Annientamento (2018): spiegazione del finale e significato del film

MEDICINA ONLINE ANNIENTAMENTO 2018 NETFLIX FANTASCIENZA TRAMA TRAILER CINEMA SPOILER SPIEGAZIONE SIGNIFICATO METAFORE SIMBOLI CANCRO MORTE NATURA ANIMALI GEMELLI Annihilationmovie Natalie Portman.jpgAnnientamento (Annihilation), un film di Alex Garland, con Natalie Portman, Jennifer Jason Leigh, Tessa Thompson, Gina Rodriguez, Oscar Isaac. Genere: fantascienza, USA, 2018.

Trama senza spoiler

Un gruppo di soldati viene inviato nella zona disastrata dell’Area X, senza fare ritorno. L’unico sopravvissuto è gravemente malato e non esiste modo di curarlo né di fargli riprendere coscienza. Nel tentativo di salvarlo, Continua a leggere

Madre! (Mother!) 2017: spiegazione del film e del finale

Madre! Mother! film del 2017 scritto, diretto e co-prodotto da Darren Aronofsky, con protagonisti Jennifer Lawrence e Javier Bardem TERRA BIBBIA ALLEGORIA METAFORA SIMBOLO ADAMO EVA DIO EARTH.jpgAvete appena finito di vedere Madre!, l’ultimo film di Darren Aronofsky, e non ci avete letteralmente capito un tubo? Pensavate di vedere Continua a leggere

Picnic a Hanging Rock (1975): spiegazione del finale del film

MEDICINA ONLINE Picnic at Hanging Rock film Peter Weir 1975 Joan Lindsay Il lungo pomeriggio della morte Anne Louise Lambert TEEN FLOWER BEAUTIFUL CINEMA WALLPAPER LOVE NATURA FIOREAvete appena finito di vedere il bellissimo film del 1975 Picnic a Hanging Rock diretto da Peter Weir ed avete la faccia a forma di punto interrogativo? Continuate a leggere e – forse – avrete le risposte che cercate! Sia il film, sia la versione attuale del romanzo scritto da Joan Lindsay da cui è stato preso, si concludono con un (finto) estratto da un giornale di Melbourne del 14 febbraio 1913 in cui si cita la morte dell’arcigna direttrice Mrs. Appleyard. Il finale però lascia molti interrogativi senza risposta, tra cui quello più importante: che fine hanno fatto Miranda e le altre ragazze scomparse? E soprattutto: perché sono scomparse? Il film non lo spiega e questa, almeno per me, è una delle cose più belle di un film che, a 40 anni di distanza, tiene incollati allo schermo fino alla fine per poi lasciarci puntualmente a bocca aperta. Ma quindi esiste o no un finale che spieghi qualcosa? No. Oppure si?

Il capitolo escluso dal romanzo

Secondo quanto racconta John Taylor, agente letterario di Joan Lindsay, in “The Secret of Hanging Rock”, l’editore del romanzo aveva avuto la brillante idea di rimuovere il diciottesimo ed ultimo capitolo, cioè l’ultimo capito, quello in cui la scrittrice spiegava quello che era successo alle ragazze scomparse. Un colpo di genio commerciale, senza il quale forse il romanzo non avrebbe avuto la stessa risonanza. Taylor conobbe la scrittrice nel 1972 durante le trattative per la cessione dei diritti cinematografici. Dopo aver letto il romanzo, Taylor confessò alla Lindsay di aver notato delle incongruenze nel terzo capitolo e “di essere giunto ad alcune conclusioni”. La Lindsay gli rispose che lui era stata l’unica persona ad avvicinarsi alla soluzione e gli consegnò una copia dattiloscritta del diciottesimo capitolo, con l’impegno a non rivelarlo prima della sua morte. Una copia ulteriore venne rinvenuta tra le carte della scrittrice ed è conservata nella sua casa di Mulberry Hill, vicino Melbourne, oggi un museo. C’è un motivo in tutto questo. Il terzo capitolo contiene dei paragrafi presi di peso dal diciottesimo capitolo perduto ed appiccicati lì con poca grazia. Perché sia stato fatto questo, non è dato da saperlo. Forse la Lindsay voleva lasciare una traccia per condurre il lettore verso una possibile soluzione.

Le stranezze del terzo capitolo

In effetti è nel terzo capitolo che è racchiusa la chiave del mistero. Gente più acuta di me si sarà sicuramente accorta che la seconda parte del terzo capitolo ha qualcosa che non va. Se provate a leggere attentamente notate delle curiose ripetizioni. E’ il momento in cui le quattro ragazze sono impegnate nell’ascesa verso la sommità della rocca. Le ragazze sostano per due volte in una spianata e compiono gli stessi gesti: osservano il gruppo dei campeggiatori dall’alto come fossero delle formiche e riposano. In entrambe le situazioni Edith implora una delle amiche di tornare indietro. E’ curioso che una quattordicenne timorosa come Edith, dopo aver chiesto una prima volta ad Irma di andare via, si metta tranquillamente a riposare sopra una roccia, poi si risvegli e solo dopo aver vanamente pregato Miranda di tornare, fugge via sconvolta. Queste incongruenze sono in parte presenti anche nel film.

Il capitolo diciottesimo e la spiegazione del finale

Ricapitoliamo: Joan Lindsay aveva scritto un romanzo composto da diciotto capitoli, con un finale che forniva la spiegazione della scomparsa delle tre ragazze sulla roccia e del ritrovamento di Irma. Per ragioni commerciali l’editore aveva chiesto alla Lindsay di rimuovere l’ultimo capitolo (il diciottesimo) e la Lindsay aveva acconsentito, lasciando al suo agente il compito di pubblicarlo dopo la sua morte. La spiegazione del film si trova quindi – in teoria – nel famoso diciottesimo ed ultimo capitolo del romanzo, che è stato poi riproposto nel libro “The Secret of Hanging Rock“. Quest’ultimo capitolo inizia dal momento in cui Edith fugge in preda ad una crisi isterica dalla roccia tornando verso il campo base. Le tre ragazze, Marion, Miranda ed Irma continuano la salita lungo il monolite fino ad arrivare in un pianoro dove iniziano a sperimentare delle strane sensazioni. Poco dopo sono raggiunte dalla signorina McGraw, loro insegnante di matematica, con la camicia strappata e senza la gonna, che non ricorda più il suo nome e quello delle ragazze. Anche le ragazze non riconoscono la donna. La McGraw agisce come una sorta di guida spirituale nei confronti delle ragazze guidandole verso la rivelazione di un altro tipo di realtà. Il momento chiave avviene quando Marion incita le altre ragazze a gettare i costrittivi corsetti nel precipizio ma gli indumenti, invece di cadere, restano fermi in una sorta di vuoto spazio-temporale. Successivamente la McGraw indica alle ragazze un’apertura tra le rocce, una sorta di varco spazio-temporale, entro le quali entrano prima lei, poi Marion e Miranda, trasformandosi in piccole creature striscianti, forse delle lucertole. Solo Irma resta fuori, forse per aver esitato troppo e la possibilità di passare dall’altra parte le viene negata da una frana che chiude l’apertura. La storia si conclude con Irma che “si gettò sulle rocce e andava rompendo e battendo la faccia granulosa del macigno con le sue mani nude.”

Superare una realtà di costrizioni

Il capitolo diciottesimo fornisce quindi una spiegazione sul mistero, pur aprendo altri interrogativi. Spiega la scomparsa delle ragazze e dell’insegnante (e dei loro corpi), il misterioso ritrovamento di Irma dopo otto giorni in stato di shock ma in buono stato fisico, il mistero delle unghie spezzate e dei piedi puliti della ragazza. Nel commento al capitolo, Yvonne Rousseau afferma che si tratta di una soluzione molto vicina all’esoterismo, il passaggio delle ragazze da una realtà (quella del mondo reale) costrittiva e limitata, ad una superiore e più ampia, in cui è forte la comunione con una natura misteriosa ed avvolgente. È evidente anche il collegamento con il paesaggio australiano, dominato dalla mai spenta tradizione aborigena del “sogno”, ovvero la fusione tra realtà materiale e spirituale, tra mondo dei morti e mondo dei vivi. Joan Lindsay non spiega però apertamente chi o che cosa abbia provocato l’apertura del passaggio, se esso fosse già esistente oppure no. Il fatto che solo tre delle quattro protagoniste abbiano avuto la possibilità di attraversare la soglia sembra dovuto al fatto, dice la Rousseau, che Marion, Miranda e la signorina McGraw erano persone spiritualmente elevate, diversamente dalla frivola e materialista Irma.

