Another Earth (2010): trama senza spoiler e recensione del film

MEDICINA ONLINE ANOTHER EARTH FILM MOVIE CINEMA WALLPAPER PLANET SCIFI SKY PHOTO PICD PICTURE HD HI RESOLUTION TRAMA RECENSIONE 2010 Mike Cahill William Mapother Brit Marling DEAD  CARS SON NUDE BEST SCENE.jpgUn film di Mike Cahill, con William Mapother, Brit Marling, Jordan Baker, Flint Beverage, Robin Taylor. Drammatico, durata 92 min. USA 2010 – 20th Century Fox – Uscita italiana venerdì 18 maggio 2012.

Trama senza spoiler

Un’altra Terra, chiamata semplicemente Earth 2, viene avvistata nel nostro stesso sistema, copia perfetta del nostro mondo e abitata da persone che sono la replica dei terrestri. La stessa notte dell’avvistamento, la brillante e promettente studentessa Rhoda, un’aspirante cosmonauta interpretata dalla stessa Brit Marling (una vera rivelazione), distratta dal nuovo pianeta e probabilmente dall’avere bevuto qualche bicchiere di troppo, va a scontrarsi con la propria auto contro la macchina su cui viaggiano il musicista John Burroughs (William Mapother, uno degli altri della serie televisiva “Lost”) e la sua famiglia. Il bilancio dell’incidente è tragico: Burroughs finisce in coma, la moglie (incinta) e il figlioletto muoiono.
Per la protagonista si aprono le porte del carcere, dal quale esce quattro anni dopo profondamente segnata dai sensi di colpa. Niente più stimoli, niente più ambizioni, Rhoda si lascia vivere e trascorre le sue giornate svolgendo un modesto lavoro di addetta alle pulizie in una scuola (incontrando per caso un ragazzo con cui aveva flirtato la notte della tragedia, si vede costretta in maniera alquanto imbarazzante a specificare che nell’istituto dove lavora non fa l’insegnante). Due sole cose la scuotono dal grigiore della sua nuova quotidianità: la partecipazione a un concorso che mette in palio un viaggio sull’altra terra e la notizia che l’uomo al quale ha rovinato la vita ha ripreso conoscenza. Decisa a parlargli, Rhoda si presenta a casa sua senza però trovare il coraggio di dirgli la verità. Si offre invece di pulirgli la casa, come dimostrazione a titolo gratuito. Inizialmente diffidente, l’uomo accetta l’offerta e per Rhoda andare a pulire l’abitazione (in un raffinatissimo stile dagli echi shabby chic) diventa un appuntamento settimanale.

Leggi anche:

Recensione

Dopo il pianeta Melancholia firmato Lars von Trier, un nuovo evento planetario dalle influenze drammatiche è destinato a imporsi nella mia cineteca personale. Another Earth è una pellicola indipendente diretta dall’esordiente Mike Cahill e accolta con grandi lodi al Sundance Film Festival (dove ha vinto il premio speciale della Giuria e il premio Sloan). Laddove ormai le pellicole action a tema fantascientifico sembrano vivere un periodo di stasi a livello di idee, il genere si contamina sempre di più con visioni intimiste e drammatiche appartenenti al cinema d’autore. Come per Melancholia quindi, e per il bellissimo Moon di Duncan Jones, ci troviamo dinanzi ad un’opera che usa il mezzo fantastico per raccontarci una storia interiore ricca di bruciante umanità. Sin dal Solaris originale, capolavoro firmato dal maestro Andreij Tarkovskij nel lontano 1969, la figura di un nuovo pianeta che improvvisamente compare nel cielo è ricca di una grande carica simbolica, non solamente per ciò che concerne il versante visivo, ma soprattutto per quello umano. In questo caso poi il racconto offre diversi spunti di riflessione, visto che il corpo celeste che appare improvvisamente nelle fasi iniziali di Another Earth, è nientemeno che una versione identica della nostra Terra. Il destino, come spesso accade più tragico di ogni pessimistica fantasia, vuole che sia proprio la comparsa di questo nuovo astro la causa di un terribile incidente nel quale rimane coinvolta Rhoda, brillante studentessa appena ammessa al MIT (Massachusetts Institute of Technology) che uccide un bimbo e sua madre incinta: la peggiore tragedia immaginabile.

Un incidente stradale

Altri film hanno preso piede da un incidente stradale. Ne troviamo uno nell’incipit di The Descent – Discesa nelle tenebre (Neil Marshall, 2005) o all’inizio di Ore 11:14 – Destino fatale (Greg Marcks, 2003), anche se quello più spettacolare resta quello di Final Destination 2 (David R. Ellis, 2003). Questi sono tutti film horror, però. Another Earth non lo è: è una storia d’amore e di introspezione. Di possibilità sfiorate con la punta delle dita e perse in una miriade di altre possibilità che si sdoppiano all’infinito e costituiscono varianti possibili/impossibili di realtà, come nella teoria dei quanti di Plank. E così, ecco moltiplicarsi atomi di vita, come granuli di energia indivisibili. Niente romance amara alla Sliding doors (Peter Howitt, 1998), ma una riflessione sul passato (che non cambia) e sulle ripercussioni, nell’universo, di ogni azione. Dopo aver trascorso alcuni anni in carcere, la giovane è costretta ad abbandonare, almeno apparentemente, i propri sogni, proprio come spesso succede nella vita vera, dove al protagonista va tutto sempre bene.

Leggi anche:

Catarsi

Another Earth è un’opera emblematica, non di facile assimilazione, ma ricca di un silente fascino che pervade questa storia di espiazione e rimorsi narrata all’ombra di una nuova era per l’umanità intera. Una catarsi personale, raccontata con delicatezza e sobrietà, osservando da vicino gesti ed emozioni della protagonista, anima inquieta in cui ora l’unico sogno è quello di raggiungere la nuova Terra, nella quale la vita sembra seguire parallelamente la nostra in maniera speculare anche per quanto riguarda gli esseri umani (con dei veri e propri “doppi”), per poter iniziare nuovamente a vivere. Cahill è bravo a giocare sul filo dell’ambiguo, dei segreti, delle realtà difficili da affrontare e delle possibili vie di fuga, dove il reale collide con l’irreale, il dolore con la gioia, la vita con la morte. L’apice emotivo raggiunto nei minuti finali, pregni di un’intensa tensione emotiva, e lo splendido colpo di scena dell’epilogo, rendono Another Earth una pellicola misteriosa, sospesa proprio come la sua protagonista (una grande Brit Marling, che reciterà anche nel successivo film di Cahill, I Origins) tra due mondi simili ma distanti.

