Enter the Void (2009): trama, recensione e spiegazione del finale

MEDICINA ONLINE ENTER THE VOID 2009 GASPAR NOE TRAMA RECENSIONE SPIEGAZIONE FINALE PAZ DE LA HUERTA BROWN.jpgUn film di Gaspar Noé. Con Nathaniel Brown, Paz de la Huerta, Cyril Roy, Olly Alexander, Masato Tanno. Drammatico, durata 154 min. – Francia, Germania, Italia 2009

Trama
Oscar e la sorella Linda, orfani di padre e madre vivono da qualche tempo in un micro-appartamento a Tokyo e tirano avanti spacciando droga lui, e ballando in uno strip club lei. La loro situazione sembra alquanto problematica ma ciò che davvero conta è di esserci l’uno per l’altra. La sorte dei due ragazzi verrà stravolta una notte, quando carico di droga da smerciare, Oscar viene attirato per vendetta in un’imboscata ed ucciso da agenti di polizia dal grilletto troppo facile. Benché il trip surrealistico fosse già cominciato precedentemente, a causa dello sballo del protagonista fin dall’inizio del film, il vero viaggio australe inizia solo ora, cioè quando l’anima (o qualunque cosa sia) di Oscar si stacca dalle sue spoglie mortali e comincia a fluttuare per una sempre più vacua ed eterea Tokyo, così tramite lo sguardo onnipresente di questa entità, continuiamo a seguire le vicende degli altri personaggi, in particolare della sorella Linda.

Il balcone, stacci lontano. Tieni gli occhi aperti. Mi sta scoppiando la testa

Recensione
Rare volte nella storia del cinema si sono visti film talmente all’avanguardia e tanto coraggiosi da lasciare gli spettatori sbigottiti e deliziosamente confusi. Ebbene, anche se non raggiunge la grandezza delle opere più visionarie di Kubrick o Lynch, Enter the Void dell’argentino Gaspar Noé merita senza dubbio un posticino tra le avanguardie più coraggiose, perché di coraggio, questa pellicola, ne ha davvero da vendere. Quasi due ore e mezza per la maggior parte raccontate in modalità prima persona, al fine di far immedesimare lo spettatore con il protagonista Oscar, da quando vede i genitori mentre fanno sesso fino a quando vola dentro e fuori l’hotel “Love” (chiamato come uno dei successivi film di Noé).
Oscar lo vedremo in faccia pressoché unicamente quando si trova di fronte allo specchio, le altre volte o vediamo attraverso i suoi occhi o osserveremo la sua nuca. Ma questa non è certo la caratteristica più fulminante del film, ciò che veramente lascia senza parole è l’enorme lavoro artistico di tinte, colori, neon, riflessi e radiazioni luminose al limite dell’attacco epilettico che sommergono e stordiscono senza scampo lo spettatore per l’intera durata della vicenda, creando un vero e proprio viaggio sensoriale onirico eppure realistico, tra sesso esplicito, pianti di bambini disperati ricoperti dal sangue dei propri genitori e colori resi vividi dalle droghe. Impressionanti le inquadrature dall’alto, sia sulla città ipercromatica, che negli interni. Impressionante vedere la scena della “propria” morte e vedere il sangue che ci esce dal petto, mentre ci accasciamo in bagno e la nostra voce si fa sempre meno nitida. Impressionante vedere il frutto dell’aborto di Linda, e lo dico da medico. Impressionante l’ultima scena, in cui vediamo il mondo con gli occhi di un neonato. Emozionante, per il sottoscritto, sentire il “proprio” battito del cuore accelerato, fondersi con quello più lento di mia madre.

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Il libro tibetano dei morti
Il contenuto di Enter the Void non è affatto da prendere alla leggera, ciò di cui tratta, ciò a cui assisteremo durante la visione, viene esplicato in modo semplicemente geniale nei primi dieci minuti del film quando Alex, amico di Oscar, discute con lui del libro ‘The Tibetan Book of the Dead’, ovvero “Bardo Tödröl Chenmo” nel quale si parla del viaggio dell’anima dopo la morte. Oltre che una splendida esperienza surreale ed un tentativo di rappresentare ciò che avviene nell’aldilà, Enter the Void è anche un profondo ed appassionante dramma con al centro l’indissolubile legame dell’amore fraterno – diviso, poi ritrovato, poi di nuovo diviso – cullato dalle soavi note di un azzeccatissimo Bach, a volte modulato ottimamente. Un amore fraterno, velatamente incestuoso, che però fatalmente manca nella notte della morte di Oscar, perché Linda non risponde subito al telefono: in quel momento sta facendo sesso con il proprio capo, lo stesso capo che la farà in seguito abortire. Questo è un film sulle droghe usate “quasi come vitamine”, sul legame tra fratello e sorella, sull’amore. Ma più di ogni altra cosa, è un film sulla morte e su quello che potrebbe succedere a noi ed alla nostra coscienza, subito dopo l’ultimo respiro, nella nostra dimensione extracorporea. Stroncato da alcuni critici che – secondo il sottoscritto – dovrebbero davvero cambiare lavoro, io ve lo consiglio, ma solo se avete il coraggio di vedere qualcosa di diverso dal solito e siete pronti ad “entrare nel vuoto“, in una storia dove passato e presente si mischiano in modo destabilizzante.

Spiegazione del finale
Oscar, dopo la sua morte, nel finale vede Alex e Linda (sua sorella ed il suo amico), che hanno un rapporto sessuale che culmina in una gravidanza e nella nascita di un bimbo. Quel bimbo, i cui primi attimi di vita li viviamo in prima persona, è lo stesso Oscar che si è reincarnato in suo nipote.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Searching for Sugar Man (2013): la storia vera dietro il film su Sixto Rodriguez

MEDICINA ONLINE Sixto Díaz Rodríguez, conosciuto anche come Jesus Rodríguez o, più semplicemente, come Rodríguez (Detroit, 10 luglio 1942), è un cantautore statunitense..jpgSixto Rodriguez è un cantante folk che, negli anni ’60, si esibisce per pochi spiccioli nei pub di Detroit, città in cui è nato e vive. Nel 1969, dopo un concerto, viene avvicinato da un importante produttore di una grossa casa discografica, che gli propone un contratto per tre album.
Sembra l’inizio di una favola: il grande manager che “scopre” il giovane talento in un bar. Nel 1970 e nel 1971 escono i primi due album di Sixto Rodriguez, “Cold Fact” e “Coming From Reality”, celebratissimi dalla critica e dalle riviste specializzate, ma totalmente ignorati dal pubblico. A causa delle scarse vendite la casa discografica rescinde il contratto e Sixto si ritrova senza occupazione e senza soldi. Abbandona la musica e inizia a lavorare come operaio edile conducendo, assieme alle tre figlie, una vita umile ma dignitosa, per i successivi 27 anni. Nel 1981 si laurea in filosofia frequentando le scuole serali e sull’onda del suo attivismo tenta anche un’improbabile carriera politica, fallendo miseramente.

Quello che Sixto ancora non sa, però, è che il destino non si è dimenticato di lui. Ha solo lavorato nell’ombra. Infatti, all’inizio degli anni ’70, poco prima che le Nazioni Unite dichiarassero l’apartheid “crimine internazionale” (isolando il Sud Africa dal resto del mondo), qualcuno è riuscito, in maniera del tutto casuale, a far entrare nel Paese i dischi di Rodriguez. Nonostante le restrizioni del regime, le canzoni di Sixto cominciano a girare, sul passaparola, ascoltate di nascosto, di copia in copia, diventando, per le tematiche trattate, veri e propri simboli della guerra e della resistenza all’apartheid.

Sono canzoni che raccontano di soprusi, di pregiudizi, di ingiustizia, di sofferenza, di sentimenti forti e di riscatto sociale.  Canzoni in grado di regalare speranza ad un intero popolo. In Sud Africa, la fama di Rodriguez è paragonabile solo a quella di Elvis o dei Beatles nel resto del mondo.  Ma Sixto non lo sa. Anche perché, nel frattempo, le case discografiche americane proprietarie dei diritti dei suoi lavori, hanno smesso di pagargli le royalties sulle vendite dei dischi. Rodriguez, ignaro di tutto, continua a lavorare come operaio per quasi 30 anni.

Caduto il regime dell’apartheid, un ragazzo ed un giornalista cominciano a cercare l’autore delle canzoni che avevano unito un’intera nazione nei suoi anni più bui: scrivono a testate musicali, fanno viaggi, appelli, creano addirittura un sito internet ma Sixto non si trova. Molti dicono che sia morto sparandosi sul palco durante un concerto, altri che si sia ucciso dandosi fuoco e alcuni raccontano che sia finito in galera per omicidio. Finché, nel 1998, una delle figlie di Sixto, navigando in rete, si imbatte in un sito web: “La Grande Ricerca di Rodriguez”.  Risponde personalmente con una email raccontando che il padre sta bene e vive con lei.

Quando Sixto arriva in Sud Africa, a bordo di un volo privato, viene accolto come un eroe da migliaia di fans in delirio che non hanno scordato ciò che lui aveva per loro, seppur inconsapevolmente. E così, il cantautore dimenticato da tutti, il suonatore fallito di pub, il consigliere comunale mancato, l’uomo che per molti era addirittura morto suicida, si trova a fare un tour in arene stracolme, di fronte a decine di migliaia di persone in festa per lui, arrivando, finalmente, nel “posto che aveva cercato per tutta la vita”.

Con l’uscita del film “Searching for Sugar Man” (2013), vincitore del premio Oscar nella categoria “documentari”, la carriera di Sixto ha ricevuto ulteriore linfa vitale, portandolo al successo anche negli Stati Uniti ed in tutto il mondo. Il film è un meraviglioso percorso di intimo riscatto capace di raccontare con rara delicatezza la dignità di uomo straordinario, la sua grande umiltà, il suo equilibrio e la sua incrollabile forza d’animo. Un viaggio commovente che racchiude in sé il meglio dell’essere umano.

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Le 20 curiosità che non conosci su Indiana Jones e i Predatori dell’Arca perduta

MEDICINA ONLINE FILM I predatori dell'arca perduta (Raiders of the Lost Ark) è un film del 1981 di Steven Spielberg, capostipite della tetralogia cinematografica di Indiana Jones Harrison Ford WALLPAPER HDQuanto conoscete il film Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta? Ecco le venti cose che forse non sapete su questo bellissimo film del 1981!

20 – L’idea di girare un film su un archeologo amante delle avventure pericolose nasce nella mente di George Lucas nello stesso periodo in cui sta pensando a questa storia ambientata nello spazio, dal tono simile a quello delle avventure di Flash Gordon. Quel film, lì, Guerre Stellari. Lucas parla del progetto allo sceneggiatore Philip Kaufman, ed è proprio Kaufman a suggerire di incentrare la trama sulla ricerca dell’Arca dell’Alleanza. Steven Spielberg entra in ballo solo più tardi: è il 1977, Star Wars sta per uscire nelle sale americane, e Lucas segue un vecchio rito scaramantico, andandosene in vacanza in attesa dei primi dati del botteghino. Spielberg raggiunge l’amico alle Hawaii, proprio mentre a Lucas arriva la notizia che sì, quel film di fantascienza in stile Flash Gordon sta avendo un successo strepitoso. I due si mettono allora a discutere di altri progetti e Spielberg confessa il suo desiderio di girare un film di James Bond. Lucas, che di lì a poco avrebbe coinvolto anche lo sceneggiatore Lawrence Kasdan, gli risponde che ha qualcosa di meglio in cantiere.

19 – È noto che George Lucas avrebbe voluto Tom Selleck come protagonista del film. Meno noto è che Spielberg non era d’accordo: la sua prima scelta per i panni del professor Jones è sempre stata sin da subito Harrison Ford. Lucas era contrario perché aveva già diretto l’attore sia in American Graffiti che in Guerre Stellari, e chiamò il carismatico baffone: i primi screentest del film mostrano infatti Selleck con il cappello di Indy, assieme a una certa attrice di cui parleremo tra un attimo. Il problema è che Tom aveva già preso degli impegni per Magnum P.I. La serie entrò in produzione solo una volta terminate le riprese de I predatori dell’arca perduta, e Selleck se ne restò alle Hawaii. Tempo dopo, avrebbe girato nell’ottava e ultima stagione diMagnum P.I. una parodia del film, un episodio intitolato Legend of the lost art (in Italia, visto che chi sceglieva i titoli non andava al cinema dal ’65, Il segreto della caverna). Altri attori presi in considerazione per la parte, prima di accontentare Spielberg e telefonare a Ford solo tre settimane prima di iniziare a girare: Peter Coyote, Chevy Chase, Nick Nolte, Steve Martin, Bill Murray (ciccia, perché era impegnato con il SNL) e Jack Nicholson.

