Interdizione giudiziale
L’interdizione, nel diritto civile italiano, è il provvedimento con il quale il maggiorenne (o il minore emancipato) perde completamente la capacità d’agire al ricorrere dei presupposti previsti dalla legge.
Ricordiamo che la capacità di agire, nell’ordinamento giuridico italiano, indica l’idoneità del soggetto a compiere atti giuridici, cioè a porre validamente in essere atti idonei ad incidere sulle posizioni giuridiche soggettive di cui è titolare.
Ricordiamo che il minore non ha capacità di agire, ma il minorenne che ha contratto matrimonio diventa minore emancipato (art. 390 e segg.) e acquista così una capacità di agire limitata agli atti di ordinaria amministrazione, qualunque sia la loro natura; per gli atti di straordinaria amministrazione, invece, la sua volontà dev’essere integrata da quella di un curatore(determinato secondo le regole dell’art. 392).
Una persona maggiorenne (o un minore emancipato) può essere interdetta quando si trova abitualmente in uno stato d’infermità mentale di notevole gravità, stato che la rende incapace di badare a se stessa (art. 414 del Codice Civile). Abituale deve ritenersi pure lo stato di incapacità mentale inframmezzato da momenti di piena capacità di agire: i cosiddetti “lucidi intervalli”.
A seguito dell’interdizione l’incapace non può compiere alcun atto giuridico, né di ordinaria, né di straordinaria amministrazione. La sua posizione è quindi equiparata a quella del minore e, al pari di quest’ultimo, è nominato, dal Giudice tutelare, un soggetto che provveda a rappresentare, e quindi sostituire, l’interdetto nella cura dei suoi interessi: il tutore (art. 424). L’interdizione ha effetto immediato dal giorno di pubblicazione della sentenza (art. 421). L’interdizione può essere revocata soltanto su istanza di legittimi richiedenti (art. 429) ma non dell’interdetto stesso.
La sentenza di revoca produce effetto solo dopo il passaggio in giudicato e in seguito a essa si riacquisisce interamente la capacità di agire; salvo il caso in cui si accerti un’infermità meno grave, in questo caso l’interdizione diventa inabilitazione. Ne consegue che tutti gli atti compiuti dopo la sentenza sono annullabili (art. 427), mentre quelli antecedenti la sentenza sono annullabili secondo le condizioni stabilite per gli atti dell’incapace naturale (art. 428).
Inabilitazione
L’inabilitazione, nel diritto civile italiano, è un istituto che esclude parzialmente il soggetto dalla capacità di agire. La differenza rispetto al presupposto dell’interdizione risiede nella minore gravità dell’infermità, che consente al soggetto di compiere da solo gli atti di ordinaria amministrazione, mentre deve essere assistito da un curatore per gli atti di straordinaria amministrazione. Questo, a differenza del tutore, non è un rappresentante del soggetto, in quanto non lo sostituisce ma lo affianca.
La posizione giuridica dell’inabilitato è identica a quella del minore emancipato.
In parole semplici: mentre nell’interdizione il maggiorenne (o il minore emancipato) perde completamente la capacità di agire, nell’inabilitazione la persona perde parzialmente la capacità di agire.
Una persona può essere inabilitata quando si trova in uno dei seguenti stati:
- incapacità naturale grave (ma non tale da giustificare l’interdizione);
- uso abituale di alcool o di sostanze stupefacenti, oppure “prodigalità” (cioè lo sperpero del proprio patrimonio), se a causa di ciò la persona stessa o la sua famiglia vengono esposte a gravi pregiudizi economici;
- cecità e sordomutismo (dalla nascita o dalla prima infanzia), qualora sia mancata un’educazione adeguata a compensare tali limitazioni fisiche.
Il potere di chiedere l’interdizione e l’inabilitazione spetta al pubblico ministero e a
una ristretta cerchia di familiari (art. 417). Interdizione e inabilitazione possono essere decise soltanto con una sentenza (art. 417); contemporaneamente il giudice provvede anche a nominare il tutore dell’interdetto, oppure il curatore dell’inabilitato, scegliendolo possibilmente tra i suoi familiari più stretti (art. 424: coniuge, genitori, figli maggiorenni).
L’inabilitazione, quanto l’interdizione, può essere revocata solo su istanza del coniuge, dei parenti entro il quarto grado, degli affini entro il secondo grado, del curatore/tutore e del pubblico ministero. In seguito alla revoca l’inabilitato riacquista completamente la capacità di agire.
Ribadiamo infine alcuni importanti concetti: l’interdetto non può compiere validamente nessun atto giuridico: quelli che compie sono annullabili. L’inabilitato, invece, può compiere validamente da solo gli atti di ordinaria amministrazione; quelli di straordinaria amministrazione devono essere compiuti insieme dall’inabilitato e dal suo curatore, altrimenti sono annullabili. Tutti gli atti giuridici che appare opportuno vengano compiuti nell’interesse dell’interdetto sono compiuti in sua sostituzione dal tutore, che assume la qualità di suo legale rappresentante, sotto il controllo del giudice tutelare.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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