Malattia renale cronica: stadi, terapia, sintomi, diagnosi, dieta

MEDICINA ONLINE RENE POLICISTICO DIAGNOSI BAMBINO GRAVIDANZA RENI ADULTO CISTI GENEDITA FORMA AUTOSOMICA DOMINANTE RECESSIVA CURE NATURALI DIETA INVALIDITA CIVILESi definisce “malattia renale cronica” (MRC) ogni condizione patologica che interessi i reni e che possa provocare perdita progressiva e completa della funzionalità renale. La malattia renale cronica si evidenzia con particolari reperti laboratoristici, strumentali, clinici ed anatomo-patologici, indipendentemente dalla patologia di base. La naturale conseguenza della MRC nei suoi stadi più avanzati (dal terzo in poi) è rappresentata dall’insufficienza renale cronica (IRC), ossia dalla perdita progressiva e irreversibile della funzione renale, curabile con dialisi o trapianto renale.

Cause

La malattia renale cronica, e l’insufficienza renale che ne rappresenta l’evoluzione, sono patologie estremamente frequenti, causate frequentemente da:

  • diabete mellito
  • ipertensione arteriosa cronica
  • pielonefrite
  • malattia policistica renale
  • infezioni;
  • varie nefropatie;
  • glomerulonefriti;
  • rene policistico;
  • ostruzione cronica delle vie escretrici da anomalie congenite o calcoli.

Fisiopatologia

I reni hanno quattro funzioni essenziali, che si possono schematizzare così:

  • Regolazione della quantità di acqua ed elettroliti contenuti nell’organismo (equilibrio idroelettrolitico)
  • Regolazione dell’equilibrio acido-base (concorrono al mantenimento del giusto pH del sangue)
  • Eliminazione di alcune sostanze prodotte dal metabolismo (come urea, creatinina, acido urico) o immesse dall’esterno (farmaci e tossici)
  • Produzione di ormoni. Fra i più importanti ricordiamo la renina, coinvolta nella regolazione della pressione arteriosa, l’eritropoietina, che stimola la produzione dei globuli rossi e le prostaglandine, che concorrono, tra le altre funzioni, alla regolazione del flusso ematico nel rene stesso. A livello renale, inoltre, avviene l’attivazione della vitamina D.

La filtrazione del sangue avviene nei glomeruli renali, piccoli gomitoli di capillari dotati di una parete dalle particolari caratteristiche, che funziona come un filtro molto selettivo per il sangue che li attraversa. Il glomerulo, insieme al tubulo renale, costituisce il nefrone, l’unità funzionale del rene. Nell’organismo umano sono presenti circa 2.000.000 di nefroni, cioè 1.000.000 per ogni rene. Indipendentemente dalla malattia che la provoca, alla base della MRC c’è una progressiva riduzione del numero di nefroni funzionanti. Nelle prime fasi di questo processo i nefroni residui vanno incontro a ipertrofia e tendono a filtrare di più: per questo si osserva un transitorio aumento della velocità di filtrazione glomerulare (iperfiltrazione). Il fattore maggiormente responsabile di questo meccanismo di adattamento è l’angiotensina II, che esercita un’azione di vasocostrizione sull’arteriola efferente del glomerulo; ciò comporta un aumento della pressione idrostatica nel glomerulo, favorendo il processo di filtrazione. Lo svantaggio dell’iperfiltrazione è che essa tende a usurare i nefroni ancora funzionanti, sovraccaricandoli. Un ulteriore meccanismo di compenso che può instaurarsi a questo punto è l’aumento della secrezione tubulare, che rappresenta un estremo tentativo da parte del rene per eliminare sostanze di scarto come la creatinina, un prodotto del metabolismo muscolare. Questa, in condizioni normali, è eliminata quasi completamente per filtrazione glomerulare. Quando però la VFG si riduce sotto i 50 mL/min, la creatinina comincia a essere secreta in quantità significativa dal tubulo. Quando la riduzione di numero dei nefroni supera le capacità di compenso del rene, si manifestano i primi segni laboratoristici dell’insufficienza renale. L’aumento della creatinina sierica oltre i valori “normali” (1,2-1,3 mg/dL) indica che la VFG si è già ridotta del 40-50%. Per questo motivo non è raccomandabile usare il solo dosaggio della creatinina sierica come indice della funzionalità renale. Nelle fasi più avanzate dell’IRC si osserva inoltre un aumento dei livelli plasmatici di urea; essa rappresenta il prodotto terminale del catabolismo delle proteine e, in condizioni fisiologiche, viene filtrata dal glomerulo e in parte riassorbita dalle cellule del tubulo prossimale. Poiché la funzione tubulare (e quindi il processo di riassorbimento) è conservata nelle prime fasi della malattia, l’aumento dei livelli di urea sarà molto tardivo.