La vera arte

Mike Cahill, che il film lo ha diretto, montato, fotografato e scritto (in tandem con la brava protagonista, sua compagna di studi), si misura col genere fantascientifico, nella sua accezione più colta ed anche se questa piccola produzione non può certo vantare i budget che di solito caratterizzano i prodotti di questo genere, è ammirevole il risultato che il regista raggiunge coi suoi pochi mezzi a disposizione, anzi, forze proprio grazie ai pochi mezzi: fatto questo che costringe i veri artisti a tirar fuori la vera arte, senza facili scappatoie di volti superpagati o effetti speciali strepitosi. Molto interessante la tavolozza cromatica utilizzata per raccontare la storia, studiata per meglio evocare il gelo nella vita di questa giovane donna che ama e sente disperatamente il bisogno di pulire… metafora fin troppo convenzionale, si dirà, ma funzionale al racconto. Altro punto a favore del film il commento musicale elettronico della band newyorkese Fall On Your Sword, che regala alla vicenda l’ideale tessuto sonoro. Un film che agli appassionati di fantascienza di alieni e di esplosioni nucleari, può probabilmente apparire lento. Io l’ho apprezzato molto e ve lo consiglio.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Resident Evil (2002): trama e recensione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma RESIDENT EVILTRAMA RECENSIONE FILM Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgResident Evil, un film di Paul W.S.Anderson. Con Milla Jovovich, Michelle Rodriguez, Eric Mabius, James Purefoy, Martin Crewes. Fantascienza, durata 100 min. – Gran Bretagna, Germania, Francia 2002.

Trama senza spoiler
Qualcosa di tremendo si nasconde all’interno dell’Alveare, vasto e supertecnologico laboratorio sotterraneo gestito dalla multinazionale “Umbrella Corporation”. Qualcuno ha introdotto al suo interno un virus micidiale che ha indotto la Regina Rossa – supercomputer che controlla l’intera struttura – a sigillare l’intera area, intrappolando fatalmente al suo interno tecnici e ricercatori. Una squadra di militari viene inviata sul posto a ricostruire l’accaduto: scoprirà presto cosa sia successo e quale tremenda sorte sia toccata a tutto il personale dell’Alveare.

Leggi anche:

Trama e recensione CON SPOILER
XXI secolo, Racoon City è uno dei tanti centri urbani tranquilli d’America, con bella gente e paesaggi carini, la città ideale per impiantare il nucleo di una delle più grandi multinazionali del mondo, l’Umbrella Corporation. Si tratta di una mastodontica potenza commerciale degli Stati Uniti, nove case su dieci utilizzano i suoi prodotti, la sua influenza politica e finanziaria si fa sentire ovunque. Ufficialmente l’Umbrella è il maggior fornitore di tecnologia per computer e di prodotti medici e sanitari, ma – all’insaputa dei suoi stessi impiegati – i suoi profitti più consistenti derivano da tecnologia militare, sperimentazione genetica e armi batteriologiche.
L’Alveare, il loro laboratorio top secret, è situato ad una notevole profondità sotto le strade di Racoon City ed ospita più di 500 dipendenti che studiano, lavorano e vivono sotto terra. Qui è stato dato alla luce il “Virus T”, un potente micro organismo in grado di rigenerare le cellule morte. A protezione di tutto questo c’è “la Regina Rossa”, il top dell’intelligenza artificiale, un computer che controlla tutto e tutti.
Quando una delle provette del virus viene rotta, dando il via alla sua diffusione per tutto l’Alveare, l’intervento della Regina Rossa è immediato: la versione “bambina” di HAL 9000 sigilla tutto il laboratorio e, senza farsi troppi scrupoli, stermina con il gas ed altre trappole qualsiasi essere vivente potenzialmente contaminato dal Virus T (cioè tutti i presenti nell’Alveare), questo perché la sua priorità è di evitare che il virus arrivi in superficie.
L’Umbrella decide di intervenire, mandando sul luogo del disastro un Team di soldati specializzati che però, a loro spese, saranno i primi testimoni dell’efficacia del Virus T: gli ex dipendenti dell’Umbrella, uccisi dal gas della Regina Rossa, resusciteranno diventando dei veri e propri zombie, molto difficili da uccidere. Nel corso del film, dove non mancano colpi di scena, si scoprirà chi e perché ha diffuso il Virus T. Questa è in sostanza la trama del film basato sull’omonimo e famosissimo videogame della Capcom e possiamo proprio considerarlo un tributo a tutti gli appassionati della versione videoludica.

Leggi anche:

Differenze con il videogioco
Il film, affidato a Paul W.S. Anderson, già autore di pellicole come “Mortal Kombat” e “Alien vs Predator”, si discosta parecchio dalla storia e dai personaggi del primo capitolo del videogioco, ma riprende alcuni caratteri del secondo capitolo, come il famoso essere senza pelle e i “dolcissimi” dobermann con la carne a brandelli che tanto hanno tormentato i miei incubi da adolescente.
Potremmo quasi considerare questo “Resident Evil” cinematografico come una sorta di prequel della versione ludica. I personaggi, come già accennato, sono tutti diversi rispetto al videogame, introducendo così il fattore imprevedibilità da parte del regista. Buona la scelta della protagonista, la bellissima Milla Jovovich nella parte di Alice, accompagnata da un bravissimo Eric Mabius (Matt). Il film si svolge interamente sotto terra e non ci sono i famosi enigmi da decifrare come nel gioco. Questa mancanza è comunque compensata da dosi massicce di azione: il ritmo è incalzante sin dalla prima scena, aiutato anche da una colonna sonora grandiosa, che vede in prima linea Marilyn Manson.

Il ritorno degli zombie
Il merito del regista sta nel aver dato nuova linfa vitale al tema degli zombie che, abbandonati i buffi e statici movimenti che li hanno caratterizzati dagli anni ’70 a oggi, in “Resident Evil” si muovono come se seguissero una coreografia (da notare lo zombie con il camice e l’ascia in mano) e si rivelano molto reattivi al momento dell’attacco. La pellicola è conosciuta anche con altri titoli: Resident Evil 1, Resident Evil: Ground Zero, e Resident Evil: Genesis. Il film ha cinque seguiti: Resident Evil: Apocalypse, uscito il 10 settembre 2004, Resident Evil: Extinction, uscito il 12 ottobre 2007, Resident Evil: Afterlife, uscito nelle sale italiane il 10 settembre 2010 e Resident Evil: Retribution, uscito il 28 settembre 2012. Il sesto e ultimo capitolo è Resident Evil: The Final Chapter, uscito nel 2017.
I difetti di questa pellicola sono pochi, forse il regista in alcuni momenti avrebbe potuto impegnarsi di più e avere meno fretta nel girare alcune scene, mentre ogni tanto affiora un piccolo errore dovuto alla fase di montaggio.
Si tratta insomma di un action-horror a tutti gli effetti: la tensione c’è, la paura pure. Lo spettatore normale non rimarrà tranquillo, perché almeno una volta sobbalzerà dalla poltrona, lo spettatore che conosce il gioco rimarrà forse deluso da alcuni lati del film, ma non potrà non riallacciarsi al videogame, finendo per credere di avere in mano il Joypad anziché i pop-corn. Il film, pur arricchito da un paio di colpi di scena interessanti, ha un canovaccio collaudato, già visto in molti film del genere, come ad esempio Aliens – Scontro finale del 1986 diretto da James Cameron: una squadra di militari armati fino ai denti, con a seguito una superdonna come protagonista, che giunge in un posto “infetto” per risolvere i problemi (c’è anche la donna “maschiaccio” latina armata fino ai denti in entrambi i film!).
Questo primo capitolo della saga cinematografica di Resident evil ha incassato in tutto il mondo 102,400,000 dollari riscuotendo un grande successo al botteghino. Un film che piacerà ovviamente soprattutto agli appassionati di fantascienza, azione ed horror, con qualche scena splatter memorabile, come quella del laser che fa letteralmente a pezzi parte del gruppo di militari nel corridoio che porta alla stanza del supercomputer.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Operation Avalanche (2016): trama senza spoiler e recensione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma OPERATION AVALANCHE 2016 TRAMA FILM RECENSIONE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari.jpgUn film di Matt Johnson. Con Matt Johnson, Josh Boles, Ray James, Sharon Belle, Krista Madison, Samantha Michelle, Owen Williams. Thriller, fantascienza, durata 94 min. – USA, Canada 2016.

