La febbre dengue, più conosciuta semplicemente come dengue, è una malattia infettiva tropicale causata dal virus Dengue. Il virus esiste in quattro sierotipi differenti (DENV-1, DENV-2, DENV-3, DENV-4) e generalmente l’infezione con un tipo garantisce un’immunità a vita per quel tipo, mentre comporta solamente una breve e non duratura immunità nei confronti degli altri. L’ulteriore infezione con un altro sierotipo comporta un aumento del rischio di complicanze gravi.
Epidemiologia
La maggior parte di chi contrae la dengue si riprende senza problemi, mentre la mortalità è dell’1–5% qualora non venga instaurato alcun regime terapeutico e inferiore all’1% nel caso di trattamento adeguato. Tuttavia le forme più gravi della malattia conducono a morte nel 26% dei casi. La dengue è endemica in 110 paesi e infetta dai 50 ai 100 milioni di individui ogni anno, con circa mezzo milioni di persone che necessitano di ospedalizzazione e 12.500-25.000 decessi.
Cause
Il responsabile della febbre dengue è un virus a RNA appartenente alla famiglia delle Flaviviridae, genere Flavivirus. Di questa famiglia fanno parte numerosi altri virus responsabili di febbre emorragica, tra cui quelli responsabili della febbre gialla, dell’encefalite di Saint-Louis, dell’encefalite giapponese e al virus del Nilo occidentale. Tutte queste malattie sono trasmesse da artropodi, soprattutto zanzare e zecche, e i virus responsabili sono anche conosciuti come Arbovirus, dall’acronimo in lingua inglese arthropod borne virus (virus portato da artropodi). Come molti arbovirus, il virus della dengue permane in natura perché utilizza vettori ematofagi e ospiti vertebrati, mantenendosi soprattutto nelle foreste del Sud-est asiatico e dell’Africa. Nelle zone rurali la trasmissione avviene solitamente tramite puntura da parte di Aedes aegypti e altre del genere Aedes, tra le quali Aedes albopictus (zanzara tigre), mentre nelle città avviene quasi esclusivamente tramite Aedes aegypti, che risulta molto addomesticata. Quando la zanzara infetta punge un essere umano, il virus penetra la cute insieme alla saliva dell’insetto. Una volta all’interno dell’organismo, si lega ai leucociti, vi penetra e si riproduce al loro interno.
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Segni e sintomi
Tipicamente i soggetti infettati con il virus della dengue sono asintomatici (80%) oppure hanno solo manifestazioni cliniche leggere, quale la febbre non complicata. Circa il 5% dei pazienti va incontro a una forma più grave della malattia e solo in una piccola parte di essi la dengue può essere pericolosa per la vita. Il periodo di incubazione dura tra i 3 e i 14 giorni, ma è solitamente compreso tra i 4 e i 7 giorni; per questo motivo è possibile escludere la presenza della malattia in pazienti che manifestino sintomi oltre due settimane dopo il ritorno da un soggiorno in un’area endemica. I bambini presentano sintomi simili a quelli del raffreddore comune e della gastroenterite (vomito e diarrea), generalmente meno importanti rispetto agli adulti, sebbene siano maggiormente suscettibili a complicanze gravi.
Fasi
La presentazione clinica tipica della dengue include febbre a esordio improvviso, cefalea tipicamente retrooculare, mialgia, artralgia e esantema. Il decorso della malattia può essere suddivisto in tre fasi: febbrile, critica e di recupero. La fase febbrile è caratterizzata da febbre elevata, spesso superiore ai 40 °C, associata a dolore generalizzato e cefalea e dura solitamente tra i 2 e i 7 giorni. Durante questa fase, il 50-80% dei pazienti con sintomi presenta un esantema cutaneo, che inizia tipicamente durante il 1º o 2º giorno di sintomi come un eritema, per assumere tra il 4º e il 7º giorno un aspetto morbilliforme. A questo punto possono comparire petecchie e si possono verificare piccoli episodi emorragici alla mucosa del naso e della bocca. La febbre ha classicamente un andamento bifasico, ripresentandosi per un paio di giorni dopo la risoluzione iniziale, anche se il fenomeno ha una durata e delle tempistiche molto variabili.
Esami di laboratorio e strumentali
La prima alterazione visibile agli esami di laboratorio è il ridotto numero di globuli bianchi, condizione spesso seguita da riduzione del numero di piastrine e acidosi metabolica. Nella forma grave la perdita di liquidi porta a emoconcentrazione, con aumento dell’ematocrito, e a riduzione dell’albumina circolante. Versamento pleurico e ascite possono essere rilevati clinicamente solo quando importanti, mentre l’ecografia permette una diagnosi più precoce, anche se il suo utilizzo è limitato dalla scarsa disponibilità delle apparecchiature in alcuni paesi.
La dengue può essere diagnosticata anche mediante esami microbiologici, in particolar modo tramite l’isolamento del virus sul terreni di coltura, rilevamento del RNA virale dopo espansione tramite PCR, esami sierologici per la rilevazione di antigeni virali o anticorpi diretti verso di essi. L’isolamento del virus e del suo genoma sono test più accurati di quelli sierologici, ma non sono diffusamente disponibili per via del loro costo elevato, mentre quest’ultimo e la PCR sono più accurati in particolar modo nella prima settimana di malattia, anche se tutti gli esami possono rivelarsi negativi nelle fasi precoci.
