Resident Evil (2002): trama e recensione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma RESIDENT EVILTRAMA RECENSIONE FILM Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgResident Evil, un film di Paul W.S.Anderson. Con Milla Jovovich, Michelle Rodriguez, Eric Mabius, James Purefoy, Martin Crewes. Fantascienza, durata 100 min. – Gran Bretagna, Germania, Francia 2002.

Trama senza spoiler
Qualcosa di tremendo si nasconde all’interno dell’Alveare, vasto e supertecnologico laboratorio sotterraneo gestito dalla multinazionale “Umbrella Corporation”. Qualcuno ha introdotto al suo interno un virus micidiale che ha indotto la Regina Rossa – supercomputer che controlla l’intera struttura – a sigillare l’intera area, intrappolando fatalmente al suo interno tecnici e ricercatori. Una squadra di militari viene inviata sul posto a ricostruire l’accaduto: scoprirà presto cosa sia successo e quale tremenda sorte sia toccata a tutto il personale dell’Alveare.

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Trama e recensione CON SPOILER
XXI secolo, Racoon City è uno dei tanti centri urbani tranquilli d’America, con bella gente e paesaggi carini, la città ideale per impiantare il nucleo di una delle più grandi multinazionali del mondo, l’Umbrella Corporation. Si tratta di una mastodontica potenza commerciale degli Stati Uniti, nove case su dieci utilizzano i suoi prodotti, la sua influenza politica e finanziaria si fa sentire ovunque. Ufficialmente l’Umbrella è il maggior fornitore di tecnologia per computer e di prodotti medici e sanitari, ma – all’insaputa dei suoi stessi impiegati – i suoi profitti più consistenti derivano da tecnologia militare, sperimentazione genetica e armi batteriologiche.
L’Alveare, il loro laboratorio top secret, è situato ad una notevole profondità sotto le strade di Racoon City ed ospita più di 500 dipendenti che studiano, lavorano e vivono sotto terra. Qui è stato dato alla luce il “Virus T”, un potente micro organismo in grado di rigenerare le cellule morte. A protezione di tutto questo c’è “la Regina Rossa”, il top dell’intelligenza artificiale, un computer che controlla tutto e tutti.
Quando una delle provette del virus viene rotta, dando il via alla sua diffusione per tutto l’Alveare, l’intervento della Regina Rossa è immediato: la versione “bambina” di HAL 9000 sigilla tutto il laboratorio e, senza farsi troppi scrupoli, stermina con il gas ed altre trappole qualsiasi essere vivente potenzialmente contaminato dal Virus T (cioè tutti i presenti nell’Alveare), questo perché la sua priorità è di evitare che il virus arrivi in superficie.
L’Umbrella decide di intervenire, mandando sul luogo del disastro un Team di soldati specializzati che però, a loro spese, saranno i primi testimoni dell’efficacia del Virus T: gli ex dipendenti dell’Umbrella, uccisi dal gas della Regina Rossa, resusciteranno diventando dei veri e propri zombie, molto difficili da uccidere. Nel corso del film, dove non mancano colpi di scena, si scoprirà chi e perché ha diffuso il Virus T. Questa è in sostanza la trama del film basato sull’omonimo e famosissimo videogame della Capcom e possiamo proprio considerarlo un tributo a tutti gli appassionati della versione videoludica.

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Differenze con il videogioco
Il film, affidato a Paul W.S. Anderson, già autore di pellicole come “Mortal Kombat” e “Alien vs Predator”, si discosta parecchio dalla storia e dai personaggi del primo capitolo del videogioco, ma riprende alcuni caratteri del secondo capitolo, come il famoso essere senza pelle e i “dolcissimi” dobermann con la carne a brandelli che tanto hanno tormentato i miei incubi da adolescente.
Potremmo quasi considerare questo “Resident Evil” cinematografico come una sorta di prequel della versione ludica. I personaggi, come già accennato, sono tutti diversi rispetto al videogame, introducendo così il fattore imprevedibilità da parte del regista. Buona la scelta della protagonista, la bellissima Milla Jovovich nella parte di Alice, accompagnata da un bravissimo Eric Mabius (Matt). Il film si svolge interamente sotto terra e non ci sono i famosi enigmi da decifrare come nel gioco. Questa mancanza è comunque compensata da dosi massicce di azione: il ritmo è incalzante sin dalla prima scena, aiutato anche da una colonna sonora grandiosa, che vede in prima linea Marilyn Manson.

Il ritorno degli zombie
Il merito del regista sta nel aver dato nuova linfa vitale al tema degli zombie che, abbandonati i buffi e statici movimenti che li hanno caratterizzati dagli anni ’70 a oggi, in “Resident Evil” si muovono come se seguissero una coreografia (da notare lo zombie con il camice e l’ascia in mano) e si rivelano molto reattivi al momento dell’attacco. La pellicola è conosciuta anche con altri titoli: Resident Evil 1, Resident Evil: Ground Zero, e Resident Evil: Genesis. Il film ha cinque seguiti: Resident Evil: Apocalypse, uscito il 10 settembre 2004, Resident Evil: Extinction, uscito il 12 ottobre 2007, Resident Evil: Afterlife, uscito nelle sale italiane il 10 settembre 2010 e Resident Evil: Retribution, uscito il 28 settembre 2012. Il sesto e ultimo capitolo è Resident Evil: The Final Chapter, uscito nel 2017.
I difetti di questa pellicola sono pochi, forse il regista in alcuni momenti avrebbe potuto impegnarsi di più e avere meno fretta nel girare alcune scene, mentre ogni tanto affiora un piccolo errore dovuto alla fase di montaggio.
Si tratta insomma di un action-horror a tutti gli effetti: la tensione c’è, la paura pure. Lo spettatore normale non rimarrà tranquillo, perché almeno una volta sobbalzerà dalla poltrona, lo spettatore che conosce il gioco rimarrà forse deluso da alcuni lati del film, ma non potrà non riallacciarsi al videogame, finendo per credere di avere in mano il Joypad anziché i pop-corn. Il film, pur arricchito da un paio di colpi di scena interessanti, ha un canovaccio collaudato, già visto in molti film del genere, come ad esempio Aliens – Scontro finale del 1986 diretto da James Cameron: una squadra di militari armati fino ai denti, con a seguito una superdonna come protagonista, che giunge in un posto “infetto” per risolvere i problemi (c’è anche la donna “maschiaccio” latina armata fino ai denti in entrambi i film!).
Questo primo capitolo della saga cinematografica di Resident evil ha incassato in tutto il mondo 102,400,000 dollari riscuotendo un grande successo al botteghino. Un film che piacerà ovviamente soprattutto agli appassionati di fantascienza, azione ed horror, con qualche scena splatter memorabile, come quella del laser che fa letteralmente a pezzi parte del gruppo di militari nel corridoio che porta alla stanza del supercomputer.

