroni dopaminergici, riducendo pertanto gli effetti collaterali e aumentando la biodisponibilità. Essi sono generalmente somministrati in preparazioni associate alla levodopa.I preparati esistenti sono carbidopa/levodopa (co-careldopa) e benserazide/levodopa (co-beneldopa). La levodopa è stata correlata alla sindrome da disregolazione dopaminergica, che consiste in un uso eccessivo e compulsivo del farmaco. Vi sono alcune versioni a rilascio controllato e lento di levodopa, tuttavia esse non hanno mostrato un maggiore controllo dei sintomi e delle complicanze motorie rispetto a preparazioni a rilascio immediato. Il tolcapone inibisce l’enzima COMT, degradante la dopamina, prolungando gli effetti della levodopa. Tuttavia, la sua utilità è limitata da effetti collaterali, come ad esempio i possibili danni al fegato. L’uso dell’entacapone, un farmaco altrettanto efficace, non evidenzia alterazioni significative della funzionalità epatica. I preparati a base di levodopa portano a lungo termine allo sviluppo di complicanze motorie caratterizzate da movimenti involontari chiamati discinesie e fluttuazioni nella risposta al trattamento farmacologico. In questo caso, un paziente affetto da malattia di Parkinson può sperimentare dei periodi con buona risposta ai farmaci con alcuni sintomi (fase on) e periodi con nessuna risposta al trattamento e sintomi motori significativi (fase off). Per questo motivo, le dosi di levodopa vengono somministrate in quantità minime. È pratica comune ritardare l’inizio della terapia con levodopa utilizzando alternative, come gli agonisti dopaminergici e gli inibitori della monoamino ossidasi. Una strategia utilizzata in passato per ridurre le complicanze motorie era quella di sospendere il trattamento con L-DOPA per un certo tempo. Ora ciò è sconsigliato, dal momento che può portare a effetti collaterali pericolosi, come la sindrome neurolettica maligna.
  • Agonisti dopaminergici. Numerosi agonisti della dopamina, che si legano ai recettori dopaminergici post-sinaptici del cervello, hanno effetti simili a quelli della levodopa.. Inizialmente venivano usati, come terapia complementare alla levodopa, negli individui che accusano fluttuazioni on-off e discinesie, ora sono utilizzati principalmente come terapia unica iniziale per i sintomi motori, con l’obiettivo di ritardare l’assunzione di levodopa e le sue complicazioni motorie. Gli agonisti dopaminergici stimolano, con diversa specificità rispetto ai diversi tipi, i recettori per la dopamina. Si dividono in ergolinici (bromocriptina, pergolide, lisuride, cabergolina) e non ergolinici (pramipexolo, ropinirolo, apomorfina). Gli agonisti della dopamina producono significativi, anche se di solito lievi, effetti collaterali, tra cui sonnolenza, allucinazioni, insonnia, nausea e stipsi. A volte gli effetti collaterali appaiono anche con una minima dose clinicamente efficace, che porta il prescrivente alla ricerca di un farmaco diverso. Rispetto alla levodopa, gli agonisti della dopamina possono ritardare le complicanze motorie, ma sono meno efficaci nel controllare i sintomi. Tuttavia, solitamente appaiono sufficienti per gestire i sintomi nei primi anni di malattia. Essi tendono ad essere più costosi della levodopa. Tali farmaci sono stati correlati a disturbi del controllo degli impulsi, come l’ipersessualità, l’alimentazione compulsiva e il gioco d’azzardo e lo shopping patologici, in maniera anche più importante rispetto alla levodopa. Apomorfina, un agonista della dopamina, somministrata attraverso iniezioni sottocutanee, può essere utilizzata nella malattia avanzata per ridurre le fasi off e la discinesia. Dato che gli effetti secondari, come la confusione e le allucinazioni sono comuni, i pazienti che ricevono l’apomorfina devono essere attentamente monitorati. Recentemente sono stati trovati due agonisti della dopamina che vengono somministrati attraverso cerotti (lisuride e rotigotina) e risultano essere utili nei pazienti nella fase iniziale della malattia, mentre vi sono ancora degli studi alla fase preliminare riguardo alla loro efficacia nei pazienti in stato avanzato.
  • Inibitori della monoamino ossidasi (inibitori MAO-B). Gli inibitori della monoamino ossidasi (inibitori MAO-B), selegilina e rasagilina, sono in grado di aumentare il livello di dopamina nei gangli della base, bloccandone il metabolismo. Essi bloccano la deaminazione ossidativa delle ammine endogene catalizzata dalle monoaminossidasi mitocondriali. La riduzione della attività della monoamino ossidasi, comporta un aumento di L-DOPA nello striato. Come gli agonisti della dopamina, gli inibitori MAO-B sono utilizzati in monoterapia per migliorare i sintomi motori e ritardare la necessità di assumere levodopa nella malattia precoce, ma producono effetti più negativi e sono meno efficaci rispetto alla levodopa. Vi sono pochi studi sulla loro efficacia in fase avanzata, anche se i risultati suggeriscono che essi sono utili per ridurre le fluttuazioni tra le fasi on e off. Uno studio iniziale ha indicato che la selegilina, in associazione con levodopa, aumenta il rischio di morte, ma ciò è stato in seguito smentito.
  • Altri farmaci. Altri farmaci, come l’amantadina e gli anticolinergici, possono essere utili nel trattamento dei sintomi motori. Tuttavia, le prove a loro sostegno mancano di qualità e ciò comporta che non siano considerati trattamenti di prima scelta. Oltre ai sintomi motori, la malattia di Parkinson è accompagnata da una vasta gamma di sintomi. Un certo numero di farmaci sono stati utilizzati per il trattamento di alcuni di questi problemi. Ne sono un esempio l’uso della clozapina nella psicosi, degli inibitori della colinesterasi per la demenza e il modafinil per l’eccessiva sonnolenza diurna. Una meta-analisi del 2010, ha riscontrato che l’uso di farmaci anti-infiammatori non steroidei (tranne il paracetamolo e l’aspirina), sono stati correlati ad almeno il 15% di una minore incidenza di sviluppo della malattia di Parkinson.