Tutti questi esami di laboratorio hanno una valore diagnostico solamente durante la fase acuta della malattia, eccezion fatta per la sierologia. La ricerca delle IgG e IgM, normalmente prodotto 5-7 giorni dopo l’infezione, può essere utilizzata per confermare la diagnosi di dengue anche nelle fasi tardive. Il titolo più elevato di IgM è rilevato dopo l’infezione primaria, ma esse sono prodotte anche in caso di infezione secondaria o terziaria; diventano non rilevabili 30-90 giorni dopo l’infezione primaria, ma, in caso di infezioni successive, scompaiono più rapidamente. Le IgG invece rimangono rilevabili per più di sessant’anni, anche in assenza di sintomi, è quindi risultano un ottimo indicatore di infezioni pregresse. Dopo l’infezione primaria raggiungono il loro picco dopo 2-3 settimane, mentre in corso di infezioni successive il picco è raggiunto prima e il titolo è solitamente più alto. Sia le IgG, sia le IgM provvedono all’immunità nei confronti di un determinato sierotipo. In laboratorio queste immunoglobuline possono legare altri Flavivirus, come quello della febbre gialla, rendendo difficile l’interpretazione dell’esame. La rilevazione unicamente delle IgG non è considerata diagnostica a meno che il loro titolo non quadruplichi in campioni di sangue raccolti ad almeno due settimane di distanza dalla precedente raccolta. In una persona sintomatica, la rilevazione delle sole IgM è considerata diagnostica.
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Trattamento
Non esistono terapie specifiche per la dengue. Le modalità di trattamento dipendono dalle manifestazioni cliniche, e possono andare dalla semplice idratazione orale a domicilio al ricovero con somministrazione di liquidi per via parenterale o emotrasfusioni. La necessità di ricovero viene normalmente determinata sulla base dei segnali di allarme, soprattutto in presenza di comorbilità.
L’idratazione endovenosa si rende necessaria di solito per un paio di giorni e la quantità di liquido da infondere è calcolato per garantire un’eliminazione renale di 0.5-1 mL/kg/h di urina, segni vitali stabili e una normalizzazione dell’ematocrito. Procedure più invasive quali l’inserimento di un sondino nasogastrico, l’iniezione intramuscolare e le punture arteriose devono essere evitate a causa del rischio di sanguinamento. Il paracetamolo viene utilizzato per il trattamento sintomatico della febbre e del dolore, mentre i FANS come l’aspirina o l’ibuprofene vanno evitati per non peggiorare il rischio di emorragia. La trasfusione di sangue è richiesta precocemente nei pazienti con segni vitali instabili e a fronte di una tendenza dell’ematocrito a calare. Sebbene l’ematocrito non sia un indicatore dell’entità dell’emorragia buono quanto la concentrazione di emoglobina, si preferisce utilizzare questo indicatore piuttosto che attendere che l’emoglobina raggiunga un valore soglia per iniziare la trasfusione. Possono essere somministrati sangue intero o globuli rossi concentrati, mentre non sono normalmente utilizzate trasfusioni di piastrine o di plasma fresco congelato.
Durante la fase di recupero dalla malattia la terapia idratante viene di solito sospesa per evitare una condizione di ipervolemia; in caso si presenti tale condizione il trattamento prevede, in presenza di segni vitali stabili, la sola sospensione della somministrazione di liquidi eventualmente associata a un diuretico dell’ansa quale la furosemide.
Prognosi
La fase di recupero, che dura circa 2-3 giorni, è caratterizzata dal riassorbimento dei liquidi e dal ripristino della volemia. Il miglioramento è spesso sorprendente, ma si possono presentare bradicardia e prurito importante, oltre a un’eruzione cutanea maculo-papulare o di aspetto vasculitico, con successiva desquamazione cutanea. Durante questa fase si può manifestare una condizione di sovraccarico di liquidi che, qualora evolva in edema cerebrale, può comportare alterazioni dello stato di coscienza e convulsioni. Una condizione di affaticamento può permanere anche per settimane dopo la risoluzione clinica della malattia.
Prevenzione
Mutazioni del recettore della vitamina D e del frammento cristallizzabile delle IgG sembrano avere effetti protettivi, in particolar modo nelle forme gravi da infezione secondaria. Non esistono vaccini approvati per il Dengue virus e la prevenzione della malattia si basa quindi sul controllo della popolazione della zanzara vettrice e sulla protezione dal contatto dei residenti delle zone endemiche. L’OMS raccomanda l’adozione di un programma integrato di controllo del vettore basato su cinque punti:
- Patrocini, mobilitazioni sociali e legislazione al fine di assicurare il rinforzo degli organismi sanitari pubblici e delle comunità;
- Collaborazione tra Sanità e altri ambiti, pubblici e privati;
- Approccio integrato al controllo della malattia per ottimizzare l’utilizzo delle risorse;
- Decisioni basate sull’evidenza clinica in modo da garantire che gli interventi siano mirati e appropriati;
- Rafforzamento delle capacità per garantire una risposta adeguata alla situazione locale.
Il principale metodo di controllo di Aedes aegypti consiste nell’eliminazione del suo habitat. Questa può essere ottenuta nelle aree endemiche mediante lo svuotamento dei contenitori di acqua e l’utilizzo di agenti di controllo, ovvero specie animali la cui presenza riduca quella del vettore, o di insetticidi, anche se la spruzzatura di organofosfati o piretroidi non risulta efficace. La riduzione delle raccolte di acqua all’aria aperta attraverso interventi ambientali è il metodo più utilizzato, date le preoccupazioni per eventuali effetti negativi sulla salute da parte degli insetticidi e le maggiori difficoltà logistiche per l’uso gli agenti di controllo. La popolazione può prevenire le punture da parte del vettore utilizzando abiti che coprano completamente la cute, zanzariere o repellenti per insetti, in particolar modo il dietiltoluamide che si è rivelato essere il più efficace.
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Lo staff di Medicina OnLine
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