Spondilite anchilosante: sintomi, immagini, cure, invalidità, complicanze

MEDICINA ONLINE CRANIO OSSA VISTA ANTERIORE POSTERIORE VOLTA BASE CRANICA BASICRANIO IPOTALAMO IPOFISI SCHELETRO ENCEFALO NERVI SISTEMA NERVOSO ASSILE APPENDICOLARE TESCHIO SFENOIDE ETMOIDE MANDIBOLA ATM BONECon “spondilite anchilosante” (anche chiamata “morbo di Bechterew” o “pelvispondilite anchilopoietica” o “spondiloartrite anchilosante”, spesso abbreviato “SPA”, in inglese “ankylosing spondylitis”) si indica è una forma cronica di artrite a probabile causa autoimmune e genetica, inserita nel gruppo delle malattie reumatiche infiammatorie croniche e autoimmuni, in particolare di quello delle “spondiloartriti sieronegative“. Solitamente la malattia colpisce lo scheletro assile (vedi immagine in alto), in particolare la colonna lombosacrale, dorsale e cervicale, oltre alle articolazioni sacro-iliache, conducendo a fibrosi progressiva e ossificazione (da cui il termine “anchilosi”) delle strutture coinvolte. Oltre a comportare dolore intenso, il processo infiammatorio determina rigidità e limitazione funzionale che porta, in un paziente su tre, a condizioni altamente invalidanti con anchilosi completa del rachide (colonna “a canna di bambù”) che determina un brusco calo della qualità della vita e, nei più anziani, spesso una perdita dell’autonomia. La lombalgia, spesso notturna e di varia intensità, diviene infine ricorrente. Si sviluppano rigidità mattutina, tipicamente alleviata dall’attività, e spasmi della muscolatura paravertebrale. Una postura flessa o inclinata in avanti allevia il dolore lombare e lo spasmo della muscolatura paravertebrale, pertanto la cifosi è frequente nei pazienti non trattati. Si può infine sviluppare una grave artropatia dell’anca. Negli stadi tardivi, il paziente presenta cifosi accentuata, perdita della lordosi lombare e postura fissa in flessione anteriore, con compromissione della funzionalità polmonare e impossibilità a giacere in piano. Può esser presente un coinvolgimento periferico delle articolazioni, potenziale causa di deformità, che a volte interessa le dita (dattilite). Può inoltre comparire una tendinite achillea e patellare.

Nella donna è rara la forma giovanile (con età di esordio tra i 15 ed i 30 anni di età) ed è frequente l’impegno articolare periferico e caratteristica la localizzazione al rachide cervicale. Frequente l’osteite pubica. In generale, la malattia nelle donne ha una evolutività ridotta rispetto agli uomini.

La SPA può determinare mielopatia e/o radicolopatia da compressione nervosa del midollo spinale e/o dei suoi nervi, con comparsa di sintomi neurologici come dolore e deficit motorio e sensitivo.

Spondilite e spondilosi

La spondilite anchilosante non deve essere confusa con la spondilosi cervicale o quella lombare. In questo articolo ci occuperemo della spondilite anchilosante; se invece siete interessati alla spondilosi cervicale o alla spondilosi lombare, vi invitiamo a leggere:

Spondiloartriti sieronegative

Come anticipato, la spondilite anchilosante appartiene al gruppo delle spondiloartriti sieronegative. Ricordiamo al lettore che le spondiloartriti sieronegative sono un gruppo  eterogeneo gruppo di artriti infiammatorie caratterizzate dal coinvolgimento della sinovia (membrana che riveste internamente la capsula articolare) e delle entesi (l’inserzione dei muscoli, tendini, o fasce sulle ossa) Il coinvolgimento avviene sia a livello della colonna (da cui il termine “spondilo“) che delle articolazioni periferiche (“artriti“). Queste artriti sono caratterizzate dall’assenza sierica di fattore reumatoide (da cui il termine “sieronegative”) e colpiscono prevalentemente individui geneticamente predisposti. Altre caratteristiche comuni sono il coinvolgimento infiammatorio del rachide, con esordio insidioso in genere prima dei 40 anni che deve persistere per almeno 3 mesi, che si accentua dopo il riposo e migliora dopo esercizio fisico. Il coinvolgimento delle articolazioni è tipicamente mono- od oligoarticolare ed asimmetrica soprattutto dell’arto inferiore. Oltre alla spondilite anchilosante, appartengono al gruppo delle spondiloartriti sieronegative anche:

  • artrite psoriasica;
  • entesoartrite enteropatica;
  • entesoartrite reattiva;
  • sindrome SAPHO;
  • entesoartriti indifferenziate.

Una patologia con frequente positività al fattore reumatoide, e che quindi NON rientra nel gruppo delle spondiloartriti sieronegative, è l’artrite reumatoide. Per approfondire:

Etimologia

Il termine “spondilite” deriva dal greco “spondylos”, che significa vertebra, colonna.

Coinvolgimento assile o periferico

Come precedentemente anticipato, la maggioranza dei pazienti con spondilite anchilosante ha coinvolgimento prevalentemente assile (cosiddetta spondilite anchilosante assiale), ma alcuni hanno coinvolgimento prevalentemente periferico. Tra quelli con coinvolgimento assiale, alcuni non presentano segni di sacro-ileite sulle radiografie standard, a tal proposito alcuni Autori hanno proposto questa classificazione:

  • spondilite anchilosante assiale (o “assile”): è una SPA con coinvolgimento prevalentemente assiale (colonna vertebrale) e segni radiografici tipici della sacro-ileite;
  • spondilite anchilosante non radiografica: è una SPA clinicamente simile alla forma assiale, ma non presenta segni radiografici tipici di sacro-ileite;
  • spondilite anchilosante periferica: è una SPA anchilosante con coinvolgimento prevalentemente periferico (articolare).

In alcuni casi è presente contemporaneamente un coinvolgimento assiale e periferico.

Cause

Le cause esatte della spondilite anchilosante non sono ancora state completamente chiarite, ma si sospetta il ruolo eziologico di fattori genetici uniti a fattori ambientali. la SPA si instaura in soggetti geneticamente predisposti: è stata infatti osservata una stretta associazione con l’antigene del complesso maggiore di istocompatibilità HLA-B27 e, in minor misura con l’HLA-B60). Particolare rilevanza ha il gene HLA-B27, presente nel 95% dei malati di spondilite e nel 5% delle persone sane (il che significa che non tutti i malati sono positivi per il gene e non tutti coloro che sono positivi per il gene sono malati). Sono stati scoperti altri 2 geni responsabili, il ARTS1 e IL23R. Ai fattori genetici si associano fattori ambientali: probabilmente alcuni antigeni peptidici, derivanti dalla distruzione di batteri da parte del sistema immunitario dell’individuo, scatenano – in individui predisposti – una risposta immunitaria che è alla base della SPA. Tra i batteri responsabili ci sarebbero il klebsiella pneumoniae ed il mycoplasma. In definitiva la SPA è una malattia probabilmente multifattoriale in cui, sulla predisposizione genetica, si “innestano” altri fattori ambientali, probabilmente infettivi.

Fattori di rischio

I fattori di rischio per la SPA sono la positività all’HLA-B27 e la famigliarità: la SPA è 10-20 volte più frequente tra i parenti di primo grado di pazienti con spondilite anchilosante rispetto alla popolazione generale. Il rischio di spondilite anchilosante nei parenti di primo grado con allele HLA-B27 è del 20% circa. Il tasso di concordanza in gemelli identici è solo del 50% circa, suggerendo che – accanto ai fattori genetici – alla patogenesi della malattia contribuiscono senza dubbio fattori ambientali. Altri fattori di rischio sono il sesso maschile e l’età tra i 20 ed i 30 anni. Possibili fattori di rischio sono i traumi ripetuti al rachide, le infezioni frequenti, altre malattie autoimmuni, l’inquinamento ambientale e la postura scorretta.