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Operation Avalanche (2016): trama senza spoiler e recensione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma OPERATION AVALANCHE 2016 TRAMA FILM RECENSIONE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari.jpgUn film di Matt Johnson. Con Matt Johnson, Josh Boles, Ray James, Sharon Belle, Krista Madison, Samantha Michelle, Owen Williams. Thriller, fantascienza, durata 94 min. – USA, Canada 2016.

Trama senza spoiler
Nel 1967, uno dei momenti più caldi della guerra fredda, la corsa globale per far approdare il primo uomo sulla luna è spietata ed i due contendenti sono ovviamente le due potenze principali emerse vincitrici dalla seconda guerra mondiale: gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica.
La CIA sospetta che vi sia un infiltrato russo all’interno della NASA, pronto a sabotare il programma Apollo. Due giovani agenti vengono incaricati di indagare sotto copertura, come registi intenti a documentare la preparazione del viaggio e presto si scoprirà che la NASA non riuscirà affatto a portare l’uomo sulla luna con l’Apollo 11.
In un’indagine che va ben oltre il principale sospettato, gli agenti si ritrovano immersi in una cospirazione governativa che non dovrà in nessun modo essere smascherata, a costo della vita.

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Recensione
Il film diretto da Matt Johnson, che è anche sceneggiatore ed attore insieme a Josh Boles, si lascia guardare per tutta la sua durata e per le tematiche affrontate strizza l’occhio all’ottimo “Capricorn One“, il film diretto da Peter Hyams nel 1978. Girato a partire dal 30 giugno 2014 come se fosse un documentario e con filmati “vintage” da metà anni ’60, in uno stile chiamato mockumentary, il film è affascinante non solo per chi segue le teorie del complotto, ma anche per tutti gli altri. Il confine tra realtà e finzione, nel film e dietro la macchina da presa, è un elemento intrigante. Buona prova di regia e recitazione, premiate al Sundance Film Festival. Non è un capolavoro ma si lascia guardare fino alla fine, magari ai non appassionati del tema trattato può risultare un po’ noioso: vi piacerà soprattutto se siete nerd ed appassionati di astronomia come il sottoscritto.

Se Operation Avalanche vi è piaciuto, vi consiglio di vedere anche Capricorn One.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Andromeda (1971): trama senza spoiler e recensione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ANDROMEDA 1971 FILM TRAMA RECENSIONE SPO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgAndromeda. Un film di Robert Wise. Con David Wayne, Arthur Hill, James Olson, Kate Reid, Paula Kelly. Titolo originale The Andromeda Strain. Fantascienza, durata 130 min. – USA 1971

Trama senza spoiler
Vicino una piccola città del New Mexico, Piedmont, precipita il frammento di un satellite e subito dopo quasi tutti gli abitanti della città muoiono inspiegabilmente ed improvvisamente nello stesso momento. Una squadra tra i migliori scienziati composta da un biologo, un microbiologo, un chirurgo ed un patologo, viene inviata d’urgenza in una complessa struttura governativa segreta per esaminare il frammento di satellite e trovare la causa delle morti improvvise.

Attori principali

Recensione
Tratto dall’omonimo romanzo di Michael Crichton (il primo ad essere pubblicato dall’autore senza il ricorso allo pseudonimo), il film conserva ancora oggi notevole impatto drammatico. Il regista Robert Wise gira con freddo stile semidocumentaristico, abbracciando lo spazio dell’azione con efficaci riprese dall’alto e fissando, con esiti inquietanti, i particolari della devastazione con la tecnica del “fermo-immagine”, in un fluire di immagini quasi completamente senza colonna sonora.
La scelta di un cast antidivistico (tra gli interpreti l’attore più noto, al momento, è David Wayne, impiegato per lo più come “spalla” in commedie brillanti) è funzionale all’impostazione cronachistica della vicenda che non cerca il facile effetto spettacolare, ma invita le coscienze alla riflessione. Andromeda è un sintomo del profondo smarrimento che si diffonde nella società americana alla conclusione del nefasto intervento in Vietnam. Le blindate certezze propagandate nei tempi della guerra fredda cedono ormai ai dubbi e all’insofferenza che investono larghi settori delle generazioni nuove e adulte. Il nemico può annidarsi all’interno della nazione, può essere il prodotto di un regime che maschera la sua indole aggressiva dietro la più bonaria maschera democratica, che manipola l’informazione e persegue programmi di armamento segreti.
È film dove l’uomo nuovo tecnologico, dopo gli entusiasmi per la voglia di conquista dell’infinito sconosciuto degli anni ’60, si interroga sui rischi nell’esplorazione dell’ignoto; aspetti psicologici di insicurezza generano fantasmi di timori profondi  ben strutturati tra rischi di esplosioni nucleari non volute, semplici pezzetti di carta che possono impedire importanti comunicazioni e pericoli di epidemie mondiali, che ancora oggi – dopo cinque decadi – appaiono  verosimili, di attualità ed assolutamente giustificati (basti pensare al Covid 19 ed al rischio di una Terza Guerra Mondiale scatenata dalla Russia).
Come nel libro di Crichton, anche nel film, il batterio letale – un “mostro” che in quanto invisibile e sfuggente è tanto più pericoloso e incontrollabile – simboleggia la criminale follia di una ricerca scientifica asservita a scopi militari e di prevaricazione che, per tragica legge del contrappasso, può condurre sulla strada tortuosa dell’autodistruzione, in un mondo dove l’epilessia deve ancora essere tenuta nascosta con vergogna, per paura di essere ostracizzati dalla società, non solo quella scientifica.
Da questo film è stata tratta una mini serie TV in due episodi di circa un’ora e mezza l’uno, del 2008 con Benjamin Bratt, Christa Miller e Louis Ferreira. Purtroppo, come spesso avviene, il remake a mio avviso non è neanche lontanamente paragonabile all’originale in quanto a fascino.

