Come si chiamano le dita dei piedi?

MEDICINA ONLINE NOME DITA PIEDI COME SI CHIAMANO ALLUCE MELLUCE TRILLICE PONDOLO MINOLO PIEDE DITO POLLICETutti conoscono i nomi delle dita della mano: pollice, indice, medio, anulare e mignolo. Ma non tutti conoscono i nomi delle dita dei piedi. Scopriamolo oggi!

A differenza delle dita della mano, secondo i libri di anatomia, le dita dei piedi non hanno – a parte l’alluce – un nome specifico.
In medicina, partendo dall’alluce (anche chiamato “primo dito del piede”) possiamo trovare il “secondo dito del piede”, poi il “terzo dito del piede”, il “quarto dito del piede” ed il “quinto dito del piede”.

Pur non essendo riconosciuti dalla medicina “ufficiale”, alcune tradizioni che si rifanno alla riflessologia plantare sono solite attribuire dei nomi specifici alle dita dei piedi: eccone la nomenclatura.

1) Alluce: come abbiamo visto è chiamato anche primo dito del piede. È il dito più grande dei cinque, e corrisponde al pollice della mano.

2) Illice: chiamato anche “melluce” o “secondo dito”, è il dito che segue l`alluce guardando le dita dei piedi dall`interno verso l`esterno. Corrisponde all’indice della mano. Ha la particolarità che in alcuni soggetti è più corto rispetto all’alluce, in altri è più lungo ed in altri la lunghezza tra alluce e illice è la stessa.

3) Trillice: o “terzo dito” del piede, è quello che, andando dall`interno verso l`esterno, segue l`illice. Corrisponde al dito medio della mano.

4) Pondolo: noto anche col nome di “pondulo” o di “quarto dito”, è quello che segue il trillice. Corrisponde all`anulare della mano.

5) Minolo: conosciuto anche come “mellino” o “quinto dito”, è l`ultimo dito, quello più esterno, il più piccolo. Corrisponde al dito mignolo della mano.

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Rottura della cuffia dei rotatori: dolore alla spalla, deficit di forza, diagnosi e cura

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ROTTURA CUFFIA ROTATORI SPALLA Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina.jpgTante volte nella nostra vita ci è capitato di avvertire dolore ad una o ad entrambe le spalle e di provare la sensazione di avere meno forza nei movimenti legati alle spalle. In questi casi molte volte i sintomi possono essere manifestazioni transitorie e di poca importanza, altre volte, purtroppo, possono invece essere sintomo di una patologia che riguarda la cuffia dei rotatori e che non deve essere mai sottovalutata. Ma la prima domanda che molti si saranno fatti è…

Cos’è la cuffia dei rotatori ed a che serve?

La cuffia dei rotatori è un complesso muscolo-tendineo costituito dall’insieme di quattro muscoli e dai rispettivi tendini:

  • muscolo sovraspinato, il cui tendine passa al di sotto del legamento coraco-acromiale e si inserisce sulla parte superiore della grande tuberosità omerale;
  • muscolo sottospinato, posteriore, il cui tendine si inserisce sul tubercolo maggiore dell’omero;
  • muscolo piccolo rotondo, posteriore, il cui tendine si inserisce leggermente al di sotto dell’inserzione del muscolo sottospinato;
  • muscolo sottoscapolare, anteriore, il cui tendine si inserisce sulla piccola tuberosità dell’omero.

Nel complesso la cuffia è composta da due muscoli extrarotatori (sottospinato e piccolo rotondo), un muscolo intrarotatore (sottoscapolare), e un muscolo adduttore (sovrascapolare).

A che serve la cuffia dei rotatori?