La traduzione in italiano del famoso diciottesimo capitolo

Sta accadendo adesso. Come è accaduto fin dal momento in cui Edith Horton è fuggita inciampando e urlando verso il pianoro. E come accadrà fino alla fine del tempo. La scena non cambierà mai, neppure per la caduta di una foglia o il volo di un uccello. Per le quattro persone sulla Roccia la recita avverrà sempre nel dolce tramonto di un presente senza passato. La loro gioia ed agonia saranno nuove senza fine.
Miranda è di poco avanti ad Irma e Marion mentre si spingono attraverso i cornioli, i suoi lisci capelli biondi che danzano liberamente come fiori di grano sulle sue spalle in movimento, come se nuotasse, solcando onda dopo onda di un verde opaco. Un’aquila sospesa allo zenit si accorge di un insolito tramestio di macchie più chiare nella boscaglia in basso, e spicca il volo nell’aria più alta e pura. Infine i cespugli si diradano davanti alla parete di una piccola rupe che trattiene l’ultima luce del sole. E’ così che in un milione di sere d’estate la traccia si forma e si riforma sui picchi e i pinnacoli della Hanging Rock.
L’altopiano sul quale sono emerse ora dalla boscaglia è molto simile a quello inferiore: macigni, pietre nomadi, a volte un albero stentato. Gruppi di felci gommose si agitavano leggermente nella pallida luce. La pianura sotto era infinitamente vaga e distante. Guardando in basso attraverso il circolo delle rocce, esse potevano appena distinguere l’andare e il venire di piccole figure, in mezzo a sbuffi di fumo rosato. Una forma nera che poteva essere un veicolo accanto al riflesso dell’acqua.
“Cosa stanno a fare quelle persone laggiù, zampettando come un mucchio di piccole formiche impegnate?” Giunse Marion e guardò sopra le spalle di Irma. “Un incredibile numero di esseri umani è privo di scopo.” Irma rise. “Ho l’impressione che si considerino molto importanti.”
Le formiche e i loro fuochi vennero scartate senza ulteriori commenti.
E comunque Irma si accorse, per un breve momento, di un suono piuttosto curioso che veniva dal piano, come il rimbombo di tamburi distanti. Miranda era stata la prima a vedere il monolite: una singola formazione di roccia, qualcosa simile a un uovo mostruoso, che cresceva regolarmente dalle pietre davanti, sopra una violenta scarpata sulla pianura. Irma, alcuni metri dietro le altre due, le vide arrestarsi d’improvviso con una lieve oscillazione, mentre la testa chinata e le mani pressate sul petto era come se si difendessero da una raffica di vento.
“Che c’è Marion? Cosa ti turba?”
Gli occhi di Marion erano fissi e brillanti, le sue narici dilatate ed Irma pensò casualmente quanto simile lei fosse a un levriero.
“Irma! Non riesci a sentirlo?”
“Sentire cosa, Marion?” Neppure un rametto si muoveva sugli alberelli seccati.
“Il monolite. Mi trascina come la marea. E’ come se mi trascinasse fuori, se vuoi saperlo.” Dato che Marion Quade scherzava raramente, Irma ebbe timore di sorridere. Specialmente mentre Miranda stava richiamandola alle sue spalle, “da che parte lo senti più forte, Marion?”
“Non riesco a capirlo. Mi sembra che stiamo ruotando sulla superficie di un cono – in ogni direzione allo stesso momento.”
Ancora matematica! Quando Marion Quade era particolarmente comica era il momento in cui qualcosa aveva a che fare con le somme. Irma disse leggermente “Mi sembra più come un circo! Forza, ragazze – non volete restare a guardare quel coso per sempre.”
Non appena il monolite fu superato e fu lontano dalla vista, tutte e tre furono sopraffatte da un’irresistibile letargia. Distese in fila sulla liscia superficie di un piccolo pianoro, caddero in un sonno così profondo che un lucertola corse fuori da sotto una roccia e si fermò senza paura nella cavità formata dal braccio allungato di Marion, mentre numerosi insetti dalla corazza di bronzo visitarono senza fretta il capo dorato di Miranda.
Miranda fu la prima a destarsi, in un tramonto senza colori nel quale ogni dettaglio era intensificato, ogni oggetto chiaramente definito e separato: un nido abbandonato nella biforcazione dei rami di un albero morto da tempo, con ogni pagliuzza ed ogni piuma complicatamente intrecciate e tessute; le pieghe della gonna strappata di mussolina di Marion come una conchiglia; i boccoli neri di Irma lontani dal suo volto in una squisita confusione di crini, le ciglia disegnate con vigorosi movimenti sugli zigomi. Tutto, se puoi osservarlo con sufficiente chiarezza, come adesso, è bello e completo. Tutto ha la sua propria perfezione.
Un serpentello marrone che trascinava il suo corpo squamoso sul selciato creò lo stesso rumore del vento sul terreno. L’aria per ogni dove risuonava della vita microscopica.
Irma e Marion erano ancora addormentate. Miranda poteva udire il battito separato dei loro due cuori, come due tamburelli, ciascuno con un ritmo diverso. E nel sottobosco oltre la fenditura, il crepitio e lo schioccare di rami nel punto in cui una creatura vivente si muoveva invisibile verso di loro in mezzo alla vegetazione. Essa si avvicinava, il calpestio e il crepitio ruppero il silenzio quando i cespugli vennero violentemente aperti e un oggetto pesante venne spinto dalla boscaglia quasi nel grembo di Miranda.
Era una donna con un volto scavato e consunto, tagliato da nere folte sopracciglia – una figura clownesca che indossava una camicetta strappata di calico e lunghi mutandoni di calico ricamati sotto il ginocchio di due gambe come bastoni, che davano deboli calci dentro stivaletti neri con lacci.
“Ce l’ho fatta!” esclamò la bocca spalancata, ed ancora “Ce l’ho fatta!”
La testa in disordine cadde di lato, le palpebre pesanti si chiusero. “Poverina! Sembra malata,” disse Irma. “Da dove arriva?”
“Mettile il braccio sotto la testa” disse Miranda “mentre le slaccio il corsetto.”
Libera dalla corteccia che la costringeva, con la testa che riposava su una sottoveste ripiegata, il respiro della straniera si fece regolare, l’espressione affaticata le abbandonò il volto e, gettandosi sulla roccia, si addormentò.
“Perché non ci togliamo tutte questi vestiti assurdi?” chiese Marion. “In fondo, abbiamo abbastanza costole per tenerci diritte.”
Non appena le quattro paia di corsetti furono gettate sulle rocce restituendo una deliziosa frescura e libertà, il senso dell’ordine di Marion venne offeso. “Tutto nell’universo ha un posto assegnato, a cominciare dalle piante. Sì, Irma, ci credo proprio. Non c’è bisogno che rida. Anche i nostri corsetti su Hanging Rock.”
“Bene, non troverai certo un guardaroba,” disse Irma, “anche se ti metti d’impegno a cercarlo. Dove li possiamo mettere?” Miranda suggerì di gettarli nel precipizio. “Passameli.”
“Da che parte sono caduti?” Marion voleva saperlo. “Ecco giusto accanto a te ma non sono riuscita a capirlo.”
“Non li hai visti cadere perché non sono caduti.” La precisa voce gracidante giunse loro come una tromba dalla bocca della donna-pagliaccio sulla roccia, che si era ora tirata a sedere con un’aria perfettamente in salute.
“Credo che se tu, ragazza, girassi la testa a destra e guardassi all’altezza della vita…” Girarono tutte la testa verso destra e lì, davvero, c’erano i corsetti, fermi nell’aria senza vento come una flotta di piccole navi. Miranda aveva raccolto un ramo secco, abbastanza lungo da raggiungerli, e stava frustando quelle stupide cose che sembravano incollate sullo sfondo dell’aria grigia.
“Fammi provare!” Disse Marion. Whack! Whack! “Devono essere ancorate a qualcosa che non vedo.”
“Se volete la mia opinione,” gracchiò la straniera, “sono ancorate nel tempo. Tu ricciolina – che cosa stai guardando?”
“Non volevo guardarvi. Il fatto è che quando voi avete parlato del tempo, ho avuto la curiosa impressione di avervi incontrata da qualche parte. Molto tempo fa.”
“Tutto è possibile, finché non ne sia provata l’impossibilità. E talvolta anche in tal caso.” La stridula voce aveva un tono convincente di autorità.
“E adesso, dato che ci troviamo insieme sul piano di un’esperienza comune – non ho idea del perché – posso conoscere i vostri nomi? Apparentemente ho lasciato il mio contrassegno individuale da qualche parte lì sopra.” Indicò in direzione del muro anonimo di sterpi. “Non importa. Percepisco di essermi liberata di un buon numero di vestiti. Ad ogni modo, eccomi qui. La pressione sul mio corpo fisico deve essere stata molto severa.” Mosse una mano su- gli occhi e Marion chiese con una strana umiltà, “voi suggerite che dovremmo andare avanti prima che la luce svanisca?”
“Per una persona della tua intelligenza – posso discernere il tuo cervello piuttosto bene – tu non hai un gran spirito di osservazione. Dato che qui non ci sono ombre, anche la luce qui non cambia.”
Irma appariva preoccupata. “Non capisco. Per favore, ciò significa che se ci fossero delle caverne, esse sarebbero riempite di luce o tenebra? Sono terrorizzata dai pipistrelli.”
Miranda era radiante. “Irma, cara – non vedi? Significa che arriveremo nella luce!”
“Arriveremo? Ma Miranda… dove stiamo andando?” “La ragazza Miranda ha ragione. Riesco a vedere il suo cuore, pieno di comprensione. Ogni creatura vivente deve arrivare in qualche posto. Se non altro, è quello che ho capito.” Si era alzata in piedi e per un momento loro pensarono che apparisse quasi bella. “In realtà, credo che stiamo arrivando. Adesso. “ Un improvviso mancamento fece ruotare tutto il suo corpo come una giostra. Quando terminò, lei vide davanti a se la fessura. Non era una fessura nelle rocce, né una fessura nel terreno. Era una fessura nello spazio, più o meno come una bella luna piena d’estate, che andava e veniva. Lei l’osservò come i pittori e gli scultori osservano una fessura, una cosa esistente, che dava forma e significato alle altre forme. Come una presenza, non come un’assenza – un’affermazione concreta di verità. Lei pensò che avrebbe potuto continuare a guardarla per sempre, felicemente in estasi, da sopra, da sotto e dall’altra parte. Era solida come un globo, trasparente come una bolla d’aria. Un’apertura facile da attraversare, eppure per nulla concava.
Lei aveva passato la vita intera a fare domande e adesso venivano a lei le risposte, semplicemente guardando alla fessura. Questa si dissolse e finalmente venne la pace in lei.
Il serpentello marrone era riapparso di nuovo e stava adagiato su una spaccatura che correva chissà dove sotto l’inferiore di due macigni che era in equilibrio uno sopra l’altro. Quando Miranda si piegò per toccarle le squame così squisitamente disegnate, essa scappò via in un groviglio di viticci.
Marion si inginocchiò accanto a lei ed insieme cominciarono a rimuovere il pietrisco e i cavi intrecciati del viticcio.
“E’ andata là sotto. Guarda, Miranda – dentro quell’apertura.” Una fessura – forse il labbro di una caverna o di un tunnel, orlato di foglie spezzate a forma di cuore.
“Sarai d’accordo che è mio privilegio entrare per prima?”
“Entrare?” dissero, guardando dallo stretto labbro della caverna alle ampie anche angolari.
“E’ molto semplice. Tu stai pensando nei termini di misurazioni lineari, ragazza Marion. Quando ti darò il segnale – credo un tocco sulla roccia – voi potrete seguirmi, e la ragazza Miranda potrà seguirvi. Avete capito bene?”
Il volto rugoso era radiante.
Prima che potessero rispondere, il lungo torace ossuto si era disteso sul terreno accanto alla fessura, prendendo deliberatamente la forma più adatta a una creatura creata per strisciare e risiedere sotto la terra. Le braccia sottili, incrociate dietro la testa con i suoi luminosi occhi transfissi, divennero le tenaglie di un gigantesco granchio che abita in un ruscello fangoso e transitorio.
Lentamente il corpo si spinse centimetro dopo centimetro nella fessura. Prima a scomparire fu la testa; poi le scapole unite; i mutandoni ricamati, i lunghi neri bastoni delle gambe fuse insieme come una coda che terminava in due stivaletti neri.
“Non vedo l’ora che arrivi il segnale,” disse Marion. Quando infine risuonarono dei colpetti fermi da sotto la roccia, lei andò sotto facilmente, con la testa per prima, lasciandosi la camicetta senza girarsi indietro. “Tocca a me adesso,” disse Miranda. Irma osservò Miranda inginocchiarsi accanto alla fessura, i suoi piedi nudi intrecciati nelle foglie di viticcio – così calma, così bella, così priva di timori. “Oh, Miranda, cara Miranda, non andare laggiù – ho paura. Torniamo a casa!”
“A casa? Non capisco, mia dolce amica. Perché stai piangendo? Ascolta! Non è Marion che mi chiama? Devo andare.” I suoi occhi brillarono come stelle. Il richiamo venne di nuovo. Miranda tirò le sue lunghe meravigliose gambe dietro di lei e scomparve.
Irma si sedette sulla roccia in attesa. Una processione di piccoli insetti si stava svolgendo in mezzo a licheni secchi e selvaggi. Da dove venivano? Dove stavano andando? Dove erano andate tutte? Perché, perché Miranda aveva infilato il suo capo luminoso in un’oscura fessura del suolo? Guardò in alto verso il cielo grigio e senza colore, alle tristi felci senza consistenza e pianse a dirotto.
Per quanto tempo era rimasta a fissare l’orlo della caverna, guardando e aspettando di sentire il richiamo di Miranda sulla roccia? Ascoltando e guardando, guardando e ascoltando. Due o tre ruscelli di sabbia fine scesero picchiettando dall’inferiore dei due grandi macigni sulle foglie rovesciate dei viticci, il quale ruotò lentamente in avanti, e scendendo con precisione dolorosa direttamente dentro la fessura.
Irma si era gettata sulle rocce e si mise a rompere e a colpire la faccia granulosa del macigno con le mani nude. Era sempre stata brava nel ricamo.
Aveva delle belle mani delicate, morbide e bianche.