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Accoglienza
Il film fu molto apprezzato dalla critica e dal pubblico negli anni 70: la pellicola fu candidata all’Oscar per il montaggio e per le scenografie ed entrò in lizza per il premio Hugo come migliore opera di fantascienza.

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ANDROMEDA 1971 FILM TRAMA RECENSIONE SP Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpg

Accuratezza scientifica
Il titolo originale è “The Andromeda Strain”: la parola “strain” viene usata in medicina per indicare “specie, forma”, intesa come forma virale (come quando si dice che quest’inverno ci sarà una nuova forma di influenza). Già dal titolo si può quindi intuire che c’è molto di scientifico “old school” in questo film, cosa che me lo fa piacere quasi a prescindere. Mi piace pensare che un bambino, vedendo questo film negli anni ’70, abbia deciso di studiare le Scienze e che magari ora sia un bravo medico, ingegnere o ricercatore. Molte idee coraggiose e non solo in campo scientifico, vedi l’interessante teoria sociologica “dell’uomo spaiato”.
Ricordo che questo lungometraggio fu girato in tempi prossimi al capolavoro 2001 odissea nello spazio di Stanley Kubrick (uscito nel 1968, tre anni prima di Andromeda); tale “vicinanza” non può che aver giovato alla regia che si adoperò con impegno a  proporre una fantascienza non “gigionesca”, ma riflessiva seppur fredda e quasi distaccata. La ricerca della scenografia credibile non è mai approssimativa ed anzi è seriamente concentrata nel proporre qualcosa di verosimile anche e soprattutto sul piano scientifico, fino a mostrare la sofferenza degli animali-cavie, in maniera realistica e quasi disturbante, qualcosa di profondamente innovativo e “rischioso” per l’epoca, se pensate che stiamo parlando di quasi 50 anni fa.
Sorretto da un largo impegno produttivo, il film vantava, secondo la pubblicità del tempo, il laboratorio scientifico più accuratamente ricostruito mai apparso sullo schermo (per la non trascurabile spesa di circa 300.000 dollari che per gli anni ’70 erano una bella cifra) e, da medico, posso solo che rimanere favorevolmente impressionato dall’accuratezza scientifica quasi documentaristica di questo film, difficile da ritrovare in film anche molto più recenti, con particolari assolutamente da nerd e che hanno quasi previsto il futuro, tra terreni di coltura agar cioccolato, braccia meccaniche da chirurgia robotica in stile Da Vinci e studi medici del futuro dove ci sono monitor, siringhe, lettini… tutto tranne il medico!

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Una delle vittime di Andromeda

Esplosioni? Quasi…
Anche se non mancano laser e conti alla rovescia da fine-del-mondo, dimenticatevi gli alieni, le astronavi, le esplosioni alla “Indipendence day” e state pronti ad indossare un camice: con questo film entrerete in un laboratorio ultrasofisticato che – se pensate all’anno in cui il film è stato realizzato – batte di gran lunga l’alveare del mio amato “Resident evil“. Due ore che passano tenendovi incollati allo schermo, per capire cosa diavolo riduce quel sangue in polvere e perché il pianto di un lattante può essere qualcosa di buono, a volte.
Due ore di domande, immerse nella claustrofobia di pareti colorate con tinte forti alla Kubrik, immerse in una computer grafica che adesso fa sorridere ma all’epoca era strabiliante e condite dalla bravura degli attori, che hanno la stessa faccia dei professori di scienze al liceo, tra i quali per me spiccano il giovane dott. Mark Hall, chirurgo “spaiato” e vagamente marpione, e la dottoressa Ruth Leavitt (una grandissima Kate Reid) con le sue caustiche battute, le sue debolezze, le sue sigarette che non può fumare, il suo sguardo perso nel vuoto quando intuisce la verità.
Se siete appassionati di fantascienza “scientifica ed introspettiva” alla “Moon“, dove al centro della storia rimane sempre l’uomo con le sue paure e non qualche alieno robot che esplode o – peggio – qualche marziano sopravvissuto che non smette di ballare la disco music, non potete perdervi questo cult che qui in Italia è ancora quasi sconosciuto, nonostante sia un lavoro molto interessante e sicuramente attuale quasi a 50 anni di distanza. Imperdibile!

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Moon (2009): trama, recensione e spiegazione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MOON FILM 2009 TRAMA SPIEGAZIONE RECENSIO NE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Pene.jpgMoon, un film di Duncan Jones. Con Sam Rockwell, Kevin Spacey, Dominique McElligott, Kaya Scodelario, Matt Berry. Fantascienza, drammatico, durata 97 min. – Gran Bretagna 2009

“Sono qui per proteggerti, Sam. Voglio aiutarti”

Trama generale senza spoiler
La multinazionale Lunar Industries ha trovato il modo di risolvere il problema della mancanza di energia che attanaglia la terra: generarne in maniera pulita e non dannosa sfruttando il materiale di cui sono composte le rocce presenti sul lato oscuro della Luna. A sorvegliare il lavoro dei macchinari è stata posta una base sul satellite naturale della Terra abitata unicamente da un computer tuttofare dalla voce umana e da un uomo, solo, quasi arrivato al termine dei suoi tre lunghissimi anni di contratto e sempre più vittima degli scherzi che stanchezza e solitudine gli procurano, come le allucinazioni visive. Tutto però sembra procedere normalmente, finché non sarà un incidente quasi mortale a dare il via ad una serie di avvenimenti che metteranno il protagonista di fronte a se stesso e le sue paure.