Bilancio idrico

Nelle fasi iniziali (stadi 2 e 3 della MRC), l’iperfunzione dei nefroni residui sopra descritta comporta la produzione di urine diluite, con basso peso specifico(minore di 1020). Di questo fenomeno è responsabile anche una ridotta risposta all’ormone antidiuretico (ADH) da parte del tubulo collettore. Molti pazienti, in questa fase, riferiscono poliuria (aumento della quantità di urine prodotte nell’arco della giornata) e nicturia (prevalente produzione di urine, e quindi stimolo alla minzione, durante la notte).
Fra gli stadi 3 e 4, per il graduale esaurimento dei meccanismi di compenso, comincia a manifestarsi una moderata ritenzione idrica, con comparsa di edemideclivi. Tale situazione diventa ancora più evidente nello stadio 5.

Alterazioni elettrolitiche

Il sodio è il principale ione extracellulare e attraversa liberamente la membrana glomerulare. La maggior parte di esso (oltre il 99%), in condizioni normali, è riassorbita dal tubulo. Il riassorbimento del sodio si accompagna al riassorbimento di una quantità isotonica di acqua, quindi una perdita eccessiva di sodio comporta una perdita eccessiva di acqua, e viceversa. Nelle fasi più avanzate dell’IRC, la ridotta escrezione di sodio può provocare, oltre agli effetti sul compartimento extravascolare (edemi), anche effetti sull’apparato cardiovascolare quali ipertensione sodio-dipendente e scompenso cardiaco congestizio. La complicanza più temibile della ritenzione idrosalina in corso di IRC non trattata è l’edema polmonare. Al contrario del sodio, quasi tutto il potassio filtrato viene normalmente riassorbito a livello del tubulo prossimale e dell’ansa di Henle; tuttavia, eventuali eccessi di questo ione (dovuti per esempio a un sovraccarico alimentare) possono essere eliminati per secrezione dal tubulo collettore. Quest’ultimo processo è favorito dall’aldosterone. Quando la filtrazione glomerulare si riduce, il potassio tende ad accumularsi nell’organismo; negli stadi avanzati, quando è compromessa anche la funzione tubulare, si osserva quasi sempre iperpotassiemia. Questa è particolarmente pericolosa in quanto può scatenare aritmie cardiache anche mortali.