La cuffia dei rotatori si chiama in questo modo perché i grandi tendini che la compongono proteggono l’intera articolazione formando una vera e propria cuffia che avvolge la testa dell’omero; già potete intuire quindi quale sia l’importante compito di questa struttura: la contrazione tonica dei muscoli della cuffia stabilizzano la spalla impedendone la lussazione (fuoriuscita della testa omerale dalla cavità glenoidea). I tendini piuttosto vasti (circa cinque centimetri) proteggono l’intera articolazione formando una vera e propria cuffia che avvolge la parte superiore dell’omero. Tra i quattro muscoli che compongono la cuffia dei rotatori, il sovraspinato è quello che si lesiona più frequentemente. In realtà quando si parla di rottura della cuffia dei rotatori non si fa riferimento a lesioni di natura muscolare ma tendinea. Inoltre bisogna tenere ben presente che la lesione della cuffia dei rotatori è spesso associata a lesione del capo lungo del muscolo bicipite, attivo durante la flessione e l’abduzione della spalla. La borsite sub-acromiale invece, è un infiammazione dell’omonima borsa e anch’essa può essere un’importante causa di dolore alla spalla. Si tratta in sostanza di un piccolo sacchetto ripieno di liquido posto sotto l’acromion della scapola per impedire lesioni da sfregamento della cuffia dei rotatori sull’osso.
Quando questa borsa si infiamma (a causa di un trauma o di uso eccessivo) va a comprimere le strutture tendinee comprese nello spazio sotto-acromiale favorendone la degenerazione.

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Quali sono i sintomi della lesione della cuffia dei rotatori?

Il tipo di ferita può variare da un’infiammazione tendinea locale, senza alcun danno permanente, ad una lesione parziale o completa che potrebbe richiedere l’intervento di riparazione chirurgica. In entrambi i casi si registrerà un deficit più o meno marcato nella forza di abduzione del braccio (cioè il movimento di allontanare il braccio dal corpo). In particolare il soggetto faticherà a mantenere il braccio sollevato lateralmente tra i 60° ed i 120°. Un apposito test per diagnosticare la lesione della cuffia dei rotatori andrà proprio a testare la risposta muscolare del paziente in questi angoli di movimento. Oltre al dolore, che spesso si accentua durante il riposo notturno, e deficit della forza durante movimenti specifici, i pazienti spesso lamentano difficoltà e dolore legati ai normali movimenti della vita quotidiana, come la pettinatura dei capelli, il riposo notturno su un fianco, l’infilare la manica della giacca o l’allacciamento del reggiseno.

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Quali sono le cause di lesione della cuffia dei rotatori?

Tra i 60° ed i 120° di abduzione, lo spazio tra la testa dell’omero e l’acromion della scapola nel quale decorre il tendine del muscolo sovraspinato si riduce notevolmente. Per questo motivo movimenti frequenti in questo range articolare possono causare a lungo andare infiammazione e/o degenerazione del tendine del sovraspinato. Non a caso la lesione solitamente interessa il tendine in un’area ben precisa che si trova a circa un centimetro di distanza dalla sua inserzione sull’omero (trochite). Questa zona è piuttosto ricca di capillari che servono a fornire al tendine l’ossigeno ed i nutrienti. Già in condizioni normali, con l’invecchiamento e il disuso, l’afflusso di sangue al tendine si riduce, diminuendone l’elasticità ed aumentandone la fragilità. Ma se il braccio lavora proprio tra i 60 ed i 120°, l’apporto di sangue al tendine si riduce ulteriormente a causa della riduzione dello spazio tra la testa omerale e l’acromion. Questa compressione va ad intrappolare ed ostruire parzialmente i vasi sanguigni aumentando considerevolmente il rischio di lesione. Questo meccanismo è ancora più evidente se al disuso segue un improvviso uso esagerato e/o prolungato (sollevare carichi pesanti, tagliare la siepe, imbiancare il soffitto, lavare i vetri, movimenti bruschi ecc.). Spesso nell’anziano vi è assenza di sintomatologia dolorosa o questa è molto lieve nonostante la lesione.

Nello sport invece tali lesioni si verificano più frequentemente in discipline che prevedono movimenti ripetitivi che richiedono una abduzione associata ad extrarotazione del braccio (baseball, lancio del giavellotto, tennis, pallavolo, alcune specialità del nuoto, a volte la pallacanestro). L’uso ripetitivo dei tendini può infatti condurre ad un loro significativo ispessimento riducendo ancor di più lo spazio subacromiale. Nei giovani un singolo movimento particolarmente violento, può andare a ledere uno o più tendini già compromessi dall’utilizzo eccessivo.

