Alcuni studiosi sostengono che persone attualmente considerate perfettamente sane verranno in futuro definite mentalmente malate. Il “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (DSM) è infatti uscito nella sua quinta edizione, ma già esplode la polemica circa un eccessivo allargamento dei criteri che classificano la malattia mentale. E se alla fine tutti fossimo definiti un po’ matti cosa accadrebbe?
IL GOTHA DELLA PSICHIATRIA
Essendo il DSM uno degli strumenti diagnostici per disturbi mentali più utilizzati da medici e psichiatri, la preoccupazione è che una classificazione troppo generica del disturbo mentale equivale a etichettare tutti come matti. E tutti è come dire nessuno. Questa in sintesi la critica da parte degli psichiatri britannici Til Wykes e Felicity Collard, dell’Institute of Psychiatry al Kings College London, e di Nick Craddock, dell’Università di Cardiff. Il gotha della psichiatria britannica ha espresso un timore soprattutto circa un’eventuale medicalizzazione eccessiva di molti disturbi lievi e generici che, se classificati come anormali, potrebbero essere trattati farmacologicamente con troppa disinvoltura. Un esempio emblematico è costituito dai disordini infantili bipolari, la cui esplosione a livello diagnostico si è tradotta in un vero e proprio boom di farmaci.
L’IMPORTANZA DEL MANUALE DSM
La prima versione del “Manuale diagnostico e statistico” risale al 1952 e fu redatta dall’American Psychiatric Association. Particolarmente famosa divenne la settima ristampa, nella quale si escludeva definitivamente l’omosessualità nella classificazione psicopatologica. Da sempre viene considerata un riferimento cruciale nella diagnosi della malattia mentale e negli anni ha dettato e influenzato gli orientamenti globali. Attualmente la comunità psichiatrica ha un atteggiamento opposto a quello che vigeva negli anni antecedenti alla riforma Basaglia, al quale si deve il merito di aver intuito tra i primi che la malattia mentale si acquisisce e che non può essere incasellata in schemi troppo rigidi.
IL PARERE DELLO PSICHIATRA
Abbiamo sentito il parere del professor Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Azienda ospedaliera Fatebenefratelli di Milano, chiedendogli in particolare la sua posizione sul dibattito in corso per quanto riguarda i disturbi infantili e gli effettivi pericoli che la bibbia della psichiatria mondiale diventi troppo generica. «Il timore che il DSM V possa portare a un’eccessiva medicalizzazione può anche avere un suo fondamento – osserva Mencacci -, ma non bisogna dimenticare che si tratta del primo tentativo di mettere in relazione i sintomi con il cervello. Il DSM-V è il figlio dello sviluppo delle neuroscienze e del neuro-imaging». «Oggi abbiamo delle nozioni sulla genetica e l’ambiente che non si possono ignorare e che la nosografia psichiatrica non conosceva» fa notare Mencacci, sottolineando che sta emergendo una classificazione psichiatrica più positiva rispetto al passato e una considerazione del disturbo mentale meno statica. «Una nosologia psichiatrica coerente e plausibile, quale quella praticata oggi, dovrà inevitabilmente passare per un collegamento tra i sintomi e il cervello. Il compito è quello di creare una classificazione a partire dai sintomi, dalla loro caratterizzazione disfunzionale in rapporto ai contesti per procedere all’identificazione dei processi neurali, con eventuali supporto di basi genetiche. Il DSM-V cerca di compiere questo passo fondamentale». E rispetto alla critica ricorrente alla neuropsichiatria infantile? «Credo semplicemente che il dibattito ideologico non giovi alla psichiatria. Un esempio emblematico è la cosiddetta ADHD (disturbo da deficit di attenzione e di iperattività): è importante che venga diagnosticata nella giusta età ed è importante sapere che su dieci bambini che soffrono di questa patologia (che è un vero e proprio disturbo psichiatrico da distinguersi da una generica vivacità), otto possono essere curati con un trattamento psicologico, ma due necessitano di un intervento farmacologico. Se l’ADHD non viene riconosciuta, e di conseguenza trattata con le giuste modalità, quel bambino ha una probabilità altissima di diventare un adulto che farà uso di stupefacenti». In questo senso dunque, come fa notare Mencacci, il DSM-V è un grande passo in avanti, alla condizione che «l’intervento medico tenga sempre conto anche delle altre modalità di intervento».
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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