Differenza tra trauma chiuso e aperto

MEDICINA ONLINE CERVELLO CRANIO EMORRAGIA CEREBRALE ISCHEMIA EMORRAGICA ICTUS SANGUE EMATOMA EMIPARESI EMIPLEGIA TETRAPARESI TETRAPLEGIA MORTE COMA PROFONDO STATO VEGETATIVO PARALISI DECUBITO RECUPERO SUBARACNOIDEAUn “trauma” nel nostro organismo si verifica quando una forza esterna di vario tipo ed intensità colpisce il corpo in un dato punto, ad esempio un trauma cerebrale può essere determinato da qualsiasi forza che agisca a livello del cranio, mentre una frattura dell’osso femore si determina quando una forza esterna agisca a livello appunto del femore. La forza traumatica può verificarsi in caso di incidenti banali (ad esempio inciampare e sbattere una parte del corpo) fino ad incidenti stradali o sportivi (come conseguenza di urti o di un’improvvisa accelerazione o decelerazione) ed atti violenti. Un trauma può essere “chiuso” o “aperto”: Continua a leggere

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Differenza tra trauma contusivo e distorsivo

Trauma

Un “trauma” nel nostro organismo si verifica quando una forza esterna di vario tipo ed intensità colpisce il corpo in un dato punto, ad esempio un trauma cerebrale può essere determinato da qualsiasi forza che agisca a livello del cranio, mentre una frattura dell’osso femore si determina quando una forza esterna agisca a livello appunto del femore. La forza Continua a leggere

Differenza tra trauma e frattura

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Un “trauma” nel nostro organismo si verifica quando una forza esterna di vario tipo ed intensità colpisce il corpo in un dato punto, ad esempio un trauma cerebrale può essere determinato da qualsiasi forza che agisca a livello del cranio, mentre una frattura dell’osso femore si determina quando Continua a leggere

Differenza tra trauma, contusione e trauma contusivo

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Un trauma contusivo in questo caso ha generato un ematoma

Trauma

Un “trauma” nel nostro organismo si verifica quando una forza esterna di vario tipo ed intensità colpisce il corpo in un dato punto, ad esempio un  Continua a leggere

Differenza tra trauma diretto e indiretto

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Articolazione del ginocchio: com’è fatta, quali sono le patologie, i sintomi e gli esami da fare

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Il ginocchio è un’articolazione che unisce la coscia e la gamba, le quali, insieme al piede, compongono l’arto inferiore. Il ginocchio è composto in realtà da due articolazioni: una tra femore e tibia, e l’altra tra femore e rotula. L’incavo posteriore è chiamato cavità poplitea. Il ginocchio consente movimenti in flessione ed estensione.

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Ossa e superfici articolari

L’articolazione del ginocchio è un ginglimo angolare, con un grado di libertà consente quindi il movimento di flessione-estensione; Prevede un secondo grado di mobilità, la rotazione su asse longitudinale della gamba, che si verifica solo a ginocchio flesso. Sul piano frontale, grazie agli assi longitudinali del femore e della tibia, è possibile notare il comune fisiologico valgismo di circa 170°. Le ossa coinvolte nell’articolazione del ginocchio sono il femore, la rotula (o patella) e la tibia. La patella è il più grande osso sesamoide del corpo umano. È un osso piatto che possiede due superfici, una anteriore ed una posteriore, tre lati ed un apice diretto inferiormente ma la sua forma è molto variabile. La superficie anteriore è molto ricca di fori nutritizi (dove penetrano rami delle arterie genicolate e della ricorrente anteriore tibiale) ed appare scabra, con rilievi longitudinali che possono essere più o meno marcati a seconda dell’individuo e che sono le aree di inserzione del tendine del muscolo quadricipite femorale. Prossimalmente presenta un’area più liscia dove si inseriscono i muscoli vasto intermedio e retto del femore. Lungo i lati mediale e laterale si inseriscono rispettivamente il retinacolo patellare mediale e il retinacolo patellare laterale. La superficie posteriore è invece più liscia di quella anteriore. La porzione superiore è divisa longitudinalmente da un rilievo, detto spigolo, in due faccette articolari, con la laterale più estesa della mediale. Tramite le due faccette la patella si articola con la superficie patellare del femore. La porzione inferiore sino all’apice è invece molto scabra, qui infatti si inserisce il tendine patellare che la collega alla tibia. La patella è costituita da una lamina di osso compatto superficiale che ricopre una più spessa porzione trabecolare, con le trabecole parallele alla superficie dell’osso nella porzione anteriore, più raggiate in quella posteriore. La superficie articolare del femore è costituita dalla sua epifisi distale espansa. L’epifisi distale del femore è costituita dai due condili, mediale e laterale, che anteriormente si fondono per poi formare la diafisi, mentre posteriormente divergono lateralmente; lo spazio che ne deriva è la fossa intercondiloidea. Superiormente e lateralmente ad esso, ciascun condilo possiede il corrispondente epicondilo. La porzione superiore dell’epicondilo mediale forma una sporgenza detta tubercolo adduttorio, poiché vi si inserisce una parte del tendine del muscolo grande adduttore. La superficie dell’epifisi distale posteriore compresa tra le due linee sopracondiloidee (mediale e laterale), detta poplitea, è scabra appena superiormente ai condili. Scabra è anche la superficie anteriore dei condili e degli epicondili, ma è liscia posteriormente sui condili e nella fossa intercondiloidea. Anteriormente all’epifisi distale vi è un’area triangolare liscia, la superficie patellare che si articola con la patella; è concava trasversalmente e convessa verticalmente. La superficie articolare del femore, costituita dalla superficie inferiore dei due condili è liscia ed ha la forma di una “U” rovesciata, essa si articola con il piatto tibiale, cioè la superficie superiore dell’epifisi prossimale della tibia, mentre non prende contatto con il perone.

