Infezioni da pneumococco: storia, microbiologia ed epidemiologia

DOTT. EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO MEDICINA ONLINE BATTERIO PNEUMOCOCCO STREPTOCOCCO PNEUMONIAE LABORATORIO RICERCA SCIENZIATO MICROSCOPIO VETRINO BIOLOGIA MICROBIOLOGIA VIRUS LABORATORYLo Streptococcus pneumoniae, anche chiamato pneumococco o pneumococcus, un tempo noto come Bacillo di Fraenkel o Diplococcus pneumoniae o Diplococcus lanceolatus, spesso abbreviato S. pneumoniae, è un batterio gram-positivo appartenente al genere Streptococcus ed è il principale responsabile della polmonite negli adulti. Lo S. pneumoniae, tuttavia, non colpisce solo l’apparato respiratorio, ma può interessare anche altri distretti come il sistema nervoso centrale, il cuore e lo scheletro. Nonostante il fatto che la virulenza di questo batterio sia minima e che sia un batterio patogeno principalmente nei soggetti immunodepressi, in alcuni casi può essere responsabile di pericolose condizioni (sepsi, meningite, endocardite, batteriemia, artrite, osteomielite e peritonite) che – se non curate – possono condurre alla morte del paziente.

STORIA

Streptococcus pneumoniae (pneumococco) fu identificato come una delle principali cause di polmonite già nel 1880. Anche se originariamente chiamato Diplococcus pneumoniae, venne poi rinominato col suo nome attuale a causa della sua crescita in catenelle nei terreni liquidi, così come altri streptococchi. La vaccinazione a tappeto ha ridotto l’incidenza di infezione da pneumococco, ma questo microrganismo rimane una importante causa batterica dell’otite media acuta, della rinosinusite purulenta, della polmonite e della meningite. Lo S. pneumoniae fu utilizzato nel 1928 per i suoi esperimenti di genetica molecolare dal biologo britannico Frederick Griffith. Grazie ai risultati raggiunti da questi esperimenti, la comunità scientifica riconobbe nel 1944 che il DNA è il “fattore modificante” individuato da Griffith stesso nel corso degli esperimenti. Tale risultato, che verrà definitivamente accettato solamente dopo ulteriori verifiche sperimentali quali quelle condotte da Alfred Hershey e Martha Chase nel 1952, fecero sì che l’idea che la trasmissione dei caratteri genetici fosse dovuta alle proteine tramontasse. Gli esperimenti di Griffith riguardavano due varianti di Diplococcus pneumoniae. La prima variante (IIIS o “Smooth”) presenta le due cellule batteriche circondate da una capsula di polisaccaridi (“ceppo capsulato”) ed è patogena per l’uomo. La seconda variante (IIR o “Rough”) non presenta alcuna capsula e non è patogena. Griffith compì i suoi esperimenti su alcune cavie da laboratorio. Iniettando il ceppo patogeno, i topi contraevano il morbo e morivano poco dopo. Il decesso non avveniva, invece, quando nei corpi degli animali veniva iniettato il ceppo non patogeno. Il topo non contraeva il morbo nemmeno quando veniva iniettata la variante patogena precedentemente trattata (e quindi uccisa) ad elevata temperatura. Tuttavia, quando veniva iniettato il ceppo patogeno trattato con calore (per uccidere i batteri) insieme a quello non patogeno, i topi, in alcuni casi, contraevano comunque il morbo. Le ipotesi che si presentarono nella mente di Griffith furono due: la prima, quella di una “resurrezione” del ceppo patogeno, apparve subito altamente improbabile; la seconda, quella che prevedeva la presenza di un “fattore modificante”, fu invece abbracciata. Studi successivi ed anni di ricerche porteranno a stabilire che questo “fattore modificante” altro non è che il DNA.