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Eziopatogenesi

Nelle cartilagini articolari vi è una infiltrazione di macrofagi ed altre sostanze del sistema immunitario; queste sostanze provocano l’infiammazione dell’articolazione che, se non curata, darà vita ad un tessuto “cicatriziale” (si cicatrizza e si irrigidisce) formando dei “ponti ossei” tra le articolazioni che, quindi, non si possono più muovere liberamente (tipico è il quadro radiologico di colonna vertebrale a canna di bambù o “bamboo spine”).

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Epidemiologia

La prevalenza della malattia è variabile a seconda delle zone geografiche; in Italia sembra essere compresa tra lo 0.25% ed il 2%. E’ più rara nella popolazione di colore e orientale, più frequente nella popolazione caucasica. La malattia è più frequente nel sesso maschile (rapporto maschi/femmine 2:1), specie nella forma giovanile, dove il rapporto può superare i 3:1.

Età di comparsa

La malattia compare in giovane età (15-30 anni) oppure tra i 40 e i 60 anni, con sintomi poco riconducibili alla malattia e spesso confusi con quelli di altre patologie reumatiche o a carattere neurologico. Il picco di esordio è intorno ai 25-27 anni. In base alla differente età di comparsa, si riconoscono due forme principali di spondilite anchilosante:

  • spondilite anchilosante giovanile: esordisce dopo i 10 anni di età, frequentemente tra i 15 ed i 30 anni, soprattutto tra i maschi e fa parte delle artriti croniche dell’infanzia. La modalità d’esordio tipica è l’artrite periferica, più spesso come mono-oligoartrite e più raramente come poliartrite. Colpisce prevalentemente le articolazioni degli arti inferiori. Frequenti sono le entesiti, soprattutto a livello dei piedi dove possono formarsi speroni calcaneali ed esostosi. Dopo un certo periodo di tempo dall’esordio, variabile da caso a caso, compaiono sacroileite e spondilite e l’artrite periferica tende alla remissione. Nel 20% dei casi insorgono lesioni oculari (iridociclite acuta).
  • spondilite anchilosante tardiva: esordisce tra i 40 ed i 60 anni con il quadro tipico della SA associata a enteropatie, caratterizzata da una evoluzione lenta delle manifestazioni radiologiche e da lieve oligoartrite agli arti inferiori.

Sintomi e segni

Il più precoce e tipico sintomo è la lombalgia infiammatoria (prima manifestazione nel 75% dei casi). Si tratta di un dolore in sede lombo-sacrale ad esordio insidioso, presente da più di tre mesi, che può estendersi successivamente ad altri segmenti (rachide dorsale e cervicale). Il dolore si associa a rigidità mattutina di almeno trenta minuti, tende a migliorare con l’esercizio fisico, ma non con il riposo.

Il dolore è spesso così forte da costringere il paziente al risveglio nella seconda metà della notte. Può essere presente anche un dolore gluteo alternante (tra il lato destro e quello sinistro), ad irradiazione posteriore alla coscia, tipo sciatica, che non scende però sotto il ginocchio (sciatica mozza). Il coinvolgimento del rachide è spesso “ascendente”, colpisce cioè prima i distretti inferiori per poi diffondersi verso l’alto al tratto dorsale e cervicale.

Il dolore e la rigidità sono dovuti, in fase iniziale, all’infiammazione delle articolazioni sacro-iliache (sacro-ileite) ed all’infiammazione delle strutture legamentose delle ossa del bacino, delle entesi vertebrali e articolazioni interapofisarie, discovertebrali e costo vertebrali (spondilite). In questa prima fase la limitazione funzionale e le alterazioni posturali possono essere, almeno in parte recuperabili. Nelle fasi più avanzate la rigidità è dovuta all’anchilosi ossea vertebrale irreversibile. Progressivamente se non adeguatamente trattata, l’intera colonna diviene rigida ed il paziente perde la normale postura assumendo il tipico incurvamento della colonna, caratteristico della spondilite anchilosante.