18 – I predatori dell’arca perduta è tutto una citazione dei film d’avventura degli anni 40 e 50, e soprattutto dei serial della Republic Pictures, con intere sequenze riprodotte fedelmente, che (con qualche voluta esagerazione) raffronta il film di Spielberg con trenta pellicole uscite tra il 1919 e il 1973 . Ma dentro I predatori dell’arca perduta c’è anche un po’ di Ombre Rosse Orizzonte perduto (l’aereo), un omaggio a Quarto Potere (la lunga carrellata aerea nella scena finale nel magazzino), eccetera, eccetera. Quello che invece è meno noto è che la celebre sequenza iniziale con l’idolo e il masso rotolante cita due fumetti Disney di Carl Barks. Nella fattispecie si tratta di: e “The Prize of Pizarro” (Uncle $crooge n. 26, giugno 1959. In Italia “Zio Paperone e l’oro di Pizarro”), usciti quando Spielberg e Lucas erano bambini e quel fumetto lo leggevano. Nel primo i Bassotti spostano un idolo e fanno precipitare un enorme masso rotolante, nel secondo Paperone e nipoti attivano in un tempio varie trappole.

17 – Lucas voleva chiamare il protagonista Indiana Smith. Il nome Indiana, avrebbe detto lo stesso professor Jones al padre, alla fine di Indiana Jones e l’ultima crociata, “era il nome di un cane”. Quello di Lucas. Indiana era infatti l’Alaskan Malamute del cineasta, già fonte d’ispirazione per il personaggio di Chewbacca in Star Wars. Il cognome Smith, invece, voleva essere un omaggio al personaggio interpretato da Steve McQueen in Nevada Smith. Solo che a Spielberg il cognome non piaceva, pensava suonasse male e propose di usare Jones. Per quanto riguarda il nome della protagonista femminile, Marion Ravenwood (Karen Allen, la cugina di Flash), Marion era il nome della nonna della moglie di Lawrence Kasdan, mentre Ravenwood veniva da Ravenwood Court, stradina di Beverly Glen, Los Angeles. Marion sarebbe dovuta apparire anche nel seguito, ma poi si decise di ambientare Il tempio maledetto prima degli eventi de I predatori dell’arca perduta, e perciò il personaggio fu parcheggiato fino al quarto film. Quando torna da Indy portandosi dietro il loro figlio. Il nazista con gli occhialetti si chiama invece Toht, ed il suo nome viene pronunciato Tod, “morte” in tedesco. Per quella parte, Spielberg contattò Klaus Kinski e si pensò a un certo punto anche di munire il villain di braccio artificiale con mitragliatrice incorporata.

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16 – Nello script era presente una scena ambientata a Shangai: per recuperare un pezzo del bastone di Ra, Indy finiva in un bar di laggiù, gli sparavano addosso e si riparava dalle raffiche di mitra facendo rotolare un enorme gong. In un’altra sequenza, lui e Marion avrebbero dovuto fuggire a bordo di un carrello minerario. Tutte e due le scene, scartate per I predatori dell’arca perduta, sono state utilizzate per Indiana Jones e il tempio maledetto.

15 – Per la parte di Marion sono state prese in considerazione varie attrici, come Amy Irving e Debra Winger. In tutti gli screentest per trovare il protagonista maschile, gli attori recitano con Sean Young. La Young sarebbe poi apparsa al fianco di Harrison Ford in Blade Runner. Il ruolo di Sallah fu offerto invece a Danny DeVito, che però era impegnato con la serie Taxi. DeVito avrebbe avuto poi un ruolo simile in All’inseguimento della pietra verde. Per il Dr. Rene Belloq, Spielberg avrebbe voluto invece il nostro Giancarlo Giannini o Jacques Dutronc, ma siccome nessuno dei due parlava inglese, fu chiamato Paul Freeman.

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14 – Lasciando perdere la triste storia del nuovo – orribile – doppiaggio del film presente nell’edizione su Blu-Ray (sì, quella in cui Indy ha la voce di Pino Insegno), parliamo delle voci dei nazisti nella traccia inglese. Anche quelle sono state aggiustate nel tempo, perché nella versione originale i nazisti parlavano un tedesco terrificante, con un forte accento americano. Alla fine del film, nella scena del sottomarino, l’altoparlante urla dei numeri in tedesco. Sono 1, 1, 3 e 8: un omaggio al THX-1138 (L’uomo che fuggì dal futuro) di Lucas. La scena della scimmia che fa il saluto nazista, ideata da Lucas, è una delle preferite di Spielberg di tutto il film.

13 – Nessuno studio di Hollywood voleva girare I predatori dell’arca perduta. Ciò era legato ad una questione molto semplice: i soldi. Nessuno, neanche il boss della Paramount, Michael Eisner, che alla fine si convinse ad accettare perché entusiasta dello script, era convinto che un film del genere fosse davvero possibile girarlo con 20 milioni di dollari, come andavano ripetendo Lucas e Spielberg. E, beh, era vero: di milioni di dollari ce ne vollero alla fine circa 22. Ma una volta arrivato in sala, I Predatori ha rimediato in totale 384 milioni di dollari, 9 nomination e 5 Oscar. Cui vanno aggiunti 400 milioni di dollari arrivati poco dopo solo dal noleggio delle VHS. In tutto questo, Steven Spielberg era convinto di aver girato un B-movie. “Tutto quello che volevo fare”, dichiarò in seguito, “era girare una versione migliore dei vecchi serial Republic”. Lucas, invece, come al solito l’aveva vista lunga, stringendo un accordo con la Paramount che gli avrebbe fruttato metà degli incassi, se questi avessero superato una certa quota.

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12 – Nonostante il grande lavoro di ricerca effettuato per mezzi e ambientazione, I predatori dell’arca perduta è zeppo di anacronismi: le mitragliatrici MP38 dei tedeschi vennero adottate solo nel ’38 (il film è ambientato nel 1936), ad esempio, e l’anticarro Panzerfaust usato da Indy per minacciare i nazisti, nel ’43. Ma, soprattutto, i nazisti non giravano liberamente per l’Egitto, controllato dal Regno Unito, e non potevano avere le insegne dell’Afrika Corps (corpo nato nel ’41), e la mappa mostrata durante gli spostamenti in aereo non poteva indicare la Thailandia, perché allora si chiamava Siam.

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11 – All’inizio del film, sull’aereo con cui Indy sfugge agli indios in Sud America si legge la sigla OB-CPO, un omaggio a Obi-Wan Kenobi e C-3PO. Più avanti, nel Pozzo delle Anime, quando Indy e Sallah trovano l’Arca dell’Alleanza, si intravedono i geroglifici dei droidi C-3PO e R2-D2. Parlando del Pozzo delle AnimeI predatori dell’arca perduta inaugura una tradizione poi portata avanti in tutti i film di Indiana Jones: infilarci almeno una scena in cui il protagonista è alle prese con animali schifosi: serpenti nel primo, insetti giganti nel Tempio maledetto, ratti nell’Ultima crociata e… scimmie e formiche assassine ne Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo. Per girare la scena del Pozzo, la produzione cercò tutti i serpenti di Londra e città limitrofe. Si rimediarono così circa 2.000 serpenti di varie specie, ma secondo Spielberg non erano abbastanza per coprire tutto il set. Il regista ne chiese almeno altri 7.000 e così fecero arrivare serpenti da praticamente ovunque. Ma a Spielberg non bastavano ancora, così ci misero dei pezzi di tubo da giardinaggio tagliati. Non tutti i serpenti veri erano però inoffensivi come i tubi di gomma tagliati. L’assistente alla regia David Tomblin venne morso da un pitone, che non è un serpente velenoso, ok, ma gli restò attaccato alla mano e non si staccava. Finché Tomblin non trovò qualcuno e gli chiese di scuotere il pitone per la coda per fargli mollare la presa. A un altro pitone andò peggio, perché fu morso da uno dei cobra e morì. Per evitare che anche Harrison Ford facesse la stessa fine, venne separato dai cobra da una spessa lastra di vetro. Nel film, quando Indy e il serpente vengono illuminati da un lampo, si vede per un istante un riflesso sul vetro.

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10 – Quando ancora non c’era il computer a far tutto, gli effetti speciali (visivi e audio) erano molto, molto, molto più artigianali. I fantasmi che si vedono alla fine furono ottenuti filmando sott’acqua dei manichini con una lente speciale. Il suono dei cazzotti, colpendo una pila di giacche di pelle con una mazza da baseball. Quello dell’apertura dell’Arca, invece, furono ottenuti a casa del sound designer Ben Burtt, alzando il coperchio dello sciacquone nel bagno.

9 – I predatori dell’arca perduta si apre con una versione del logo Paramount usata negli anni 40 e 50. Subito dopo, la prima inquadratura del film è per una montagna che ricorda quella sul logo. La stessa cosa è avvenuta in tutti gli altri film della serie.

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8 – Il cappello di Indy fu comprato nel celebre negozio di cappelli Herbert Johnson di Saville Row, a Londra, dove veniva venduto come “modello australiano”. Il problema è che quel cappello nuovo era troppo… beh, nuovo. La costume designer Deborah Nadoolman provò a stropicciarlo e piegarlo più volte, quindi ci si sedette sopra e chiese a Harrison Ford di fare lo stesso. Il fatto che Indy non perda mai il cappello fa sempre parte del grande omaggio ai serial degli anni 40 e 50, dove gli eroi non perdevano mai il copricapo, qualunque cosa facessero, perché non era una cosa da gentiluomini affrontare nemici e pericoli a capo scoperto. Pertanto il cappello veniva attaccato alla testa di Ford con il nastro biadesivo e in tutta la serie c’è questa gag di lui che sta attentissimo al cappello. Nonostante questo, gli cadrà una volta sia in Indiana Jones e il tempio maledetto che in Indiana Jones e l’ultima crociata. Anche la giacca di Indy era nuova e fu invecchiata dai costumisti trattandola male. In totale, tra quelle indossate da Ford e quelle per gli stuntman, ne furono usate 10. Anche della frusta furono impiegate più versioni, alcune delle quali più corte, a seconda del tipo di ripresa, ma la principale era lunga 3 metri ed è stata venduta all’asta nel dicembre del ’99 da Christie per 43.000 dollari. Cappello ed (una) giacca sono invece in mostra allo Smithsonian Museum.

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7 – Le riprese in Tunisia furono un vero inferno per tutti, tanto che Steven Spielberg ridusse i tempi, girando in quattro settimane e mezzo anziché nelle sei previste. La temperatura altissima era però solo uno dei tanti problemi, perché cast e troupe si ammalarono di dissenteria. L’unico a non soffrirne fu Spielberg, che in quelle settimane lì evitò qualsiasi cibo locale nutrendosi solo di spaghetti già pronti in lattina che si era portato da casa. Peggio di tutti era andata a John Rhys-Davies (Sallah). In una scena tagliata presente sul DVD, un nazista punta una pistola al futuro Gimli de Il signore degli anelli. Spielberg gli chiese di piegarsi in avanti, ma l’attore aveva il colera, un febbrone da cavallo e l’intestino molto delicato, e se la fece addosso davanti a tutti. Quando non si trovava uno stuntman per interpretare il pilota dell’Ala volante tedesca, perché erano tutti a maledire la Tunisia e chi l’aveva inventata chiusi in qualche bagno, si fece avanti baldanzoso il produttore Frank Marshall. Per un errore di calcolo, Marshall non aveva pensato che gli sarebbe toccato infilarsi un completo pesante da pilota, casco incluso, e starsene nell’abitacolo del velivolo sotto il sole per tre giorni di riprese. Con una temperatura che superava i 45°C.