Effetti sull’equilibrio acido-base

Il rene riveste un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’equilibrio acido-base. Ogni giorno nell’organismo avviene una produzione endogena di acidi, derivanti soprattutto dal catabolismo delle proteine, per un totale di 50-100 mEq/die. Il rene elimina gli idrogenioni sia secernendoli direttamente a livello del tubulo collettore sotto forma di ioni ammonio (acidità non titolabile), sia riducendo il riassorbimento dei fosfati (acidità titolabile) nel tubulo prossimale; nella stessa sede avviene il riassorbimento del bicarbonato, responsabile del più importante sistema tampone dell’organismo. Tutti questi processi sono compromessi in corso di IRC; il risultato è la condizione patologica detta acidosi metabolica. Essa si definisce come una alterazione dell’equilibrio acido-base caratterizzata da riduzione primitiva della concentrazione plasmatica dei bicarbonati, con conseguente riduzione del pH ematico a livelli inferiori a 7,38. Nelle prime fasi dell’insufficienza renale si assiste a un aumento compensatorio della secrezione dell’ammonio da parte dei nefroni residui funzionanti; tuttavia, quando la VFG scende al di sotto di 50 mL/min, anche l’escrezione dell’ammonio si riduce. Contribuisce allo sviluppo dell’acidosi anche la diminuzione del riassorbimento tubulare di bicarbonati. La concentrazione plasmatica dei bicarbonati tende a ridursi a livelli inferiori a 15 mEq/L, ma solitamente non raggiunge livelli estremamente bassi, poiché questo tipo di acidosi si instaura lentamente, dando il tempo ai meccanismi di compenso di intervenire. L’eccesso di idrogenioni può essere tamponato dalla matrice ossea con mobilizzazione di calcio e fosfati. Questo contribuisce, insieme ad altri fattori, alla graduale insorgenza dell’osteodistrofia uremica. A causa del compenso, l’acidosi metabolica dell’IRC rimane per lungo tempo asintomatica. L’unico modo per diagnosticarla è eseguire una emogasanalisi sul sangue arterioso, che evidenzierà sempre una riduzione dei bicarbonati e, in caso di scompenso, anche una riduzione del pH del sangue. Nei casi più gravi di scompenso possono manifestarsi dispnea (dovuta a un tentativo di compenso del polmone, che cerca di eliminare acidi sotto forma di CO2), debolezza muscolare, neuropatie periferiche, disturbi del ritmo e della contrattilità cardiaca; in casi particolari, in presenza di patologie concomitanti o di trattamento con farmaci come la metformina, si può giungere allo shock e al coma.

Alterazioni del metabolismo calcio-fosforo

Tra le funzioni del rene, come precedentemente accennato, rientra l’attivazione della vitamina D (colecalciferolo) introdotta con la dieta. Questa viene dapprima metabolizzata dal fegato in idrossicolecalciferolo (25-OH-D3), poi a livello renale subisce un’ulteriore idrossilazione che la trasforma nella sua forma attiva (diidrossicolecalciferolo o 1,25-OH-D3). Le funzioni della vitamina D attiva consistono nel favorire l’assorbimento del calcio nell’intestino tenue e la sua deposizione nell’osso. Di conseguenza, una riduzione della vitamina provocherà una tendenza all’ipocalcemia. La vitamina D, inoltre, inibisce l’azione del paratormone (PTH), un ormone prodotto dalle paratiroidi, anch’esso responsabile del mantenimento della calcemia. Il paratormone agisce sul tubulo prossimale favorendo il riassorbimento di calcio e aumentando l’escrezione dei fosfati; agisce inoltre sull’osso promuovendo la mobilizzazione del calcio sotto forma di idrossiapatite e stimola l’attivazione renale della vitamina D. In condizioni normali, vitamina D e paratormone agiscono sinergicamente per mantenere la stabilità del calcio plasmatico. Nell’insufficienza renale cronica, la produzione della vitamina D, e quindi la calcemia, tende a ridursi. Contemporaneamente, la riduzione progressiva della VFG comporta una ridotta escrezione urinaria di fosfato, determinando un aumento dei livelli plasmatici di questa sostanza. La riduzione del calcio plasmatico e l’aumento del fosfato stimolano la produzione di paratormone; questo rappresenta un tentativo di riequilibrare i due ioni regolandone l’escrezione renale. Si instaura così un iperparatiroidismo secondario. Nella MRC moderata l’aumento del PTH riesce ancora a compensare le alterazioni metaboliche; con la riduzione della VFG a meno di 30 mL/min (stadio 4), cominciano a manifestarsi ipocalcemia e iperfosforemia.