Trama senza spoiler
Nel 1967, uno dei momenti più caldi della guerra fredda, la corsa globale per far approdare il primo uomo sulla luna è spietata ed i due contendenti sono ovviamente le due potenze principali emerse vincitrici dalla seconda guerra mondiale: gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica.
La CIA sospetta che vi sia un infiltrato russo all’interno della NASA, pronto a sabotare il programma Apollo. Due giovani agenti vengono incaricati di indagare sotto copertura, come registi intenti a documentare la preparazione del viaggio e presto si scoprirà che la NASA non riuscirà affatto a portare l’uomo sulla luna con l’Apollo 11.
In un’indagine che va ben oltre il principale sospettato, gli agenti si ritrovano immersi in una cospirazione governativa che non dovrà in nessun modo essere smascherata, a costo della vita.

Leggi anche:

Recensione
Il film diretto da Matt Johnson, che è anche sceneggiatore ed attore insieme a Josh Boles, si lascia guardare per tutta la sua durata e per le tematiche affrontate strizza l’occhio all’ottimo “Capricorn One“, il film diretto da Peter Hyams nel 1978. Girato a partire dal 30 giugno 2014 come se fosse un documentario e con filmati “vintage” da metà anni ’60, in uno stile chiamato mockumentary, il film è affascinante non solo per chi segue le teorie del complotto, ma anche per tutti gli altri. Il confine tra realtà e finzione, nel film e dietro la macchina da presa, è un elemento intrigante. Buona prova di regia e recitazione, premiate al Sundance Film Festival. Non è un capolavoro ma si lascia guardare fino alla fine, magari ai non appassionati del tema trattato può risultare un po’ noioso: vi piacerà soprattutto se siete nerd ed appassionati di astronomia come il sottoscritto.

Se Operation Avalanche vi è piaciuto, vi consiglio di vedere anche Capricorn One.

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube e su Pinterest, grazie!

Moon (2009): trama, recensione e spiegazione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MOON FILM 2009 TRAMA SPIEGAZIONE RECENSIO NE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Pene.jpgMoon, un film di Duncan Jones. Con Sam Rockwell, Kevin Spacey, Dominique McElligott, Kaya Scodelario, Matt Berry. Fantascienza, drammatico, durata 97 min. – Gran Bretagna 2009

“Sono qui per proteggerti, Sam. Voglio aiutarti”

Trama generale senza spoiler
La multinazionale Lunar Industries ha trovato il modo di risolvere il problema della mancanza di energia che attanaglia la terra: generarne in maniera pulita e non dannosa sfruttando il materiale di cui sono composte le rocce presenti sul lato oscuro della Luna. A sorvegliare il lavoro dei macchinari è stata posta una base sul satellite naturale della Terra abitata unicamente da un computer tuttofare dalla voce umana e da un uomo, solo, quasi arrivato al termine dei suoi tre lunghissimi anni di contratto e sempre più vittima degli scherzi che stanchezza e solitudine gli procurano, come le allucinazioni visive. Tutto però sembra procedere normalmente, finché non sarà un incidente quasi mortale a dare il via ad una serie di avvenimenti che metteranno il protagonista di fronte a se stesso e le sue paure.

Leggi anche:

Analisi senza spoiler
Duncan Jones, figlio del celebre cantante David Bowie, è al debutto come regista cinematografico dopo il cortometraggio Whistle del 2002. Uno dei pochi “figli di” che sembra veramente avere grandi qualità e potenzialità. Duncan ama i film di fantascienza, specie quelli degli anni ’70 e ’80, e in Moon si nota chiaramente quanto il genere abbia influenzato il suo modo di fare film. Le citazioni sono tante e divertenti da scovare: da Hall di 2001 alle allucinazioni spaziali di Solaris, da Alien (1979) ad Atmosfera zero (1981) solo per citare le più evidenti, fino ad arrivare al mostrare – da vero nerd – la rivista “Take Off”, che anche io collezionavo da bambino. Ma Moon non è solo questo, come i film di fantascienza non sono soltanto una navicella che vola a velocità supersonica. La solitudine del protagonista Sam Bell (un eccezionale Sam Rockwell), il rapporto con se stesso e con Gerty il computer che lo “assiste” (la cui voce in versione originale è di Kevin Spacey) nonché il suo comportamento in tutte le vicende post incidente, sono un pretesto per far riflettere su tematiche fondamentali per l’uomo di oggi come per quello del futuro. La relazione fra l’uomo e la macchina, laddove l’uomo diventa freddo e spietato come fosse senza anima e la macchina diventa un compagno complice dell’umanità è un chiaro monito affinché i più importanti valori etici si accompagnino sempre agli sviluppi tecnologici.
In questo film Sam Rockwell dà un’ottima prova di sé: recita in maniera perfetta, non creando confusione nello spettatore se non quella voluta, ma esprimendo la giusta suspense ed ambiguità nei momenti più adatti. La pellicola nonostante sia incentrata su un solo personaggio non perde di ritmo, sin da subito sono disseminati indizi su come svelare l’arcano finale, che risulta, come è buona tradizione dei film di genere, solo una scusa per poter introdurre altri contenuti.

“GERTY, noi non siamo programmi. Siamo persone, è chiaro?”

La “vecchia scuola”
Qualcuno potrebbe dire che è lento, ma questo non è un film “solo” fantascientifico. Non aspettatevi inseguimenti nell’iperspazio, azione ed esplosioni, non aspettatevi nessuna creatura extraterreste, è un film su un uomo e sull’uomo, come erano una volta i film di fantascienza. E non aspettatevi neanche effetti speciali da super computer grafica: qui ogni cosa – per fortuna, aggiungo io – è “old school”: Jones ha preferito utilizzare modellini piuttosto che affidarsi all’animazione digitale e si è procurato specialisti che avevano già lavorato per “2002: la seconda odissea”, con risultati naturali, semplici ma efficaci e di forte impatto. Il film è stato realizzato con un budget limitato (5 milioni di dollari), cercando di ridurre al minimo i costi di produzione, riducendo al minimo il cast, sostanzialmente composto da un solo attore ed effettuando in studio tutte le riprese. Queste ultime hanno avuto luogo negli Shepperton Studios, nel Regno Unito, per la durata di 33 giorni tra febbraio e marzo del 2008. Per ricreare le atmosfere lunari, Jones si è ispirato alle immagini della missione spaziale giapponese SELENE e al libro fotografico Full Moon di Michael Light, riproducendo immagini dai colori ovattati simili al bianco e nero. Sono stati inoltre assunti una serie di designer, già attivi nel team di Alien, per la progettazione del rover lunare usato nel film. Infine gli effetti visivi sono stati curati dalla londinese Cinesite, specializzata nella creazione di effetti speciali per film indipendenti.