Leggi anche: Cifosi patologica o ipercifosi dorsale: cause, terapie e conseguenze

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Cifosi in paziente con spondilite anchilosante

Nelle fasi più avanzate, tali alterazioni conducono ad una posizione flessa che limita il campo visivo (i pazienti non possono guardare il cielo). Nelle fasi tardive, inoltre, il dolore e la rigidità mattutina legate all’infiammazione tendono a ridursi mentre persiste la limitazione funzionale e la rigidità legate all’anchilosi. Tra le altre manifestazioni della malattia, l’interessamento delle inserzioni tendinee e ligamentose dell’osso (entesiti) anche in distretti extrarachidei. Tra le sedi più colpite l’inserzione del tendine d’Achille, della fascia plantare al calcagno, le giunzioni costo-sternali, le creste iliache.

In un terzo dei pazienti può verificarsi dolore e gonfiore (artrite) delle articolazioni periferiche (anca, spalla, caviglia, ginocchio). La spondilite anchilosante si manifesta anche con alcuni sintomi extrarticolari: malattie infiammatorie intestinaliuveiti anteriori, sindrome della cauda equina (si ha la perdita della funzione del plesso lombare conseguente alla lesione delle radici dei nervi spinali). Il coinvolgimento dell’apparato cardiovascolare nella malattia è relativamente raro (aortite scendente, dilatazione dell’anello aortico, insufficienza aortica, anormalità nella conduzione cardiaca, disfunzione micardica e pericardite). Ancor più raro è il coinvolgimento polmonare (fibrosi dei lobi superiori).

La riduzione dell’espansibilità toracica può condurre ad insufficienza respiratoria restrittiva. Sintomi sistemici come febbricola, stanchezza, riduzione dell’appetito e perdita di peso rappresentano altre manifestazioni della spondiloartrite anchilosante, presenti nelle fasi precoci di malattia. Spesso la stanchezza è un sintomo dominante ed è correlato all’attività di malattia.

In sintesi, nella maggior parte dei malati la malattia provoca:

  • dolore alla zona sacrale che si irradia lungo il gluteo (lombo-sciatalgia);
  • difficoltà nel dormire se non in determinate posizioni “indolori”;
  • dolori al risveglio e durante il riposo;
  • febbricola;
  • astenia;
  • parestesie;
  • deficit motori e/o sensitivi.

Complicanze sistemiche

Complicanze sistemiche della SPA, possono includere:

  • malattia di Crohn;
  • colite ulcerosa;
  • irite (una forma di uveite);
  • disturbi visivi;
  • fotofobia;
  • aortite;
  • insufficienza aortica;
  • disturbi del sistema di conduzione del cuore;
  • prostatite;
  • ritenzione urinaria;
  • amiloidosi;
  • pericardite;
  • miocardite;
  • scompensi;
  • cuore polmonare;
  • problemi respiratori cronici o acuti dovuti a schiacciamento del torace;
  • idrotorace;
  • fibrosi polmonare.

La spondilite anchilosante non è una patologia mortale, tuttavia il rischio di decesso per eventi cerebrovascolari (come infarto acuto del miocardio o ictus cerebrale) è aumentato del 60% nei soggetti con spondilite anchilosante rispetto ai soggetti sani.

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Diagnosi

La diagnosi si basa sull’anamnesi e, soprattutto, sull’esame obiettivo che va a rilevare quali e quante articolazioni sono colpite e sul tipo di dolore che non migliora col riposo. Importante, ai fini della diagnosi, è la positività all’HLA-B27 (che però è negativo in circa il 5% dei malati).

Nell’80% dei pazienti è presente aumento degli indici di infiammazione (VES e PCR) che però, da soli, hanno scarso significato e non permettono la diagnosi di certezza. Gli esami di laboratorio mostrano inoltre negatività al fattore reumatoide ed agli anticorpi anti-CCP.