Osteodistrofia renale

Si definisce così l’insieme delle alterazioni ossee e del metabolismo minerale associate alla MRC. I due principali fattori responsabili sono l’iperparatiroidismo secondario e le alterazioni del metabolismo della vitamina D, ma vi concorre, come già detto, anche la deplezione di fosfati dall’osso quale compenso dell’acidosi metabolica. Con il progredire della malattia renale, inoltre, l’accumulo delle tossine uremiche e il deficit di vitamina D comportano una resistenza dello scheletro all’azione del paratormone. Queste alterazioni aggravano l’ipocalcemia, concorrono all’iperparatiroidismo e all’insorgenza ed evoluzione delle lesioni dell’osso. Tra le principali manifestazioni cliniche dell’osteodistrofia renale vi sono:

  • Osteite fibrosa: è la più frequente tra le patologie ossee associate alla MRC e la sua patogenesi è strettamente legata all’iperparatiroidismo. È caratterizzata da un eccesso di riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti, che risultano aumentati di numero. Radiologicamente sono visibili erosioni subperiostalidelle falangi prossimali o distali delle dita delle mani. In fase più avanzata le erosioni possono interessare anche il cranio, con alternanza di aree di riassorbimento e altre di addensamento osseo, il che conferisce loro un aspetto radiologico a “sale e pepe”.
  • Osteomalacia: è la conseguenza di una alterata calcificazione dell’osso, che comporta un aumento del tessuto osteoide non mineralizzato alla superficie delle trabecole e una ridotta estensione del fronte di calcificazione. L’insorgenza di questa patologia è favorita dall’accumulo di alluminio, contenuto in alcuni chelanti del fosforo somministrati ai pazienti con IRC. Radiologicamente sono tipiche le zone di Looser (bande radiotrasparenti all’interno della corticale ossea).
  • Malattia adinamica dell’osso: simile all’osteomalacia, a differenza di quest’ultima non è associata all’intossicazione da alluminio, bensì all’uso terapeutico eccessivo di derivati della vitamina D. È caratterizzata da una ridotta formazione di trabecole ossee dovuta a resistenza dell’osso all’azione del PTH in presenza di livelli normali o ridotti (per soppressione farmacologica) di questo ormone.
  • Osteosclerosi: poco frequente, interessa soprattutto i corpi vertebrali, il bacino e il cranio; caratterizzata da un aumento della massa ossea per aumento dello spessore e del numero delle trabecole dell’osso spugnoso. Con le comuni tecniche radiologiche si rilevano aree di aumentata densità ossea.
  • Osteoporosi: legata all’ipocalcemia, è difficilmente distinguibile dalla comune osteoporosi senile. Caratterizzata da riduzione del volume osseo totale.

Calcificazioni metastatiche

Si verificano generalmente nelle fasi avanzate dell’uremia, quando il prodotto calcio x fosforo (per valori espressi in mg/dL) è superiore a 70. Sono formate dalla precipitazione di sali di calcio nei tessuti molli. A volte sono microscopiche e quindi dimostrabili solo all’esame istologico, altre volte evidenziabili radiologicamente, se non addirittura all’esame obiettivo. Le sedi principali delle calcificazioni metastatiche sono le arterie (soprattutto quelle di medio e grosso calibro), i tessuti periarticolari, il cuore, i polmoni e il rene. Mentre le calcificazioni viscerali e dei tessuti molli, composte prevalentemente da apatite, tendono a regredire quando il prodotto calcio x fosforo si normalizza, le calcificazioni vascolari (contenenti magnesio e pirofosfato) sono meno solubili e di più difficile regressione. Fra i sintomi legati alle calcificazioni, quando localizzate alla cute, si annovera il prurito; la localizzazione alla congiuntiva o alla cornea può invece provocare iperemia congiuntivale, bruciore e lacrimazione. A livello delle capsule articolari, le calcificazioni metastatiche possono generare dolori articolari con un quadro di “pseudogotta”. Più serie sono le possibili conseguenze delle calcificazioni vascolari (fenomeni ischemici a carico di diversi organi e apparati) e cardiache (aritmie e insufficienza cardiaca).