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Analisi senza spoiler
Duncan Jones, figlio del celebre cantante David Bowie, è al debutto come regista cinematografico dopo il cortometraggio Whistle del 2002. Uno dei pochi “figli di” che sembra veramente avere grandi qualità e potenzialità. Duncan ama i film di fantascienza, specie quelli degli anni ’70 e ’80, e in Moon si nota chiaramente quanto il genere abbia influenzato il suo modo di fare film. Le citazioni sono tante e divertenti da scovare: da Hall di 2001 alle allucinazioni spaziali di Solaris, da Alien (1979) ad Atmosfera zero (1981) solo per citare le più evidenti, fino ad arrivare al mostrare – da vero nerd – la rivista “Take Off”, che anche io collezionavo da bambino. Ma Moon non è solo questo, come i film di fantascienza non sono soltanto una navicella che vola a velocità supersonica. La solitudine del protagonista Sam Bell (un eccezionale Sam Rockwell), il rapporto con se stesso e con Gerty il computer che lo “assiste” (la cui voce in versione originale è di Kevin Spacey) nonché il suo comportamento in tutte le vicende post incidente, sono un pretesto per far riflettere su tematiche fondamentali per l’uomo di oggi come per quello del futuro. La relazione fra l’uomo e la macchina, laddove l’uomo diventa freddo e spietato come fosse senza anima e la macchina diventa un compagno complice dell’umanità è un chiaro monito affinché i più importanti valori etici si accompagnino sempre agli sviluppi tecnologici.
In questo film Sam Rockwell dà un’ottima prova di sé: recita in maniera perfetta, non creando confusione nello spettatore se non quella voluta, ma esprimendo la giusta suspense ed ambiguità nei momenti più adatti. La pellicola nonostante sia incentrata su un solo personaggio non perde di ritmo, sin da subito sono disseminati indizi su come svelare l’arcano finale, che risulta, come è buona tradizione dei film di genere, solo una scusa per poter introdurre altri contenuti.

“GERTY, noi non siamo programmi. Siamo persone, è chiaro?”

La “vecchia scuola”
Qualcuno potrebbe dire che è lento, ma questo non è un film “solo” fantascientifico. Non aspettatevi inseguimenti nell’iperspazio, azione ed esplosioni, non aspettatevi nessuna creatura extraterreste, è un film su un uomo e sull’uomo, come erano una volta i film di fantascienza. E non aspettatevi neanche effetti speciali da super computer grafica: qui ogni cosa – per fortuna, aggiungo io – è “old school”: Jones ha preferito utilizzare modellini piuttosto che affidarsi all’animazione digitale e si è procurato specialisti che avevano già lavorato per “2002: la seconda odissea”, con risultati naturali, semplici ma efficaci e di forte impatto. Il film è stato realizzato con un budget limitato (5 milioni di dollari), cercando di ridurre al minimo i costi di produzione, riducendo al minimo il cast, sostanzialmente composto da un solo attore ed effettuando in studio tutte le riprese. Queste ultime hanno avuto luogo negli Shepperton Studios, nel Regno Unito, per la durata di 33 giorni tra febbraio e marzo del 2008. Per ricreare le atmosfere lunari, Jones si è ispirato alle immagini della missione spaziale giapponese SELENE e al libro fotografico Full Moon di Michael Light, riproducendo immagini dai colori ovattati simili al bianco e nero. Sono stati inoltre assunti una serie di designer, già attivi nel team di Alien, per la progettazione del rover lunare usato nel film. Infine gli effetti visivi sono stati curati dalla londinese Cinesite, specializzata nella creazione di effetti speciali per film indipendenti.

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Da qui in poi spiegazione ed ENORMI SPOILER, consiglio vivamente di godersi il film prima di leggere questa parte
Sam Bell, dopo l’incidente e gli avvenimenti che ad esso seguono, si rende conto di alcuni incredibili fatti:

  • Sam Bell è un clone.
  • Entrambi i Sam Bell sono cloni.
  • I ricordi della loro vita precedente – come quelli della moglie e della figlia – non appartengono a loro, ma al Sam Bell originale e sono stati solo successivamente innestati nella loro mente.
  • Le comunicazioni in diretta sono impedite volutamente per isolare Sam, grazie a delle antenne limitrofe alla base che emettono un forte disturbo.
  • Tess è ormai morta e la figlia, che Sam credeva bambina piccola, ha ormai 15 anni, da cui si deduce che i cloni fin’ora sono stati almeno 5 dal momento che ogni clone ha massimo 3 anni di esistenza.
  • A casa di Sam Bell, con la figlia, c’è il Sam Bell “originale”, da cui sono stati ottenuto i cloni che sono stati nascosti sulla base lunare.
  • I cloni precedenti venivano inceneriti vivi al termine dei tre anni del contratto con quella che essi credevano sarebbe stata la capsula che li avrebbe ricondotti sulla Terra. Nelle registrazioni, essi manifestavano gli stessi disturbi accusati da Sam.