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6 – Sono stati utilizzati tre diversi stuntman per Harrison Ford. La scena più impegnativa toccò a Terry Leonard: è quella in cui Indy finisce sotto al camion e spunta da dietro attaccato alla frusta. Si tratta di un omaggio a Carovana d’eroi (1940), che conteneva una scena simile, e Terry Leonard ci aveva già provato un anno prima sul set de La leggenda del ranger solitario. Senza riuscirci. Contento di poterci riprovare, chiese solo che alla guida del camion ci fosse un amico e collega di cui si fidava. Il mezzo era stato modificato per alzarne ulteriormente la pancia dal suolo, e una parte concava al centro facilitava l’esecuzione del numero. In più, la scena venne girata a 20 frame al secondo anziché 24, per far sembrare tutto più veloce su pellicola. Nella parte finale della sequenza, quello trascinato al suolo è davvero Harrison Ford: in una ripresa effettuata nel dietro le quinte, si sente l’attore scherzarci su, dicendo che se fosse stata davvero una roba pericolosa, gli avrebbero fatto girare prima molte altre scene del film. Quello che Ford non dice è che arrivò a fine giornata con tutta una collezione di escoriazioni e lividi sulle costole. Ma siccome girare film d’azione è una faccenda più pericolosa di quanto si possa pensare, quello non fu l’unico incidente sul set per l’attore. Nella scena dell’aereo fuori controllo ci lasciò un legamento del ginocchio. Ma siccome non si fidava del sistema sanitario tunisino, andò avanti a impacchi di ghiaccio fino alla fine delle riprese là nel deserto. Il celebre masso rotolante, una delle trappole attivate quando Indy a inizio film prende l’idolo (copia modificata di un idolo della fertilità Inca, per la cronaca), era una palla con un diametro di 6 metri, realizzata in fibra di vetro, ma comunque bella pesante per farla rotolare in quel modo. Harrison Ford dovette ripetere quella corsetta con tuffo finale (su un materasso) due volte per ciascuna delle cinque inquadrature utilizzate, per un totale di dieci volte. Ad un certo punto, durante la corsa, Indy inciampa per un attimo: non era previsto dal copione, Ford era davvero scivolato.

5 – Quando Indy spara al camion, quest’ultimo avrebbe dovuto sbattere contro il sostegno in cemento del palo e ribaltarsi. Ma gli esplosivi utilizzati non erano abbastanza potenti, ed il camion anziché capovolgersi prosegue su due ruote per qualche metro e poi si rovescia su un fianco come si vede nel film. Non c’era tempo per riprovarci: buona così, tutti in albergo, occhio all’acqua del rubinetto e al ghiaccio nella coca cola. Nella scena in cui Indy minaccia i nazisti con il lanciarazzi, si vede una mosca entrare nella bocca di Paul Freeman (Belloq). Pur di continuare a girare, da vero professionista Freeman la ingoia: secondo la rivista Empire, è una delle scene che ha reso più popolare l’utilizzo del tasto “pausa” nei videoregistratori di mezzo mondo. Per la cronaca, il canyon in cui si svolge la scena è lo stesso in cui R2-D2 veniva rapito dai Jawa nel primo Star Wars.

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4 – I predatori dell’arca perduta è stato il primo film americano dell’inglese Alfred Molina, il futuro Dottor Octopus di Spiderman 2. Il primo giorno che si presentò sul set, gli dissero che doveva farsi tappezzare la schiena di ragni giganti simili a tarantole. Vivi. Il problema è che gli aracnidi non si muovevano perché, secondo il tizio che li aveva portati, erano tutti maschi, e ci voleva una femmina per farli combattere e sembrare più vivi. E l’hanno fatto: ci hanno messo una femmina e quelli sono impazziti.

3 –  Bozzetti preparatori e concepl art del film furono affidati da George Lucas a Jim Steranko, grandissimo disegnatore che rivoluzionò con i suoi lavori ispirati a Warhol, al surrealismo ed ai film di James Bond il fumetto americano. I suoi numeri di Nick Fury: Agent of Shield e di Capitan America. Oltre che per I predatori dell’arca perduta, Steranko ha curato i bozzetti preparatori anche del Dracula di Bram Stoker di Coppola.

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2 – Il wrestler inglese Pat Roach viene ucciso due volte nel film: la prima è lo sherpa nepalese gigante nel bar che va in fiamme, la seconda è il meccanico tedesco energumeno che finisce macinato dall’elica dell’aereo. Non è tutto: Roach sarebbe apparso in altri due film della serie: in Indiana Jones e il tempio maledetto è il capo dei Thugs, mentre in Indiana Jones e l’ultima crociata è un ufficiale della Gestapo, ma fa giusto una comparsa veloce, perché il suo scontro con Indy è stato tagliato. Scomparso nel 2004, Roach non ebbe modo di partecipare al quarto film, ma per rispettare la tradizione in Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo venne comunque infilato un personaggio della sua mole (il colonnello Dovchenko).

1 – Una delle scene più famose del film, quella in cui Indy spara allo spadaccino, NON era prevista dal copione. O meglio: Indy avrebbe dovuto prendersi a cazzotti e cinquine con il tipo, dopo avergli fatto cadere la spada di mano con un colpo di frusta. Il problema? La diarrea. Sia lui che praticamente tutto il resto del cast e della troupe tranne Spielberg, che come visto poco sopra era lì a a girare tranquillo grazie ad i suoi spaghetti precotti, stavano talmente male che nessuno c’aveva la voglia o la forza di mettersi a girare una scazzottata, quindi si trovò una soluzione più rapida. Spielberg fu entusiasta dell’idea.
Tra una pausa e l’altra delle riprese, Spielberg chiacchierava con Melissa Mathison, all’epoca seconda e non ultima moglie di Harrison Ford e lì per portargli l’imodium, di questa idea che aveva per un altro film. Un film che di lì a poco la Mathison e Spielberg avrebbero scritto assieme: si trattava di E.T L’extraterrestre.

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Le 20 curiosità che ancora non conosci sui Ghostbusters

MEDICINA ONLINE ACCHIAPPAFANTASMI Ghostbusters is a 1984 American supernatural comedy film directed and produced by Ivan Reitman and written by Dan Aykroyd and Harold Ramis. The film stars Bill Murray WALLPAPER SFONDO HDQuanto conoscete il film Ghostbusters – Acchiappafantasmi? Ecco le venti cose che forse non sapete su questo bellissimo film del 1984!

20 – Il termine “zaino protonico” (“proton pack” in originale) non viene MAI usato nel film. Il primo a chiamare così gli speciali zaini degli Acchiappafantasmi sarà Egon Spengler, ma in Ghostbusters II (nella scena nel tunnel della metro, quando lui, Ray e Winston indossano i caschi da speleologo e gli impermeabili gialli).

19 – Ghostbusters nasce dalle ceneri di un altro progetto, una trasposizione di Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams. Ivan Reitman e i due associate producer Joe Medjuck e Michael C. Gross iniziano a lavorare con Adams (che sforna loro tre diverse proposte). Poi a un certo punto si pensa di tirare dentro Dan Aykroyd per fargli interpretare Ford Prefect. Ma Aykroyd ha questa idea nel cassetto di un film su dei tizi che acchiappano i fantasmi, e a Reitman, Medjyck e Gross non sembra poi male!

18 – Se guardate il film in lingua originale, vi accorgerete che molte scene (molte di quelle con Bill Murray, per esempio) sono state almeno in parte ridoppiate dagli attori. Perché sul set si è seguito poco il copione, si è improvvisato parecchio anche a causa dei tempi feroci di lavorazione.

17 – La campagna di marketing organizzata dalla Columbia Pictures includeva una Ecto-1 mandata in giro per Manhattan prima dell’uscita del film. Dopo che la pellicola arrivò in sala, Reitman fece infilare nel trailer la parte con lo spot degli Acchiappafantasmi che si vede nel film. Al posto del loro numero finto (555-2368), però, lì ce n’era uno vero al quale rispondevano dei messaggi registrati di Bill Murray e Dan Aykroyd, che dicevano di esser fuori a caccia di fantasmi (“Hi. We’re out catching ghosts right now”). La produzione stimò che per sei settimane quel numero aveva ricevuto circa mille chiamate all’ora.

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16 – Per far uscire il film nel periodo di lancio previsto (giugno 1984; da noi arrivò il 24 novembre di quell’anno), Ghostbusters fu girato e montato con una grande fretta. Nella commentary track del DVD viene spiegato che, arrivati a dover girare la scena finale, non si sapeva bene che tirarne fuori. Cast e regista ne parlarono per un po’, finché non venne in mente a qualcuno la storia dell’incrociare pericolosissimamente i flussi. Ivan Reitman dichiarò in seguito che la pellicola era piena di errori tecnici (cavi e altri trucchi che si vedevano, effetti speciali incompleti, etc.), anche se “a nessuno sembrava fregargliene nulla”.

15 – Il primo script di 40 pagine scritto da Aykroyd prevedeva solo tre Acchiappafantasmi (Dan Aykroyd, John Belushi ed Eddie Murphy) e tutta una serie di differenze a livello di storia. Il Winston Zeddmore di Murphy sarebbe apparso prima nel film – lo script lo vedeva già spalmato di slime nella scena dell’hotel – e avrebbe avuto molto più spazio, ovviamente. Solo che il povero Belushi se l’è portato via uno speedball che non era il videogioco nel marzo dell’82, e Murphy ha preferito dedicarsi a Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills (uscito sempre nell’84 e secondo al botteghino di quell’anno solo a Ghostbusters), perciò si è dovuto rimetter mano a copione e cast. John Candy avrebbe dovuto interpretare invece Louis Tully, il personaggio poi andato a Rick Moranis. Lo stesso Ramis (sceneggiatore del film) decise di diventare il dottor Egon Spengler “perché costretto”. In pratica, non si trovava l’attore giusto, e con grande modestia Ramis si considerò la persona più adatta per interpretare il personaggio scritto da lui. Il nome di Egon Spengler contiene un doppio omaggio. A uno studente straniero conosciuto da Ramis ai tempi del liceo, che faceva di nome Egon, e al filosofo tedesco Oswald Spengler. L’elenco di tizi cui è stata offerta una parte da Columbia e che hanno risposto Credici, infine, è lunghissimo. Bill Murray accettò di girare Ghostbusters solo a patto che la Columbia finanziasse un remake de Il filo del rasoio.

14 – Quando gli hanno chiesto di tirar fuori la theme song del film, Ray Parker Jr. non sapeva proprio dove sbattere la testa. In un’intervista rivelò tempo dopo che “Ghostbusters” era nata alle 4 e 30 del mattino, dopo aver visto alla tele la pubblicità di una ditta di spurghi e drenaggi e averla collegata allo spot televisivo degli Acchiappafantasmi mostrato nel film. Da lì al “Who you gonna call?” è stato un attimo. Solo che a quel punto non c’era più tempo per confezionare al meglio il brano, perciò per i coretti il cantante ha chiamato le prime persone rimediabili: la sua ragazza e un paio di amici. Il brano è rimasto in cima alla classifica dei singoli USA per tre settimane, portandogli un’accusa di plagio. Huey Lewis (del gruppo Huey Lewis and the news), a cui Columbia aveva proposto il lavoro poi finito a Ray Parker Jr, nel sentire la canzone lo accusò di aver plagiato la loro I Want a New Drug.

13 – Durante le riprese, sulle canne dei fucili protonici furono montate delle lampadine, per aiutare i ragazzi degli effetti speciali a piazzare meglio i flussi. E magari evitare di incrociarli. Perché incrociarli (tranne quando proprio serve a fine film) sarebbe male, lo sappiamo.

12 – Discorso location. Pur essendo considerato da sempre uno dei film simbolo di New York, Ghostbusters è stato girato solo in minima parte a Manhattan (tre settimane di riprese in tutto): il resto l’hanno fatto a Los Angeles. Per l’albergo in cui si trova Slimer sono stati usati la facciata dell’Algonquin Hotel di New York e gli interni del Millennium Biltmore Hotel di Los Angeles. Quest’ultimo ha ospitato i set di molte pellicole (Beverly Hills Cop, Il Professore Matto, Cruel Intensions), serie tv (Beverly Hills 90210, Ally McBeal) e video musicali (come Overprotected di Britney Spears). Nove anni dopo, lo stesso Ivan Reitman tornerà a girarci Dave – Presidente per un giorno. Idem per la caserma dei pompieri e per la biblioteca. Nel primo caso, l’esterno è quello della Hook and Ladder #8 di Tribeca, a New York City, mentre gli interni del quartier generale dei Ghostbusters sono stati girati in una caserma dei pompieri di Los Angeles (l’idea di usare davvero il palo fu di Aykroyd), poi riciclata in Grosso guaio a Chinatown e The Mask – Da zero a mito. Quanto alla biblioteca, un paio di riprese sono riusciti a piazzarle davvero alla Biblioteca Pubblica di New York sulla 5a strada, ma la troupe aveva il permesso di girare solo un giorno e solo fino alle 10 del mattino. Tutto il resto della scena l’hanno tirato fuori alla Los Angeles Public Library.

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11 – La voce demoniaca di Dana Barrett (Sigourney Weaver) posseduta da Zuul era in originale quella del regista, Ivan Reitman. Durante il provino, Sigourney Weaver si mise a quattro zampe su un divano e iniziò da abbaiare come un cane. L’effetto di Dana che fluttua come il Mago di Segrate fu ottenuto grazie a dei semplici cavi. I cassetti che si aprono da soli avevano dei tizi dietro un falso muro che li spingevano.