Sistema emopoietico

Tra le funzioni del rene vi è la produzione di eritropoietina, un ormone e fattore di crescita che agisce nel midollo osseo stimolando la produzione degli eritrociti. Questa molecola è prodotta dalle cellule peritubulari, come evidenziato ormai da diversi anni in seguito a studi su modelli animali. La produzione dell’eritropietina avviene in risposta all’ipossia, rilevata da un “sensore dell’ossigeno” (probabilmente una proteina dotata di gruppo eme) a livello renale. Una piccola quota di eritropoietina è prodotta anche dal fegato. Negli stadi avanzati dell’IRC si evidenzia una anemia normocitica e normocromica, dovuta in parte alla ridotta produzione di eritropietina e in parte alla diminuita vita media delle emazie in circolo per emolisi cronica, dovuta all’azione tossica dei metaboliti uremici. I livelli di ematocrito, in assenza di trattamento, possono essere inferiori al 20%, con una caratteristica riduzione del numero dei reticolociti (precursori degli eritrociti).Oltre all’anemia, nell’IRC si osserva tipicamente una ridotta capacità chemiotattica e fagocitaria delle cellule immunitarie, in particolare macrofagi e polimorfonucleati; ciò comporta uno stato di immunodepressione con aumentata tendenza alle infezioni. Anche la funzione piastrinica può essere alterata, determinando una tendenza al sanguinamento. Queste alterazioni tendono a regredire con il trattamento dialitico.

Sistema nervoso

Nei pazienti affetti da IRC è possibile l’insorgenza di alterazioni a carico del sistema nervoso, sia centrale sia periferico. Fra le prime, che compaiono quando la VFG scende sotto i 60 mL/min/m², sono frequenti i disturbi cognitivi (relativi a memoria, attenzione e concentrazione) e del sonno; sono inoltre possibili disturbi sensoriali, soprattutto dell’olfatto e del gusto. Più frequenti sono le neuropatie periferiche, in particolare una polinevrite sensitivo-motoria che si manifesta con parestesie, dolori urenti, riduzione o scomparsa dei riflessi tendinei profondi. Frequente è anche la sindrome delle gambe senza riposo, caratterizzata da movimenti continui degli arti inferiori durante il sonno e provocata da una ridotta velocità di conduzione neuromuscolare. Anche il sistema nervoso autonomo può essere compromesso, determinando alterazioni nel controllo della pressione arteriosa e disfunzione erettile. Alla base della neuropatia c’è probabilmente un blocco della trasmissione nervosa mediato dalle cosiddette “tossine uremiche” (urea, creatinina, paratormone, mioinositolo e β2-microglobulina). In particolare si sospetta che siano responsabili della neuropatia alcune molecole di peso molecolare compreso fra 300 e 12,000 Da. Gli studi effettuati hanno dimostrato un rallentamento della conduzione nervosa anche nei segmenti clinicamente non affetti. Sia i segni clinici sia le alterazioni strumentali correlano con la gravità dell’IRC e tendono a regredire dopo il trapianto renale.

Alterazioni metaboliche

Nel paziente con malattia renale cronica si osservano spesso anomalie del metabolismo di glucidi, lipidi e proteine. In particolare, è frequente riscontrare una ridotta tolleranza ai carboidrati con iperinsulinemia e iperglucagonemia; essa può essere la risposta alla resistenza periferica all’insulina, cioè a una ridotta azione di quest’ultima sui tessuti, dovuta probabilmente all’azione delle tossine uremiche. Fra le alterazioni del metabolismo lipidico è comune l’aumento dei trigliceridi e delle VLDL con riduzione delle HDL. A questo quadro contribuiscono una aumentata sintesi delle VLDL a livello epatico, la riduzione del loro catabolismo e la stessa iperinsulinemia. Per tutti questi motivi e per lo stato di infiammazione che si accompagna alla MRC il paziente uremico è particolarmente predisposto all’aterosclerosi e quindi alla patologia ischemica, soprattutto coronarica. Un altro importante aspetto da considerare, fra le alterazioni del metabolismo, è il bilancio azotato negativo (al quale concorre il cattivo utilizzo dei carboidrati), che comporta frequentemente una perdita delle masse muscolari.