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Coherence – Oltre lo spazio tempo (2013): trama e spiegazione

MEDICINA ONLINE Un film di James Ward Byrkit, con Emily Baldoni, Maury Sterling, Nicholas Brendon, Elizabeth Gracen, Alex Manugian. Genere fantascienza, durata 89 minuti - USA 2013..jpgUn film di James Ward Byrkit, con Emily Baldoni, Maury Sterling, Nicholas Brendon, Elizabeth Gracen, Alex Manugian. Genere: fantascienza, durata 89 minuti – USA 2013.

Trama senza spoiler

Otto amici si trovano insieme per una cena in una serata come tante altre. In tale serata sta passando, una cometa, la cometa di Miller, come viene chiamata nel film. I protagonisti della vicenda vedono tale cometa ad occhio nudo: infatti, la cometa sta passando ad una distanza non molto ampia dal pianeta Terra. Cominciano ad accadere fatti alquanto strani: per prima cosa, si verifica un black-out nella zona dove si trova la casa nella quale si sta tenendo la cena. Poco prima di arrivare alla cena, Emily ha chiamato Kevin ma il suo telefono si è rotto. Non molto tempo dopo si rompe anche il telefono di Hugh. Essi, poi, si accorgono che non c’è la connessione ad internet ed anche il telefono fisso è fuori uso. Gli ospiti della cena, pian piano, cominciano ad andare in panico ed in paranoia. Specialmente quando, usciti di casa, faranno una scoperta inquetante.

Spiegazione (SPOILER)

Ad un certo punto alcuni personaggi del film escono dalla casa dove si stava tenendo la cena e vedono altre versioni di loro stessi e si rendono conto del fatto che sono in presenza di un fenomeno alquanto paradossale: non solo la presenza di UN solo mondo parallelo, bensì la coesistenza di MOLTI universi paralleli, ognuno di essi contenenti una copia della casa e di ciascuno protagonisti.

Quando i protagonisti escono dalla casa di partenza, finiscono in una zona “grigia” dello spaziotempo dove le realtà parallele si fondono e si intersecano tra di loro, quindi, quando un dato protagonista esce di casa, tornando indietro non tornerà necessariamente nella propria casa, bensì potrebbe “perdersi” nella zona grigia e tornare nella stessa apparentemente identica casa, ma appartenente ad un diverso mondo parallelo.