10 – La scena della prigione fu girata in un vecchio penitenziario abbandonato, all’epoca ritenuto DAVVERO infestato dai fantasmi dopo la voce messa in giro da Aykroyd. Il produttore Medjuck dichiarò inoltre che avevano trovato degli strani graffi sulla pellicola. Reitman si impressionò sul serio, tanto che durante la produzione del film sperò di non dover tornare in quel posto. Gli disse bene, perché le prime riprese bastarono per completare la scena.

9 – Nella versione originale del soggetto scritta da Aykroyd, la storia era ambientata nel futuro e a fine film quello dei Ghostbusters diventava un franchise mondiale, con varie squadre in tutto il globo. La pellicola si apriva inoltre con gli Acchiappafantasmi già in servizio e una ripresa della Ecto-1 VOLANTE, e presentava UNA SERIE di mostri giganti. Nella traccia di commento del DVD, Reitman spiega che sarebbe stato impossibile girare quel tipo di film senza spendere “almeno 300 milioni di dollari del 1984” (Columbia ne cacciò in tutto 32). Per questo motivo venne ingaggiato Harold Ramis per tirar fuori uno script parecchio meno fantascientifico. Ramis rimise mano alla storia assieme ad Aykoryd, quando l’attore tornò dal ritiro di tre settimane autoimpostosi su un’isola per metabolizzare il lutto dopo la scomparsa di John Belushi.

8 – Per la stessa ragione, l’omino dei marshmallow Stay-Puft non sbuca dal mare accanto alla Statua della Libertà come previsto in un primo momento. Troppo difficile da girare, troppi soldi, troppo tempo. Sul set si sono adoperate tre tute per il Marshmallow Man, ciascuna del costo di circa 20.000 dollari. Nessuna delle tre è sopravvissuta alla fine delle riprese. Il marshmallow inzaccherante prodotto dall’esplosione del pupazzone era schiuma da barba. Prima di esserne ricoperto, William Atherton chiese al regista se gli avrebbe fatto male quella doccia di schiuma molto densa. L’unica cosa certa, è che uno dei membri della troupe se ne uscì con un’allergia al mentolo.

7 – Il ruolo di Janine Melnitz fu offerto in un primo momento a Sandra Bernhard, ma finì ad Annie Potts. Lo script di Harold Ramis prevedeva una love story tra Egon e Janine ma buona parte di quella sottotrama venne lasciata fuori. Alcune delle scene eliminate presenti sul DVD mostrano ad esempio Janine che regala ad Egon una monetina fortunata quando gli Acchiappafantasmi devono andare ad affrontare Gozer. Il loro rapporto sarebbe stato approfondito nella serie animata.

6 – In tutto il film è stata usata una sola auto per la Ecto-1 (una limo Cadillac del ’59 convertita in ambulanza dalla Miller Meteor, azienda specializzata nel modificare veicoli per farne ambulanze o carri funebri). Durante una scena, quando Ray e Winston sono in auto sul ponte di Brooklyn, la macchina si è rotta ed hanno dovuto ripararla. Nell’edizione Blu-Ray del film si spiega che, finite le riprese, il veicolo venne abbandonato in un magazzino della Universal, dal quale è stato tirato fuori solo di recente. L’idea iniziale era quella di dipingere l’ambulanza di nero, ma ci si rese conto che non era una grande pensata, dovendo girare molte scene esterne in notturna. Come quella in cui si vede correre l’ambulanza per Manhattan, girata nei primi giorni di riprese… praticamente senza permessi.  Sia nel primo che nel secondo film, nessuno la chiama mai Ecto-1 o Ectomobile. Succede solo nel cartone animato, The Real Ghostbusters, dove Ray la definisce “una di famiglia”.

– Sulla porta dell’ufficio di Peter Venkman sarebbero dovute apparire delle robe di maleducazione, ma per avere un film per famiglie ci si limitò a un “Venkman brucia all’inferno” che è una citazione della scena finale di Carrie – Lo sguardo di Satana, quando si vede un cartello vendesi su cui qualcuno ha scritto “Carrie Burn in Hell”. Quel “Nice shootin’, Tex!” che dice Venkman dopo che hanno devastato l’hotel per prendere Slimer, sostengono alcuni, sarebbe un omaggio a Tex Willer.
Tra le fonti di ispirazione certe, citate espressamente dagli autori ci sono invece un cartone Disney del ’37 (Lonesome ghosts, con Topolino, Paperino e Pippo a caccia di fantasmi e muniti di ambulanza), ed alcuni film con Bob Hope che piacevano ad Aykroyd, come Il fantasma di mezzanotte (1939) e La donna e lo spettro (1940). Il titolo originale con cui venne registrato il film era The Ghost Busters, scritto staccato, perché Columbia aveva acquistato per andare sul sicuro i diritti del telefilm omonimo della Filmation. In seguito Filmation tirò fuori come noto il suo cartone (Filmation’s Ghostbusters) e quello degli Acchiappafantasmi venne chiamato perciò The Real Ghostbusters. Il logo con il divieto e il fantasma era stato ideato invece da un amico di Aykroyd (tra le comparse nella scena della prigione): la Harvey Comics citò in giudizio la Columbia, sostenendo che era un clone di Fatso, uno degli zii del fantasmino Casper. Ma due anni più tardi il giudice dispose che un fantasma non è che puoi disegnarlo in tanti modi diversi… La prima scelta per il titolo del film era un’altra. Dan Aykroyd pensava a qualcosa tipo Ghost Smashers.

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4 – Un anno dopo l’uscita, Reitman incontrò William Atherton: si aspettava un accoglienza calorosa da parte dell’attore, e invece per poco quello non lo prese a sputi. Atherton gli spiegò che il personaggio di Walter Peck gli aveva praticamente rovinato la vita. Fare il “cattivo” in una commedia di tale successo, pare, volesse dire ritrovarsi circondato da gente che ti urlava le peggio robe per strada o cercava di menarti nei bar.

3 – Nei progetti iniziali, gli Acchiappafantasmi avrebbero dovuto indossare delle tute tipo SWAT, con tanto di casco, e combattere i fantasmi… con delle bacchette magiche. Negli storyboard del film si vedono infatti queste bacchettone attaccate agli zaini protonici.

2 – Nel primo film non ha un nome, ma tutta la troupe lo chiama “Onionhead”, Dan Aykroyd, invece, sul set lo chiama Bluto, perché gli ricorda il personaggio di Belushi in Animal House. Sarà solo la serie animata a dargli un nome vero e proprio: Slimer.

1 – Aykroyd rivelò in un’intervista che la scena della sigaretta incollata al labbro era stata prevista, non fu casuale. Ma anche che non venne utilizzato alcun tipo di adesivo, se non la sua saliva. Il produttore Joe Medjuck racconta invece che tra il primo e il secondo film era cambiata notevolmente la sensibilità delle major hollywoodiane in merito al fumo: in Ghostbusters II (1989) nessuno dei protagonisti fuma. Harold Ramis, in quella stessa commentary track, ci scherza su ed aggiunge che erano passati direttamente all’ecstasy.

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Le 20 curiosità che ancora non conosci sui Goonies

MEDICINA ONLINE The Goonies  1985 Richard Donner Harvey Bernhard Chris Columbus Steven Spielberg FILM WALLPAPER HD PICS PHOTO IMMAGINE SCENA MAPPA RECENSIONE MOVIE CINEMAQuanto conoscete il film I Goonies? Ecco le venti cose che forse non sapete su questo bellissimo film del 1985!

20 – Anche se il film non lo spiega esplicitamente, i Goonies si chiamano così perché vivono (come a inizio pellicola viene ripetuto più volte) a Goon Docks, quartiere di Astoria, nell’Oregon. Ma “goony” nello slang americano vuol dire anche sempliciotto, e questo spiega perché Mikey ripeta spesso con quel tono da piccola fiammiferaia che loro sono solo dei “poveri Goonies”. In una scena tagliata del film, quango i ragazzi si trovano nel pozzo dei desideri e Andy dice di non essere una Goonie, viene recitato il giuramento dei Goonies, che fa così: “I will never betray my goon dock friends / We will stick together until the whole world ends / Through heaven and hell, and nuclear war / Good pals like us, will stick like tar / In the city, or the country, or the forest, or the boonies / I am proudly declared a fellow Goony”.

19 – Tra le scene eliminate nella versione cinematografica (alcune delle quali poi ripescate per l’home video), la più celebre è quella della piovra: a fine film, quando i Goonies riabbracciano i loro genitori, Data racconta ai giornalisti di “una piovra spaventosa”, affermazione che sembra una sparata ed invece era relativa ad una scena eliminata. In quella scena, una piovra spuntava dal mare accanto alla nave pirata di WIlly l’Orbo e afferrava Stef e Mouth. A fermarla era lo stesso Data, che le infilava in bocca un walkman evidentemente impermeabile, addolcendo la bestia con un po’ di musica dance. Il brano in sottofondo, parte della colonna sonora del film, era “8 Arms To Hold You” dei The Goon Squad. Persa la scena con la piovra, sparì dal film anche il pezzo. Risultato: il maxisingolo stampato apposta non ha venduto molto ed oggi è ambitissimo tra gli appassionati dei Goonies. Le altre scene tagliate mostrano i ragazzi parlare (e Data fare un’altra delle sue figuracce) davanti al ristorante-covo della banda Fratelli, e i Goonies che arrivano in bici a un drugstore, lo Stop-N-Snack, dove Mikey trova una cartina di Astoria da cui individua la posizione del tratto di costa di cui parla la mappa di Willy l’Orbo. Nella rastrelliera delle cartine ci sono anche dei fumetti: si tratta di Warlord vol. 1 #89 (gennaio 1985) e di Marvel Team Up vol. 1 #149 (gennaio 1985, con l’Uomo-Ragno e Cannonball dei Nuovi Mutanti contro l’Uomo Incandescente). Si vede anche un numero di Mad (#254, dicembre 1984), il che fa tre apparizioni della rivista nel film, considerando le due vecchie copie che si vedono a casa di Mikey. Nella stessa scena, mentre Chunk lecca del gelato dal banco frigo, arrivano Stef e Andy in compagnia del loro amico stronzo figlio del ricco Troy. Stef e Mouth si mettono a giocare a due coin op Atari dell’epoca: I, Robot e Return of the Jedi. Troy prende la mappa ai ragazzi, se l’arrotola come un sigaro e l’accende. A fermarlo, quando sta per menare Mikey, è l’intervento del fratello di quest’ultimo, il figlio maggiore dei Walsh. Che, per quanto venga chiamato Brand per tutto il film, si chiama Brandon.

18 – Per la parte di Mouth, poi andata a Corey Feldman, aveva sostenuto in precedenza un provino anche Corey Haim. I due giovani attori si sarebbero conosciuti sul set di Ragazzi perduti e sarebbero diventati a) pappa e ciccia, b) colleghi in altri sei film a cavallo tra la fine degli anni 80 e l’inizio del meno colorato decennio successivo, tanto da diventare noti come “I due Corey”. Haim, rimasto praticamente senza un soldo, è morto nel 2010 per un edema polmonare. In questa scena all’inizio del film, quando Chunk racconta di aver assistito alla fuga della Banda Fratelli dalla polizia, Mikey fa una battuta su Michael Jackson, per dare del pallonaro all’amico (“Più mondiale di quella volta che Michael Jackson venne a casa tua per andare al gabinetto?”). Corey Feldman sarebbe diventato un grande amico del cantante e avrebbe fatto capolino anche in un suo video (Liberian Girl, 1989). In seguito, chiamato a testimoniare nei processi per molestie a carico di Jackson, Feldman accuserà la popstar di aver allontanato molti ragazzini come lui dopo esserne stato amico, creando loro degli scompensi emotivi. Feldman si disse comunque molto colpito della morte di Jacko nel 2009

17 – La nave pirata di Willy l’Orbo, l’Inferno (Infierno nella versione italiana), era un vero vascello lungo 32 metri, ispirato alla nave di Erroll Flynn nel film Lo sparviero del mare; tutte le scene di interni che si vedono alla fine del film sono state girate realmente a bordo dell’imbarcazione. La Inferno venne costruita in due mesi e mezzo, utilizzando anche del cordame dell’attrazione Pirati dei Caraibi di Disneyland, all’epoca in corso di restauro. Alla fine delle riprese fu messa in vendita, ma in mancanza di acquirenti venne demolita.