Leggi anche:

Da qui in poi spiegazione ed ENORMI SPOILER, consiglio vivamente di godersi il film prima di leggere questa parte
Sam Bell, dopo l’incidente e gli avvenimenti che ad esso seguono, si rende conto di alcuni incredibili fatti:

  • Sam Bell è un clone.
  • Entrambi i Sam Bell sono cloni.
  • I ricordi della loro vita precedente – come quelli della moglie e della figlia – non appartengono a loro, ma al Sam Bell originale e sono stati solo successivamente innestati nella loro mente.
  • Le comunicazioni in diretta sono impedite volutamente per isolare Sam, grazie a delle antenne limitrofe alla base che emettono un forte disturbo.
  • Tess è ormai morta e la figlia, che Sam credeva bambina piccola, ha ormai 15 anni, da cui si deduce che i cloni fin’ora sono stati almeno 5 dal momento che ogni clone ha massimo 3 anni di esistenza.
  • A casa di Sam Bell, con la figlia, c’è il Sam Bell “originale”, da cui sono stati ottenuto i cloni che sono stati nascosti sulla base lunare.
  • I cloni precedenti venivano inceneriti vivi al termine dei tre anni del contratto con quella che essi credevano sarebbe stata la capsula che li avrebbe ricondotti sulla Terra. Nelle registrazioni, essi manifestavano gli stessi disturbi accusati da Sam.

FINE SPOILER


Diventicatevi il grottesco Matt Damon di “Sopravvissuto – The Martian“, questa è una storia che toccherà corde dell’universo della vostra anima che non pensavate di possedere. In The Martian il solito super eroe americano vi fa fare una spensierata ed allegra gita da liceo su Marte, in Moon un essere umano incredulo e pieno di paure – e quindi reale, simile a quello che saremmo noi nella sua condizione –  vi porterà a provare cosa significa la solitudine, quella vera, persi claustrofobicamente da soli nello spazio, dove tutti attorno a te sembrano volerti solo usare a loro vantaggio e perfino l’affetto della tua famiglia è sintetico. Questa è la fantascienza che adoro, cioè quella possibile, realistica, quella di un mondo dove davvero un robot a breve si porrà un dilemma morale, combattuto tra gli interessi di una spietata multinazionale ed i sentimenti di un essere umano che deve proteggere. La fantascienza introspettiva, che si chiede fino a dove può spingersi il cinismo umano quando si tratta di legare in catene degli schiavi, solo per interessi economici. Tra i film di fantascienza di recente uscita, questo Moon, insieme ad Another Earth di Mike Cahill, è uno dei miei preferiti in assoluto: regia, storia, fotografia, recitazione, musiche, tutto ad altissimi livelli. Per notare i numerosi particolari incomprensibili disseminati all’inizio e finalmente capirli e apprezzarli, è un film da vedere almeno due volte, o anche tre. Io sono già alla quinta!

“Adesso mi devi dire chi è. Voglio sapere chi diavolo è?”

“Sam Bell.
Tu sei Sam Bell”

(in originale “you are Sam Bell” che nella lingua scritta può essere tradotto con “tu sei Sam Bell” ma anche “voi siete Sam Bell”)

Se anche voi adorate questo film, vi consiglio di seguire questi link:

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Seven (1995): trama, recensione e interpretazione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SEVEN 1995 FILM TRAMA RECENSIONE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgSeven. Un film di David Fincher. Con Brad Pitt, Morgan Freeman, Kevin Spacey, Gwyneth Paltrow, John C. McGinley. continua» Poliziesco, durata 128 min. – USA 1995

Seven, talvolta indicato come “Se7en” è un capolavoro nichilista, disturbante e visivamente ardito in cui Fincher applica la sua visione ultra-dark e il look tipico dei videoclip ad un racconto dal taglio elegantemente morboso. Da antologia i titoli di testa ed un finale che colpisce duro e in cui lo sguardo determinato del folle omicida svela il diabolico gioco ad incastro ordito da Fincher e sembra voler recitare all’indirizzo dello spettatore un laconico “Lasciate ogni speranza voi che entrate“.

Gola, avidità, accidia, lussuria, superbia, invidia, ira: quale tra questi può definirsi oggettivamente un peccato? Nessuno. Per questo John Doe è grottesco agli occhi dello spettatore: la sua dimensione di criminale, di pazzo, cancella quella di servo di un Dio paradossalmente intento a punire l’uomo per quelle che sono le sue caratteristiche, quindi immagine e somiglianza divina.

Leggi anche:

Ad auto-assegnarsi il ruolo di giustiziere è, emblema del nome, un americano qualsiasi: gettata la maschera, l’americano qualsiasi rimane un semplice criminale, un mitomane col mito più pericoloso di tutti, quello che non accetta contraddittorio.
Sulle sue tracce una ‘fresca’ coppia di ispettori, complementare al punto tale da riassumere tutti i cliché del genere poliziesco-investigativo: uno anziano e prossimo alla pensione, l’altro giovane, appena trasferito, uno nero uno bianco, uno acculturato e con atteggiamento filosofico-pessimista, l’altro ignorante e impaziente fino all’ira (che poi altro non è se non rabbia e desiderio di vendetta). Dai duetti tra i detective nascono chicche notevoli, “Dante e il suo amico” o “Delitto e castigo: è sugli omicidi?”, abusato invece il “Non l’ho visto”, questa volta in riferimento al Mercante di Venezia.
Il discorso si allarga con l’intrusione nel rapporto tra i due poliziotti della moglie di Mills, un’aggiunta nella trama che sembrerebbe immotivata ma prende consistenza – e come – nel finale.

Leggi anche:

Il film – costato all’epoca 30 milioni di dollari e con un incasso che ha ormai superato i 300 – si poggia, oltre all’ottima interpretazione dei due protagonisti (quella di Morgan Freeman è forse la migliore della sua carriera, Brad Pitt ha continuato, da allora, nella sua evoluzione) su una stupenda fotografia cupa, in linea con un thriller diviso tra interni, spesso senza luce artificiale, ed esterni sotto la pioggia, che trova respiro proprio nella sequenza finale. La mano di Fincher, già regista di “Alien 3”, si vede soprattutto nelle scene in interni, che un buon ritmo e la musica rendono funzionali allo scopo principale, tenere sempre in allerta lo spettatore. E’ molto azzeccata la scelta della musica che da sottofondo della biblioteca (non è casuale l’accoppiata Dante-Vivaldi) diventa colonna sonora delle sequenze successive. Un appunto sulla battuta finale di Somerset, che dichiara di condividere la seconda parte di una frase di Hemingway; quella del detective è una frase ad effetto, ma priva di significato: se il mondo non fosse un bel posto, non varrebbe la pena di lottare per esso.

Leggi anche:

Nel cast figura anche Gwyneth Paltrow nel ruolo di Tracy moglie del detective Mills. In origine il finale scritto dallo sceneggiatore Andrew Kevin Walker e voluto dallo studio vedeva sempre Mills ucciso dal serial-killer, con la moglie Tracy uscirne indenne. Saranno Brad Pitt e Morgan Freeman ad insistere sul finale alternativo minacciando di non partecipare alla promozione del film. Non possiamo che essere d’accordo con loro!