Nelle persone sedentarie, alcuni difetti posturali associati ad attività lavorative che impongono posizioni viziate, possono causare a lungo andare un aumento della cifosi dorsale (incurvamento in avanti del tratto toracico della colonna vertebrale). Tale vizio di posizione, che genera quella che volgarmente viene chiamata gobba, proietta in avanti le spalle sottoponendo la cuffia dei rotatori a tensioni eccessive. Non a caso il dolore alla spalla rappresenta la seconda causa più frequente di assenteismo dal lavoro dopo la  lombalgia.

L’indebolimento delle strutture tendinee che compongono la cuffia dei rotatori aumenta, a lungo andare, l’instabilità dell’intera spalla favorendo la risalita verso l’alto della testa omerale. Questa risalita diminuisce ulteriormente lo spazio a disposizione dei tendini causando dolore. Se la condizione cronicizza si parla di “Sindrome da conflitto” proprio per indicare “l’intrappolamento” dei tessuti molli nello spazio subacromiale. Negli anziani la sindrome da conflitto è piuttosto frequente e causata dalla perdita di elasticità dei tendini associata ad una loro parziale calcificazione e alla presenza di piccoli speroni ossei nella superficie subacromiale.

Una lesione dei tendini di uno o più muscoli che compongono la cuffia dei rotatori può avvenire anche a causa di un trauma (caduta sulla spalla) o di una borsite sub-acromiale. Quando una persona cade sbattendo la spalla, l’acromion subisce una pressione che lo fa picchiare sulla cuffia dei rotatori. Se l’impatto è abbastanza violento l’osso può ledere i tendini. L’entità del trauma, la forma della superficie inferiore dell’acromion (più o meno tagliente; acromion uncinato), ma anche l’elasticità dei muscoli e dei tendini che compongono la cuffia dei rotatori, andranno ad incidere sull’entità della lesione (completa o parziale). Anche una caduta all’indietro in appoggio su un braccio extrarotazione (istintivamente con la mano in fuori in modo da creare un punto di appoggio per proteggere il resto del corpo) o in avanti, su un braccio intraruotato e addotto (cioè vicino al corpo) può andare a lussare anteriormente o posteriormente la spalla danneggiando i tendini della cuffia. Spesso a tale lesione si associa una rottura dei capillari tendinei che riempiendo di sangue i tessuti intorno ai tendini, li gonfiano provocando dolore. Dopo il trauma il dolore può persistere per alcuni mesi accentuandosi o diminuendo in base al tipo e all’intensità dell’attività fisica praticata.

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Diagnosi

Molto spesso per far diagnosi basta una visita accurata da un medico esperto, che sottopone la spalla ad alcuni test di valutazione funzionale.

  • Test della cuffia dei rotatori: In realtà il test diagnostica una lesione del sovraspinato, ma questo tendine è di gran lunga il più frequentemente implicato in una lesione; ad ogni modo il paziente viene invitato a sollevare lateralmente il braccio (tenendolo lievemente in avanti ) con il pollice rivolto verso il basso. Il medico contrasta il movimento spingendo verso il basso. Il test è positivo se viene provocato dolore o se c’è una importante perdita di forza rispetto all’altro braccio. Se il tendine è completamente leso sarà impossibile mantenere il braccio fermo con una inclinazione inferiore a 120°.
  • Test del sottospinato: Si tiene il gomito flesso a 90°, e lo punta verso il fianco. Il test consiste nel ruotare verso l’esterno il braccio. Anche qui se vi è dolore o deficit di forza il test è positivo. (il test è positivo anche in caso di lesioni del piccolo rotondo).
  • Test del sottoscapolare: Il dorso della mano deve appoggiare sulla parte bassa della schiena, come ad infilare la manica di una giacca. Bisogna riuscire ad allontanare la mano dalla schiena spingendo verso l’indietro mentre il medico oppone resistenza. Il dolore o il deficit di forza denunciano lesione.
  • Test di conflitto (di Neer): Indica conflitto con la superficie inferiore dell’acromion. Bisogna sollevare in avanti il braccio (tenendo il pollice verso il basso), mentre la scapola viene tenuta ferma dalla mano del medico. Il dolore nella parte finale del movimento indica positività.