Emily ad un certo punto “si perde nella zona grigia” e tornando a casa entra nell’abitazione dell’universo parallelo nella quale gli otto amici non hanno mai lasciato la casa e sembra che stiano vivendo la serata completamente inconsapevoli del passaggio della cometa, come sono anche inconsapevoli degli effetti che sta causando il passaggio del corpo celeste. Emily induce gli altri ad uscire ed aggredisce la versione alternativa di se stessa, con lo scopo di prendere il suo posto, mettendo la sé stessa aggredita nella vasca da bagno per nasconderla e tornando nel salone dove sono i suoi amici. Poi la donna sviene. Ella si risveglia il mattino dopo e tutti sono preoccupati per lei dopo quello che è successo la sera prima. Inoltre, la versione alternativa di sé stessa è sparita, inspiegabilmente.

Nell’ultima scena, sembra tutto normale ma Kevin, vicino ad Emily, riceve una chiamata da un’altra versione di quest’ultima, ossia la Emily dell’inizio del film: si gira e vede però la ragazza di fronte a lui. Capisce solo in quel momento che le Emily sono due ed una delle due è la Emily “parallela”.

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Prima di domani (2017) spiegazione del finale del film: Sam muore?

MEDICINA ONLINE PRIMA DI DOMANI SPIEGAZIONE FINALE FILM 2017 Antes Que Eu Vá BEFORE I FALL Ry Russo-Young, con Zoey Deutch, Halston Sage, Logan Miller, Kian Lawley, Elena Kampouris.jpgPrima di domani (titolo originale “Before I fall”) regia di Ry Russo-Young, con Zoey Deutch, Halston Sage, Logan Miller, Kian Lawley, Elena Kampouris. Genere: drammatico, fantastico; USA, 2017. Uscito al cinema il 3 marzo 2017 negli Stati Uniti ed il 19 luglio 2017 in Italia.

Trama

Samantha è una normale liceale che un giorno si sveglia e crede di avere davanti a sé una giornata speciale, perché è il “giorno dei cupidi” nel suo liceo e perché lei e Rob, il suo ragazzo, hanno in programma una serata importante. La giornata è in verità molto più speciale di quel che crede perché si ripeterà uguale a se stessa, come per una sorta di scherzo del destino, finché Sam non capirà come viverla appieno, nel modo giusto.

Spiegazione del film e del finale (SPOILER)

“Prima di domani” non è certo il primo film in cui si verifica, per motivi più o meno spiegati, un “loop temporale” in cui il protagonista si ritrova a vivere lo stesso identico giorno più e più volte. Lo abbiamo visto nel film “Ricomicio da capo” del 1993 diretto da Harold Ramis ed interpretato dal grande Bill Murray; in “Edge of tomorrow” del 2014 con Tom Cruise, nel 2011 con “Wake up and die” di Miguel Urrutia e, recentemente, in “Auguri per la tua morte“. Che siano film di genere commedia, thriller o fantascienza pura, questo tipo di film sono solitamente accomunati da un particolare: il protagonista è una persona spesso pigra, superficiale, cinica ed avara di sentimenti che però, messa di fronte al ripetersi inesorabile ed insensato dello stesso giorno, si trasforma gradatamente in persona completamente diversa: coraggiosa, profonda ed aperta ai sentimenti ed ai bisogni di chi gli sta accanto… in una sola parola: migliore.
Anche nel caso di “Prima di domani“, la protagonista cambia progressivamente carattere in meglio durante questa inesorabile ripetizione, ma rispetto agli altri lungometraggi di questo genere c’è una profonda differenza: in tutti i film citati il loop finisce quando il protagonista compie determinate azioni “buone” ed il destino “decide” che la sua vita è meritevole di uscire dal loop, in Prima di domani invece, a dispetto del titolo, non c’è nessun domani: Sam alla fine della giornata, morirà. Il titolo inglese “Before I fall” tradotto significa “prima che io cada” ma può essere interpretato come “prima che io muoia” (una specie di mega spoiler inserito direttamente nel titolo!), ed in questo rende meglio del nostro “prima di domani”. Col titolo italiano quasi ci si aspetta che alla fine della giornata di Sam ci sia realmente, un domani, ma la realtà è che Sam, in ogni caso è destinata a morire: qualsiasi cosa faccia, quello che lei sta vivendo è il suo ultimo giorno di vita. Per lei non ci sono azioni buone che possano farla uscire (viva) dal loop. Ma allora per quale motivo sta rivivendo lo stesso giorno? Per aver la possibilità di cambiare – in meglio – la sua vita, prima di morire.

La possibilità di cambiare le cose prima della sua morte

Nelle ultime scene Sam rincorre Juliet (la ragazza che si vuole suicidare gettandosi su una auto) e cerca di aiutarla facendole capire che il suicidio non è la soluzione e quando la ragazza corre verso il ciglio della strada, Sam la salva venendo travolta al suo posto da un camion, morendo. In quel momento si scopre il motivo del perché Sam vivesse sempre la stessa giornata: le era stata data l’opportunità di modificare l’ultimo giorno della sua vita, cambiando atteggiamento nei confronti dei genitori, godendosi il rapporto con la sorellina, capendo quanto volesse bene alle sue amiche e quale fosse il ragazzo davvero giusto per lei, Kent, ed infine, far capire ad una povera ragazza bullizzata, Juliet, quanto fosse preziosa la vita e salvandole la vita. Nel finale mentre Juliet ringrazia Sam per averla salvata, l’anima della ragazza la guarda, affermando di essere stata Juliet colei che l’ha salvata, dandole la possibilità di “mettere a posto la sua vita” prima di morire. Il destino ha fatto ripetere a Sam l’ultimo giorno della sua esistenza per questo motivo, ed ora che ha rimesso le cose a posto, la ragazza può morire in pace.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Animali notturni (2016): trama, spiegazione finale e significato del film

MEDICINA ONLINE Animali notturni (Nocturnal Animals) film thriller psicologico e neo-noir  2016 Tom Ford Austin Wright Tony & Susan Jake Gyllenhaal, Amy Adams, Aaron Taylor-Johnson, Michael Shannon, Jena Malone.jpgRegia di Tom Ford, con Amy Adams, Jake Gyllenhaal, Michael Shannon, Aaron Taylor-Johnson, Isla Fisher, Jena Malone. Titolo originale: Nocturnal Animals. Genere thriller, thriller psicologico, drammatico, neo-noir – USA, 2016, durata 115 minuti. Uscita: giovedì 17 novembre 2016; basato sul romanzo del 1993 di Austin Wright “Tony & Susan”.

Trama senza spoiler

Susan Morrow, proprietaria di una prestigiosa galleria d’arte, vive una vita che scivola abulica sulla superficie delle opere che espone, finché un giorno riceve un manoscritto dall’ex-marito Edward Sheffield da cui la separano diciannove anni di divorzio. Approfittando di un week-end in cui resta sola (Walker, l’attuale marito, infatti si è allontanato apparentemente per lavoro, ma in realtà per tradirla) la donna si dedica alla lettura del manoscritto a lei dedicato, che si intitola Animali notturni, proprio come lei veniva definita dall’ex-marito. La lettura dello scritto – che è alternata alle vicende reali – turba sempre più la donna dal momento che il racconto presenta dei parallelismi metaforici con il loro drammatico passato di coppia: il divorzio è stato infatti traumatico, proprio per colpa di Susan che ha deciso in modo unilaterale di troncare ogni rapporto con Edward. Quelle pagine che la donna consuma con gli occhi, svolge col cuore, riorganizza nella testa, risalendo il tempo e la storia del suo matrimonio, la porteranno al desiderio di riavvicinarsi all’ex marito: ma quest’ultimo sarà davvero ancora disposto a perdonarla?