FINE SPOILER


Diventicatevi il grottesco Matt Damon di “Sopravvissuto – The Martian“, questa è una storia che toccherà corde dell’universo della vostra anima che non pensavate di possedere. In The Martian il solito super eroe americano vi fa fare una spensierata ed allegra gita da liceo su Marte, in Moon un essere umano incredulo e pieno di paure – e quindi reale, simile a quello che saremmo noi nella sua condizione –  vi porterà a provare cosa significa la solitudine, quella vera, persi claustrofobicamente da soli nello spazio, dove tutti attorno a te sembrano volerti solo usare a loro vantaggio e perfino l’affetto della tua famiglia è sintetico. Questa è la fantascienza che adoro, cioè quella possibile, realistica, quella di un mondo dove davvero un robot a breve si porrà un dilemma morale, combattuto tra gli interessi di una spietata multinazionale ed i sentimenti di un essere umano che deve proteggere. La fantascienza introspettiva, che si chiede fino a dove può spingersi il cinismo umano quando si tratta di legare in catene degli schiavi, solo per interessi economici. Tra i film di fantascienza di recente uscita, questo Moon, insieme ad Another Earth di Mike Cahill, è uno dei miei preferiti in assoluto: regia, storia, fotografia, recitazione, musiche, tutto ad altissimi livelli. Per notare i numerosi particolari incomprensibili disseminati all’inizio e finalmente capirli e apprezzarli, è un film da vedere almeno due volte, o anche tre. Io sono già alla quinta!

“Adesso mi devi dire chi è. Voglio sapere chi diavolo è?”

“Sam Bell.
Tu sei Sam Bell”

(in originale “you are Sam Bell” che nella lingua scritta può essere tradotto con “tu sei Sam Bell” ma anche “voi siete Sam Bell”)

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Mi manchi così tanto che…

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MI MANCHI COSI TANTO CHE BROKEBACK MOUNTAIN Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Pene.jpgIl fatto è che a volte mi manchi così tanto che ho paura di non farcela…

Dal film “I segreti di Brokeback Mountain” uno splendido film del 2005 diretto da Ang Lee con le grandi prove di Heath Ledger e Jake Gyllenhaal.

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Rendete straordinaria la vostra vita

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma RENDETE STRAORDINARIE LE VOSTRE VITE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgCarpe diem, cogliete l’attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita.

Prof. John Keating (Robin Williams) nel film del 1989 L’attimo fuggente (Dead Poets Society), diretto da Peter Weir.

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Arrival (2016): trama, recensione e spiegazione del film

MEDICINA ONLINE 2016 TRAMA SPIEGAZIONE FINALE FILM RECENSIONE.pngRegia di Denis Villeneuve; con Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Tzi Ma, Mark O’Brien. Titolo originale: Arrival. Genere Fantascienza – USA, 2016, durata 116 minuti. Uscito al cinema giovedì 19 gennaio 2017.

Trama senza spoiler

La pellicola, diretta da Denis Villeneuve, racconta di dodici misteriose navi aliene chiamate “gusci” apparse improvvisamente sul nostro pianeta. Sin dall’inizio non è chiaro né lo scopo di questa apparizione né il perché della scelta dei punti di atterraggio sulla Terra. Per questo motivo la linguista Louise Banks (una Amy Adams in gran forma) ed il fisico teorico Ian Donnely (Jeremy Renner) vengono contattati dal colonnello dell’esercito americano Weber (Forest Whitaker) e posti a capo di un team che ha come obiettivo quello di entrare in contatto con le forme di vita aliena.

Trama senza grossi spoiler ma che racconta qualcosa in più

Sin da subito la comunicazione con gli alieni si rivela possibile ma complessa: le misteriose forme di vita si esprimono infatti tramite dei simboli circolari con componenti tra loro collegati che si rivelano difficilmente interpretabili. Con l’aiuto di Ian, Louise riesce pian piano a decifrare e riprodurre il linguaggio alieno ma la difficoltà di comunicazione dà subito vita a forti incomprensioni. Gli omologhi team dislocati su tutto il pianeta interpretano con grandi differenze le risposte date dagli alieni alla domanda “perché siete qui”, traducendo la risposta con “offrire armi”, elemento che verrà colto dalla Cina come un segnale di pericolo che renderà inevitabile un attacco preventivo. Louise invece sosterrà che proprio la difficoltà di traduzione potrebbe aver creato un difetto di interpretazione laddove “arma” potrebbe in realtà essere tradotto anche come “strumento”. Solo qualcosa di apparentemente inspiegabile potrà impedire una guerra contro gli alieni.

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Recensione

Scritto da Eric Heisserer, Arrival è basato sul racconto “Storia della tua vita“, incluso nell’antologia di racconti “Storia della tua vita”, scritto da Ted Chiang. Lontano dal classico genere action-movie tipico di colossal come “Indipendence Day“, Arrival propone una componente di introspezione psicologica ed una presenza aliena che viene addirittura ribaltata rispetto all’immaginario collettivo dominato dall’unica, possibile dicotomia “amici/nemici”. Gli eptapodi compaiono sul pianeta ma “aspettano” di essere contattati. Le loro navi aprono letteralmente i portelli ogni 18 ore per dare l’opportunità agli umani di comunicare con loro, anche se questo all’inizio si rivelerà estremamente complicato. Il film si concentra dunque sulla necessità di capirsi e di capire. Capire gli alieni, comunicando con loro nella loro difficile lingua ma anche capire e comunicare a livello di specie uomo-alieno, ma soprattutto capirsi tra nazioni, in un mondo di 7 miliardi di persone che parlano (e quindi ragionano, come spiego più avanti) in modo diverso, azioni che – come vedremo poi – sono strettamente correlate. E non è un caso che l’errata traduzione di “arma” porti come immediata conseguenza la rottura del canale di coordinamento tra tutte le nazioni operanti e rischi di scatenare una guerra.