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16 – Mentre sono nel covo della banda Fratelli e prima di scendere giù per il camino, i fratelli Mikey e Brandon stanno litigando. Sean Astin, rivolto a Josh Brolin, termina una frase chiamando l’altro con il suo vero nome, Josh. In un’altra scena, Sean Astin dice “Holy Mackenzie!”: è un omaggio a suo fratello, Mackenzie Astin, di lì a poco anche lui attore. Sean Astin, il futuro Sam nel Signore degli Anelli, per chi non lo sapesse è figlio dell’attrice Patty Duke (Oscar nel ’63 per Anna dei Miracoli) e figlio adottivo del suo terzo marito, John Astin.

15 – Durante l’inseguimento sui titoli di testa, vediamo Data alle prese con uno dei suoi marchingegni. Sulla cintura è inciso il numero identificativo di un certo agente segreto. Più tardi, quando scivola sulla corda per arrivare a casa di Mikey e sta per sfondargli la porta a vetri, si sente anche il tema dei film di Bond.

14 – Quando Chunk si mette alla ricerca degli altri Goonies e della banda Fratelli assieme a Sloth, quest’ultimo indossa una maglietta degli Oakland Raiders. L’attore che interpreta Sloth, John Matuszak, era stato un giocatore di quella squadra dell’NFL tra il 1976 e il 1981, ed era molto meno mostruoso senza trucco. Tanto è vero che se lo cercate so Google immagini, trovate foto in cui è mezzo nudo e abbracciato a degli orsacchiotti, scattate per la rivista playgirl. Erano necessarie ogni volta cinque ore di trucco per dargli la faccia di Sloth. L’occhio sinistro e le orecchie erano meccanici e controllati a distanza con un telecomando da un tizio della troupe. Quando Sloth doveva sbattere le ciglia, partiva un conto alla rovescia per sincronizzare l’occhio vero e quello finto. Nonostante il cognome, Matuszak è morto piuttosto giovane quattro anni dopo: a soli 38 anni se l’è portato via un infarto, provocato da un sovradosaggio di antidolorifici.

13 – Le voci su un possibile seguito per i Goonies si sono rincorse per anni. La Warner Bros e Donner hanno ribadito più volte che quella storia di The Goonies Never Say Die era solo una leggenda metropolitana. L’unico vero seguito delle vicende di Mikey e compagni – se togli alcuni elementi non presenti nel film ma narrati nella sua novelisation, come il fatto che la famiglia di Chunk abbia davvero adottato Sloth alla fine – è rappresentato dall’ultimo dei tre videogiochi ispirati al film. Dopo un primo platform di Datasoft per Commodore 64 e altri computer a 8-bit (1985, con un remake nel 2010), la palla passò a Konami, che sfornò nel 1986 il suo The Goonies (per Famicom, poi portato anche su MSX, NEC PC-88 e Sharp X1) e l’anno dopo The Goonies II (NES). Quest’ultimo, uscito anche in versione americana e PAL, raccontava del ritorno dei Fratelli, che rapivano gli amici di Mikey e, per una qualche ragione, una sirena di nome Annie.

12 – Che fine hanno fatto i Goonies oggi? Di Sean Astin (Mikey) sappiamo già. Oltre a doppiare Raffaello nell’ultima serie delle Turtles, sta girando vari film. Josh Brolin (Brand), figlio di James Brolin, è anche lui ancora lanciatissimo. Sarà Dwight McCarthy nel nuovo film di Sin City, Una donna per cui uccidere. Corey Feldman ha alle spalle due matrimoni, altrettanti divorzi e problemi di droga come successo a molti ragazzini prodigio di Hollywood. Kerry Green (Andy) è apparsa in diverse serie TV (Law and Order, La signora in giallo). Marta Plimpton (Stef) si è vista di recente nelle serie The Good Wife e Raising Hope. Jonathan Ke Quan (Data) ha smesso di fare l’attore nel 2002. Ma ha continuato a studiare varie arti marziali (aveva iniziato sul set di Indiana Jones e il tempio maledetto) ed è diventato un coordinatore di stuntman (X-Men, The One). Jeff Cohen (Chunk) ha mollato molto prima, nel ’91: ha studiato legge all’UCLA, ha aperto uno studio legale specializzato in beghe hollywoodiane, è considerato uno degli uomini più importanti del settore oltre ad essere decisamente migliorato fisicamente:

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11 – Il televisore su cui ragazzi stanno guardando il video di Cyndi Lauper, “Goonies R Good Enough”, a casa di Mikey, è stato infilato lì in fase di montaggio: quel video è stato girato solo sei mesi dopo la fine delle riprese del film. Molti dei ragazzini si dissero terrorizzati dell’esperienza sul set di quel videoclip, per la presenza di wrestler come André the Giant e Iron Sheik.

10 – Richard Donner appare alla fine del film: è uno dei due poliziotti in sella ai quad che arrivano in soccorso dei ragazzi quando sbucano sulla spiaggia (quello a destra con i capelli bianchi). Molti altri membri della crew fanno comparsa nella pellicola: il tizio morto nella cella frigorifera è uno dei cameraman, mentre un altro ha interpretato il padre di Mouth; la madre di Data è invece l’assistente alla regia Jennie Lew Tugend.

9 – L’idea di far cantare la Madama Butterfly di Puccini, il Rigoletto di Verdi e la romanza Una furtiva lagrima di Donizetti a Jake Fratelli è venuta allo stesso Robert Davi, che aveva un passato da studente di canto lirico. Nelle due scene in cui la madre lo schiaffeggia, Anne Ramsey lo prese davvero a cinquine. Donner chiese all’attrice (scomparsa poco dopo anche lei, nell’88) di metterci tutta la forza possibile. L’altro membro della banda, Francis, è invece Joe Pantoliano (il traditore di Matrix, Memento, ma soprattutto Ralph Cifaretto dei Soprano).

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8 – Quando Chunk, liberato da Sloth, chiama la polizia dal covo dei Fratelli, il poliziotto non gli crede perché abituato alle sue frottole. L’agente, mentre gli elenca le sue precedenti bugie, dice:“Oppure quell’ultima balla sui mostriciattoli che si moltiplicano se gli butti sopra l’acqua”. È ovviamente una citazione di Gremlins, film scritto dallo stesso sceneggiatore dei Goonies, Chris Columbus, e nel quale appariva anche Corey Feldman. Altre citazioni: sul marchingegno usato per aprire il cancello a casa di Mikey, quando arriva Chunk, è dipinta la scritta “Rube G 83”: è un omaggio a Rube Goldberg, fumettista vincitore del Pulitzer per la satira, che nelle sue storie inseriva macchine complicatissime per eseguire azioni molto semplici. Senza di lui non ci sarebbero stati i The Incredible Machine, i Little Big Planet e molti altri videogiochi e pubblicità. Andiamo avanti. Brand segue gli altri sulla bicicletta a rotelle e decolla dopo esser stato agganciato all’auto da Troy: Spielberg – che oltre ad aver prodotto I Goonies e averne scritto il soggetto, ne ha anche diretto alcune scene – autocita ovviamente il suo ET. Quando Sloth arriva a salvare i Goonies sulla nave di Willy l’Orbo, scende fendendo una vela con il coltello, come nel film che stava vedendo prima alla TV (Capitan Blood con Errol Flynn). Poco dopo, si libera dei suoi due fratelli e mostra la maglietta di Superman, mentre partono le prime note del tema di John Williams. Anche qui trattasi di auto omaggio, perché Donner aveva diretto sia Superman, sia buona parte di Superman II. Nella scena tagliata all’esterno del ristorante, Data solleva la maglia per mostrare un altro dei suoi accrocchi, sul quale ha attaccato un adesivo dell’Uomo-Ragno. Il vascello di Willy che si vede veleggiare verso il tramonto alla fine era – come mostra impietosamente l’alta definizione – un modellino.

7 – Al cast non fu permesso di vedere la nave pirata prima di girare l’arrivo nella grotta con gli scivoli dell’Aquafan. Nel vederla partì qualche “Holy shit!” e dovettero rigirare la scena. Le parole “shit” e “bullshit” sono pronunciate in tutto 19 volte nel film, perlopiù dalla banda Fratelli. A un certo punto Data grida “HOLY S-H-I-T!”, facendo lo spelling, perché l’attore aveva promesso a sua madre di non dire parolacce nel film.

6 – I pipistrelli che volano fuori dal passaggio quando Brand rimuove la roccia erano pezzi di carta crespa nera pressata sparati da un cannone ad aria compressa.

5 – Anche ne I Goonies, come in molti film di quegli anni (come Ritorno al futuro) c’è una LEGGERISSIMA presenza della Pepsi Altri marchi buttati lì davanti alla cinepresa per parecchi secondi sono Domino’s Pizza e Baby Ruth, barretta al cioccolato sul quale è incentrata un’intera scena del film.

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4 – La signora Walsh è l’attrice Mary Ellen Trainor. Sposata tra il 1980 e il 2000 con il regista Robert Zemeckis, è apparsa in quattro suoi film, tra cui Ritorno al Futuro parte II (è l’agente Reese) e fa la parte della psicologa in tutti e quattro i film della serie Arma Letale. La signora accanto a lei, la colf Rosalita, è Lupe Ontiveros, Juanita di Desperate Housewives. Le scene in cui Mouth parla in spagnolo, rifilando alla povera donna quello scherzone sulle droghe e le altre abitudini perverse di casa Walsh, nella versione spagnola del film sono… in italiano: la governante in quella versione è italiana e si chiama Rosanna.

3 – Durante la scena dell’interrogatorio, Chunk tra le altre cosa confessa: “Quando ero in quinta ho buttato per le scale mia sorella Eydie e poi ho dato la colpa al cane”. Eydie è il nome della vera sorella di Jeff Cohen,  che fa una piccola comparsa assieme agli altri familiari sulla spiaggia, a fine film. L’abbigliamento bislacco di Chunk nasce da un’idea di Spielberg: si doveva scegliere tra la camicia hawaiana ed i pantaloni a quadretti, e si decise alla fine di usarli tutti e due.

2 – La testa di Willy l’Orbo si trova ancora nell’ufficio di Richard Donner. Il nome completo di Willy l’Orbo, anche se nel film non viene rivelato (sulla mappa si legge solo il suo nome da pirata in spagnolo), è William B. Pordobell.

1 – Quelle macchie rosse sulla mappa di Willy? È sangue. Sangue umano. In un’intervista radiofonica, il production designer del film, J. Michael Riva, ha rivelato come poco prima di girare le prime scene con la mappa, quest’ultima non gli sembrasse sufficientemente vecchia. Perciò la inguacchiò nella sua camera d’albergo con del caffè e, non trovando della vernice, con un po’ di sangue. Il suo. Probabilmente ignorando la cosa, Sean Astin si portò a casa la mappa alla fine delle riprese, con il beneplacito della produzione. Solo che anni dopo la madre, trovando quello straccio incartapecorito e macchiato, lo prese per una cartaccia e lo butto via.

0 – Jeff Cohen si prese la varicella dopo esser stato scelto per il ruolo di Chunk. Si presentò sul set lo stesso, temendo che lo rimpiazzassero.

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In quale scena del film “Il Corvo” Brandon Lee viene ucciso? [VIDEO]

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma CASE BRUCIANO MUOIONO VERO AMORE PER SEMPRE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari AnoIl celebre attore Brandon Lee morì il 31 marzo 1993 a Wilmington (Carolina del Nord), quando mancavano tre giorni alla fine delle riprese del film “Il Corvo”. L’attore fu ucciso mentre si stava girando una scena, da una pistola che doveva essere caricata a salve. Dopo il terribile incidente la produzione cinematografica statunitense stabilì che nelle sparatorie le armi non venissero più puntate direttamente verso gli individui, ma con un’angolazione di 30°.

Perché la pistola ha sparato per davvero?

La tragedia fu causata da una disattenzione dello staff, che non aveva controllato con la perizia necessaria la pistola che doveva servire per la scena. Per motivi di tempo, non avendo colpi a salve, alcuni membri della troupe comprarono proiettili veri e ne rimossero la polvere da sparo all’interno, ricongiungendo il proiettile alla capsula a percussione. La pistola venne usata in diverse riprese, ma all’interno della canna rimase bloccato un proiettile per via di una carica debole. Il difetto passò inosservato e l’arma venne poi ricaricata con proiettili a salve per poi essere usata per girare la scena fatale. Per via della breve distanza e della canna ostruita, una carica a salve fu sufficientemente forte da far partire il proiettile bloccato che colpì Brandon all’addome. Dopo l’incidente, Brandon fu ricoverato d’urgenza al “New Hanover Regional Medical Center” di Wilmington, dove morì dopo una vana operazione di circa 12 ore.

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Qual è la scena precisa in cui Brandon Lee è stato ucciso?