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Recensione senza spoiler

Animali Notturni è uno dei più bei film d’amore e di vendetta del cinema contemporaneo. Ed è un thriller. Sì, è un film d’amore, perché parla di rapporti tra due persone che si sono amate, ma è anche un thriller rigonfio di vendetta, di un odio patinato ed innocente, quello di un uomo a cui è stato tolto tutto dalla donna che amava, da una persona che credeva diversa e che invece si è dimostrata tutto l’opposto di ciò che sembrava, tutto il contrario di ciò che lei stessa avrebbe mai voluto. Lui è Edward Sheffield (Jake Gyllenhaal), ed è il primo marito di Susan, dalla quale ormai si è separato da molti anni. È uno scrittore. Un giorno, all’improvviso, le manda un libro; è un’opera che dedica proprio a Susan e nel bigliettino che accompagna la missiva dichiara di essere finalmente riuscito a terminarlo grazie a lei, che gli è stata d’ispirazione. Questo libro però racchiude qualcosa di particolare, di tremendo. È una storia dura, cruda e macabra, ma altro non è che l’emblema torbido e la struggente metafora di ciò che ha vissuto per causa di Susan. Non può farne a meno; la verginità del suo animo è stata macchiata da un gesto feroce e brutale al quale nessuno può porre rimedio, ed inevitabilmente si va incontro ad una sofferenza che lo lascia attonito, tormentato, ma irrimediabilmente diverso. Lei è Susan Morrow (Amy Adams), ed è la proprietaria di una galleria d’arte. Molti anni fa era sposata con Edward, ma dal momento in cui l’ha lasciato ha iniziato a vivere con Walker (Armie Hammer) ed i due sono anche convolati a nozze. Il loro matrimonio è in piedi da 19 anni, tuttavia sono finiti i fasti di un tempo, gli scricchiolii si sono tramutati in terremoto, e la donna si trova intrappolata in un prigione dorata dalla quale non riesce ad uscire, perché non ne ha la forza.

Un uomo fragile

È proprio la forza il nodo che lega l’intera storia. Edward è sempre stato una uomo fragile, o quantomeno questo è ciò che ha perennemente visto in lui Susan, al punto che anch’egli sembra convincersene, tratteggiando – nelle pagine del suo libro – una figura di sé succube di ogni situazione fuori dal suo controllo, non in grado di opporsi alla crudeltà di un mondo che non riesce a comprendere.
Susan ha un’immagine diversa di Edward: lo percepisce come una persona romantica, che sa credere in sé stesso e soprattutto sa credere in lei. Forse troppo. Non è un uomo egoista, Edward. Forse per nulla. È questa la colpa che deve espiare; il suo essere accondiscendente e dolce verso la donna che ama, fa di lui un facile martire, un uomo col cappio al collo che cammina come un equilibrista sopra un filo sospeso nel vuoto. Susan invece sconta le sue colpe quasi inconsciamente, rendendosene conto soltanto quando è troppo tardi. Lei è una donna che vive col costante terrore di trasformarsi in ciò che ha sempre detestato, ma non fa che compiere passi inesorabili in quella direzione. Il loro dolore ti entra nelle viscere e non si stacca mai, per tutti i 115 minuti di film ed anche oltre. Animali Notturni è un continuo irradiarsi di pulsazioni e di un incessante nodo in gola. Ti nausea, ti sfinisce, ti si attacca addosso e non ti stacca più.
La perfezione sta tutta nel modo autentico ed elegante che ha Tom Ford di raccontarci una storia che non appartiene solamente ai due protagonisti, ma si estende a macchia in un mondo ormai arido di genuinità e di bontà, parole che risultano infatti desuete e banali. Arido come le radure del Texas, dove un uomo distrutto è obbligato a camminare per ore prima di ricevere un aiuto, dove nessuno ti salva se non ti salvi da solo.

L’estetica di Tom Ford

Di contro l’oscurità è quella in cui gli animali notturni sanno muoversi perfettamente, attaccano e uccidono vittime innocenti (se qualcuno lo è davvero, in fondo) con la brutalità tipica, appunto, delle bestie.
Ma esiste anche la vita diurna, e quella obbliga persino gli animali notturni a fare i conti con se stessi e con le conseguenze delle proprie azioni. Chi è immune da tutto questo è Tom Ford. Ogni cosa che tocca si trasforma in oro. Il Re Mida del nuovo millennio è un personaggio altamente poliedrico, e non possiamo non provare ammirazione nei suoi confronti. Nonostante le tante parole che si possono spendere per questo film, le sensazioni che ti lascia sono incredulità e confusione. Incredulità e confusione vanno di pari passo in tutta l’opera, e si avvinghiano in un finale che, gelido, trapassa lo spettatore come una lama. Si resta attoniti di fronte al dipanarsi degli eventi, mentre si sciolgono gli intrecci narrativi rimane legato quel nodo alla gola, lo strazio di vite consumate e che incedono singhiozzanti al pari di un plot convulso e che non può non intaccare l’animo dello spettatore, stordendolo. In tutto questo e in molto altro emerge e si consacra il talento di Tom Ford, che non trascura nulla, mettendo sullo stesso piano l’estetica di cui è Maestro, assecondata da una scenografia e una fotografia pungente ed efficace, ed una regia cinica e acuminata.

La sequenza iniziale

La sequenza iniziale è a dir poco spiazzante, perché di fronte a noi, in un crescendo di pose, ammiccamenti e nudità integrali, si esibiscono una dietro l’altra alcune modelle che farebbero la felicità di un regista come Ulrich Seidl, già apprezzato estimatore di nudità extralarge nel famigerato e ai tempi scandaloso “Canicola”. Qui però, a fare la differenza con il lungometraggio del regista austriaco, e quindi a risultare sorprendenti invece che oscene, sono le aspettative create da “Animali notturni”, che si annunciava provvisto di una confezione che faceva del mistero e di un’estetica bella e raffinata i suoi riconosciuti punti di forza.
Detto che preferiamo lasciare il lettore con il dubbio a proposito della maniera in cui si evolve il finale della scena a cui abbiamo appena accennato, ci sembra importante evidenziare come tale inizio sia la firma di un regista che dimostra di saper aggiungere al mezzo cinematografico le invenzioni e la fantasia che ne contraddistinguono il lavoro nel campo della moda. Il cortocircuito tra le facce opposte della stessa medaglia presente in quei primi fotogrammi, e quindi l’accostamento tra il corpo esibito e opulento delle voluminose donzelle, fa il paio con la bellezza levigata e accuratamente vestita di Susan, la gallerista ricca e avvenente interpretata dalla bravissima Amy Adams (vedi foto in alto) stabilendo il leit-motiv visuale ed emotivo che ritroveremo per tutta la durata del racconto.

Super cast

E poi c’è un cast artistico che mette i brividi. Jake Gyllenhaal è abilissimo nel rendere struggente la sua figura di uomo devastato e consumato, riuscendo ad essere presente persino quando la sua assenza diventa fondamentale ai fini dello sviluppo narrativo. Amy Adams è veramente ad alti livelli. Nessuno probabilmente avrebbe saputo rendere meglio il senso di ciò che Tom Ford cercava dal suo personaggio. Ma tutto ciò sembra un mero vezzo di fronte alla potenza distruttiva dello script, di quell’impianto narrativo volutamente preda di un bivio che vive di metafore. Le già citate e spoglie lande texane, e il mondo patinato della Los Angeles a 6 zeri, quello di due esistenze ormai divise dal tempo, corrose dai cambiamenti e dalle scelte. Di tutto questo, dopo una guerra dove ci si spara dritti al cuore, cosa resta? La forza, quella inespressa e nascosta sotto le macerie di un rapporto, sotto il peso delle paure, sotto il terrore del cambiamento. Esce fuori con la violenza di uno tsunami, quando ormai non c’è più nulla da perdere, rovesciando tutto nel gioco delle parti e mostrandoci la vera forza di chi ha seppellito la fragilità sotto lo smacco e il fallimento. Curiosità: nel film la piccola parte di Sage Ross è di Jena Malone, che aveva recitato con Gyllenhall in Donnie Darko. Infine menzione a parte per Michael Shannon nella parte del detective Bobby Andes, che regala al suo personaggio espressioni e profondità psicologica davvero notevoli.

Un film consigliato, da vedere almeno due volte per capire fino in fondo tutte le metafore del racconto di Edward.

