La malattia da reflusso gastro-esofageo (da cui l’acronimo “MRGE“; detta anche “GERD“, acronimo di “Gastro-Esophageal Reflux Disease“) è una sindrome clinica caratterizzata da reflusso patologico di materiale gastrico a contenuto acido nell’esofago, associato a sintomi (tipici o atipici) e/o a possibile infiammazione e danno della mucosa esofagea (esofagite da reflusso ed esofago di Barret), a loro volta fattori di rischio per il cancro dell’esofago.
Terapia a lungo termine
La necessità di trattare a lungo termine la malattia da reflusso gastro-esofageo dipende dall’incidenza di recidiva che si osserva dopo la guarigione della fase acuta. I risultati degli studi clinici controllati documentano che circa l’80-90% dei soggetti con esofagite guarita dopo trattamento a breve termine recidiva entro 6 o 12 mesi se non trattato o sottoposto a trattamento con placebo. Di fatto l’osservazione prolungata per anni dei pazienti dimostra che una percentuale variabile dal 24 al 75% dei pazienti risulta ancora in terapia con farmaci antisecretori dopo 3-10 anni dalla diagnosi di esofagite e che la quota di pazienti guariti dalla malattia senza seguire una terapia di mantenimento non è superiore al 24%. Uno studio condotto in Italia in soggetti di età non anziana (età media 49 anni, range 24-71) ha documentato che, dopo 4 anni dalla diagnosi, il 90% dei pazienti assume ancora farmaci antisecretori:
- inibitori della pompa protonica (PPI, 54%),
- H2-bloccanti (26%),
- procinetici (10%).
Durante i quattro anni di folLow-up, soltanto il 28% dei pazienti non aveva manifestato una recidiva di esofagite; il 28% dei soggetti ne aveva accusata una, il 14% due, il 9% tre e il 21% dei soggetti addirittura più di tre. Il soggetto anziano con malattia da reflusso gastro-esofageo non presenta un comportamento clinico diverso rispetto al soggetto di età giovane o adulta. Infatti una recente indagine condotta su 59% anziani con esofagite (età media 80 anni, range 66-97 anni) seguiti per un periodo di tre anni ha dimostrato che i soggetti non in terapia di mantenimento recidivano nel 55-70% dei casi, mentre nei pazienti trattati in mantenimento con PPI o H2-bloccanti la percentuale di recidiva scende al 13-27%.
Chi trattare?
La seguente tabella riporta i fattori di rischio di recidiva di esofagite:
- Severità dell’esofagite al momento della diagnosi;
- Età avanzata;
- Persistenza dei sintomi dopo la guarigione dell’esofagite;
- Lunga storia di sintomi da reflusso;
- Latenza prolungata tra comparsa di sintomi e terapia;
- Elevato Body Mass Index (BMI);
- Ridotta pressione dello sfintere esofageo inferiore (manometria);
- Modificata curva secretoria acida alla pH-metria delle 24 ore.
Tra questi, due sono particolarmente importanti: il quadro endoscopico severo dell’esofagite al momento della diagnosi iniziale! e l’età avanzata. Altri fattori di rischio sono:
- la persistenza dei sintomi da reflusso dopo la guarigione delL’esofagite,
- una lunga storia di sintomi,
- una prolungata latenza tra comparsa di sintomi e terapia,
- un elevato Body Mass Index (BMI), tipico dei pazienti obesi o in sovrappeso,
- una significativa riduzione della pressione dello sfintere esofageo inferiore (LES),
- una modificata curva secretoria acida alla pH-metria delle 24 ore.