Sulla scena della reale morte dell’attore sono sorte molte leggende ed ognuna racconta punti del film diversi in cui l’attore sarebbe stato ucciso per davvero. Noi ci fidiamo delle parole del regista che ha raccontato che la scena fatale è quella in cui all’appena resuscitato Eric, tornato nella sua abitazione e, turbato dai ricordi di quella tragedia, ritornano alla mente le dinamiche della sua morte. Draven entrando nel suo appartamento viene aggredito da alcuni malfattori che poco prima avevano stuprato la sua ragazza Shelly. Eric viene colpito con un colpo di pistola da Funboy, per poi precipitare giù dalla finestra. Nel film ciò accade intorno al minuto 11°. Nonostante questa sia una delle prime scene del film, in realtà era stata una delle ultime ad essere girate.

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La scena della vera morte di Brandon Lee è stata inserita nel film?

No, è stata eliminata. La scena della morte reale di Brandon non fu inserita e quella presente nel film è stata rifatta da una controfigura. Nella scena originale si vedeva Brandon Lee camminare in un vicolo sotto la pioggia per tornare a casa, prima di essere realmente ucciso. Nella scena rifatta l’attore è una controfigura: entra semplicemente dalla porta, bagnato da alcune gocce d’acqua provenienti da una tubatura perforata e tutta la restante scena in cui Eric viene disturbato dal ricordo del suo assassinio e dello stupro di Shelly, compresa la scena in cui Massee uccise Lee nella realtà, è stata rigirata dalla controfigura.

Quali sono le altre scene girate da una controfigura?

Oltre alla scena prima citata, in altre cinque scene Brandon Lee è stato sostituito da controfigure:

  • la scena dove Draven si trucca: il volto di Brandon, visibile riflesso nello specchio rotto, è stato aggiunto in seguito, adeguatamente alterato;
  • quando Draven suona la chitarra sul tetto della sua abitazione;
  • la scena dove Draven prepara la morte di T-Bird (David Patrick Kelly), riempiendo la sua auto di esplosivi: Draven non parla e non viene mostrato in volto ed i brevi istanti in cui si vede il suo viso in primo piano fanno parte di una scena precedente che era stata tagliata;
  • quando Sarah visita l’appartamento, Draven è una controfigura: il suo viso non viene mai inquadrato;
  • dopo aver ucciso Skank (Angel David), Draven scappa sui tetti per sfuggire dalla polizia e viene aiutato dal poliziotto Albrecht.

Chi ha ucciso Brandon Lee?

L’arma che materialmente uccise Brandon Lee era in mano a Michael Massee (il personaggio chiamato “Funboy”, vedi immagine in basso) il quale, inconsapevole del suo malfunzionamento, lo colpì ferendolo gravemente.

DOTT. EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO PSICHIATRIA MEDICINA DELLE DIPENDENZE DIRETTORE MEDICINA ONLINE Michael Massee Il Corvo morte the crow Brandon Lee real death scene sequence

Michael Massee in una scena del film (non quella in cui è stato ucciso Brandon Lee)

Massee rimase fortemente scosso dall’incidente e per lunghi periodi cadde in profonde crisi depressive. Il dramma fu un episodio accidentale e Massee fu scagionato da ogni accusa poiché ignaro del fatto che l’arma fosse difettosa, tuttavia l’attore non riuscì mai a superare del tutto il tormento di quella tragedia, come lui stesso ha varie volte confermato.

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Le parole del regista Alex Proyas

“Lo vidi crollare a terra, con un lamento. Il foro del proiettile mi parve perfettamente simulato e il sangue era forse fin troppo abbondante, ma nel complesso la scena era riuscita a meraviglia e dopo aver gridato “stop” dissi che ne avremmo girata un’altra, più che altro per sicurezza. Sul set tutti si mossero per rigirare la scena e Brandon Lee rimase disteso al suolo, immobile. Visto che non si muoveva, mi avvicinai a lui e notai che la macchia di sangue continuava ad allargarsi. Mi chinai, toccai con il dito quel liquido. Era tiepido e denso, come sangue vero e sul set cadde un silenzio di morte. La prima persona a capire fu Eliza Hutton, fidanzata di Brandon, che faceva parte del cast come assistente alla produzione. Lanciò un urlo e si precipitò verso Brandon, mentre io mi rendevo conto che respirava debolmente e che le sue condizioni dovevano essere gravi. Brandon venne trasportato d’urgenza al più vicino ospedale. I dottori trovarono un corpo metallico nello stomaco che gli provocò la ferita mortale”.

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Come si riuscì a proseguire i lavori del film?

Con la morte di Lee, concludere il film fu più arduo del previsto, non solo perché alcune parti del deceduto attore dovevano essere completate ma anche perché alcuni interpreti non parteciparono alla sua ultimazione. Sofia Shinas (Shelly), che assistette al dramma, si rifiutò di proseguire e tornò nella sua abitazione a Los Angeles. Anche Ernie Hudson (Albrecht) abbandonò per motivi familiari, a causa della morte di suo cognato. A due mesi dal decesso dell’attore, la troupe, anche per volere della fidanzata di Brandon, Eliza Hutton, decise di completare il film e i restanti attori continuarono a parteciparvi, compreso Michael Massee, che però – come prima accennato – cadrà in depressione a causa della tragedia. Grazie al computer ed all’aggiunta di tagli di altre scene, il film poté essere ultimato, con l’aggiunta di un costo di 8 milioni di dollari: in totale 15 milioni di dollari vennero spesi per creare il film. Inoltre, in molte parti della pellicola, il ruolo di “Eric Draven” venne affidato a Chad Stahelski e Jeff Cadiente, stuntman e grandi amici di Brandon. La scena in cui Brandon morì, fu rigirata con una controfigura. Alla sua uscita, Il corvo fu un enorme successo di pubblico e critica, incassando circa $50,693,129 negli Stati Uniti e $94,000,000 al livello mondiale, di cui $11,774,332 nel suo fine settimana di apertura. Alcuni spiegarono questo successo, anche grazie all’incredibile fatalità che si era verificata durante le riprese del film. Il Corvo in totale arrivò a incassare 170 milioni di dollari. Il film è stato posizionato al ventiquattresimo posto nella classifica dei più visti negli Stati Uniti, nel 1994 ed è giudicato un film di culto dagli appassionati.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Bootstrap paradox e paradosso della predestinazione: spiegazione ed esempi nei film

MEDICINA ONLINE RITORNO AL FUTURO 1 Back to the Future 1985 American science-fiction Robert Zemeckis Bob Gale Michael J. Fox Marty McFly Christopher Lloyd Dr. Emmett Doc Brown FILM CINEC’è un uomo che ha una macchina del tempo ed è appassionato della musica di Ludwig van Beethoven. Usa la sua macchina del tempo per andare a trovarlo nella Germania del XVIII secolo. Eppure l’uomo non riesce a trovare Beethoven. Nessuno lo ha mai sentito nominare: letteralmente non esiste. Il viaggiatore del tempo è nel panico: non può esistere un mondo senza la musica di Beethoven. Per fortuna ha portato con sé tutti gli spartiti da far autografare. Così li copia uno per uno, e li fa pubblicare diventando egli stesso Beethoven. La domanda è: chi ha composto la musica di Beethoven? 

L’aneddoto viene raccontato in “Doctor Who” (stagione 09, episodio 04) ed è un tipico esempio di “Bootstrap paradox” anche chiamato “Casual loop” o “Loop casuale”. Lo avete “subìto” in diversi film, come l’Esercito delle 12 scimmie, Arrival, Looper, L’inquilino del terzo piano, Synchronicity, Project almanac, Terminator, ma anche nel cartone “Futurama” nell’episodio in cui Fry diventa il nonno di sé stesso. Qualcuno potrebbe spiegarlo con una sola frase:

E’ nato prima l’uovo che ha generato la gallina o la gallina che ha generato l’uovo?

Cerchiamo di capirci qualcosa elencando varie tipologie di paradossi temporali, avvertendo il lettore che il resto dell’articolo è ricolmo di SPOILER!

Ritorno al futuro (Robert Zemeckis – 1985)

In “Ritorno al Futuro” Marty McFly torna indietro per salvare il matrimonio dei genitori che, minacciato, minaccia a sua volta l’esistenza di Marty stesso e dei suoi fratelli. Se lo scopo del viaggio nel tempo fosse stato opposto, cioè se il figlio avesse voluto impedire il matrimonio e la propria nascita, mettendo pertanto in dubbio non solo la propria esistenza ma anche il viaggio temporale stesso, avremmo avuto una variante del cosiddetto “Paradosso del nonno”, volto appunto a dimostrare la presunta impossibilità del viaggio nel tempo: se torni indietro ed uccidi tuo nonno, tu non puoi nascere e se non nasci non puoi neanche tornare indietro nel tempo ad uccidere tuo nonno. Questo è un paradosso temporale che potrebbe farci pensare al fatto che esistano molteplici universi paralleli, che si creano in continuazione ad ogni bivio delle esistenze di ogni essere vivente, come in un enorme diagramma di flusso.

Un sensazionale paradosso a loop di Ritorno al futuro è la canzone “Johnny B. Goode“: l’ha inventata davvero Chuck Berry, o Chuck Berry l’ha soltanto “copiata” dopo averla al telefono sentita suonare a Marty? Ma come faceva Marty a suonarla se per inventarla Chuck Berry doveva prima sentirla suonare a Marty che per suonarla aveva bisogno che Chuck l’avesse prima inventata? Questo è un paradosso simile a quello citato dal Doctor Who su Beethoven, ricordato all’inizio di questo articolo.

Il nome del protagonista di Ritorno al Futuro è – secondo alcuni – esso stesso un paradosso: il fatto che si chiami “Marty” è una decisione della madre, ma la causa della decisione della madre è molto probabilmente il fatto che Marty sia andato indietro nel tempo e – conoscendola – le abbia ispirato questo nome. Ma come poteva ispirarle il nome se non era ancora nato e quindi in quell’universo non era potuto ancora andare indietro nel tempo ad ispirare questo nome alla madre? Insomma, la causa di un evento è determinata dall’evento stesso che però non può esistere senza la causa: ciò interferisce con il nostro rapporto causa-effetto. Tuttavia, quando il Doctor Who ne parla, sembra voler comprendere sotto tale denominazione un altro paradosso, un’implicazione del primo: se l’aver interferito con la linea temporale NON impedisce al corso degli eventi di procedere come sempre, come lo si conosceva prima del viaggio temporale, parliamo di “Predestination Paradox”. In altre parole gli eventi sono già scritti e tutto quello che farai nel passato non modificherà il futuro ed anzi probabilmente saranno proprio le tue azioni, che svolgerai nel tentativo di impedire l’evento, ad innescare una serie di eventi che condurranno proprio a quell’evento.

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Terminator (James Cameron – 1984)

Kyle Reese proviene da un futuro devastato dalla guerra nucleare, dove a comandare sono i robot, e fa parte della resistenza capeggiata da John Connor, faro e guida di chi ha ancora speranza e forze per lottare. Kyle si offre volontario per una missione nel passato il cui scopo è salvare la madre di Connor, Sarah, dal Terminator, a sua volta inviato nel passato ad ucciderla. Ora, benché non lo si veda, quel John Connor è il perno del paradosso: avvertita la minaccia per sua madre e quindi per se stesso, fa in modo che ad andare indietro nel tempo sia… il suo futuro padre. Nel passato, infatti, come ben si sa, Kyle si innamorerà di Sarah e le darà un figlio di nome John: il bambino diventerà proprio quel comandante che Kyle tanto rispetta e ama. Potremmo parlare di un paradosso simile a quello di Marty e dei suoi genitori, un altro “Paradosso del nonno al contrario”, ma di certo è più gradevole – e più corretto – riconoscere in “Terminator” un bell’esempio di “Causal loop”. John Connor è la “causa” dell’esistenza di sua madre che, a sua volta, è la “causa” della nascita e dell’educazione di John Connor.

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Harry Potter e il prigioniero di Azkaban (Alfonso Cuarón – 2004)

Ecco lo strumento per viaggiare nella quarta dimensione: la giratempo. Harry e Hermione interferiscono con la propria linea temporale per salvare non solo l’ippogrifo Fierobecco, ma anche Sirius Black, fuggito dalla prigione di Azkaban. E l’ippogrifo viene dunque portato via appena prima della sua esecuzione, e Sirius, fatto evadere dalla torre di Hogwarts in cui era temporaneamente rinchiuso, gli viene messo in groppa per volare lontano, in un luogo sicuro. Solo in apparenza, però, il presente, che prevedeva nere conseguenze sia per l’uomo che per la creatura magica, viene fatto deviare dal suo corso originale: si rivela essere, al contrario, immutato, e anzi ciò che ne è origine e causa nasce proprio dalla piccola avventura di Harry e Hermione. L’esempio più adatto è l’ormai classica scena del primo Patronus di Harry: il giovane mago salva il se stesso del passato eseguendo un incantesimo, di cui non ha ancora piena padronanza, con una sicurezza concessa unicamente dall’essersi visto, nel passato, nel bel mezzo della suddetta evocazione, impeccabile ed efficacissima.