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DA QUI IN POI SPOILER

Significato e metafore del film

La prima cosa da chiarire – che non a tutti può apparire lampante – è che il film mostra vari momenti della vita dei personaggi reali, incastrati con il racconto del libro. In animali notturni ci sono tre parti fondamentali:

  • il presente, che narra la vita della protagonista (Susan) che vive una vita dorata ma triste, passando da una mostra all’altra, con una figlia distante ed un marito che la tradisce. Susan riceve il manoscritto dell’ex marito (Edward) e la sera lo inizia a leggere;
  • la storia contenuta nel manoscritto che narra di una normale famiglia che parte in auto per le vacanze, le quali però finiscono in tragedia. All’interno della storia i protagonisti assumono (nella mente di Susan che sta leggendo) l’aspetto dell’ex marito, della sua attuale figlia e di sé stessa, proprio quello a cui puntava l’autore;
  • il passato, cioè la storia d’amore iniziata più di vent’anni prima che ha portato Susan ed Edward ad incontrarsi, innamorarsi, sposarsi e poi divorziare 19 anni prima, con annesso aborto di Susan.

Chiarito questo, il libro che Edward dedica alla moglie è una chiara metafora della loro storia d’amore, che li ha portati al divorzio. Le donne rapite sono rispettivamente Susan stessa e la figlia:

  • la morte della moglie rapita è la metafora di una morte non reale ma “ideale”: è la morte della Susan iniziale, quella che vent’anni prima aveva amato disinteressatamente Edward e lo supportava sempre, tale “morte” ha lasciato il posto ad una Susan fredda e calcolatrice – quella attuale – totalmente insensibile nei confronti dei sentimenti e dei bisogni altrui;
  • la morte della figlia rapita rappresenta la vera morte eseguita nei confronti della piccola da parte della moglie nel momento stesso in cui lei ha scelto di abortire.

La stessa posizione in cui le donne vengono trovate morte nel racconto (vedi foto più in basso), potrebbe simboleggiare Susan che muore idealmente nel momento in cui abortisce sua figlia mentre è stesa sul lettino del medico, e la figlia che muore realmente uccisa dall’aborto mentre è “accanto” a lei (nel suo grembo).

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La morte “ideale” della moglie e reale della figlia

Le altre metafore sono:

Il viaggio della famiglia rappresenta la storia di Susan ed Edward, partita bene ma finita male.

Le lande desolate in cui la famiglia si inoltra, rappresentano l’aridità della storia passata che – partita con le migliori intenzioni – si trasforma in tragedia.

I tre giovani che stuprano ed uccidono moglie e figlia sono i vari aspetti che hanno ucciso il loro amore ed il loro matrimonio, che hanno portato Susan ad essere fredda e calcolatrice ed hanno portato all’aborto della figlia (la morte di entrambe).

Il detective è la voglia di Edward di salvare il loro rapporto. Ma è una voglia pronta a morire, malata e priva di sicurezze, a cui Edward si aggrappa disperatamente per tanto tempo, fino a morirci.

Il padre codardo, che si nasconde quando i due “cattivi” tornano indietro a cercarlo, anziché intervenire, rappresenta l’Edward stesso nel passato, che col senno di poi ora forse si sente in colpa per non essersi mostrato “coraggioso” di fronte alla ex moglie, fatto che ha contribuito alla tragedia della storia.

Il padre coraggioso, che alla fine uccide il “cattivo”, rappresenta l’Edward nel presente: un Edward senza più timori che ha reagito alle sue paure ed ha ripreso in mano la sua vita, scrivendo un libro di successo.

In poche parole l’intero romanzo è una rappresentazione metaforica della storia di Susan e Jake. Lui regala a lei il romanzo proprio per farle capire cosa ha provato nell’essere stato trattato così da lei e per farle rimpiangere le scelte di cambiare carattere (uccidendo la sé stessa “buona”) ed uccidere la figlia (l’aborto).

Spiegazione del finale

Il finale di questo film rappresenta una delle più sottili vendette della storia del cinema. Leggendo il libro Susan capisce subito quello che nella sua mente era già chiaro: diciannove anni prima ha fatto un grosso errore a lasciare Edward. Susan ha capito di aver fatto un terribile sbaglio anche a non aver creduto nel suo talento e nelle storie che poteva raccontare (ricordate il flashback dove Susan diceva al marito «Scrivendo di te non arriverai mai da nessuna parte»). Lei prova a ricontattarlo (la mail era stata appositamente recapitata insieme al libro, un piano diabolico!) e lui accetta l’invito a cena. Lei vede in quell’incontro una seconda occasione per ricominciare a vivere, uscire dal grigiore della sua vita apatica e – forse – ritornare con l’ex marito. Lei va all’invito, ma lui non si presenterà, lasciandola ad aspettare invano. Questa è la vendetta di Edward, una vendetta già anticipata dal regista nel quadro con su scritto “revenge” che appare non a caso all’inizio del film.

Qualcuno potrebbe dire: è impossibile che la ex moglie leggendo il libro una sera, si reinnamori del marito. Ciò è vero, ma a mio avviso lei in realtà non si reinnamora di nessuno, dal momento che forse ha perso la sua capacità di amare già vent’anni prima, sempre se l’ha davvero mai avuta. Lei vuole soltanto fuggire da una vita arida che all’inizio le sembrava appetibile e che invece l’ha distrutta ed ora le appare come una gabbia. Lei è già in crisi da tempo con il suo nuovo marito e con la sua vita dorata fatta di finzione e “psicofarmacologi”. Il libro è solo una goccia che ha fatto traboccare il vaso.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Babadook (2014) trama, recensione, significato e spiegazione del finale

MEDICINA ONLINE BABADOOK SPIEGAZIONE FILM FINALE TRAMA RECENSIONE SPOILER SIGNIFICATO IL MOSTRO BABADOOK ESISTE DAVVERO O NO METAFORA SIMBOLO JENNIFER KENT ESSIE DAVID WALLPAPER.jpgUn film di Jennifer Kent con Essie Davis, Noah Wiseman, Daniel Henshall, Hayley McElhinney, Barbara West. Titolo originale The Babadook; drammatico, horror, psicologico, durata 95 min. – Australia 2014 VM 14 anni.

Trama senza spoiler

Il film segue le vicende che ruotano intorno ad una famiglia disastrata dagli eventi, ci presenta una madre – Amelia Vanek – ritrovatasi a dover allevare il suo bambino da sola dopo la tragica morte del marito, andatosene in un incidente nello stesso giorno in cui il loro figlioletto veniva al mondo. Samuel non sembra un bambino “normale”, le scene isteriche sono all’ordine del giorno e la vita di Amelia è oppressiva e sempre più solitaria, a partire dal lavoro in una clinica per anziani sino ai difficili rapporti sociali che ha a causa delle reazioni emotive sempre più esagerate del figlio. La vita di Amelia diventerà sempre più difficile, specie da quando entrerà nella sua vita uno strano libro per bambini, chiamato Mister Babadook.

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Recenzione senza spoiler

Non mi dilungherò troppo perché “non vedo l’ora” di scrivere il prossimo paragrafo, quello della spiegazione e del significato del lungometraggio. A me il film è piaciuto molto ed ho apprezzato il tocco della regia femminile di Jennifer Kent, anche sceneggiatrice, che ha saputo dare una profondità al personaggio della madre ed ai suoi disagi in modo veramente incredibile e credibile, probabilmente molto più di quanto sarebbe riuscito a fare un uomo. Il modo in cui l’attrice australiana Essie Davis esprime questi disagi è fantastico e ottima è l’atmosfera di depressione e tensione crescente che avvolge lo spettatore: sembra di scendere nell’inferno dell’animo umano di un genitore con questo film, un po’ come avviene seguendo il personaggio di Jack Torrance in Shining. Questo è l’orrore che mi piace, senza lupi mannari o vampiri. E’ un horror reale, realistico, che può accadere a tutti noi, affermazione valida solo se avete capito il reale significato simbolico del Babadook (se non lo avete capito, continuate la lettura!)
Un plauso va fatto anche all’estetica del Babadook: il tratto distintivo dell’uomo nero è cartoonesco, proprio come in un classico libro piegabile per l’infanzia, ma il mostro mette ugualmente, ed a maggior ragione grazie al contrasto che evoca, una grande inquietudine ed il contenuto del libro è più scabroso, terrificante e personalizzato (le pagine si scrivono da sole mano a mano che il film avanza) pagina dopo pagina. Una creatura cinematografica che domina la seconda metà del film in modo molto affascinante, per un lungometraggio ottimamente recitato e girato, con buona fotografia e musiche inquietanti al punto giusto. L’idea originale del plot di The Babadook, una bozza di esso, venne espressa dalla regista Jennifer Kent sottoforma di corto nel suo Monster, idea che ha qui allungato e perfezionato in modo piuttosto riuscito. La registra australiana riesce qui a produrre un film che per tutta la sua durata ti pone una domanda fondamentale: Il Babadook esiste o no? La risposta la trovate più in fondo all’articolo.