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Fight Club (1999): trama, recensione e interpretazione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma FIGHT CLUB TRAMA RECENSIONE PSICOLOGIA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgFight Club. Un film di David Fincher. Con Brad Pitt, Helena Bonham Carter, Edward Norton, Meat Loaf, Jared Leto. Titolo originale Fight Club. Drammatico, durata 139 min. – USA 1999

Edward Norton impersona l’anonimo protagonista di Fight Club, un impiegato di una grande casa di produzione di autoveicoli che viaggia per gli Stati Uniti a supervisionare le scene degli incidenti stradali che coinvolgono modelli di vetture prodotti dai suoi datori di lavoro, cercando spesso e volentieri di redigere rapporti a favore della sua azienda, anche a discapito della sicurezza delle persone.

La vita monotona del nostro perito procede tra giornate sempre uguali, acquisti compulsivi via telefono, vita sociale ridotta all’osso e notti insonni.
Quando la mancanza di sonno diventa un problema, non trovando un riscontro empatico nei medici ai quali si rivolge, egli si ritrova quasi per caso a frequentare dei gruppi di auto aiuto per malati terminali, desideroso di scoprire cos’è la sofferenza.
Lì, stimolato dall’atmosfera positiva e terapeutica, riesce a sfogare la sua frustrazione, piangendo e iniziando ad affezionarsi alle persone presenti. Quando però scopre che un’altra paziente, una donna di nome Marla (Helena Bonham Carter), cupa e con tendenze suicide, pur non essendo malata frequenta i gruppi per il suo stesso motivo, ecco che ripiomba nello sconforto e nell’insonnia.

Fin qui sembra quasi un film “normale”, ma…

Leggi anche:

A salvarlo da questa situazione sarà Tyler Durden (Brad Pitt), uno stravagante venditore di sapone conosciuto in un viaggio di lavoro che, a seguito di un incendio che ha distrutto la casa del nostro “uomo qualunque”, si offre di ospitarlo nel suo appartamento, un fatiscente palazzo di periferia, ad una sola condizione: che il nuovo amico si batta con lui a pugni.

Leggi anche:

Quello che all’inizio sembrava una follia dovuta a qualche bicchiere di troppo si trasforma ben presto in un rituale, a cui si unisce sempre più gente: i combattimenti tra Tyler e il suo coinquilino attirano una folla di curiosi che ben presto, abbandonate le resistenze, scelgono di cimentarsi tra di loro in combattimento.
Il fenomeno dilaga e i due istituiscono un vero e proprio gruppo clandestino di lotta, chiamato “Fight Club”, improntato sulla segretezza, al quale ben presto Tyler, leader carismatico indiscusso, si dedica con tutto se stesso, fornendo ai combattenti un indottrinamento morale di stampo nichilista.
Il combattimento viene dipinto da Durden come un atto di rivolta verso la società, verso il conformismo, il consumismo e la legge dell’apparire al posto di essere.

La pubblicità ci fa inseguire le macchine e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare caz*** che non ci servono. Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la TV che ci ha convinto che un giorno saremo divenuti miliardari, divi del cinema, rockstar… ma non è così, e lentamente lo stiamo imparando

Da qui in poi… SPOILER!

Molto presto i club di combattimento aumentano, e viene dato all’organizzazione uno stampo ecoterrorista, con attentati presso sedi di multinazionali e personaggi legati al mondo del potere. Il nostro impiegato, dapprima entusiasta di Tyler e di nuovo felice, con il passare del tempo resta sempre più inquieto di fronte alle stranezze dell’amico e al suo mutismo su quanto il Fight Club sta diventando.

Il progetto di Tyler non si ferma: inizia anche una relazione con Marla, salvata da lui durante un tentativo di suicidio, e nel frattempo mette su un esercito clandestino, chiamato “Progetto Mayhem“, svanendo nel nulla.
La ricerca di quest’ultimo che il personaggio interpretato da Edward Norton compie da ovest a est del paese ha un esito sconvolgente: si scopre infatti che Tyler Durden altri non è che lo stesso protagonista, il cui ego si è scisso e ha creato una seconda personalità violenta e rabbiosa, speculare alla sua.

Leggi anche:

Il tentativo del protagonista di fermare l’organizzazione terroristica si rivela un fiasco, poiché il suo doppio ha anticipato tutte le sue potenziali mosse, fino al punto di coinvolgerlo suo malgrado in un grave attentato ai danni di alcuni palazzi sedi di banche e corporazioni.
Lì, in un tragico epilogo di violenza e di confronto tra i due “Tyler”, la parte buona ha il sopravvento, riuscendo a comprendere di poter dominare l’altro e di non aver bisogno di lui per affrontare le difficoltà.

La complessa trama di Fight Club ci mostra senza mezzi termini il disagio dell’uomo moderno, incastrato in un mondo che lo aliena, reprimendo i suoi istinti e quindi impedendo all’aggressività ed in generale alla pulsione di morte (Freud, 1920) di sublimare.
Tale meccanismo di repressione a livello sociologico costringe il protagonista inizialmente a spostare la carica libidica aggressiva sull’acquisto di mobili, vestiti e altri accessori, oltre che sui meccanismi che regolano il sonno.
L’insonnia del protagonista, in questo caso, può essere letta come causata dal perdurare nella sua psiche di una attivazione causata dalla rabbia che rende impossibile il riposo e, dunque, il sognare, che è uno dei principali meccanismi che il nostro inconscio usa per soddisfare le nostre pulsioni che risultano inaccettabili all’Io (Freud, 1899).

L’incontro con i malati di cancro e il contesto terapeutico riescono a sciogliere parzialmente il blocco emotivo che intrappolava il protagonista.
Il contatto col dolore, sia fisico sia psichico presente nelle persone affette da tumore, fa da cassa da risonanza per l’angoscia esistenziale di Tyler “buono” che può, fingendosi uno di loro, soffrire apertamente per le sue ferite narcisistiche.
Tuttavia, questa “terapia fai da te” non può essere sufficiente a risolvere il nodo psicopatologico del protagonista, in quanto essa non è che uno spostamento, ovvero uno “scaricare” la libido non sull’oggetto appropriato, ma su un sostituto che ha qualcosa in comune a livello simbolico con la meta originaria (Freud 1938), meccanismo non molto dissimile da quello presente, in ottica psicoanalitica, nell’eziologia delle fobie.
Il cancro che divora all’interno la vita dei pazienti è visto quindi da Tyler come simbolicamente simile al suo lato oscuro che, pian piano, sta divorando il suo Io.
Quando sopraggiunge però Marla, l’incantesimo si rompe: la fantasia magica di guarigione che aveva tenuto a bada le angosce psicotiche di Tyler va in pezzi, sbattendogli in faccia la dura realtà, ovvero che anche lui è un simulatore.
Questo secondo trauma, risultante dalla perdita del contenimento affettivo, dell’holding dato dal gruppo (Winnicott, 1971), fa in modo che le fragili difese poste a protezione dell’Io del protagonista si sfaldino, risultando in un allagamento di quest’ultimo da parte dell’Inconscio, con tutti i suoi simboli carichi di morte.