Al riguardo va sottolineato che l’anziano con malattia da reflusso gastro-esofageo presenta una sintomatologia più varia, spesso atipica, rispetto al paziente di età giovane o adulta: questo implica che, non di rado, in età anziana viene misconosciuta la gravità di un’esofagite, la quale nell’anziano può presentarsi già inizialmente in forma molto severa con una emorragia o con esofago di Barrett. La dimostrazione che oltre il 50% degli anziani con esofago di Barrett è asintomatico al momento della diagnosi conferma ulteriormente l’opportunità di valutare sempre con molta attenzione anche l’anziano con sintomatologia modesta o atipica, di sottoporlo senza esitazione ad accertamento endoscopico e di considerare una terapia di mantenimento nell’anziano con esofagite che presenta recidiva, anche modesta, della sintomatologia.
Terapia medica a lungo termine
La terapia a lungo termine dell’esofagite da reflusso prevede sostanzialmente l’impiego di tre categorie di farmaci: PPI, H2-bloccanti e procinetici. Il confronto diretto delle tre classi di farmaci condotto per un anno in uno studio multicentrico italiano ha dimostrato che la percentuale di remissione dell’esofagite a un anno era significativamente superiore nei soggetti trattati con PPI (omeprazolo 20 mg/die, 80 di remissione) rispetto ai procinetici (cisapride 10 mg x 3/die, 54% di remissione, p<0,02) e anti-H2 (ranitidina 150 mg x 3/die, 49% di remissione, p=0,003); inoltre l’associazione omeprazolo + cisapride è risultata significativamente più efficace (89% di remissione) rispetto al trattamento con ranitidina + cisapride (66%, p=0,03). Altri studi hanno confermato una
efficacia del 72-88% da parte dell’omeprazolo 20 mg/die nel prevenire la recidiva dell’esofagite a 12 mesi e comunque sempre significativamente superiore rispetto alla ranitidina e alla cisapride. Efficacia eccellente nel mantenere in remissione a lungo termine l’esofagite da reflusso è stata documentata anche da parte dellansoprazolo 30 mg/die (80-90% di remissione dopo un anno di terapia) e del pantoprazolo 40 mg/die (81-94% di remissione dopo un anno); per il pantoprazolo l’efficacia e la sicurezza di impiego è stata documentata per un periodo di trattamento protratto sino a 5 anni.
Dosaggi inferiori
Dosaggi dei PPI inferiori a quelli standard, come pure un’assunzione non continuativa del farmaco, presentano efficacia inferiore nel prevenire le recidive. Una metanalisi di studi condotti con omeprazolo ha dimostrato che le percentuali di remissione dell’esofagite a 6 mesi sono dell’82% con 20 mg/die, del 72% con 10 mg/die e del 43% con 20 mg di omeprazolo assunto durante il week-end. Il lansoprazolo, al dosaggio dimezzato di 15 mg/die, garantisce una percentuale di remissione a 12 mesi sensibilmente inferiore (69-79%) rispetto al dosaggio standard. Il pantoprazolo al dosaggio di 20 mg/die per un anno risulta efficace nel mantenere in remissione il 71-75% dei pazienti con esofagite. Tali valutazioni confermano che il dosaggio del PPI è fattore prognostico importante di recidiva di esofagite.
Considerazioni
Il trattamento a lungo termine del paziente anziano con malattia da reflusso gastro-esofageo merita alcune considerazioni. È noto che l’anziano con malattie acido-correlate non presenta una secrezione acida gastrica dissimile da quella dei soggetti di età giovane o adulta; inoltre l’anziano risponde in maniera eccellente alla terapia acuta con PPI. Da uno studio di metanalisi è emerso che i soggetti anziani di età uguale o superiore ai 65 anni in trattamento continuativo con PPI presentano percentuali di remissione dell’esofagite significativamente superiori rispetto ai pazienti appartenenti a gruppi di età più giovane. Ciò suggerisce un dato apparentemente paradossale: l’età anziana può essere considerata un fattore prognostico favorevole nell’evitare la recidiva dell’esofagite, almeno nei soggetti in trattamento a lungo termine con PPI.