Capsula articolare

Come ogni diartrosi, il ginocchio è circondato da una capsula articolare, formata da membrane fibrose, separate da depositi di grasso. La capsula è costituita da una parte esterna e da una interna, che costituisce la membrana sinoviale, che delimita una cavità dove è presente liquido sinoviale. Anteriormente la membrana sinoviale è attaccata al margine delle cartilagini del femore e della tibia. Esistono altre capsule che non sono comunicanti con questa, presenti tra la cute e la patella.

Menischi

I dischi articolari del ginocchio sono chiamati menischi. I menischi sono costituiti da tessuto connettivo con fibre di collagene contenente cellule cartilaginee, hanno una forma appiattita e sono fusi lateralmente con la membrana sinoviale. Ne troviamo due: il menisco laterale e il menisco mediale, che sono uniti tra loro dal legamento trasverso del ginocchio posto anteriormente ad essi. Il menisco laterale ha una forma quasi circolare, mentre quello mediale è più grande ed ha una forma semilunare. Entrambi prendono inserzione sull’eminenza intercondiloidea della tibia. I menischi servono a proteggere le estremità delle ossa dallo sfregamento e ad assorbire gli urti. Possono venire danneggiati o strappati quando il ginocchio è sottoposto a una rotazione o piegamento forzato.

Legamenti

Molti legamenti circondano il ginocchio, essi hanno la funzione di tenere in sito il ginocchio e dare stabilità, limitando i movimenti e proteggendo la capsula articolare.

Intracapsulari

Il ginocchio è stabilizzato attraverso i legamenti crociati (anteriore e posteriore), che prendono inserzione sull’eminenza intercondiloidea e si incrociano a livello della fossa intercondiloidea,. Il legamento crociato anteriore si estende dal condilo laterale del femore all’area intercondilare anteriore. Questo legamento impedisce che la tibia sia spinta anteriormente rispetto al femore. Il legamento crociato posteriore si estende dal condilo mediale del femore all’area intercondilare posteriore. Questo legamento impedisce lo spostamento posteriore della tibia rispetto al femore. Il legamento traverso si estende dal menisco laterale al menisco mediale. Passa davanti ai menischi e li collega anteriormente. Nel 10% della popolazione è suddiviso in più legamenti. I legamenti meniscofemorali posteriori e anteriori si estendono dal corno posteriore del menisco laterale al condilo femorale mediale. Il legamento meniscofemorale posteriore è più comune; più raramente sono presenti entrambi i legamenti. Il legamento meniscotibiale (o coronarico) si estende dai margini inferiori dei mensichi alla periferia del plateau tibiale.

Extracapsulari

Il legamento patellare unisce la patella alla tuberosità tibiale. Viene anche chiamato tendine patellare vista la mancanza di separazione tra il tendine quadricipite (che circonda la patella) e l’area che collega la patella alla tibia. Lateralmente e medialmente al legamento patellare, il retinacoli laterale e mediale connettono le fibre del muscolo vasto laterale e mediale alla tibia. Alcune fibre del tratto iliotibiale si irradiano nei retinacoli e ricevono fibre trasversali derivanti dall’epicondilo femorale mediale. I legamenti collaterali, (mediale o tibiale, e laterale o fibulare), si originano dagli epicondili femorali per poi prendere inserzione rispettivamente sulla tibia e sulla testa del perone.