Arrival è un film di fantascienza pieno di scienza, concetti interessanti e cose tutt’altro che scontate. E’ un fatto scientifico appurato che qualsiasi cosa ripetuta a lungo, come una lingua scritta o parlata, plasmi il nostro cervello, cambiando alcuni circuiti neuronali ed influenzando quindi il nostro modo di ragionare (anche se nel film questo processo, che necessita di anni, avviene un po’ troppo rapidamente!). Sta piacendo molto sia ai critici che al pubblico perché è un film diverso da quelli tipici arrivano-gli-alieni, combatti-gli-alieni, sconfiggi-gli-alieni, e perché Amy Adams è molto brava nell’interpretare la linguista protagonista, un personaggio che supera i soliti stereotipi della donna usata solitamente nella fantascienza.

Ho apprezzato la scelta di astronavi con un design “minimal” che non passa mai di moda: ciò evita il solito fastidioso effetto delle astronavi che appaiono “vecchie” quando il film viene visto a distanza di anni. Altra nota di merito è all’uso della splendida On the Nature of Daylight,  composta da Max Richter, usata anche in numerosi altri film, ad esempio nella colonna sonora di Shutter Island di Martin Scorsese: violino, viola e violoncello che sarebbero capaci di emozionare anche un sasso. In definitiva un film fortemente consigliato, specie se amate una fantascienza più intimista e filosofica, con paradossi temporali tali che dovrete vedere il film due volte, per apprezzarlo davvero.

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SPIEGAZIONE DEL FINALE CON SPOILER 

Avete finito di vedere il film e la vostra faccia ha un grosso punto interrogativo al posto degli occhi? Niente paura, non siete i soli. Cerchiamo di capirci qualcosa, partendo da un piccolo accenno di neuro-psicologia.

La chiave di lettura di “Arrival” risiede nell’Ipotesi di Sapir-Whorf, non a caso citata anche nel film stesso, che sostiene – semplificando – che il modo in cui un popolo si esprime determini il suo modo di pensare. In altre parole, studiare un linguaggio porterebbe ad imparare a interpretare il mondo così come fa un determinato popolo. Addirittura imparare una certa lingua, può letteralmente cambiare la struttura del nostro cervello, ed è esattamente quello che accade alla protagonista. I segni circolari degli eptapodi, che non sono lettere né parole ma interi insiemi di significati connessi (un segno equivale ad un intero discorso “umano”) sono anche l’indicazione di come il loro cervello pensa/vede oltre l’orizzonte degli eventi. Scrivono in “due sensi” (i cerchi si compongono istantaneamente in entrambe le due metà) perché gli alieni “pensano e vedono tutto insieme”: passato, presente e futuro, quello che avviene ad esempio nel caso del Dottor Manhattan, celebre supereroe della serie a fumetti Watchmen.

Per approfondire: Ipotesi di Sapir-Whorf e determinismo linguistico: esempi e spiegazione

Quando Louise comprende come scrivere nella lingua degli alieni, comprende anche il loro modo di percepire il tempo e riesce ad osservare la propria vita (presente, passato e futuro) contemporaneamente. In pratica la protagonista impara a prevedere il futuro. Ecco il perché di tutti i flash forward (salti in avanti) che mostrano lei e Ian come una coppia, la nascita della loro figlia e la sua morte. Le scene iniziali, in cui lei si vede con una figlia e che noi pensiamo sia il suo doloroso passato, in realtà è il suo doloroso futuro. Tutti gli apparenti flash back del film, sono in realtà dei flash forward. Sin dall’inizio del film Villeneuve ci racconta la storia spostandosi tra presente e ciò che accadrà, in maniera istantanea, esattamente come Louise riuscirà a percepire la sua vita grazie allo studio della lingua aliena, che ha plasmato il suo cervello.

Ecco perché, proprio nel futuro, il generale dell’esercito cinese – sapendo ormai le doti di Louise, note al mondo in quel dato futuro – le parlerà dandole le istruzioni affinché in passato lui avesse potuto crederle scongiurando la guerra.
Questo è un paradosso temporale noto come “bootstrap paradox” ed è lo stesso di tanti altri film basati su paradossi, come l’affascinante Interstellar di Christopher Nolan. Semplificando: se Louise si ricorda quelle frasi solo perché le ha sentite in un futuro in cui la guerra è stata scongiurata grazie proprio a quelle frasi, come fa ad arrivare in quel dato futuro se prima non le conosceva? Semplicemente Louise trascende il presente per avere accesso alla futura conoscenza di un evento passato, percependo la sua vita come un unico blocco che vede dall’esterno. E’ difficile da capire per un motivo: la nostra mente è abituata ad elaborare un rapporto causa-effetto che nei paradossi viene scavalcato: non siamo abituati a pensare quadrimensionalmente, come direbbe Doc Emmett Brown di Ritorno al futuro. Per approfondire: Bootstrap paradox e paradosso della predestinazione: spiegazione ed esempi nei film

…o forse tutto il paradosso è solo un espediente narrativo che permette di correggere una trama lievemente diversa rispetto a “Storia della tua vita” di Ted Chiang, da cui è tratto Arrival.

Differenze con il libro

Parlavo prima di un espediente narrativo. Il racconto da cui è stato tratto Arrival era concettualmente lievemente diverso: nella storia di Chiang infatti gli alieni e la protagonista non prevedono il futuro, ma lo vedono così come sarà senza possibilità di cambiarlo, nel film invece si dà l’idea che il dono alieno permetta di prevedere il futuro e quindi cambiarlo, variazione apparentemente banale che è perfetta per un film di fantascienza accattivante per tutti (qualcuno direbbe “americanata“), ma che stravolge in parte il racconto originale ed ha fatto infuriare in tutto il mondo i suoi estimatori. Per alcuni nel film è stato banalizzato il tema del libero arbitrio: nel film Lousie lo usa cambiando liberamente il proprio modo di agire in base alla conoscenza del futuro e ciò cambia il proprio futuro, mentre nel racconto lei agisce in base al libero arbitrio, ma allo stesso modo però agisce adeguandosi a ciò che sa di aver compiuto nel proprio futuro, il quale è ineluttabile. È una situazione paradossale, quasi da dibattito ateo-religioso: come fa l’essere umano ad avere il libero arbitrio se il futuro è già scritto e Dio (o chi per lui) già conosce cosa succederà con certezza nel suo domani? Siamo liberi o schiavi piegati ad un destino ineluttabile? In questo, ogni volta che rivedo Arrival, mi viene in mente uno stupendo dialogo del meraviglioso film “Donnie Darko“, tra Donnie (Jake Gyllenhaal) e il suo insegnante Monnitoff (Noah Wyle):