Questo dato fa prospettare la possibilità clinica di una migliore personalizzazione della terapia a lungo termine nell’anziano. Si può ipotizzare infatti che una quota di soggetti anziani affetti da esofagite possa mantenere la remissione della malattia con un dosaggio di PPI anche inferiore a quello standard, particolarmente nei casi di esofagite endoscopicamente meno severa.
Chirurgia
La tecnica chirurgica anti-reflusso è di molto migliorata negli ultimi anni e teoricamente potrebbe offrire una alternativa a una terapia medica a lungo termine con i farmaci antisecretori. L’introduzione della laparoscopia ha ridotto ulteriormente morbilità e mortalità, che tuttavia rimangono significativamente superiori rispetto alla terapia medica. Le esperienze recenti indicano che la chirurgia anti-reflusso, soprattutto quella laparoscopica, è una tecnica impegnativa e che per ottenere i migliori risultati dovrebbe essere eseguita in unità specializzate. Uno studio, condotto su 35.725 pazienti con esofagite erosiva seguiti per un periodo minimo di 1 anno sino a un massimo di 12 anni (follow-up medio di 4,2 anni), ha documentato che l’intervento chirurgico di fundoplicatio ha migliorato l’evoluzione clinica solamente nei pazienti con esofagite complicata da ulcere o stenosi; nei pazienti senza complicanze, la chirurgia non ha di fatto ridotto la necessità di assistenza sanitaria.
In considerazione del rischio operatorio elevato nell’anziano, questi dati confermano pertanto l’opinione di riservare la chirurgia in età senile solamente:
- ai quei pochi casi veramente gravi e resistenti alla terapia medica,
- alle complicanze severe, quali le stenosi esofagee non trattabili endoscopicamente alle voluminose ernie iatali che inducano problematiche extra digestive (respiratorie, cardiache, disfagia),
- alle alterazioni pre-neoplastiche eventualmente associate all’esofago di Barrett, in particolare nei soggetti con elevati fattori di rischio per tumore esofageo.
Per approfondire: Fundoplicatio secondo Nissen-Rossetti: intervento e rischi
Qualità della vita del paziente anziano con reflusso gastro-esofageo
Un aspetto importante da considerare nel paziente affetto da esofagite da reflusso è la qualità di vita. È stato dimostrato che la qualità di vita si deteriora significativamente nei soggetti trattati con placebo per un periodo di 6 mesi; viceversa il trattamento per 14 settimane con PPI, riducendo la sintomatologia, migliora gli aspetti psico-fisici dei pazienti anche indipendentemente dalla guarigione endoscopica dell’esofagite. Una conferma che la qualità di vita è compromessa principalmente dalla gravità dei sintomi e non dalla severità endoscopica dell’esofagite deriva da un recente studio che ha dimostrato come il trattamento “on demand” con omeprazolo in soggetti con sintomi di malattia da reflusso gastro-esofageo, ma senza esofagite, sia una strategia efficace nel mantenere normale la qualità di vita.
La qualità di vita del soggetto anziano è un parametro molto complesso da valutare, infatti i fattori psicologici, sociali e biologici interagiscono nel soggetto di età geriatrica in maniera molto più articolata rispetto al soggetto di età adulta o giovane.
La metodologia geriatrica della valutazione multidimensionale, esplorando e quantificando i diversi aspetti della persona anziana, permette di dare un quadro più preciso della realtà dell’anziano, tenendo conto dei fattori biologici e sanitari ma anche sociali ed economici che possono talvolta essere determinanti nell’influenzare la sfera psicologica e la qualità di vita.