Le più importanti indagini strumentali sono:

  • Radiologia tradizionale: I normali raggi X non sono in grado di visualizzare chiaramente i tendini, ma solo di dare una indicazione indiretta del loro stato di salute (calcificazioni, restringimenti articolari, osteofiti etc.).
  • Ecografia: Visualizza con molta accuratezza le lesioni tendinee e danni alla borsa subacromiale.
  • Risonanza magnetica: localizza con precisione la lesione e la sua estensione.

In ogni caso il ricorso ad indagini strumentali avverrà solo su richiesta di un medico esperto, onde evitare spese e irradiazioni inutili (radiologia tradizionale), mentre la diagnosi, lungi dall’essere solo una diagnostica per immagini, dovrà tener conto della esatta interpretazione dei test di valutazione funzionale eseguiti durante la visita.

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Terapia non chirurgica

Se ci colpisce un dolore alla spalla in conseguenza di una caduta o di un movimento: applicare del ghiaccio (2-3 volte al giorno per 20 minuti: NON DI PIU’ per i primi 2 giorni), e mettere a riposo l’articolazione. Se il dolore è particolarmente accentuato e se limita in modo importante i movimenti e soprattutto se i sintomi non scompaiono dopo qualche giorno consultare lo specialista, il quale dopo una attenta diagnosi prescriverà la terapia adeguata. Molto utile la Tecarterapia, nelle fasi acute in modalità atermica, poi via via sempre più intensa. Così come utili, nelle fasi acute, gli ultrasuoni: un intelligente connubio tra ultrasuoni e crioterapia. Eccellenti le Onde d’urto sia in fase acuta, sia, ancor più, in tempi successivi. Essenziale e complementare a tutte le altre è la Rieducazione Funzionale in sala di riabilitazione, consiste in ginnastica attiva e passiva sotto la guida vigile del medico e del fisioterapista; se possibile aiutata da un sapiente “Pompage” dell’articolazione.

Terapia chirurgica

Vi sono due categorie di interventi chirurgici. In passato esisteva solo la metodica “aperta”, che richiede una incisione sulla spalla lunga circa 6-8 cm. Per raggiungere la cuffia è necessario passare attraverso il muscolo deltoide, che perciò viene inciso e alla fine suturato. Da oltre venti anni si sono sviluppate le metodiche artroscopiche, che utilizzano un sofisticato sistema basato su una piccola telecamera collegata ad uno schermo mediante fibre ottiche. Sono necessarie alcune piccole incisioni da 0,5-1 cm dietro, di lato e davanti alla spalla e non è necessario “aprire” il deltoide. I progressi di tecnica chirurgica e di tecnologia degli strumenti hanno fatto sì che anche in artroscopia si possano eseguire reinserzioni del tendine all’osso altrettanto sicure quanto quelle che si ottengono in chirurgia aperta.
Sebbene i tempi necessari per il recupero e i risultati delle riparazioni con tecniche aperte e artroscopiche siano uguali, queste ultime hanno guadagnato via via il favore dei chirurghi e dei pazienti e attualmente rappresentano lo “standard” della chirurgia della cuffia.
L’obiettivo dell’intervento di riparazione è di riportare il lembo di tendine strappato alla sua sede di inserzione all’osso della testa omerale e fissarvelo. Per far questo esistono diversi sistemi di ancoraggio, i più comuni sono rappresentati da “ancorette” di vari materiali che si avvitano o si impiantano a pressione nell’osso e a cui sono attaccati dei fili con i quali si sutura e si riporta in sede il tendine.

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Usura della cartilagine del ginocchio: sintomi, diagnosi e cura

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Plastica Cavitazione Dieta Peso Dietologo Nutrizionista Roma Cellulite Sessuologia Sesso Ecografie DermatologiaSmettere fumare Usura CartilagineL’usura della cartilagine del ginocchio è una condizione patologica molto comune che può interessare soggetti di ogni età. Molto spesso il problema è originato da un processo osteoartrosico che, oltre a interessare la cartilagine, può coinvolgere altri tessuti, in particolar modo la membrana sinoviale e l’osso sub-condrale (ovvero l’osso su cui poggia la cartilagine).