Harry: “Avevi ragione, Hermione! Non era mio padre che avevo visto! Ero io! Ho visto me stesso mentre evocavo il Patronus, prima. Sapevo di farcela, stavolta, perché… l’avevo già fatto!Per te ha senso?”

Hermione: “No!”

Tutto questo gioca evidentemente con il concetto di predestinazione, di impossibilità effettiva di modificare il destino di ognuno: in questo caso parliamo allora, innanzitutto, di “Predestination Paradox”.

Kimagure orange road (Izumi Matsumoto)

Nel manga Kimagure orange road di Izumi Matsumoto (tradotto in italiano con “È quasi magia Johnny“) il protagonista, Kyōsuke Kasuga (Johnny nell’edizione italiana) è un ragazzo quindicenne dai poteri paranormali, innamorato della sua compagna di classe Madoka Ayukawa (Sabrina). In un episodio del manga, trasposto anche nell’anime, Kyōsuke parte dal 1987 (cioè il suo presente) e torna indietro nel tempo di sei anni (nel 1981) e conosce la Madoka bambina, salvandole la vita. Ma come faceva Madoka ad essere viva nel presente (1987) PRIMA che Kyōsuke tornasse nel passato a salvarla, se – senza il suo intervento – lei sarebbe morta sei anni prima? Inoltre nel manga Madoka si ricorda che qualcuno le ha salvato la vita PRIMA che Kyōsuke partisse (ma ovviamente lei non conosce i poteri di Kyōsuke quindi razionalmente scarta l’ipotesi che sia stato lui viaggiando nel tempo a salvarla). Quindi è tutto già scritto? Andare nel passato serve solo a ribadire (anzi a far accadere) le cose già successe e non a cambiarle? E come fanno ad essere già successe se la persona che le faceva succedere non esisteva ancora? Secondo alcuni ciò è possibile perché nel presente di Kyōsuke questo avvenimento era già accaduto in quello che era il suo futuro, in una tesi condivisa non solo da molti appassionati da fantascienza, ma anche da alcuni fisici. E’ un concetto presente in molte altre opere, basti pensare al Dottor Manhattan, sensazionale personaggio della serie a fumetti Watchmen o a quello che accade nell’antologia di racconti Storie della tua vita di Ted Chiang, da cui è stato tratto il celebre film Arrival. Secondo questa visione del tempo, la linea temporale della nostra esistenza si estenderebbe contemporaneamente sia “indietro” (il passato) che “avanti” (il futuro) quindi, per ogni istante del presente di Kyōsuke, lui esiste anche in ogni istante che compone il suo futuro e il suo passato facendo di essi il “presente” di ognuno. In pratica nell’oggi di Kyōsuke è già “incluso” il fatto che avesse salvato Madoka, prima ancora che partisse per il passato. Ovviamente sono solo supposizioni: solo inventando una vera macchina del tempo potremmo – forse – sapere la verità!

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Predestination (Michael e Peter Spierig – 2014)

Non soltanto basato su, ma interamente costituito da un paradosso è invece il nostro terzo film, quello più adatto a concludere un articolo del genere. Un clamoroso SPOILER, per chi non lo ha visto, da qui in poi: proseguite a vostro rischio! In predestination il protagonista è una donna che

  1. diventa un uomo (cambiando sesso);
  2. torna nel passato;
  3. mette incinta sé stessa quando era ancora una donna.

Già a questo punto la trama è interamente un paradosso geniale, ma il bello deve ancora venire, perché il protagonista prende il frutto di questo auto-incesto, una bambina, e la trasporta indietro nel passato in un orfanotrofio. La neonata altri non è che il/la protagonista stesso/a che è contemporaneamente madre, padre e figlia di questa singolare famiglia basata su quello che reputo il re dei paradossi.

Il Bootstrap paradox è abbastanza evidente: come faceva la protagonista a mettere al mondo una bambina, se per farlo la protagonista doveva esistere e per esistere doveva essere prima stata messa al mondo, e per essere messa al mondo doveva necessariamente partorire sé stessa? Chi ha dato origine a questo serpente che si morde la coda? Apparentemente niente è nessuno: la protagonista è letteralmente frutto del “nulla esistente“.

La pellicola è una piccola opera d’arte, complicata ma nitida e chiara. Condurre lo spettatore con così tanta attenzione e premura attraverso il nodo di un Bootstrap paradox d’antologia, nella sua forma assoluta, è una dimostrazione di abilità notevoli (nonché di un certo ordine mentale). Ed è una minuscola e deliziosa gioia perdersi in ragionamenti del genere, talmente intricati e – proprio per questo – così affascinanti.

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Philip K. Dick, i film più belli della fantascienza li dobbiamo a lui

MEDICINA ONLINE PHILIP K DICK SCRITTORE FILM ELENCO OPERE SCRITTI LIBRI SCENEGGIATURA FANTASCIENZA CINEMA.jpgIl grande scrittore di fantascienza Philip Kindred Dick è nato il 16 dicembre 1928 a Chicago e ha trascorso in California, a Los Angeles e nella zona della Baia, la maggior parte della sua vita: un’esistenza inquieta e disordinata, ma sempre lucida dal punto di vista letterario, fin dagli esordi, avvenuti nel 1952. Philip Dick è stato al centro, dopo la morte avvenuta nel 1982, di un clamoroso caso di rivalutazione letteraria.

Sottovalutato in vita, è emerso nella critica e nella considerazione generale come uno dei talenti più originali e visionari della Letteratura americana contemporanea. La sua figura è divenuta oggi un simbolo per lettori giovani e meno giovani, affascinati dalle numerose sfaccettature di un’opera che si presta sia ad una lettura immediata che a più serie riflessioni, e parecchie delle sue opere sono ormai considerate degli autentici classici. Cultura della droga, realtà apparenti e soggettive, difficoltà di definire il Divino ed il Reale e, all’interno del Reale, l’Umano (che sfuma continuamente nei suoi simulacri artificiali), controllo occulto sugli individui… queste le tematiche della sua sregolata, ma geniale produzione narrativa, permeata da quell’alone di tragico pessimismo che l’autore si portò appresso per tutta la vita.

Cresciuto da una madre possessiva e nevrotica, che aveva presto divorziato dal padre, Dick sviluppò una personalità contraddittoria, caratterizzata da atteggiamenti diffidenti e contrastanti nei confronti del sesso femminile. Non è quindi un caso che i suoi rapporti con le donne siano sempre stati particolarmente difficili (ma la sua vita fu anche segnata da problemi fisici e psicologici, come asma, tachicardia e agorafobia). L’incontro con la fantascienza avvenne nel 1949, a dodici anni, quando comprò per errore una copia di “Stirring Science Fiction” al posto di “Popular Science”, rivista di divulgazione scientifica. Da allora nacque in lui la passione per questo genere letterario, che non l’avrebbe più abbandonato.

Il suo maggiore interesse, oltre naturalmente alla scrittura e alla letteratura, era la musica. In gioventù fece il commesso in un negozio di dischi e curò un programma di musica classica alla stazione radio di San Matteo. Alla fine delle superiori incontrò e sposò Jeanet Marlin. Il matrimonio durò sei mesi, poi divorziarono e non si incontrarono mai più.

Iniziò l’università a Berkeley, frequentando corsi di tedesco e di Filosofia e in questo periodo conobbe la sua seconda moglie, Kleo Apistolides, sposata nel 1950. Pessimo studente, non riuscì a terminare gli studi, anche a causa della sua (all’epoca), appassionata attività politica, che lo portava ad opporsi all’iniziativa bellica americana in Corea.

Già da allora Dick mostrava segni di una particolare insofferenza per la politica della destra americana e non pochi furono i suoi scontri con gli esponenti del “maccartismo”: i suoi biografi raccontano con una certa ironia di come due agenti dell’FBI fossero tanto assidui nei controllo della vita intima e lavorativa di Dick da diventare alla fine suoi buoni amici.

In quel periodo, comunque, aveva iniziato come molti scrivendo racconti e inviandoli per posta alle riviste. Nel 1952 si scelse un agente, Scott Meredith, e quasi subito vendette il suo primo racconto: “The Little Movement”, che apparve soltanto su “Magazine of Fantasy & Science Fiction”. La vendita del racconto gli fece decidere di diventare scrittore a tempo pieno. Il primo romanzo,”Solar Lottery”, uscì tre anni dopo, nel 1955, quando Dick non aveva ancora trent’anni. Un dato statistico molto semplice fa capire le difficoltà di Dick in quel periodo: nel solo arco degli anni ’50 scrisse undici romanzi oltre settanta racconti, al di fuori del genere fantascientifico e tutti ricevettero il rifiuto alla pubblicazione (soltanto uno fu poi pubblicato, “Confessioni di un artista di merda”).

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Negli anni che seguirono, Dick pubblicò una quantità di racconti e romanzi, tra i quali ricordiamo “Il disco di fiamma” (1955), “Autofac” (1955), “Noi marziani” (1963/64). La lista potrebbe continuare a lungo. Tra i tanti, citiamo ovviamente “Il cacciatore di androidi” (titolo originale: “Do the Androids Dream of Electric Sheeps?”, 1968), dal quale Ridley Scott ha poi tratto il film “Blade Runner”, e “Ubik (1969), forse il suo romanzo più significativo.

Nel 1958 abbandona la vita della metropoli per Pt. Reyes Station dove conosce Anne Rubenstein che sposerà l’anno successivo, dopo il divorzio da Kleo. La vita, per lui, cambia e assume un aspetto più familiare: alle tre figlie precedenti della moglie si aggiunge la nascita della sua figlia, Laura Archer. Gli anni ’60 sono per lui un periodo tumultuoso: il suo stile cambia, si fa più interiore e diventa sempre più pressante la domanda, di stampo metafisico ma per Dick assai legata ai mutamenti di prospettiva indotti dall’evoluzione tecnologica, “che cos’è che fa di un uomo un uomo?”. Nel 1962 pubblica “The Man in the High Castle” (tradotto in Italia come “La svastica sul sole”) che gli farà ottenere nel 1963 il premio Hugo e con esso il riconoscimento come autore di primo piano.

Cambia anche il tipo di opere scritte: negli anni ’60 scrive diciotto romanzi e venti racconti. Un ritmo di scrittura impressionante, al limite dello stress psicofisico (oltre sessanta pagine al giorno) finirà col distruggere la sua vita familiare (divorzierà nel 1964) e il suo fisico (si volgerà sempre di più ai medicinali, soprattutto anfetamine). Ben presto Dick cadrà in depressione e in questo periodo oscuro sposa Nancy Hackett (1966), una donna schizofrenica che lascerà quattro anni dopo ma che contribuirà non poco a spingerlo verso un declino sempre più inarrestabile.

L’arrivo di un’altra donna, Kathy DeMuelle, arresterà la caduta anche se non farà iniziare la risalita. L’inizio degli anni ’70, quindi, si presenta come un periodo sterile, intriso di paranoia e dominato dalla droga. Seguono l’abbandono di Kathy, i viaggi in Canada e l’incontro con Tessa Busby che sposerà e che nel 1973 gli darà un figlio, Christopher, per poi divorziare ancora nel 1976. Nel 1974, e precisamente il 2 Marzo, la vita di Dick cambia: ha quella che definisce una “esperienza mistica”. Ricomincia a scrivere romanzi molto diversi da quelli scritti in precedenza, e perde interesse per la narrativa breve (l’ultimo racconto sarà “Frozen Journey” pubblicato su Playboy nel 1980) e indirizza tutto il suo entusiasmo verso un sogno ambizioso: una trilogia di romanzi con tendenze mistiche: la trilogia di Valis (comprende i romanzi: “Valis”, “The Divine Invasion” e “The Trasmigration of Timothy Archer”). Un infarto, il 2 febbraio 1982, lo stroncherà mentre sta lavorando ad un nuovo romanzo, “The Owl in Daylight”.