Donnie: Ogni essere vivente si muove su un sentiero già tracciato, ma se uno vedesse il proprio sentiero fino in fondo potrebbe vedere il futuro. E questa non è una specie di viaggio nel tempo? 
Prof. Monnitoff: Beh, c’è una contraddizione nel tuo discorso: se potessimo vedere il nostro destino, avere davanti l’immagine di ciò che sarà, avremmo allora la facoltà di scegliere se tradirlo o no, questo destino. E per il solo fatto che esiste questa possibilità nessun destino si potrebbe considerare “prestabilito”. 
Donnie: Non se si viaggia lungo il sentiero di Dio. 

Il futuro di “Arrival libro” è quello immaginato da Donnie: lo possiamo vedere, ma rimane prestabilito ed immutabile in quanto, nonostante il libero arbitrio, è già incanalato lungo un sentiero già scritto e immutabile, contraddittorio verso ogni tipo di libera scelta, come se tutti i bivi del nostro diagramma di flusso di vita fossero stati già attraversati nel momento stesso in cui veniamo al mondo. Ad ogni bivio possiamo quindi scegliere o non scegliere da che parte andare? Abbiamo già scelto? Qualcuno ha già scelto per noi? Esistono davvero dei bivi, o il percorso è unico? Siamo davvero responsabili delle nostre scelte se non siamo noi a scegliere? Purtroppo questo trip mentale molto interessante, in “Arrival film” si perde completamente perché in quel caso il libero arbitrio non ha limiti nel poter cambiare il futuro e la visione “aliena” di passato-presente-futuro già incanalati, così originale del racconto, viene banalizzata in una mera previsione di un futuro mutabile, molto meno originale e già vista in tante altre opere di fantascienza.

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Nel film previsione di un futuro modificabile, nel libro visione di un futuro assoluto

Altra differenza apparentemente banale ma importantissima è la morte della figlia. Nel racconto di Chiang la figlia della protagonista muore in un incidente di montagna e Louise non può evitarlo. Non potrà pur sapendo cosa sta per accadere, perché ciò che lei conosce è ciò che dovrà accadere e che accadrà/è accaduto. Inevitabile ed inesorabile: anche se già lo sa non può cambiarlo perché se riesce a vederlo, quello è il futuro e le sue azioni la porteranno comunque lì. Non può neanche decidere di non mettere la figlia al mondo: quello è il suo futuro, è un domani già scritto e immutabile e dovrà affrontarlo soffrendo ogni giorno sapendo che sarà quello il loro destino e che sua figlia morirà comunque. Nel film il futuro diventa una previsione, e non una visione. Per questo motivo hanno scelto di far morire la figlia della protagonista di un male incurabile, non di un incidente evitabile, perché altrimenti ci si poteva chiedere: se Louise può prevedere il futuro e cambiarlo, perché lascia morire la figlia in un incidente evitabile? Ecco quindi nel film la scelta di una malattia incurabile ed inevitabile. Purtroppo però così facendo, la simpatia che si prova per la Louise del racconto (una donna costretta a vivere con la tragica consapevolezza costante di mettere al mondo una figlia che morirà in modo immodificabile), si trasforma in potenziale antipatia per una persona egoista che decide di avere una figlia pur sapendo che soffrirà di una malattia incurabile e morirà giovane, solo per poter godere di momenti di gioia che la riscatteranno dalla sua depressione. Tanto che suo marito la lascia per questo, qualcosa sul tipo: “sapevi di mettere al mondo una figlia che morirà, potevi impedirlo e l’hai messa al mondo lo stesso? Sei una egoista”.
Nel film gli alieni, quando scrivono di fatti futuri, prevedono quello che avverrà nel futuro in base alle condizioni di quel dato momento: scrivere dello stesso fatto futuro dopo ad esempio mezz’ora potrebbe prevedere un futuro diverso, dal momento che la stessa osservazione del fenomeno tende a cambiarlo come se la scatola del gatto di Schrödinger fosse improvvisamente aperta. E’ un mondo perfetto per un film di fantascienza che vuole fornire tanti punti esclamativi al grande pubblico.
Nel libro gli alieni, quando scrivono di fatti futuri, invece descrivono quello che avverrà nel futuro: pur osservandolo e ri-descrivendolo dopo mezz’ora, il futuro rimane quello perché immutabile e l’osservazione del fenomeno non cambia la predestinazione. Quello del libro è un mondo originale fatto dalla consapevolezza amara che i nostri destini, apparentemente di persone libere di scegliere, sia legato a catene indissolubili che ci rendono schiavi, concetto che vuole fornire tanti punti interrogativi a chi ha voglia di riflettere sul libero arbitrio.

Pur rimanendo quindi Arrival un gran bel film, soffre di alcuni espedienti narrativi che sono perfetti per attrarre le persone al cinema, ma elimina alcuni particolari che nel libro sono davvero molto originali e lasciano il cervello a lavorare per mesi sul significato delle nostre esistenze.

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Perché gli alieni sono venuti sulla terra?

Gli alieni sono venuti per aiutare l’umanità portando in dono la loro lingua, che è un “arma” o “strumento”, poiché in grado di cambiare la percezione del tempo (se ci pensate vedere in anticipo il futuro è davvero una gran bella arma, da ricevere in regalo!). Fanno questo perché, in cambio del loro dono, tra 3000 anni noi umani dovremo ricambiare il favore, aiutando gli alieni che – per una non specificata ragione – avranno bisogno del nostro sostegno. Ricordate: gli alieni sanno già oggi cosa accadrà nel loro futuro, quindi prevedono che grazie al loro dono gli umani li aiuteranno sicuramente.