Tre tipi di cartilagine
Nel corpo umano sono presenti tre tipologie di tessuto cartilagineo che hanno caratteristiche diverse e che adempiono a differenti funzioni:
1) La cartilagine ialina è la tipologia più abbondante; in un soggetto adulto, oltre a costituire le cartilagini delle coste, della trachea, dei bronchi e della laringe, ricopre le superfici delle articolazioni.
2) La cartilagine elastica è un tessuto che, come si evince facilmente dalla terminologia, è particolarmente dotato di elasticità; è abbastanza simile alla cartilagine ialina e in molti casi è a essa associato. È la tipologia che costituisce le cartilagini dei padiglioni auricolari, della tuba e del meato uditivi, dell’epiglottide ecc.
3) La cartilagine fibrosa (nota anche come fibrocartilagine) è un tessuto presente sia nei dischi intervertebrali, nel legamento rotondo del femore, nei menischi articolari, nella sinfisi pubica, nel cercine (o labbro) glenoideo, nel labbro acetabolare e nella zona d’inserzione sull’osso di vari tendini. La cartilagine fibrosa è caratterizzata da una notevole resistenza.

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Le funzioni della cartilagine sono essenzialmente due:

  1. ammortizzare sollecitazioni e urti;
  2. eliminare l’attrito tra le ossa delle articolazioni.

La cartilagine articolare
La cartilagine articolare è un tessuto connettivo specializzato di sostegno costituito per da acqua (circa il 70%), collagene, proteoglicani e condrociti; queste ultime sono cellule che, oltre a produrre continuamente collagene e proteoglicani, producono anche degli enzimi (come l’elastasi e la ialuronidasi) che hanno il compito di favorire la degradazione del vecchio collagene e dei proteoglicani danneggiati. Quello cartilagineo è un tessuto avascolarizzato e non innervato particolarmente elastico e resistente sia alla pressione che alla trazione, ma con scarsissime capacità rigenerative. Quando, per i più svariati motivi, si viene a esercitare un sovraccarico ponderale sulle articolazioni, la cartilagine secerne liquido sinoviale dentro la capsula; quando invece la pressione si riduce la cartilagine lo riassorbe. La cartilagine agisce quindi da “cuscinetto” e da “lubrificatore”. La cartilagine va incontro a un processo continuo di demolizione e sostituzione; questo processo è regolato da un notevole equilibrio; se questo equilibrio viene a mancare e la demolizione avviene con una rapidità maggiore rispetto alla sintesi di nuovo tessuto (come avviene, per esempio, nel caso di processi di tipo artrosico) il soggetto avverte a lungo andare dolore e rigidità articolare.

Patologie degenerative della cartilagine articolare
Le più significative patologie degenerative della cartilagine sono l’artrosi e la condromalacia, ma non sono solo queste le condizioni patologiche che possono causare un’usura cartilaginea più o meno grave.  Nei soggetti di sesso maschile, le patologie relative al ginocchio sono generalmente legate a problematiche di tipo traumatico o degenerativo a motivo di attività fisiche solitamente più pesanti, mentre nelle donne il problema è spesso legato a debolezze o squilibri muscolari; nei soggetti di sesso femminile il rischio di problemi degenerativi legati a fenomeni artrosici aumenta decisamente nel periodo post-menopausale.  Come si può facilmente intuire da quanto sopra riportato, le lesioni della cartilagine del ginocchio possono quindi essere dovute a problemi di tipo degenerativo oppure di tipo traumatico. Quando il danno cartilagineo interessa la sola cartilagine si parla di lesioni condrali; se invece, oltre alla cartilagine, è interessato anche l’osso sottostante si parla di lesioni osteocondrali.   Nel caso di lesioni di tipo degenerativo la cartilagine tende a perdere progressivamente la propria elasticità e le proprie peculiarità e con il passare del tempo si arriva ad assistere all’intera scomparsa della superficie cartilaginea con conseguente esposizione della superficie dell’osso sottostante.  Le lesioni cartilaginee di tipo traumatico possono essere causate sia da traumi di tipo diretto che indiretto e sono associate in alcuni casi a lesioni dei legamenti o dei menischi.

