Dermatite atopica: curala con i probiotici

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MEDICINA ONLINE PELLE CUTE DONNA COSMESTICI CREMA TRUCCO FEMMINA DERMATITE ATOPICA ALLERGIA RUGHE VISO OCCHI LABBRA BELLEZZA CURA COSMESI BELLA.jpgInizia nell’infanzia, ma può proseguire anche in età adulta, portando con sé prurito e irritazioni cutanee con cui può essere difficile convivere. È la dermatite atopica, un disturbo per cui è spesso difficile trovare una soluzione. A volte non sono efficaci né i rimedi topici, né i farmaci da assumere per via orale. Anche in questi casi rimane, però, un barlume di speranza. Sono infatti sempre più numerosi gli studi che fanno intravedere una soluzione nella supplementazione alimentare con probiotici, che rappresenta un valido aiuto per migliorare la gestione della malattia

Nutrienti contro i problemi di pelle

Una recente analisi pubblicata su Jama Dermatology ha passato in rassegna i risultati di 21 diverse ricerche che, in totale, hanno coinvolto quasi settemila pazienti. Fra i nutrienti presi in considerazione sono inclusi gli acidi grassi, i prebiotici e i probiotici. Sono proprio questi ultimi, i batteri amici della salute intestinale, ad aver dato prova più di qualunque altro nutriente di essere utili per chi soffre di questo disturbo dermatologico.

Probiotici, amici non solo dell’intestino

Contrariamente ad altri microrganismi, i probiotici non sono una minaccia per la salute, anzi, sono naturalmente presenti nell’intestino, dove producono sostanze antimicrobiche, contrastano la crescita dei batteri patogeni e stimolano le difese immunitarie. Il loro meccanismo d’azione non è stato ancora chiarito completamente. È, però, nota la loro capacità di riportare nella norma la permeabilità intestinale, che sembra essere alterata anche negli adulti che soffrono di dermatite atopica. Fortunatamente questi microrganismi possono essere assunti per via orale, perché non perdono le loro proprietà né durante la conservazione, né nel passaggio nell’apparato digerente. Ciò ha permesso di valutare l’efficacia della loro assunzione nel trattamento della dermatite atopica. Molti degli studi portati a termine fino a oggi sono stati condotti nei bambini. Nella maggior parte dei casi le potenzialità dei probiotici sono state confermate, tanto che l’American Academy of Dermatology ha incluso l’assunzione di questi microrganismi tra le misure utili durante la gravidanza e l’allattamento per prevenire la comparsa della dermatite atopica. Anche gli studi condotti nella popolazione adulta, sebbene meno numerosi, dimostrano che l’assunzione di probiotici aiuta sia a migliorare i sintomi della dermatite atopica, sia a ridurre la presenza nelle feci dello Stafilococco aureo, un batterio molto diffuso tra gli atopici.

Un probiotico non vale l’altro

In realtà, però, parlare di probiotici in generale non è corretto. Nel caso della dermatite atopica possono essere utili due ceppi identificati di recente: il Lactobacillus salivarius LS01 e il Bifidobacterium breve BR03. Uno studio condotto su individui adulti ha infatti dimostrato l’efficacia di questi due probiotici che, assunti per tre mesi, contribuiscono a ridurre l’eczema e la permeabilità intestinale, oltre a riequilibrare il sistema immunitario. Per questo la combinazione di Lactobacillus salivarius LS01 e Bifidobacterium breve BR03 è oggi considerata un’utile terapia aggiuntiva nel trattamento della dermatite atopica negli adulti.

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Kebab: che carni contiene? Sai quanto fa male alla salute?

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kebab fa male alla saluteUna moda spopolata in tutta Europa, il kebab è diventato il fast food più diffuso, da Londra a Barcellona, Roma, Berlino, Parigi, milioni di persone lo mangiano ogni giorno, senza sapere che cos’è e quanto pericoloso è per la salute.

Il sapore del grasso
Mahmut Aygun, emigrato in Germania dalla Turchia negli anni Settanta è stato uno dei primi fautori della diffusione di questo alimento nel nostro continente. Pare che, originariamente, nei paesi arabi dove è nato, il kebab fosse un piatto artigianale e rustico di carne, anche abbastanza fresco e nutriente, servito con verdure e salse speziate. Il Doner Kebab (ovvero la versione “da passeggio”, diffusa dalla Germania in tutta Europa, ndr), invece, non ha niente di nutriente, né di buono, purtroppo. Quel sapore anche “non male” e a volte appetitoso, che chiunque abbia mangiato un kebab conosce, non è nient’altro il risultato della lavorazione della carne con quantità spropositate di grasso animale e spezie: questo è quello che inganna il palato. Chi è abituato a mangiare hamburger da McDonald od altre schifezze del genere, sa bene che il panino sembra buono: questo è solo un sapore indotto dal grasso utilizzato nel processo di lavorazione della carne.

Cosa contiene un kebab?
Vi propongo i risultati di un’analisi condotta in Inghilterra da un equipe di scienziati e nutrizionisti (il testo integrale della ricerca è in questo link) e spero che vi facciano cambiare idea al momento di decidere se entrare in un “ristorante” che offre kebab.

  • più del 50% dei Doner Kebab contiene carne diversa da pollo o vitello, la maggioranza dei kebab sono un miscuglio di carni diverse, tra cui quella di pecora e di maiale;
  • a parte nei kebab realizzati con un’amalgama di carni di vitello, pollo, tacchino, pecora, maiale, in circa il 9% dei casi non si è potuta individuare con chiarezza la natura della carne utilizzata nel processo di triturazione;
  • un kebab contiene tra il 98% (nel migliore dei casi analizzati) ed il 277% della quantità giornaliera di sale accettabile, oltre la quale la salute di un essere umano è a rischio;
  • un singolo kebab contiene tra le 1.000 e le 1.990 calorie (senza considerare le verdure e le salse);
  • un altro dato scandaloso è che ogni kebab contiene tra il 148% ed il 346% della quantità di grassi saturi assimilabili giornalmente da un essere umano (sempre considerando solo la carne);

La totalità dei kebab diffusi dalla Germania in tutta Europa, contengono una quantità elevatissima di conservanti ed additivi chimici, necessari per poter assicurare la conservazione del prodotto per mesi. Inoltre, durante il loro trasporto ed all’interno degli stessi stabilimenti dove sono venduti al pubblico, questi rotoloni di “carne” sono soggetti a gravi interruzioni della catena del freddo, in seguito a continui e ripetuti congelamenti e descongelamenti.

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