La valutazione multidimensionale è uno strumento operativo ben validato di approccio all’anziano nella sua globalità, così come è dimostrato che anche un approccio terapeutico globale, che tenga conto della complessa realtà del paziente geriatrico, può significativamente ridurre morbilità, dipendenza e anche mortalità. Per la complessità di approccio clinico che la valutazione multidimensionale richiede nell’anziano, purtroppo, al momento attuale non esistono dati pubblicati riguardanti l’effetto sulla qualità di vita delle malattie delle alte vie digestive ed il loro trattamento in età anziana, tuttavia recentemente una interessante esperienza è stata condotta in un gruppo di 167 anziani ultrasessantacinquenni affetti da esofagite. Il trattamento con pantoprazolo 40 mg/die per 2 mesi ha migliorato significativamente i sintomi di rigurgito acido, disfagia, pirosi, dolore retrosternale e addominale, nausea e vomito; contestualmente anche il tono dell’umore, valutato mediante il test di Zung (Zung Self-Rating Depression Scale, ZSDS) è
significativamente migliorato nei soggetti trattati (ZSDS = 37,2±7,9 versus 34,8±8,3, p = 0,008). Un gruppo di 131 soggetti anziani con esofagite guarita dopo 2 mesi è stato successivamente incluso in una fase di terapia di mantenimento con pantoprazolo 20 mg/die per 6 mesi: il quadro dei sintomi gastroenterologici e lo stato dell’umore (33,2±9,5, p<0,0001) si sono mantenuti significativamente migliori rispetto al momento di immissione nello studio. Questi risultati dimostrano pertanto che la presenza di esofagite nell’anziano si associa a uno score depressivo che la terapia a breve termine con PPI è in grado di migliorare significativamente e che il trattamento prolungato per 6 mesi mantiene migliore. Risulta evidente come un miglioramento della depressione, secondaria a patologia organica, possa estrinsecarsi in un miglioramento della qualità di vita anche in età geriatrica.
Conclusioni
Il confronto dei costi complessivi valutati a cinque anni tra strategia medica (terapia con PPI) e strategia chirurgica (fundoplicatio laparoscopica alla Nissen) ha indicato come più conveniente, per i pazienti con severa esofagite erosiva, la terapia medica. Per quanto riguarda la scelta dei farmaci, due analisi di farmacoeconomia condotte in Europa, una inglese ed una svedese hanno indicato un vantaggio economico per il trattamento a lungo termine con il farmaco più potente ed efficace (PPI) rispetto a quello meno efficace (H2-antagonista) (la cosiddetta strategia “step-down”). All’opposto, uno studio costruito su dati americani ha identificato come più conveniente una strategia operativa completamente differente, iniziando con i farmaci meno efficaci e ai dosaggi più bassi e utilizzando in progressione farmaci sempre più potenti; questa strategia “step-up” sembra garantire un risparmio significativo di spesa farmaceutica. Naturalmente il confronto diretto tra Le due strategie operative non è possibile, in quanto troppo influenzate dalla organizzazione sanitaria locale delle singole realtà nazionali.
Le considerazioni cliniche sopra riportate ci possono guidare nell’approccio gestionale del soggetto anziano con malattia da reflusso gastro-esofageo. Da un punto di vista pratico-clinico, infatti, riteniamo accettabile, dopo La documentata avvenuta guarigione dell’esofagite acuta ottenuta con i farmaci più efficaci (PPI) e a dosaggio standard, un periodo di osservazione clinica con sospensione della terapia antisecretoria per qualche settimana o mese. I dati raccolti su anziani dimostrano che entro qualche mese almeno il 50-60% dei pazienti necessiterà di una terapia a Lungo termine per controllare i sintomi e Le recidive. Poiché nell’anziano L’esofagite si presenta in forma più severa e la sintomatologia clinica non sempre si correla alla gravità della malattia, la scelta dei farmaci da impiegare nel lungo termine nell’anziano andrà rivolta verso i più efficaci, personalizzando dosaggio e modalità di assunzione. Il periodo di trattamento dovrà essere sufficientemente lungo da garantire al paziente una libertà dai sintomi che renda accettabile la qualità della vita. Nei casi di trattamento più prolungato, tuttavia, è da non trascurare un periodico controllo endoscopico per monitorare La comparsa di eventuali complicanze esofagee, come pure l’evoluzione della gastrite cronica spesso associata all’esofagite da reflusso nel soggetto anziano.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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