L’unica difesa possibile per Tyler è allora la scissione: di fronte alla paura, alla condizione di esistenza negativa (Benedetti 1997) legata alla psicosi dilagante, non vi è altra soluzione che separare con forza la propria identità, preservando (in modo ovviamente non sano) uno pseudo-nucleo “normale” ed espellendo all’esterno le parti minacciose del Sé, impersonate da Tyler Durden “cattivo”, il bizzarro venditore di sapone con idee anarchiche e antisociali.
Tale proiezione all’esterno però non è di alcun aiuto al protagonista, in quanto si tratta di una illusione: egli allucina Tyler Durden, vedendolo come altro da Sé, ma in realtà lo impersona, seppellendo e distruggendo progressivamente proprio la parte sana che tanto cerca di salvare con la proiezione all’esterno delle sue angosce (Klein 1923).

Il profondo senso di disagio e di rabbia che il protagonista prova per ciò che lo circonda è ciò che poi Tyler Durden “cattivo” agirà.
La creazione di questi templi della violenza e infine la fondazione di una organizzazione paramilitare volta a scardinare la base stessa della società occidentale sono probabilmente frutto di una profonda ferita narcisistica che accompagna il nostro “uomo della strada” dalla fanciullezza.
Dai suoi discorsi con il suo alter ego (diventato presto il suo amico e confessore) egli esprime tutto il suo rancore e il suo odio verso il padre, la cui figura distante e anaffettiva ha assunto un ruolo centrale nella vita del figlio fino a quel momento.
Di certo, anche altre esperienze avranno contribuito ad alimentare questa fiamma, ma il rapporto con le figure di autorità resta per Tyler “buono” controverso.

Oltre al padre, con il quale ha al massimo una telefonata all’anno e che è divorziato dalla madre quando lui era piccolo e con altri figli in giro per gli Stati Uniti, vi è un protagonista un altro bersaglio d’odio: il capoufficio.
Pelato, grasso e schematico fino ai limiti dell’ossessività, quest’ultimo viene travolto senza pietà dalle proiezioni mortifere di Tyler, che non esita ad autoinfliggersi pugni e schiaffi nel suo ufficio, implorando poi i vigilantes richiamati dal rumore e dalle urla di salvarlo dalla “violenza” che stava subendo e incolpando il capo delle sue lesioni.
Da qui, il passo verso il piano di distruzione dell’ordine costituito è breve: la societàassume infatti nella psicosi di Tyler il ruolo di “padre sadico”, che non ha riconosciuto gli sforzi eroici del figlio e ha messo dei frustranti limiti al suo Io ipertrofico.

La remissività e la normalità velata di sottomissione del giovane perito automobilistico non devono trarre in inganno sull’impostazione profondamente narcisistica che la sua personalità deve aver avuto.
Come afferma McWilliams (1999) oltre al narcisismo che potremmo definire quasi “maniacale”, con caratteristiche di arroganza, superiorità e boria, si può individuare un narcisismo quasi mascherato, velato da accondiscendenza e modestia, le quali spesso vengono usate per evitare un confronto con gli altri che minerebbe le incrollabili certezze e le convinzioni che il narcisista porta con sé, e che non intende assolutamente mettere in discussione.

Possiamo supporre da quanto propostoci da Fincher che il nostro Tyler “buono” sia in realtà un narcisista di questo tipo, il cui scompenso ha generato una parte violenta e tendente a ridurre la vita ad uno stato inorganico, cosa della quale lo stesso alter ego è convinto, affermando che ogni essere umano non è la somma dei suoi beni materiali, bensì materia organica e, alla morte, concime per la terra.
Molti lo seguono, affascinati dal carisma e dalla voglia di distruzione, legati a lui in una spirale di odio e violenza, inebriati dalla catarsi di aggressività e, come descrive Freud nel suo saggio sull’analisi delle folle (1921), attratti dalla potenza del capo, che crea con il suo ascendente i presupposti per un inconscio gruppale primitivo e gregario.

La frammentazione psicotica di Tyler procede a passo spedito, ma diventa sempre più cupa e minacciosa per il piccolo nucleo sano che ancora resiste agli attacchi dell’Es.
Tutto sembra sull’orlo della definitiva fuga nella psicosi, quando alcuni eventi riportano il protagonista ad una parziale realtà.
La morte di un amico a causa di una sparatoria con la polizia durante un attentato risulta essere il primo dolore “reale” di Tyler, grazie al quale lui inizia a intuire la pericolosità di ciò che sta avvenendo e a non essere più accondiscendente al cento per cento con il suo doppio.
Ciò che però risulta fondamentale per lui è soprattutto la relazione con Marla, la quale pur se con grossi disturbi di personalità (si potrebbe supporre sia una borderline) riesce in qualche modo a far breccia nel mondo caotico di Tyler, che scopre di avere legami emotivi, vissuti sì con rabbia e frustrazione, ma pur sempre reali, non deliranti.
Questo permette al protagonista di iniziare ad essere critico con i piani della sua Ombra, come la definirebbe Jung (1946), iniziando a contestare apertamente le sue scelte, oltre che ad insinuare il sospetto che Tyler Durden non sia una persona reale.

Sarà proprio Marla, con una telefonata ai limiti del paradossale in cui il protagonista le chiede insistentemente di dire il suo nome, a gridargli: “Tyler Durden, schizzato!!! sbloccando con questa sorta di interpretazione selvaggia qualcosa nella psiche del giovane, che riesce a riconoscere il suo doppio non come altro, ma come parte di Sé, sebbene egli abbia ancora potere sul suo corpo e le sue decisioni.

Tuttavia, il processo che porterà alla risoluzione del trauma è innescato: Tyler “buono” acquista progressivamente potere sull’altro, fino al tragico epilogo dove, autominacciandosi con una pistola, riesce a capire che ha dovuto creare un doppio per soddisfare tutti i bisogni che reprimeva, per dar sfogo alla rabbia e per trovare conforto della solitudine nella sua vita mediocre.
Compreso ciò, come atto simbolico Tyler fa fuoco, trapassandosi la guancia con un proiettile, ed uccidendo metaforicamente la sua Ombra.
La catarsi dolorosa che lo ha spinto a tentare il suicidio si rivela curativa, ricucendo la frattura del Sé e reintegrando Tyler in un unico soggetto, con valori e idee che fanno riferimento al suo passato precedente alla scissione, ma che sono arricchite dalla consapevolezza di aver vissuto un periodo difficile causato dalla repressione della sua sofferenza.

Morto psicologicamente il leader, l’esercito clandestino vacilla, diventa incerto e i suoi componenti, di fronte ad un Tyler sano e nuovamente equilibrato, sembrano perdere la loro sicurezza, limitandosi ad assistere quasi increduli alle esplosioni che proprio loro stessi hanno innescato qualche minuto prima e sulle quali si conclude in tono beffardo il film.