Perché Ian lascia Louise?

Lei lo spiega, solo che quando lo spiega ancora noi spettatori non sappiamo che Ian è (sarà, era stato: fate voi) il marito di Louise. Lui la lascia perché scopre che, pur sapendo il futuro (e quindi che loro figlia sarebbe morta) lei ha scelto comunque di farla nascere (senza dire a lui che sarebbe morta).

Adesso che avete capito il finale (spero!), il mio consiglio è di rivedere il film dall’inizio e cogliere tutti quei particolari incomprensibili alla prima visione: resterete sorpresi!

La frase più bella del film, che secondo me ne racchiude il senso:

Se potessi vedere la tua vita dall’inizio alla fine, cambieresti qualcosa?

Curiosità sull’etimologia del nome “canguro”, citata nel film

Il nome dato all’animale canguro, deriverebbe da una incomprensione. La leggenda narra che durante una delle spedizioni di James Cook durante la seconda metà del ‘700, venne avvistato uno strano animale, mai visto prima, che si muoveva salterellando. Quando gli esploratori videro la creatura, incuriositi andarono subito a chiedere agli aborigeni del luogo: “Come si chiama quella strana creatura?” Al che gli aborigeni risposero: “Non capisco“, frase che nella lingua aborigena agli inglesi suonava come “Kan-ga-roo“…e da allora, Kangaroo divenne il nome di questo curioso animale. In realtà questa storia è un falso: la parola “canguro” deriva infatti dalla parola Guugu Yimithirr “gangurru”, che si riferisce ai canguri grigi. La leggenda prima citata è stata sfatata nel 1970 dal linguista John B.Haviland nella sua ricerca riguardo la lingua Guugu Yimithirr.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Seven (1995): trama, recensione e interpretazione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SEVEN 1995 FILM TRAMA RECENSIONE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgSeven. Un film di David Fincher. Con Brad Pitt, Morgan Freeman, Kevin Spacey, Gwyneth Paltrow, John C. McGinley. continua» Poliziesco, durata 128 min. – USA 1995

Seven, talvolta indicato come “Se7en” è un capolavoro nichilista, disturbante e visivamente ardito in cui Fincher applica la sua visione ultra-dark e il look tipico dei videoclip ad un racconto dal taglio elegantemente morboso. Da antologia i titoli di testa ed un finale che colpisce duro e in cui lo sguardo determinato del folle omicida svela il diabolico gioco ad incastro ordito da Fincher e sembra voler recitare all’indirizzo dello spettatore un laconico “Lasciate ogni speranza voi che entrate“.

Gola, avidità, accidia, lussuria, superbia, invidia, ira: quale tra questi può definirsi oggettivamente un peccato? Nessuno. Per questo John Doe è grottesco agli occhi dello spettatore: la sua dimensione di criminale, di pazzo, cancella quella di servo di un Dio paradossalmente intento a punire l’uomo per quelle che sono le sue caratteristiche, quindi immagine e somiglianza divina.

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Ad auto-assegnarsi il ruolo di giustiziere è, emblema del nome, un americano qualsiasi: gettata la maschera, l’americano qualsiasi rimane un semplice criminale, un mitomane col mito più pericoloso di tutti, quello che non accetta contraddittorio.
Sulle sue tracce una ‘fresca’ coppia di ispettori, complementare al punto tale da riassumere tutti i cliché del genere poliziesco-investigativo: uno anziano e prossimo alla pensione, l’altro giovane, appena trasferito, uno nero uno bianco, uno acculturato e con atteggiamento filosofico-pessimista, l’altro ignorante e impaziente fino all’ira (che poi altro non è se non rabbia e desiderio di vendetta). Dai duetti tra i detective nascono chicche notevoli, “Dante e il suo amico” o “Delitto e castigo: è sugli omicidi?”, abusato invece il “Non l’ho visto”, questa volta in riferimento al Mercante di Venezia.
Il discorso si allarga con l’intrusione nel rapporto tra i due poliziotti della moglie di Mills, un’aggiunta nella trama che sembrerebbe immotivata ma prende consistenza – e come – nel finale.

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Il film – costato all’epoca 30 milioni di dollari e con un incasso che ha ormai superato i 300 – si poggia, oltre all’ottima interpretazione dei due protagonisti (quella di Morgan Freeman è forse la migliore della sua carriera, Brad Pitt ha continuato, da allora, nella sua evoluzione) su una stupenda fotografia cupa, in linea con un thriller diviso tra interni, spesso senza luce artificiale, ed esterni sotto la pioggia, che trova respiro proprio nella sequenza finale. La mano di Fincher, già regista di “Alien 3”, si vede soprattutto nelle scene in interni, che un buon ritmo e la musica rendono funzionali allo scopo principale, tenere sempre in allerta lo spettatore. E’ molto azzeccata la scelta della musica che da sottofondo della biblioteca (non è casuale l’accoppiata Dante-Vivaldi) diventa colonna sonora delle sequenze successive. Un appunto sulla battuta finale di Somerset, che dichiara di condividere la seconda parte di una frase di Hemingway; quella del detective è una frase ad effetto, ma priva di significato: se il mondo non fosse un bel posto, non varrebbe la pena di lottare per esso.

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Nel cast figura anche Gwyneth Paltrow nel ruolo di Tracy moglie del detective Mills. In origine il finale scritto dallo sceneggiatore Andrew Kevin Walker e voluto dallo studio vedeva sempre Mills ucciso dal serial-killer, con la moglie Tracy uscirne indenne. Saranno Brad Pitt e Morgan Freeman ad insistere sul finale alternativo minacciando di non partecipare alla promozione del film. Non possiamo che essere d’accordo con loro!

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