Apparato digerente

Nell’insufficienza renale grave si riscontrano spesso sintomi legati all’azione tossica dei metaboliti azotati quali anoressia, nausea e vomito, gastrite cronica (atrofica o ipertrofica) con tendenza all’ulcera peptica. Caratteristica dei pazienti in stadio avanzato è inoltre l’alitosi uremica.

Metodi di valutazione della funzione renale

La funzione renale si misura valutando la velocità di filtrazione glomerulare (VFG) espressa in millilitri al minuto (in inglese GFR, da “Glomerular Filtration Rate”). La VFG si può stimare valutando la clearance della creatinina. La clearance renale di una sostanza è rappresentata dalla quantità di plasma che viene “ripulita” da quella sostanza nell’unità di tempo per opera del rene. La creatinina è eliminata dal rene in massima parte per filtrazione, perciò normalmente la sua clearance ha un valore molto simile a quello della VFG. Per misurare direttamente la clearance della creatinina occorre dosarla nel siero e nelle urine raccolte nelle 24 ore.

Stadiazione della MRC

La definizione di malattia renale cronica attualmente utilizzata in tutto il mondo è quella proposta nel 2002 dalla National Kidney Foundation ed espressa nelle linee guida K/DOQI (Kidney Disease Outcome Quality Initiative). La relativa stadiazione prende in considerazione due fattori: il “danno renale” e la riduzione della funzione renale, intesa come velocità di filtrazione glomerulare (VFG o GFR). Il primo è diagnosticato a partire da reperti di laboratorio (presenza di albumina, proteine o tracce di sangue di origine renale nelle urine), strumentali (alterazioni patologiche individuabili con l’ecografia renale) o istologiche (biopsia renale), persistenti da almeno tre mesi. La presenza di tali segni consente di porre diagnosi di malattia renale cronica anche quando la velocità di filtrazione glomerulare è ancora normale o aumentata (stadio 1) o solo lievemente ridotta (stadio 2).

  • stadio 1: Segni di danno renale con GFR normale o aumentato (GFR > 90 ml/min);
  • stadio 2: Segni di danno renale con lieve riduzione del GFR (GFR tra 60 e 89 ml/min);
  • stadio 3: Riduzione moderata del GFR (GFR tra 59 e 30 ml/min);
  • stadio 4: Grave riduzione del GFR (GFR tra 29 e 15 ml/min);
  • stadio 5: Insufficienza renale terminale o uremia (GFR < 15 ml/min o paziente in terapia sostitutiva).

Tale classificazione è stata modificata nel 2004 dalla KDIGO (Kidney Disease: Improving Global Outcomes), aggiungendo un riferimento all’eventuale terapia sostitutiva in corso con l’aggiunta di una lettera T per trapianto, D per dialisi. La classe 5 è detta anche fase uremica o terminale, perché i reni hanno perso quasi del tutto la loro funzione. Ciò comporta ritenzione di acqua e di altre sostanze che accumulandosi danno luogo alla cosiddetta sindrome uremica. A essa conseguono manifestazioni ematologiche, cardiocircolatorie, nervose, endocrine, ossee, eccetera. In questa fase il paziente dovrà essere assolutamente inviato dal nefrologo che deciderà, sulla base del quadro clinico, la strategia terapeutica migliore, con particolare riguardo alla prepazione alla terapia sostitutiva della funzione renale (dialisi o trapianto renale). Qualora sia necessario misurare separatamente l’escrezione dei due reni (ad esempio negli esiti di patologie che possono colpire un singolo rene, come la pielonefrite cronica), si ricorre alla scintigrafia renale funzionale. Questo esame è basato sull’iniezione di un tracciante radioattivo costituito da DTPA marcato con Tc 99. La radioattività emessa viene misurata tramite appositi rilevatori a livello dei singoli reni, consentendo di calcolarne il contributo in percentuale alla funzione renale. Data la sua insorgenza lenta e graduale e l’instaurarsi di meccanismi di adattamento, l’insufficienza renale cronica (IRC) può non dare alcun sintomo fino agli stadi più avanzati. La diagnosi viene quindi posta in base alle alterazioni degli esami di laboratorio.