Come scrittore, Dick è sempre rimasto fedele ai temi classici della fantascienza, ma li ha impiegati in maniera personalissima,con un discorso letterario la cui coerenza e profondità d’ispirazione ha pochi eguali. Tutte le sue opere più importanti, ruotano attorno al tema realtà/illusione, in cui si proiettano l’angoscia e la fragilità dell’uomo contemporaneo. Nei suoi ritratti del futuro, dai paesaggi urbani agli scenari post-nucleari, troviamo i temi di sempre: la violenza del potere, l’alienazione tecnologica, il rapporto fra esseri umani e creature artificiali. All’interno di società disintegrate, i suoi personaggi cercano affannosamente un barlume d’umanità e la riaffermazione di un principio morale.

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Lista degli adattamenti cinematografici dei lavori di Philip K. Dick

  • Il romanzo Il cacciatore di androidi è stato trasposto nel film Blade Runner (1982) di Ridley Scott.
  • Alcune scene di Terminator (The Terminator, 1984), e l’idea della guerra futura dove androidi assassini cercano di intrufolarsi nei rifugi camuffandosi da esseri umani, rimandano in modo chiaro a Second Variety (Modello due, vedi anche Screamers, più avanti), nonostante non sia presente alcun riferimento nei titoli del film. L’altra grande opera che ha ispirato Terminator sembra essere stata il racconto di Harlan Ellison Soldier.
  • Il film Atto di forza (Total Recall, 1990) di Paul Verhoeven era basato su un suo racconto, Ricordiamo per voi.
  • Il film francese Confessions d’un Barjo (1992) di Jérôme Boivin è basato su Confessioni di un artista di merda (Confessions of a Crap Artist).
  • Il film Screamers – Urla dallo spazio (1995) era basato su un suo racconto: Modello due (Second Variety, in Rapporto di minoranza e altri racconti)
  • Waking Life (2001), diretto da Richard Linklater, è un film che riflette sulla sottile linea che separa lo stato di sonno e quello di veglia. Nell’ultima scena il regista stesso parla delle esperienze dickiane.
  • Il film Impostor (del 2000 ma distribuito nel 2002) di Gary Fleder è basato su un suo racconto omonimo, come peraltro una serie di telefilm degli anni sessanta.
  • Il film Minority Report (2002) di Steven Spielberg è basato sul racconto Rapporto di minoranza.
  • Paycheck (2003), diretto da John Woo, è tratto dall’omonimo racconto (in italiano I labirinti della memoria) del 1953.
  • La “composizione personale” di Dick Strange Memories of Death è stata adattata nell’omonimo cortometraggio da parte degli Yates House Studios, ma il film non è stato ancora distribuito.
  • A Scanner Darkly – Un oscuro scrutare (2006) è l’adattamento cinematografico di Un oscuro scrutare. Diretto da Richard Linklater (regista di Waking Life girato con digital rotoscope, la stessa tecnica che viene usata in questo film), ha come protagonisti Winona Ryder, Keanu Reeves e Robert Downey Jr..
  • Fonti non ufficiali del 2003 parlano di una sceneggiatura scritta dallo scrittore Brandon M. Easton per La svastica sul sole.

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Racconti

Nota: le opere sono elencate in ordine di pubblicazione

1952
Beyond Lies the Wub (Ora tocca al wub)
The Gun (Il cannone)
The Little Movement (Minibattaglia)
The Skull (Il teschio)
The Variable Man (L’uomo variabile)

1953
The Builder (La barca)
Colony (Colonia)
The Commuter (Il sobborgo dimenticato)
The Cookie Lady (La signora dei biscotti)
The Cosmic Poachers (Pirati cosmici)
The Defenders (I difensori della Terra)
Expendable (Un uomo a rischio)
The Eyes Have It (Invasione oculare)
The Great C (Il grande C)
The Hanging Stranger (L’impiccato)
The Impossible Planet (Pianeta impossibile)
Impostor (Impostore)
The Indefatigable Frog (L’infaticabile ranocchio)
The Infinities (Cavie)
The King of the Elves (Il Re degli Elfi)
Martians Come in Clouds (Nuvole marziane)
Mr. Spaceship (La mente dell’astronave)
Out in the Garden (In giardino)
Paycheck (I labirinti della memoria)
Piper in the Woods (I pifferai)
Planet for Transients (Pianeta alieno)
The Preserving Machine (La macchina salvamusica)
Project: Earth (Progetto: Terra)
Roog (Ruug)
Second Variety (Modello due)
Some Kinds of Life (Un certo tipo di vita)
The Trouble with Bubbles (Il mondo in una bolla)
The World She Wanted (Il mondo che lei voleva)

1954
A World of Talent (Il mondo dei mutanti)
The Last of the Master (L’ultimo dei capi)
Adjustment Team (Squadra riparazioni)
Beyond the Door (Dietro lo sportello)
Breakfast at Twilight (Colazione al crepuscolo)
The Crawlers (Quelli che strisciano)
The Crystal Crypt (La cripta di cristallo)
The Exhibit Piece (Il padiglione del passato)
The Father-thing (La Cosa-padre)
The Golden Man (Non saremo noi)
James P. Crow (Jeams P. Crow)
Jon’s World (Il mondo di Jon)
The Little Black Box (I seguaci di Mercer)
Meddler (Il fattore letale)
Of Withered Apples (Mele avvizzite)
A Present for Pat (Un regalo per Pat)
Prize Ship (La nave nemica)
Progeny (Progenie)
Prominent Author (Un autore importante)
Sales Pitch (Vendete e moltiplicatevi)
Shell Game (Rivolta contro la Terra)
The Short Happy Life of the Brown Oxford (Breve vita felice di una scarpa marrone)
Small Town (Piccola città)
Souvenir (Souvenir)
Strange Eden (Strano Eden)
Survey Team (Squadra di ricognizione)
Time Pawn (Il dottor futuro)
Tony and the Beetles (Tony e i coleotteri)
The Turning Wheel (La ruota cosmica)
Upon the Dull Earth (Sulla monotona Terra)

1955
Autofac (Autofac)
Captive Market (Commercio temporale)
The Chromium Fence (Saltare il fosso)
Foster, You’re Dead! (Foster, sei morto!)
The Hood Maker (Il fabbricante di cappucci)
Human Is (Umano è)
The Mold of Yancy (Yancy)
Nanny (Nanny)
Psi-man Heal My Child! (Psi)
Service Call (Servizio assistenza)
A Surface Raid (Un incursione in superficie)
Vulcan’s Hammer (Vulcano 3)
War Veteran (Veterano di guerra)

1956
A Glass of Darkness (La città sostituita)
Minority Report (Rapporto di minoranza)
Pay for the Printer (Diffidate delle imitazioni)
To Serve the Master (Al servizio del padrone)

1957
Misadjustment (Le illusioni degli altri)
The Unreconstructed M (La macchina)

1958
Null-o (Non-o)

1959
Explorers We (Tornando a casa)
Fair Game (Selvaggina pregiata)
Recall Mechanism (Meccanismo di ricordo)
War Game (Il gioco della guerra)

1963
All We Marsmen (Noi marziani)
The Days of Perky Pat (I giorni di Perky Pat)
If There Were No Benny Cemoli (Se non ci fosse Benny Cemoli)
Stand-by (Presidente di riserva)
What’ll We Do With Ragland Park? (Cosa ne facciamo di Ragland Park?)

1964
Cantata 140 (Svegliatevi, dormienti)
A Game of Unchance (Giocate e vincete)
Novelty Act (Uno show originale)
Oh, to be a Blobel! (Oh, essere un blobel!)
Orpheus with Clay Feet (Orfeo dai piedi d’argilla)
Precious Artifact (Il gatto)
The Unteleported Man (Utopia, andata e ritorno)
The War with the Fnools (Bacco, tabacco e… Fnools!)
Waterspider (Pulce d’acqua)
What the Dead Men Say (Quel che dicono i morti)

1965
Project Plowshare (Mrs. Lars, sognatore d’armi)
Retreat Syndrome (Sindrome regressiva)

1966
Holy Quarrel (Teologia per computer)
We Can Remember It For You Wholesale (Ricordiamo per voi)
Your Appointment Will Be Yesterday (Il suo appuntamento è fissato per ieri)

1967
Faith of our Fathers (La fede dei nostri padri)
Return Match (Partita di ritorno)

1968
Not By Its Cover (Legatura di pelle)
The Story To End All Stories (Il racconto che mette fine a tutti i racconti)

1969
A. Lincoln, Simulacrum (A. Lincoln, androide)
The Electric Ant (Formica elettrica)

1972
Cadbury, the Beaver Who Lacked (Cadbury, il castoro scarso)

1974
The Different Stages of Love
The Pre-persons (Le pre-persone)
A Little Something For Us Tempunauts (Noi temponauti)

1979
The Exit Door Leads In (L’ultimo test)

1980
I Hope I Shall Arrive Soon (Spero di arrivare presto)
Rautavaara’s Case (Il caso di Rautavaara)
Chains of Air, Web of Aethyr (Catene d’aria, ragnatela d’etere)

1981
The Alien Mind (La mente aliena)

1984
Strange Memories Of Death (Strani ricordi di morte)

1987
The Day Mr. Computer Fell Out of Its Tree (Il giorno che il signor Computer uscì di testa)
The Eye of The Sibyl (L’occhio della sibilla)
Fawn, Look Back
Stability (Stabilità)

1988
Fawn, Look Back

1989
11-17-80

1992
The Name of the Game is Death (Labirinto di morte)

ROMANZI

Nota: le opere sono elencate in ordine di pubblicazione. Tra parentesi la prima versione italiana, e altri titoli con cui è stato pubblicato il romanzo.

1955
Solar Lottery (Il disco di fiamma, pubblicato anche come Lotteria dello spazio)
1956
The World Jones Made (Il mondo che Jones creò, pubblicato anche come E Jones creò il mondo)
The Man Who Japed (Redenzione immorale)
1957
Eye in the Sky (L’occhio nel cielo)
The Cosmic Puppets (La città sostituita)
1959
Time Out of Joint (Tempo fuor di sesto, pubblicato anche come Il tempo si è spezzato, L’uomo dei giochi a premio e Tempo fuori luogo)
1960
Dr. Futurity (Il dottor Futuro)
Vulcan’s Hammer (Vulcano 3)
1962
The Man in the High Castle (La svastica sul sole, pubblicato anche come L’uomo nell’alto castello)
1963
The Game-Players of Titan (I giocatori di Titano)
1964
Martian Time-Slip (Noi marziani)
The Simulacra (I simulacri)
Clans of the Alphane Moon (Follia per sette clan)
The Penultimate Truth (La penultima verità)
1965
The Three Stigmata of Palmer Eldritch (Le tre stimmate di Palmer Eldritch)
Dr. Bloodmoney, or How We Got Along After the Bomb (Cronache del dopobomba)
1966
The Crack in Space (Svegliatevi, dormienti, pubblicato anche come Vedere un altro orizzonte)
Now Wait for Last Year (Illusione di potere)
The Unteleported Man (Utopia, andata e ritorno)
1967
Counter-Clock World (In senso inverso)
The Zap Gun (Mr. Lars, sognatore d’armi)
The Ganymede Takeover, scritto con Ray Nelson (L’ora dei grandi vermi)
1968
Do Androids Dream of Electric Sheep? (Il cacciatore di androidi pubblicato anche come Ma gli androidi sognano pecore elettriche? o Blade Runner)
1969
Ubik (Ubik)
Galactic Pot-Healer (Guaritore galattico)
1970
Maze of Death (Labirinto di morte)
Our Friends from Frolix 8 (Nostri amici da Frolix 8, pubblicato anche come I nostri amici di Frolix 8)
1972
We Can Build You (L’Androide Abramo Lincoln, pubblicato anche come A. Lincoln, Androide)
1974
Flow My Tears, The Policeman Said (Scorrete lacrime, disse il poliziotto, pubblicato anche come Episodio temporale)
1975
Confessions of a Crap Artist (Confessioni di un artista di merda)
1976
Deus irae (scritto con Roger Zelazny) (Deus irae)
1977
A Scanner Darkly (Un oscuro scrutare, pubblicato anche come Scrutare nel buio)
1981
VALIS (Valis)
The Divine Invasion (Divina invasione)
1982
The Transmigration of Timothy Archer (La trasmigrazione di Timothy Archer)
The Man Whose Teeth Were All Exactly Alike (L’uomo dai denti tutti uguali)
1985
Radio Free Albemuth (Radio libera Albemuth)
Puttering About in a Small Land (In questo piccolo mondo)
In Milton Lumky Territory (In terra ostile)
1986
Humpty Dumpty in Oakland
1987
Mary and the Giant (Mary e il gigante)
1988
The Broken Bubble
Nick and the Glimmung (per bambini) (Nick e il Glimmung)
1994
Gather Yourselves Together (Il paradiso maoista).

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