I sintomi delle lesioni alla cartilagine del ginocchio
La sintomatologia delle lesioni della cartilagine è alquanto variegata. Curiosamente, molto spesso, i sintomi di un danno cartilagineo non sono mai proporzionali all’entità della lesione; paradossalmente, infatti, si hanno casi di estese degenerazioni del tessuto cartilagineo in cui il dolore è ridottissimo o addirittura assente; in altri casi, invece, lesioni molto piccole possono essere particolarmente dolorose.  Oltre al dolore, altri sintomi che possono manifestarsi sono tumefazione, scrosci articolari e limitazione dei movimenti.  Il dolore da danno cartilagineo insorge durante i movimenti, soprattutto in quelli di flessione (il tipico caso è quello dell’accovacciamento), mentre quando il soggetto è a riposo, normalmente, il dolore non dovrebbe essere presente.

La diagnosi  
A differenza di quanto accade con altre condizioni patologiche, l’osservazione clinica non è mai sufficiente a porre con certezza la diagnosi di usura della cartilagine.  Fra gli strumenti che possono essere utilizzati per diagnosticare le lesioni cartilaginee troviamo la risonanza magnetica nucleare con il mezzo di contrasto, tecnica che può mettere in evidenza sia lesioni condrali che osteocondrali; l’esecuzione di una RMN senza mezzo di contrasto potrebbe rendere difficile evidenziare lesioni condrali molto superficiali.  La TAC viene generalmente eseguita per studiare la situazione ossea, quella legamentosa e quella meniscale. Praticamente inutile l’esecuzione di un’ecografia in quanto questa metodica non è in grado di mostrare eventuali lesioni presenti in profondità.  La radiografia è invece in grado di evidenziare lesioni osteocondrali, ma non permette di evidenziare quelle soltanto condrali.  Attualmente la stragrande maggioranza delle lesioni condrali vengono evidenziate grazie all’esecuzione di un’artroscopia, una tecnica fra le più diffuse in chirurgia ortopedica e che era nata inizialmente per trattare le problematiche relative all’articolazione del ginocchio.

Usura della cartilagine del ginocchio: cosa fare?
Il trattamento delle lesioni della cartilagine del ginocchio mira all’interruzione dell’evoluzione della malattia. La terapia può essere chirurgica o non chirurgica.
Le terapia non chirurgica è indicata per lesioni cartilaginee la cui gravità si trova agli estremi: o lesioni piccole (o comunque poco sintomatiche) oppure, al contrario, lesioni estese e degenerative. Rientrano nella categoria delle terapie non chirurgiche la somministrazione di antinfiammatori non steroidei (FANS), la viscosupplementazione (che ha ormai sostituito la somministrazione di glucosamina condroitinsolfato perché decisamente più efficace), la fisiokinesiterapia e le infiltrazioni intra-articolari dei fattori di crescita.
Le terapia chirurgica viene generalmente suddivisa in quattro sottocategorie: palliativa, riparativa, sostitutiva e rigenerativa.  La terapia palliativa è indicata in caso di condropatia diffusa, mentre le altre tre sono indicate per le condropatie localizzate.
Sono esempi di terapia chirurgica palliativa il debridement cartilagineo e il lavaggio artroscopico; il debridement cartilagineo consiste nel rimuovere il tessuto cartilagineo ormai degenerato; deve essere sempre eseguito anche un lavaggio artroscopico, operazione che ha la funzione di rimuovere i detriti e gli enzimi proteolitici responsabili del processo infiammatorio.
Sono considerate tecniche chirurgiche riparative invece la fissazione del frammento osteocondrale e le microfratture; quest’ultima tecnica viene effettuata con speciali strumenti con i quali si praticano microfratture nell’osso sub-condrale per introdurre cellule mesenchimali attraverso le quali facilitare il rilascio di fattori di crescita.  Rientra fra le tecniche di chirurgia sostitutiva l’innesto osteocondrale autologo, una tecnica piuttosto complessa, ma che in molti casi dà buoni risultati e può essere impiegata anche in caso di lesioni cartilaginee abbastanza estese.  Fra le tecniche di chirurgia rigenerativa rientrano invece l’impianto di condrociti autologhi di I generazione (ACI), l’impianto di condrociti autologhi di II generazione (MACI) e l’ingegneria tissutale.

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