Terapia

Il primo passo nel trattamento della IRC è identificare la causa che l’ha determinata e, se possibile, rimuoverla. Infatti esistono numerose patologie la cui causa è identificabile e rimovibile anche con facilità. Basti pensare alle nefropatie ostruttive in cui la semplice, ma tempestiva, identificazione di un calcolo e la sua frantumazione con onde d’urto, consente di evitare il danno renale che, lasciato a sé, diventa irreversibile. In altri casi la rimozione della causa, pur non determinando un miglioramento della insufficienza renale, ne rallenta l’evoluzione. È questo, ad esempio, il caso delle nefropatie da analgesici e da farmaci nefrotossici in generale, ma soprattutto della malattia diabetica in cui la progressione del danno renale è notevolmente accelerata da un cattivo controllo glicemico. Tuttavia l’insufficienza renale cronica è una malattia progressiva e il danno frequentemente procede indipendentemente dalla causa che lo ha determinato. Per tale motivo il medico e il paziente devono agire concordemente per mettere in atto tutte le misure necessarie a rallentarne l’evoluzione e a prevenirne (o curarne) le complicanze. Il trattamento della IRC prevede:

  • misure generali per ridurre il ritmo di progressione della insufficienza renale,come le misure dietetiche;
  • trattamento delle complicanze (sovraccarico idrico, alterazioni ossee, anemia, acidosi metabolica);
  • mantenere una pressione arteriosa normale;
  • preparazione per la terapia sostitutiva (dialisi o trapianto di rene).

Terapia dell’uremia cronica

L’uremia cronica da insufficienza renale cronica, si cura tramite:

  • dieta per diminuire l’apporto proteico (per approfondire, leggi: dieta ipoproteica);
  • farmaci diuretici;
  • farmaci disintossicanti;
  • fleboclisi con soluzione fisiologica glucosata;
  • farmaci per il controllo del funzionamento della tiroide;
  • eventuali psicofarmaci nei casi in cui venga coinvolta la sfera psichica.

Terapia sostitutiva della funzione renale

L’unica cura realmente efficace nelle fasi terminali di una grave patologia renale, è la terapia sostitutiva renale. Le principali metodiche sostitutive della funzione renale sono:

  • emodialisi (anche chiamata “dialisi extracorporea”): il sangue viene estratto dal paziente, filtrato con una membrana semipermeabile e reinfuso (circolazione extracorporea del sangue con apposito macchinario). Il paziente dovrà purtroppo recarsi più volte alla settimana in ospedale (o presso un centro specializzato) per sottoporsi al trattamento;
  • dialisi peritoneale: metodica che prevede l’immissione nella cavità peritoneale di un liquido di scambio e l’uso del peritoneo (sottile membrana che avvolge i visceri addominali) come membrana semipermeabile per eseguire i processi di filtraggio. Questo secondo tipo di trattamento può essere effettuato anche durante la notte, a domicilio, riducendo così notevolmente il disagio per il malato;
  • trapianto renale: il rene sano di un donatore (vivo o deceduto) viene impiantato nel malato: il ricevente dovrà assuma dei medicinali anti-rigetto a lungo termine.

La dialisi è un trattamento d’urgenza che non risolve i problemi alla base dell’uremia, ma permette al paziente di vivere. Il trapianto di rene è ovviamente una cura a lungo termine auspicabile.

Uremia e decesso del paziente

Il paziente uremico si pone questa domanda: si può morire di uremia? Purtroppo la risposta a questa domanda è si, l’uremia è una condizione estremamente grave, che NON SEMPRE MA IN ALCUNI CASI può portare alla morte del paziente per alterazioni ematochimiche, volemiche e funzionali di vari organi, come cuore, polmone e reni.

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