In presenza di una lombalgia infiammatoria cronica, la radiografia del bacino e della colonna vertebrale è l’esame di primo livello, anche se bisogna ricordare che le alterazioni spondilitiche diventino radiologicamente visibili solo dopo mesi o addirittura anni dall’esordio clinico e questo può determinare un ritardo nella diagnosi. Utile, per una diagnosi precoce, la risonanza magnetica che evidenzia l’infiammazione a carico delle articolazioni sacro-iliache e della colonna vertebrale nelle fasi iniziali della patologia.

Un segno di diagnosi precoce è la sciatica mozza. Si parla di sciatica mozza o cruralgia, quando il dolore non decorre fino al piede (cosa che invece generalmente avviene nella sciatica “classica”) ma si percepisce nella parte anteriore della coscia fino a sopra il ginocchio

Diagnosi differenziale

Necessaria la diagnosi differenziale con tumori ossei ed altre patologie simili, muscoloscheletriche o neurologiche, come l’ernia del disco. In generale esami che potrebbero essere utili per differenziare una spondilosi anchilosante da altre patologie che presentano sintomi simili, sono:

IMPORTANTE: non tutti gli esami elencati sono sempre necessari.

Consigli

In caso di spondilite anchilosante, per diminuire i sintomi, è consigliabile:

  • evitare la vita sedentaria;
  • eseguire esercizio fisico periodico e stretching sotto controllo medico e fisioterapico;
  • mettersi a riposo se il medico lo ritiene opportuno;
  • perdere peso se sovrappeso o obesi;
  • avere una postura corretta, specie quando si è seduti a lungo per lavoro;
  • svolgere attività fisica sotto il controllo di un personal trainer titolato, per evitare di sbagliare i movimenti degli esercizi;
  • evitare traumi alla colonna vertebrale;
  • alimentarsi in modo corretto;
  • smettere di fumare.

Appositi esercizi di stretching, da eseguire sotto controllo medico, possono migliorare la situazione; a tal proposito leggi:

Trattamento farmacologico

Il trattamento dei sintomi comporta l’uso di antinfiammatori non steroidei (FANS) e degli oppiodi (nei casi più gravi). I corticosteroidi vengono usati per via infiltrativa locale nelle sedi infiammate in caso di entesiti e/o artriti periferiche. Per evitare la progressione della malattia si usano DMARDs (come sulfasalazina e metotrexato) ed i farmaci biologici (anti TNF).

Trattamento riabilitativo

Alla terapia farmacologica si accostano anche fisioterapia, termoterapia ed assunzione di vitamina D: nel lungo termine l’obiettivo è il mantenimento della postura e la motilità, incluse l’espansibilità toracica (tramite ginnastica respiratoria) ed il movimento articolare periferico. La terapia riabilitativa deve soprattutto prevenire e trattare l’ipotrofia muscolare, specie nei soggetti anziani. Le deformazioni del rachide già instaurate possono essere contrastate con la rieducazione posturale globale.

Chirurgia

Nei casi più gravi la chirurgia del rachide e la protesizzazione delle articolazioni periferiche (per esempio protesi d’anca) possono essere prese in considerazione, specie nei casi caratterizzati da alterazioni posturali marcate ed in caso di disabilità e danneggiamento strutturale articolare.

Invalidità

Qualora la patologia raggiunga una certa gravità, si potrebbe avere diritto a vedersi riconosciuto un certo grado di invalidità. Per essere dichiarati ufficialmente invalidi civili occorre dimostrate che la patologia dalla quale siamo affetti sia tale da compromettere la nostra normale capacità lavorativa. Per far questo è necessario sottoporsi all’esame di una commissione medica la quale valuterà il nostro stato e ci assegnerà un punteggio che poi verrà convertito in una percentuale di invalidità. Tale patologia può portare a una invalidità di percentuale che è molto variabile in base alla gravità della patologia e quindi al grado di sofferenza: essendo una patologia particolarmente dolorosa e limitante delle capacità motorie, può senza dubbio esitare in una invalidità di percentuale elevata.

ATTENZIONE: queste informazioni potrebbero non essere aggiornate. Chiedete al vostro medico informazioni relative all’invalidità in caso di patologia lombare.

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