MICROBIOLOGIA

Gli pneumococchi vengono identificati nel laboratorio di microbiologia come cocchi Gram-positivi catalasi-negativi che crescono in coppie o catenelle e causano α-emolisi su agar sangue. Più del 98% dei ceppi isolati di pneumococco è sensibile all’etilidrocupreina (optochina) e praticamente tutte le colonie pneumococciche vengono dissolte dai sali biliari. All’esame microscopico si presenta costituito da due cocchi che si uniscono ad un’estremità creando una caratteristica forma a “fiamma”. È dotato di polisaccaride C (a cui è reattiva la CRP, C Reactive Protein), ma non di Antigene di Lancefield come invece avviene con altri Streptococchi. È alfa-emolitico in aerobiosi, beta-emolitico in anaerobiosi. È colturalmente molto esigente, come tutti gli streptococchi manca di catalasi, quindi ha bisogno degli enzimi che degradano le specie ossidanti dell’ossigeno contenuti nell’agar sangue. I principali costituenti della parete cellulare pneumococcica sono il peptidoglicano e l’acido teicoico. L’integrità della parete cellulare dipende dalla presenza di numerose catene peptidiche laterali che contraggono legami tra loro grazie all’attività di enzimi come la transpeptidasi e la carbossipeptidasi. Gli antibiotici beta-lattamici inattivano questi enzimi legandosi in maniera covalente alloro sito attivo, La sostanza C (C da cellwall), un polisaccaride costituito da acido teicoico e contenente un residuo di fosforilcolina, è caratteristica esclusiva di S, pneumoniae ed è uniformemente presente in tutti i ceppi. I residui di colina esposti sulla superficie fungono da sito di attacco per potenziali fattori di virulenza, come la proteina A di superficie pneumococcica (pneumococcal surface protein A, PspA) e l’adesina A di superficie pneumococcica (pneumococcal surface adhesin A, PsaA) che possono eludere i meccanismi di fagocitosi. A eccezione dei ceppi che causano congiuntivite, praticamente tutti gli isolati clinici di S, pneumoniae possiedono una capsula polisaccaridica, una struttura che rende il batterio virulento inibendo la fagocitosi. Tutti i ceppi sono in grado di produrre pneumolisina, una tossina che può causare molte delle manifestazioni dell’infezione da pneumococco. Esistono 90 tipi di capsule sierologicamente distinte di S. pneumoniae. La sierotipizzazione resta un fattore clinicamente rilevante dal momento che l’attività dei vaccini disponibili è basata sulla stimolazione anticorpale nei confronti di specifici polisaccaridi di membrana.

EPIDEMIOLOGIA

S. pneumoniae colonizza il nasofaringe ed in ogni singola occasione può essere isolato dal 5-10% degli adulti sani e dal 20-40% dei bambini sani. Una volta che i microrganismi hanno colonizzato un adulto, di solito persistono per 4-6 settimane, ma possono superare anche i 6 mesi. Gli pneumococchi si trasmettono da un individuo all’altro principalmente per via aerea (tramite goccioline) o per trasmissione diretta come risultato di un contatto ravvicinato; la trasmissione può essere aumentata da affollamento o dalla scarsa ventilazione. Le scuole materne sono una delle sedi più importanti per la diffusione dei ceppi penicillino-resistenti, specialmente di quelli appartenenti ai sierotipi 6B, 14, 19F e 23F. Le epidemie tra gli adulti sono associate a condizioni di vita che determinano affollamento, per esempio le camerate militari, le carceri e i rifugi per i senza fissa dimora, ma si verificano anche nei luoghi che ospitano soggetti altamente sensibili, per esempio le strutture assistenziali. I contatti nelle scuole o nei luoghi di lavoro (compresi gli ospedali) non aumentano sensibilmente il rischio di acquisizione della polmonite pneumococcica. I dati di incidenza esposti di seguito sono stati ottenuti prima della somministrazione su larga scala del vaccino pneumococcico coniugato a lattanti e bambini. In assenza della vaccinazione (che ne modifica la storia naturale) la malattia invasiva da pneurnococco è di gran lunga la più frequente tra i bambini con età inferiore ai 2 anni. L’incidenza è inferiore tra i bambini più grandi e gli adulti di età inferiore ai 65 anni, ma torna a incrementarsi negli adulti anziani. Anche il tasso di mortalità più alto è registrato nelle fasce di età estreme. Uno studio di sorveglianza condotto nel South Carolina ha dimostrato che l’incidenza della setticemia pneumococcica nei bambini al di sotto dei 2 anni di età, nei giovani adulti e nelle persone di età superiore ai 70 anni era, rispettivamente, di 160,5 e 70 casi ogni 100.000 (questi risultati precedono l’adozione della vaccinazione nella popolazione infantile). Negli adulti, la maggior parte delle volte, era conseguente alla polmonite: per ogni caso batteriemico vi sono tre o quattro pazienti con una polmonite non batteriemica. Per questo, si stimano annualmente 20 casi di polmonite pneumococcica ogni 100.000 giovani adulti e 280 casi ogni 100.000 persone di età superiore ai 70 anni. La malattia è più frequente tra gli uomini che tra le donne. L’incidenza della setticemia pneumococcica tra gli adulti presenta un caratteristico picco a metà dell’inverno e una rilevante riduzione in estate; nei bambini, invece, è relativamente costante durante tutto l’anno, fatta eccezione per una marcata riduzione a metà estate. Per ragioni poco note, ma probabilmente multifattoriali, i nativi americani, i nativi dell’Alaska e gli afroamericani sono particolarmente suscettibili alla malattia pneumococcica invasiva. Anche i nativi delle regioni dell’anello del Pacifico sono allo stesso modo più suscettibili.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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