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Significato del film (SPOILER DA QUI IN POI)

Diciamo che per capire realmente questo film, forse dovete essere… genitori. In caso contrario le mie prossime parole potrebbero apparirvi esagerate se non assurde. Partiamo da un fatto che sembrerebbe off topic ma non lo è: qualsiasi genitore al mondo sa quanto sia difficile gestire un figlio nei suoi primi mesi ed anni di vita e qualsiasi genitore onesto ammette che – alla quinta notte di fila insonne – c’è un momento di tale stanchezza, esasperazione e – in certi casi – alienazione, che sarebbe disposto a tutto pur di far star zitta la propria prole per 10 minuti e riposarsi il cervello (che poi questo è il reale motivo per cui esistono i cartoni animati!). Dormire male la notte (o non dormire affatto), poi porta a sonnolenza diurna e in alcuni casi ad una continua sensazione di irritazione e fastidio. Ecco, immaginate quindi il livello di stress che può raggiungere un genitore, una donna in questo caso, quando è costretto a vivere quei primi mesi ed anni di vita del figlio, da solo. E non sto parlando di quelle donne che hanno bimbi tranquilli, un ricco assegno di mantenimento da parte del marito benestante divorziato e tate al seguito: in questo caso parliamo di una donna sola che deve lavorare duro perché suo marito è morto e suo figlio è sicuramente molto più “impegnativo” della media. A stress si aggiunge un probabile disturbo post traumatico da stress. Anche se sono passati anni dalla sua morte, lei pensa ancora a quel tragico incidente, come dimostra l’incubo che viene mostrato all’inizio del film ed il fatto che non riesce addirittura neanche a festeggiare il compleanno del figlio – evento solitamente molto lieto – perché il marito è morto nel portarla all’ospedale per partorire: in pratica compleanno del figlio e morte del marito sono lo stesso giorno. E’ una corrispondenza devastante per la mente di una persona.

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Se l’inconscio prevale

La mia esperienza con pazienti affette da depressione post partum mi fa dire con sicurezza che – seppur la donna non lo ammetta – a livello inconscio, spesso “darebbe volentieri indietro” suo figlio per avere nuovamente il marito, sia a livello emotivo (lo dimostra il trasporto verso le altre coppie che si baciano) che a livello fisico (la scena del vibratore, un oggetto “sostituto” di un uomo che lei potrebbe avere facilmente ma non vuole, per rimanere fedele al marito). Ad Amelia lui manca molto e ne è ancora molto innamorata, tanto che – nonostante la giovane età – non si è risposata, non convive con nessuno e neanche accetta le avances del suo collega di lavoro. Inconsciamente poi nei suoi circuiti neuronali è ben stampato il concetto che il bambino sia la causa della morte del marito, perché – a livello irrazionale – se non fosse stato per lui, non avrebbero avuto l’incidente. Ovviamente questi sono tutti pensieri inconsci e non significano che lei detesti o stia covando rancore nei confronti di suo figlio, anzi nel film si vede chiaramente quanto lei tenga a lui. E qui sorge il problema: cosa succederebbe se la parte oscura ed inconscia venisse fuori? Le tante notizie di cronaca di genitori che uccidono i propri figli (volontariamente o per apparente fatalità, come lasciare il bimbo nell’auto sotto il sole) ce lo indicano: la parte inconscia desidera far fuori qualsiasi cosa – cani inclusi – per poter ritornare liberi e senza responsabilità, a prima della nascita dei figli, quando la notte si rimaneva svegli per andare in discoteca e non per cambiare pannolini o pulire le lenzuola sporche di vomito. E Babadook è esattamente questa parte inconscia: un mostro che nessuno ammette di avere e che è nascosto in ognuno di noi, in attesa di trovare quell’attimo di stress in più, per venire fuori come un Herpes per mesi quiescente in un ganglio nervoso, e manifestarsi in tutta la sua virulenza repressa quando calano le difese che contengono il male.

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Babadook esiste o non esiste?

La risposta è NO, almeno nel mondo reale. Babadook, nonostante nel film prenda forma e sostanza ed alla fine venga fisicamente messo in trappola nella cantina, è solamente la metafora di una parte dell’essere umano che tutti noi cerchiamo, chi più chi meno, di rifuggire: ovvero la nostra parte oscura e repressa, ingigantita ed incattivita da un passato traumatico come quello di Amelia e quindi rimossa con forza. Non è un caso che nel film il mostro sia logisticamente posizionato in cantina: come immaginato nel sogno della casa a più piani dallo psichiatra e psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung – inizialmente promotore delle idee di Sigmund Freud – in “Ricordi, sogni, riflessioni” (1961), la cantina è la sede del nostro inconscio. L’Io di Amelia, per affrontare il suo mostro, deve aprire una porta e recarsi nella cantina, sede dell’Es, cioè appunto del suo inconscio, in modo simile a quello che avviene in psicoterapia. A tal proposito non credo che sia un caso quanto nel film i sogni siano ritenuti importanti nella comprensione della psiche di Amelia, al punto che il lungometraggio stesso inizia con un sogno e che, in una sequenza del film intorno al minuto 57, si possano vedere i “rapidi movimenti degli occhi” di Amelia mentre dorme, tipici della fase REM del sonno, quella in cui sogniamo e quella in cui – se dovessimo svegliarci all’improvviso – ricorderemmo il nostro sogno.

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Negare il lato oscuro significa dargli forza

Il Babadook in definitiva non esiste nel mondo fisico e rappresenta il puro male che si antepone al puro bene, qui rappresentato dall’amore sconfinato di una madre per il proprio figlio, ed ognuna di queste due cose è presente in qualsiasi essere vivente. Sono due poli opposti che solitamente ci impediscono di raggiungere l’uno o l’altro estremo perché l’uno non potrebbe mai esistere senza l’altro. La vita vera non è una favola e non esistono i superbuoni e i supercattivi: esistono le persone con le loro debolezze ed esistono i Babadook che prendono il sopravvento e quelli che vengono controllati.
Nel film come nella nostra vita noi fuggiamo continuamente dal nostro (o dai nostri) Babadook cercando di far finta che il nostro lato oscuro non esista, anche se in realtà è sempre lì, più o meno sopito, reprimendolo a dismisura e quanto più possibile. Peccato che, come insegna magistralmente il film (il libro che prima viene strappato poi bruciato e ritorna in entrambi i casi), più si neghi l’esistenza di certi istinti, di certe zone grigie, irrazionali in noi, più questi diventano forti, scavano nel nostro essere ed a volte, scoppiano finendo a comporre i mosaici conclusivi più drammatici che si possa immaginare, dalle malattie e disturbi psichici fino alle peggiori delle ipotesi: suicidi, omicidi e torture verso animali o altri esseri umani, perfino i nostri cari. I nostri figli, sangue del nostro sangue, indifesi, che si fidano di noi, quindi i primi candidati ad essere annientati psicologicamente e/o fisicamente dalle trame ordite dal Babadook, come accade ad Amelia nel film.

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Come affrontare il Babadook che vive in ognuno di noi?

Il finale del film ci da un consiglio ed una lezione di vita d’oro, che da medico e – soprattutto – da padre di due bambini piccoli, mi sento di confermare in pieno: ci mostra che non si possono cancellare del tutto i mostri del passato o del presente, ma in compenso si può imparare a domarli e controllarli. Accettate di avere il vostro Babadook in cantina, al riparo da tutti gli sguardi dei vicini, degli amici e dei colleghi, ma guardato da vicino con coraggio e consapevolezza. Vincete anche voi quella paura che vi porterebbe a non accettare che esista in voi o a girarvi “dall’altra parte”: guardatelo in faccia e affrontatelo, il vostro mostro interiore. Scendete con coraggio quelle scale verso una zona della vostra mente che avete per anni tentato di rimuovere e date lui da mangiare gli avanzi della vostra vita prima che sia lui a decidere di uscire da solo e mangiarla tutta, la vostra vita, comprese le parti migliori.
Quei vermi significano questo: Amelia ha imparato a nutrire regolarmente il mostro con cose che non le servono ed a “calmarlo” quel tanto che basta per evitare che prenda il sopravvento sul lato razionale di lei. Ignorarlo del tutto è impossibile ed alla lunga controproducente (potrebbe impazzire!) quindi la madre regala lui quel minimo di attenzione che merita e non di più. Amelia in questo modo ha appreso come gestire il trauma e domare la bestia nascosta in lei, accettando la sua esistenza, ammettendo a sé stessi che non è perfetta e che in lei coesiste tanto il bene quanto il male. La scena finale che in tanti non hanno capito, rappresenta quindi la comprensione del fatto che il demone non possa essere distrutto, ma che sia necessario accettarlo, conviverci, superarlo e “sfamarlo” periodicamente un minimo, in modo che in un certo senso non venga ignorato, represso e non prenda il controllo delle nostre azioni, con effetti catastrofici.
Prima di chiudere, una curiosità: il nome Babadook è un anagramma di ‘A bad book‘ (che tradotto significa “un libro cattivo“) ed è in parte ispirato al termine “babaroga”, parola che in serbo significa… “uomo nero“.