Il farmaco levodopa e le proteine utilizzano, in concorrenza, lo stesso sistema di trasporto nell’intestino e nella barriera emato-encefalica. Questo comporta che, se assunti insieme, l’efficacia del farmaco appaia ridotta. Pertanto, quando si fa uso di levodopa, si sconsiglia il consumo eccessivo di proteine e viene raccomandata una dieta mediterranea equilibrata.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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Vie di somministrazione di un farmaco: tipi, differenze, vantaggi e svantaggi

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma VIE DI SOMMINISTRAZIONE FARMACO TIPI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLa somministrazione di un farmaco (in inglese “route of administration”) è quel processo che porta uno xenobiotico, cioè una sostanza estranea all’organismo, a raggiungere il suo bersaglio all’interno dell’organismo, cioè il sito d’azione a cui esso è destinato.
Per raggiungere il suo sito bersaglio, partendo dall’esterno, il farmaco può seguire varie vie. Lo stesso farmaco può avere effetti molto diversi a seconda se viene assunto tramite una data via di somministrazione piuttosto che da un’altra. In base ad essa il farmaco può avere un effetto topico (o locale) oppure un effetto sistemico.

Somministrazione con effetto topico e sistemico

  • La somministrazione con effetto topico consiste nell’applicazione del farmaco sulla parte interessata o comunque in prossimità dell’obiettivo della terapia. La molecola non entra nel sistema circolatorio, ma esplica la sua azione solo a livello locale.
  • La somministrazione con effetto sistemico prevede invece che lo xenobiotico entri nel torrente circolatorio e sia poi distribuito nel sito d’azione che può essere anche molto distante dal sito di applicazione. Le principali vie con effetto sistemico sono le vie enterali e le vie parenterali.

Vie enterali
Le vie enterali comprendono la via orale (o gastroenterica), la via rettale e la via sublinguale (o buccale).

  • La via orale (o gastroenterica) viene comunemente chiamata “PER OS“, dal latino per, che significa attraverso, e dal latino òs òris, che significa bocca (OS è anche acronimo di Oral Somministration, che significa appunto Somministrazione Orale).
    La via di somministrazione per bocca è certamente la meno invasiva e la più pratica per la maggior parte dei pazienti ed è la principale via di assunzione della maggior parte dei farmaci esistenti. Purtroppo l’assorbimento per questa via è difficoltoso e soggetto a molte variabili; ad esempio a livello dello stomaco l’assorbimento è scarso (anche se vi è comunque l’assorbimento di alcune molecole come l’etanolo), mentre a livello intestinale è maggiore. Il farmaco inoltre, prima di raggiungere la circolazione sanguigna, può subire varie reazioni chimiche all’interno del lume gastro-intestinale, e/o subire l’effetto di primo passaggio a causa della circolazione enteroepatica enzimi. La via sublinguale e la via rettale, invece, non sono soggette all’effetto di primo passaggio ma presentano altre problematiche. A tale proposito ti consiglio di leggere:

  • La via sublinguale sfrutta l’elevata vascolarizzazione della cavità orale e permette una rapida diffusione del farmaco ma le molecole in questione devono essere sufficientemente lipofile e di basso peso molecolare per superare l’epitelio orale.
  • La via rettale, anche se permette di evitare gli enzimi gastrici, presenta un assorbimento irregolare ed è principalmente utilizzata in ambito pediatrico.

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Vie parenterali
Per via parenterale si intende tutte le vie di somministrazione dei farmaci diverse da quella gastro-intestinale. Pertanto comprende sia la somministrazione attraverso mucose o epiteli accessibili (vie percutanee, via inalatoria, via oculare ecc.), sia iniettando il farmaco direttamente nella circolazione sanguigna. Il principale vantaggio della somministrazione tramite le vie endovasali è l’evitare la fase di assorbimento, pertanto la biodisponibilità del farmaco è pari praticamente alla dose.