Muscoli

I muscoli responsabili del movimento del ginocchio appartengono al compartimento anteriore, mediale o posteriore della coscia. In generale, i muscoli estensori appartengono al compartimento anteriore e i flessori al posteriore. Esistono due eccezioni: il gracile, un flessore, appartiene alla zona mediale e il sartorio, un flessore, all’anteriore.

Circolazione sanguigna

L’arteria femorale e l’arteria poplitea contribuiscono a formare la rete arteriosa che circonda l’articolazione del ginocchio. Esistono sei rami principali: due arterie genicolari superiori, due arterie genicolari inferiori, l’arteria genicolare discendente e il ramo ricorrente dell’arteria tibiale anteriore. Le arterie genicolari mediali penetrano nel ginocchio.

Funzione

L’articolazione del ginocchio permette movimenti di estensione e flessione della gamba rispetto alla coscia. I movimenti di rotazione sono limitati dalla presenza dei legamenti crociati e collaterali. Il ginocchio consente la flessione e l’estensione su un asse trasversale virtuale, nonché una leggera rotazione mediale e laterale attorno all’asse della gamba inferiore. Il giunto del ginocchio è mobile perché il femore e il menisco laterale si muovono sulla tibia durante la rotazione, mentre il femore ruota e scorre su entrambi i menischi durante la flessione e l’estensione. Il centro dell’asse trasversale dei movimenti di estensione e flessione si trova nell’incrocio tra i legamenti collaterali e i legamenti crociati. Il punto centrale si muove verso l’alto e all’indietro durante la flessione, mentre la distanza tra il centro e le superfici articolari del femore cambia con la diminuzione della curvatura dei condili femorali.

Le patologie

Diverse sono le patologie che coinvolgono l’articolazione del ginocchio. La più comune riguarda pazienti con età avanzata: l’artrosi è una malattia degenerativa cronica che coinvolge capsula, legamenti e cartilagine e porta ad una graduale usura dell’articolazione.

Ma le malattie del ginocchio sono diagnosticabili anche in pazienti giovani, come le lesioni meniscali o le rotture del legamento crociato anteriore, causate da traumi o da sforzi ripetuti anche di natura sportiva. Causa di dolore al ginocchio possono poi essere poi patologie da sovraccarico o post-traumatiche come borsiti o tendiniti.

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Lesioni meniscali

Le lesioni meniscali sono molto frequenti, avvengono o per trauma distorsivo del ginocchio o per usura cronica del menisco, sono più a rischio persone che “usano” molto le ginocchia: calciatori, pavimentatori, operai, pallavolisti eccetera.
Le lesioni del menisco si differenziano secondo la loro localizzazione, quindi sarà facile trovare uno di questi termini nel referto della vostra ecografia al ginocchio:

  • a “manico di secchio”: dal corpo del menisco si alza un frammento semilunare, derivante dall’aggravarsi di una lesione più piccola, e rischia di rimanere incastrato e causare un blocco.
  • longitudinale: lesione in senso longitudinale rispetto al corpo del menisco
  • trasversale: lesione in senso trasversale, quindi perpendicolare, rispetto al corpo del menisco.

Sintomi e segni

Il sintomo più tipico che allarma il paziente è il dolore (gonalgia). La sede del dolore dipende dalla struttura colpita dalla patologia e dal compartimento interessato. Nei pazienti anziani il dolore è tipicamente mediale, compartimento colpito più frequentemente dalle fasi iniziali dell’artrosi.

Le modalità di insorgenza variano a seconda della patologia che lo determinano. Il dolore a comparsa lenta con progressivo peggioramento in un paziente anziano fa sospettare l’insorgenza di una gonartrosi, il dolore acuto in un paziente giovane dopo trauma discorsivo o sforzo, fa sospettare l’insorgenza di una lesione meniscale. Il dolore causato dall’articolazione del ginocchio viene evocato dal carico (cammino) o dalla mobilizzazione passiva eseguita dall’esaminatore ai gradi massimi di articolarità.

Spesso il dolore può essere accompagnato dalla zoppia causata dal tentativo del paziente di ridurre al minimo il momento dell’appoggio dell’arto con ginocchio doloroso. Tale tentativo produce uno squilibrio nell’andatura per effetto della minore durata del passo con appoggio sull’arto “malato” rispetto al passo con appoggio sull’arto sano.

Altrettanto spesso il dolore può essere accompagnato da gonfiore. La tumefazione dell’articolazione, talvolta evidente alla semplice osservazione, è causato dall’aumento della quantità di liquido intrarticolare. Quando il liquido in eccesso è liquido sinoviale, come nel caso dell’infiammazione della parete interna della capsula (sinovite) la tumefazione viene definita idrartro. Tipica è la presenza di idrartro in caso di artrosi severa. Quando il liquido in eccesso contiene sangue, causato da una frattura o da una lesione legamentosa intrarticolare dopo un trauma, si parla di emartro.