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L’inquilino del terzo piano (1976): trama e spiegazione del film

MEDICINA ONLINE LINQUILINO DEL TERZO PIANO SPIEGAZIONE FINALE The Tenant is a 1976 psychological horror film Roman Isabelle Adjani Melvyn Douglas Shelley Winters 1964 Le locataire chimérique Roland Topor..jpg

Chi si nasconde davvero sotto queste bende?

Un film di Roman Polanski, con Roman Polanski, Isabelle Adjani, Melvyn Douglas, Bernard Fresson, Jo Van Fleet. Titolo originale “Le locataire”, in USA conosciuto come “The Tenant”. Drammatico, thriller psicologico, durata 125 min. – Francia 1976.

Trama senza spoiler

Trelkovski, modesto ed anonimo impiegato di origini polacche, prende possesso a Parigi di un appartamento la cui inquilina precedente, Simon Chule, si è uccisa buttandosi dalla finestra. Circondato da inquietanti e grotteschi vicini, Trelkovski scopre nell’appartamento orribili tracce dell’ex-inquilina, che lo porteranno a conseguenze drammatiche e totalmente impreviste. L’inquilino del terzo piano, insieme a “Repulsion” ed a “Rosemary’s baby”, completa la trilogia dedicata da Polanski al lato oscuro, ai meandri orrorifici della mente umana, sebbene gran parte della sua produzione possa a mio avviso ricondursi ad inquietudini sottili e morbose che l’essere umano sperimenta nella propria esperienza, basti pensare al meraviglioso “Una pura formalità“.

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Spiegazioni (SPOLER)

Non esiste una spiegazione univoca e razionale a questo film veramente eccezionale di Polanski. Partiamo dal fatto che l’Inquilino del terzo piano inizia e termina con la stessa scena, un paio di occhi (vedi foto in alto) che spuntano da un corpo quasi interamente bendato e ingessato. Non sembra un grido “casuale”, bensì è il tipico urlo di chi riconosce il proprio carnefice ma non può indicarlo, oppure l’urlo terrorizzato che personalmente farei io se fossi bloccato a letto e vedessi me stesso dall’esterno del mio corpo. Quali le possibili spiegazioni a quell’urlo ed al film in generale?

1) Malattia mentale

Una delle possibili soluzioni, tra le più semplici, è che Trelkovski sia malato di una malattia mentale, ad esempio schizofrenia, che lo porta a travestirsi da donna e ad immaginare di essere Simone. La sua paranoia potrebbe essere scaturita dal suo carattere remissivo ed eccessivamente accomodante che lo espone all’aggressività degli altri: travestirsi da donna dal carattere forte potrebbe essere un sistema per sfuggire alla gabbia del suo carattere debole. La stessa malattia lo esporrebbe alle numerose scene irreali del film, che sarebbero allucinazioni, a tal proposito, leggi anche: Schizofrenia: sintomi iniziali, violenza, test, cause e terapie

2) Personalità multipla

Trelkovski è affetto da personalità multipla: dalla finestra vede sé stesso nel suo appartamento e ciò farebbe pensare ad uno sdoppiamento di personalità. Trelkovski riflette “il suo io” dall’altra parte. Ma il suo io è sé stesso o è Simone? Trelkovski vede dal suo appartamento Simone Choule che si toglie le bende perché ha una allucinazione o perché vede una delle sue personalità, quella di Simone? Ed è Simone una delle personalità di Trelkovki o è Trelkovski una delle personalità di Simone?

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3) Reincarnazione

Le innumerevoli simbologie egizie presenti nel film farebbero supporre la tematica della reincarnazione: Trelkowski e Simone sarebbero in realtà la stessa persona, l’una incarnata nell’altra, il che spiegherebbe la scena in cui Trelkowski, dalla finestra del proprio appartamento, vede una figura avvolta nelle bende (Simone e/o sé stesso nel futuro) nel bagno dello stabile; il bagno, coperto di geroglifici, rappresenterebbe una camera mortuaria egizia e Simone, in questa stanza, si toglie le bende come se fosse una mummia che si è risvegliata dalla morte.

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4) Un loop temporale

Il film inizia e termina con la stessa scena. Non una scena simile: è proprio la stessa, o almeno così ci vuole suggerire Polanski: alla fine del film siamo portati a pensare che sotto le bende di Simone, viste all’inizio del film, ci sia Trelkovski e non Simone. Questo sta forse a significare che Simone Choule è Trelkovski e che l’intera storia sia una specie di serpente che si morde la coda, come in un loop temporale senza uscita? In tal senso il film potrebbe essere inquadrato nell’ottica del loop circolare, a tal proposito, leggi: Bootstrap paradox e paradosso della predestinazione: spiegazione ed esempi nei film

5) Tutto il film è nella mente di Simone

Trelkowski sarebbe un personaggio fittizio creato dalla mente della stessa Simone quando si ritrova bloccata a letto, o una fantasia basata su un uomo che va a visitarla in ospedale. Di conseguenza, l’intera linea narrativa del film sarebbe fittizia, esclusa la breve scena introduttiva.

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6) Omosessualità latente

Simone crea Trekovski con l’immaginazione. La ragazza amava le donne e non gli uomini: lo dice Stella all’inizio del film. Per conquistare la sua amica, Simone avrebbe proiettato la sua personalità in un uomo, sentendo di possedere una identità sessuale maschile. Essendo stata respinta da Stella, si getta nel vuoto. Questo avvalora l’idea che solo Simone sia reale, mentre Trekovski – ed il suo rapporto d’amore con Stella – sarebbe solo immaginato.
Oppure il contrario: Trelkowski potrebbe essere reale e Simone la parte femminile che è sopita in lui e che lotta per manifestarsi. Il disagio mentale di Trelkowski potrebbe essere quindi il risultato della resistenza del sé uomo che cerca di evitare che la propria identità di donna esca allo scoperto oppure della insopportabile disforia di genere derivata dall’essere trans, cioè dal possedere una identità di genere (femminile) diversa dal sesso assegnato alla nascita (maschile). Ricordiamo che nella società dell’epoca, l’orientamento sessuale omosessuale ed una identità di genere diversa dal sesso descritto sui documenti, erano fonte di notevolissimo disagio e, vista la rigidità culturale, questo portava a meccanismi di difesa molto elevati che sfociavano in puro delirio. Per approfondire questi argomenti, leggi:

7) Non c’è alcuna spiegazione precisa

Questa potrebbe essere la migliore spiegazione possibile, non trovate? La vita stessa ci espone a domande a cui probabilmente non avremo mai replica del tutto certa ed i film, in quanto descrizione della nostra vita, perché dovrebbero mai darci tutte le risposte, togliendoci il gusto – tipicamente umano – di ricercarle con una curiosità mai sopita?

Il bello dell’arte

Le risposte che ha trovato il sottoscritto finiscono qui, almeno per ora. Nonostante le mie spiegazioni avete ancora la faccia di chi ha visto per la decima volta “2001 Odissea nello spazio” e non ha ancora capito cosa significano i 5 minuti finali o di chi continua a rivedere “Donnie Darko” nel tentativo di trovare una spiegazione assolutamente certa al film? Non vi preoccupate, siete in buona compagnia. Ho la vaga sensazione che neanche Roman Polanski potrebbe dare una risposta certa agli interrogativi della propria stessa opera e, almeno per quel che mi riguarda, questo è uno dei lati che amo di più in questo film e nell’arte in generale: la possibilità di interpretare, di ragionarci su, di confrontare le proprie idee con altri appassionati.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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