  • L’iniezione endovenosa può essere effettuata invece tramite un unico bolo o per infusione continua (cioè tramite flebo). Tramite un unico bolo si determina però una concentrazione massima plasmatica immediata che può determinare problemi di tossicità al cuore e al cervello. L’iniezione deve essere effettuata da una persona con una certa perizia, pena il rischio di formare un embolo. Inoltre, tramite le vie endovasali, lo xenobiotico non è più recuperabile. Le altre vie di iniezione sono invece più rare.
  • L’iniezione endoarteriosa (o intra-arteriosa) è molto rara, ha un uso locale ed è praticata principalmente per i chemioterapici, ma anche per interventi chirurgici e per uso diagnostico (angiografia).
  • L’iniezione intramuscolare prevede l’iniezione di un farmaco direttamente nel tessuto muscolare.
  • L’iniezione intradermica viene utilizzata soprattutto a scopo diagnostico (prove allergologiche), iniettando allergeni nel derma sottostante l’epidermide. Il volume massimo iniettabile è di 0,1 – 0,2 ml.
    Tramite iniezioni sottocutanee, invece, il farmaco viene iniettato nel connettivo al di sotto della cute.

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In alcuni casi un’endovenosa eseguita senza perizia si trasforma in iniezione intradermica non voluta, disperdendo la soluzione iniettata in tutto o in parte nei tessuti circondanti la vena; è il cosiddetto “fuori vena”.

Vie topiche
Le vie topiche prevedono il contatto diretto del farmaco con il sito di azione, frequentemente la cute o le mucose, con minimo assorbimento da parte dell’organismo.

Via intratecale
La via di somministrazione intratecale prevede l’iniezione del principio attivo direttamente nel liquor che scorre nei ventricoli cerebrali e circonda il midollo spinale. Il farmaco somministrato supera facilmente la BEE (Barriera Emato-Encefalica). Questa via è molto utilizzata negli interventi chirurgici che richiedono una anestesia locale (anestesia spinale o epidurale).

Via inalatoria
La via inalatoria prevede che il principio attivo passi attraverso le vie respiratorie superiori, fino ad arrivare a livello alveolare (punto più profondo dell’apparato respiratorio). Gli alveoli sono a stretto contatto con l’endotelio dei capillari sanguigni, consentendo lo scambio gassoso e l’assorbimento del principio attivo. La superficie assorbente negli alveoli è pari a circa 90 m2. La via inalatoria è molto utile perché si può ottenere un’azione locale o un effetto sistemico. Nel primo caso il principio attivo si va a depositare sulla mucosa della trachea o dei bronchi, andando quindi ad espletare l’effetto anti-infiammatorio (es. infiammazione della trachea o dei bronchi). Nel caso di un effetto sistemico il principio attivo viene invece assorbito e immesso nel torrente sanguigno. Il farmaco si può trovare già allo stato gassoso (come accade con gli anestetici), vaporizzato attraverso l’ausilio di appositi nebulizzatori, oppure ridotto in minutissime particelle attraverso l’aerosol. La grandezza delle particelle che otteniamo con un aerosol o con una nebulizzazione è molto importante, perché in base alla grandezza di queste particelle si possono raggiungere diverse zone dell’apparato respiratorio. Più grandi sono le particelle ed inferiore è la profonfità raggiunta, e viceversa. In particolare, particelle con una dimensione superiore ai 5 μm si andranno a fermare a livello delle vie respiratorie superiori, mentre particelle con dimensione inferiore a 1-2 μm, una volta assunte per via inalatoria, possono arrivare fino a livello alveolare dove saranno assorbite. Nel caso degli aerosol e delle polveri, il destino delle particelle dipende quindi dal loro diametro:

  • > 5 μm:depositate nelle vie aeree superiori;
  • 1-5 μm: depositate nell’albero tracheo-bronchiale. Quelle solubili possono essere assorbite dalle cellule dell’apparato respiratorio e producono azione locale, quelle insolubili sono rimosse dal movimento delle ciglia (clearance mucociliare), portate in faringe ed ingerite;
  • < 1 μm:raggiungono gli alveoli dove sono assorbite, determinando azione sistemica.

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Come scegliere la via migliore di somministrazione?
La scelta su come somministrare un farmaco dipende principalmente dal bersaglio che si deve andare a colpire con quel determinato principio attivo; ad esempio, in presenza di una micosi cutanea o di una forma allergica della cute si andrà a scegliere la via di somministrazione transcutanea. Inoltre si deve tener conto:

  • della forma farmaceutica;
  • della rapidità nel raggiungere un certo effetto (ad esempio durante un trattamento d’urgenza, come lo shock anafilattico, si utilizza una via di somministrazione che consente un raggiungimento immediato di un certo effetto);
  • della durata dell’effetto;
  • dell’età del paziente (è un paziente pediatrico, un adulto o un anziano?)
  • delle condizioni di salute del paziente (può deglutire, ha vomito, diarrea, emorroidi…).

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