Fight Club è stato ed è tuttora la rappresentazione di un disagio esistenziale profondo che caratterizza la società moderna. La scissione del protagonista è, in percentuali ovviamente diverse per ognuno, la “scissione” di ciascuno di noi, condizionato a volte a reprimere i sentimenti e i propri bisogni sull’altare delle convenzioni di una società che fa della competizione esasperata uno dei suoi valori fondanti.
Per difenderci dall’angoscia, ognuno di noi si crea un falso Sé (Winnicott 1971) che più o meno ci condiziona.
L’estremo, rappresentato in questa pellicola, può rappresentare il nostro lato più profondo e primitivo, con il quale è sempre bene essere in dialogo profondo.
Vedere Fight Club è un po’ iniziare a riflettere sul Tyler Durden che è in ognuno di noi.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Matrix (1999): trama, recensione e interpretazione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MATRIX TRAMA INTERPRETAZIONE FILM 1999  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgMatrix. Un film di Lana Wachowski, Andy Wachowski. Con Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss, Hugo Weaving, Gloria Foster. Fantascienza, durata 133 min. – USA 1999

Attenzione SPOILER

Nel XXI secolo l’uomo ha sviluppato una sofisticata intelligenza artificiale, ma le macchine di sua creazione finiscono col sopraffarlo e, in continua ricerca di energia che le alimenti, rendono gli esseri umani schiavi, addormentati in un sonno perenne in cui “sognano” di vivere in una realtà creata dalle macchine apposta per loro (Matrix appunto), mentre queste traggono dai loro corpi il nutrimento elettrico di cui hanno bisogno.
Il film ci porta nella vita di Thomas Anderson (Keanu Reeves), di giorno programmatore per una società di computer e di notte scaltro hacker informatico, che vive inconsapevole la sua realtà virtuale (ai suoi occhi l’unica esistente).Leggi anche:

Morpheus (Laurence Fishburne) leader degli uomini liberati (e cioè coloro che, non schiavi delle macchine, difendono l’ultimo avamposto umano: la città di Zion) vede in lui l’Eletto, il predestinato, colui che salverà l’umanità dalla schiavitù. Così Neo (così sarà chiamato Anderson, anagramma di one e cioè, in inglese, l’unico, l’uno, l’assoluto) dopo essere stato liberato da Matrix ed aver appreso la dura verità, si troverà a svolgere il ruolo di salvatore per un genere umano che rischia di essere totalmente sopraffatto dalle macchine. Il contrasto fra realtà apparente e verità è uno dei problemi più trattati dell’intera filosofia, che in Platone e Cartesio ha solo i suoi esempi più celebri, e costituisce la base tematica dell’intero film. Il mondo in cui le persone vivono è solo una realistica ricostruzione della nostra realtà passata, una trappola virtuale nella quale le macchine tengono schiavi gli esseri umani usati per il loro nutrimento. E’ una caverna platonica da cui l’uomo deve uscire per poter finalmente cogliere la verità che gli è stata da sempre sottratta alla vista.

Leggi anche:

Talvolta i sensi possono ingannare, come quando vediamo spezzata in due una cannuccia posta in un bicchiere d’acqua. In questo caso dubitare avvicina alla verità: essa non è spezzata, l’impressione che ricaviamo dai sensi è semplicemente errata perché superficiale. Perché non dubitare di tutto ciò che ci circonda allora, in quanto colto dai sensi? Anche in sogno ci sembra di vivere esperienze reali e solo quando ci svegliamo ne capiamo l’illusorietàE’ compito di Morpheus (in inglese il Dio del sonno Morfeo, che entra a piacimento nei sogni delle persone e, in questo caso, del loro sogno “virtuale”) far evadere Neo dalla prigione in cui è rinchiuso e insegnargli a vedere le cose chiaramente.
Ma qui sta il grande paradosso: se da un lato la consapevolezza del vero conduce alla lotta e all’infelicità l’inconsapevolezza rende felici e appagati (come nella filosofia leopardiana).

L’ignoranza (come ironicamente proponeva Orwell) può diventare, paradossalmente, il solo modo di evadere dalla realtà (quella vera) e, allo stesso tempo, vivere inconsapevolmente felici. Cypher (il cui nome ricorda proprio l’inglese Lucifer e cioè il diavolo) abbraccia appieno la filosofia del Satana di John Milton in Paradise Lost: è meglio regnare all’inferno che servire in cielo.

Leggi anche:

Un altro tema fondamentale è il conflitto fra uomo e macchine, fra creatura e creatore.
L’ancestrale odio, che sempre accompagna l’amore e la passione dell’uomo verso le macchine, qui arriva alle sue conseguenze estreme, come estrema è la tecnologia cui l’uomo è approdato, un punto di non ritorno nel progresso, dopo il quale i rapporti fra schiavo e padrone s’invertono fino all’inverosimile.
Chiave di tutto il film è la ribellione. Coloro che non sono collegati a Matrix hanno la missione di liberare il resto dell’umanità dalla schiavitù digitale, ma per fare questo non possono intervenire sul libero arbitrio: devono far comprendere agli altri uomini la verità, ma starà solo compito di questi ultimi ribellarsi contro il sistema che li tiene prigionieri sfruttandoli a proprio vantaggio.La realtà di Matrix non è altro che un codice matematico, il che accentua ancor più il suo carattere regolativo e di controllo sulle vite dei suoi prigionieri. L’hacker è il simbolo vivente della ribellione verso il sistema informatico che Matrix utilizza, è ciò in cui Neo è più bravo. Tale ribellione agli schemi prestabiliti di Matrix avviene attraverso la comprensione delle sue regole, che si riveleranno ad una grande mente come puramente convenzionali e per questo infrangibili.

La neuro-simulazione di Matrix, surrogato del mondo vero, realtà fittizia e ingannevole, rappresenta la metafora della contemporanea manipolazione mediatica presente nella società odierna. Manipolazione mediatica che ti rende schiavo proprio come fa Matrix, schiavo di una simulazione, schiavo impotente, passivo, controllabile… Neo, l’eletto, si libera dalla schiavitù della manipolazione per vivere nel mondo vero, un mondo post-apocalisse dove vige una guerra tra uomini e macchine. In questa guerra le macchine tengono gli uomini collegati a Matrix per sfruttare l’energia da essi generata. Nella nostra società gli individui perdono la loro libertà e diventano ingranaggio del sistema-società.

Uscito nel 1999, fin dai primi giorni del suo esordio, il capolavoro dei fratelli Wachowski si è imposto come fenomeno del momento, aggiudicandosi ben quattro premi Oscar e raggiungendo lo status di cult film in breve tempo. Gli spettatori di tutto il mondo rimasero a bocca aperta davanti alle incredibili (e per un certo senso rivoluzionarie) scene d’azione e al fantastico effetto speciale “bullet time”, che rese alcune scene del film vere e proprie pietre miliari dell’animazione cinematografica. E a questo proposito sono più che meritati i quattro premi Oscar: per il miglior montaggio, per i migliori effetti speciali, per quelli sonori e per il miglior montaggio sonoro. Pensato, scritto e diretto dai fratelli Wackhowski, Matrix rimarrà un film unico, grandioso esponente cinematografico del genere cyberpunk capace di fondere azione e filosofia, effetti speciali e scene di rara umanità. Un capolavoro che rimarrà sempre di una straordinaria attualità.

Sei appassionato di cinema e serie TV? Fatti un piccolo regalo! Sceglilo tra queste offerte imperdibili!

Sullo stesso tema:

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube e su Pinterest, grazie!

American Beauty (1999): c’è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla…

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma AMERICAN BEAUTY 1999 TRAMA BELLEZZA Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina 1.jpgUn film di Sam Mendes. Con Kevin Spacey, Annette Bening, Thora Birch, Wes Bentley, Mena Suvari. Titolo originale American Beauty. Commedia, durata 130 min. – USA 1999

Bisogna dare innanzitutto una definizione al concetto di passione, prima di iniziare a parlare del primo film diretto da Sam Mendes. In questa pellicola, la passione occupa un posto molto importante, di rilievo e fondamentale. Non è esercitata da questi e quest’altri, ma da tutti. Non parlo di personaggi specifici del film, ma della popolazione umana intera. Questo film infatti non delinea soltanto l’aspetto sociale di una singola famiglia. Potrebbe essere benissimo una delle tantissime famiglie che compongono questo pianeta. Ma su questo tornerò dopo. La passione non è né quella di Mel Gibson, (in)capace di ritrarre in simboli la figura di Gesù. La passione non è quella di Turturro, quella che si gira come musica allegra per le vie di Napoli. La passione non è quella di Mazzacurati, raccontando una storia surreale ma con slanci da commedia abbastanza divertente. La passione che ci vuole trasmettere Mendes, aldilà dei fattori cinematografici che si possono trovare nella parola “passione” attribuita alla settima arte da noi spettatori, è quella solida di un maturo verso quella fatiscente di una ragazza. Mendes ci mostra l’enorme contrapposizione che c’è tra queste due figure che si toccano si baciano e mancava poco che facessero anche sesso, ma con spirito e destino completamente diversi. Il regista vuole farci entrare nella sua tana oscura, dove il Bianconiglio bacia Alice. Il vecchio con la giovane. Ma è sempre un paese delle meraviglie.

Mi chiamo Lester Burnham. Questo è il mio quartiere, questa è la mia strada, questa è la mia vita. Ho quarantadue anni, fra meno di un anno… sarò morto

Una giornata della nostra vita può essere rappresentata dalla giornata quotidiana del protagonista, interpretato da un Kevin Spacey in gran forma. Anche se la sua famiglia è un totale disastro. Dopo aver visto quest’ultima lo spettatore entra completamente nel corpo di Lester, affogandolo e affogandosi. E’ incredibile quanto il protagonista riesca a sopportare la sua famiglia.
La moglie è una bastarda rompiscatole che non pensa nemmeno più al sesso. La figlia è prossima (sembrerebbe) alla moda degli emo. Manca solo il mega trucco nero e i capelli come gli emo (mi dispiace, non so descriverli nella loro totale schifezza ultraterrena) e diventa a tutti gli effetti un membro del gruppo.

Leggi anche:

Però c’è una voglia di passione dentro Lester incredibile. Una masturbazione mattutina sotto la doccia, unico momento di piacere nella sua vita giornaliera viene totalmente tritata dal sentimento di voglia di fare sesso che si irradia dentro il suo corpo alla vista di un balletto sexy a cui ha partecipato sua figlia e una sua amica. Il sogno prende il sopravvento sul suo spirito che adesso è libero, dato che la moglie è impegnata segretamente con un grande uomo di affari. Ma questa libertà ha un limite. Che peccato vedere lui che non riesce a sedurre la ragazza. Succede l’esatto contrario.
E’ provocante questa ragazza. Magari non così disinibita come quella di Swimming Pool di Ozon, ma comunque estremamente sensuale. Mendes non ha necessità di metterla subito nel primo frangente di film, si limita a mostrarla allo spettatore per qualche volta nella seconda parte, per poi ricongiungere tutti i personaggi nel colpo di scena finale. Il regista si crea una creatura, cavia umana o robotica che è un tuttofare. Non è solo provocante, ma si presta anche a una scena di nudo verso il finale. Mena Suvari, l’attrice che interpreta il personaggio nel film, è estremamente brava. Le sue nuotate su una vasca con dentro petali rossi stanno a simboleggiare la mentalità malata del protagonista. E quei petali rossi sono la perversione sessuale che sprizza da tutti i pori della ragazza.

La macchina da presa di Mendes entra silenziosamente nella strada dove il film si svolge. Quasi una Mulholland Drive. Nel finale se ne va come se non fosse successo niente. Sembra una storia narrata in capitoli di un racconto, come in Romanzo Popolare di Monicelli. Ogni capitolo ha il suo evento scatenante. Una voce off introduce il film, spiegando la storia che compone la vita di tutti i giorni del protagonista. Nessuna voce off chiude il film. Solo silenzio lugubre, un lutto imperdonabile, una perversione assoluta che porta al compiacimento finale della moglie.

È una gran cosa quando realizzi di avere ancora l’abilità di sorprenderti. Ti fa chiedere cos’altro puoi fare che ti sei dimenticato.

C’è un chiaro riferimento a La Finestra Sul Cortile di Hitchcock. Il ragazzo con una videocamera amatoriale che filma quello che sta succedendo nella casa accanto. Questa videocamera sostituisce il famoso binocolo di James Stewart nel film di Sir Alfred. La possibilità di camminare sostituisce la sedia a rotelle. Però il contesto e il succo è sempre lo stesso.
Questo ragazzo spia la figlia di Lester anche mentre lei lo guarda. La sua videocamera la scruta in tutti i particolari, anche quando lei mostra il seno dalla finestra al ragazzo. Il padre è un ex militare ora in pensione, severo per quanto riguarda la droga e il fumo, che poi il figlio darà a Lester in quantità normali.
Non c’è un vero e proprio cattivo come ne La Finestra Sul Cortile. Mendes prova a dare la figura del cattivo al figlio, mentre è impegnato a dare erba a Lester e nel frattempo il padre lo vede, però in atti che sembrerebbero sessuali. La prova a dare a Lester, quando entra in affari con il figlio del militare. La prova a dare alla ragazza di cui si è invaghito il protagonista, quando comincia a litigare con la figlia di quest’ultimo. Mendes compie un vero e proprio atto di conflittualità tra due civiltà completamente diverse sia per usi, sia costumi, sia comportamento in veste di sesso.

Era una di quelle giornate in cui tra un minuto nevica. E c’è elettricità nell’aria. Puoi quasi sentirla… mi segui? E questa busta era lì; danzava, con me. Come una bambina che mi supplicasse di giocare. Per quindici minuti. È stato il giorno in cui ho capito che c’era tutta un’intera vita, dietro a ogni cosa. E un’incredibile forza benevola che voleva sapessi che non c’era motivo di avere paura. Mai. Vederla sul video è povera cosa, lo so; ma mi aiuta a ricordare. Ho bisogno di ricordare. A volte c’è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla… Il mio cuore sta per franare

Gocce di sangue si formano in un groviglio rosso, che cola piano nel muro come la vita quotidiana di Lester fino alla conoscenza improvvisa dell’amica della figlia. Uno sparo sulla testa del protagonista da parte della moglie. Infine, la macchina da presa se ne va dalla strada, in attesa di trovare qualche altra succosa pellicola del regista statunitense. E intanto rimaniamo basiti dal sapere che tutto questo comportamento provocatorio dell’amica della figlia del protagonista, era solo un modo per fare la prima volta quel sacrosanto e maledetto sesso.

Articolo di stanley kubrick su https://www.filmtv.it/film/19440/american-beauty/recensioni/536300

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!