Più rara è la comparsa di rigidità, spesso dovuta al consumo severo della superficie articolare ed a comparsa di calcificazioni che diminuiscono l’escursione articolare.

Il blocco articolare è invece una limitazione articolare che consente pochi gradi di escursione articolare, spesso accompagnati da intenso dolore. Il blocco ha sempre una causa meccanica, più frequentemente è causata da un frammento di menisco rotto che si interpone tra le due superfici articolari impedendone lo scivolamento l’una sull’altra.

L’instabilità definisce un cedimento dell’articolazione durante il carico. Può essere causata nei pazienti anziani dalla degenerazione dei legamenti collaterali e dal consumo dell’osso femorale o tibiale o nei pazienti giovani nella lesione del legamento crociato anteriore.

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Gli esami

Nella maggior parte dei casi è il medico di famiglia che prescrive l’esecuzione di una radiografia standard in proiezione antero-posteriore e laterale del ginocchio affetto che lo aiuta a formulare la diagnosi. La proiezione assiale di rotula (tangenziale a ginocchio flesso) mette in rilievo anomalie ossee dell’articolazione femoro-rotulea.

La radiografia del ginocchio visualizza le parti ossee (chiare, cioè radiopache), permette quindi di valutare la forma del femore, della tibia e della rotula, l’assenza di fenomeni patologici come le calcificazioni o le lesioni litiche (consumo dell’osso). Permette inoltre di valutare l’ampiezza dello spazio articolare cioè lo spessore delle cartilagini femorale e tibiale che essendo radiotrasparenti (scure) sono identificabili nello “spazio vuoto” tra i condili femorali ed il piatto tibiale.

La TC (o TAC) è utile nel caso si vogliano approfondire le indagini per quanto riguarda il versante osseo, meniscale o legamentoso

La risonanza magnetica serve a valutare la presenza di sofferenza ossea (es. sofferenza dell’osso del piatto tibiale o dei condili femorali in fase iniziale, non visibili alla radiografia), di lesioni del menisco laterale o mediale, di lesioni dei legamenti crociati o collaterali o di problemi dei tessuti molli circostanti (es. borsiti, cisti,..).

L’ecografia muscolo tendinea è una metodica non invasiva e assolutamente non dannosa per l’organismo (relativamente economica in relazione al suo impatto sui costi sociali) che utilizza ultrasuoni ovvero onde sonore ad alta frequenza per studiare i fasci muscolari, i tendini e le neoformazioni dei tessuti molli come le cisti e i lipomi. È un esame che spesso riesce ad offrire informazioni preliminari sulle cause possibili del dolore articolare. I vantaggi dell’ecografia sono che è un esame indolore, rapido (l’esame dura 10-15 minuti), economico, permette una visione in tempo reale anche con l’articolazione in movimento (impossibile con altre metodiche), può essere eseguito anche se il paziente è portatore di pacemaker e non espone il soggetto a radiazioni. Per quel che riguarda il ginocchio, l’ecografia è utile per:

  • lo studio dei tendini e delle loro lesioni;
  • lo studio delle lesioni muscolari;
  • lo studio delle cisti tendinee e articolari;
  • lo studio preliminare delle neoformazioni del sotto cute;
  • lo studio delle fasce muscolari e delle borse sierose.

I migliori prodotti per la cura delle ossa e dei dolori articolari

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Rottura della cuffia dei rotatori: dolore alla spalla, deficit di forza, diagnosi e cura

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ROTTURA CUFFIA ROTATORI SPALLA Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina.jpgTante volte nella nostra vita ci è capitato di avvertire dolore ad una o ad entrambe le spalle e di provare la sensazione di avere meno forza nei movimenti legati alle spalle. In questi casi molte volte i sintomi possono essere manifestazioni transitorie e di poca importanza, altre volte, purtroppo, possono invece essere sintomo di una patologia che riguarda la cuffia dei rotatori e che non deve essere mai sottovalutata. Ma la prima domanda che molti si saranno fatti è…

Cos’è la cuffia dei rotatori ed a che serve?

La cuffia dei rotatori è un complesso muscolo-tendineo costituito dall’insieme di quattro muscoli e dai rispettivi tendini:

  • muscolo sovraspinato, il cui tendine passa al di sotto del legamento coraco-acromiale e si inserisce sulla parte superiore della grande tuberosità omerale;
  • muscolo sottospinato, posteriore, il cui tendine si inserisce sul tubercolo maggiore dell’omero;
  • muscolo piccolo rotondo, posteriore, il cui tendine si inserisce leggermente al di sotto dell’inserzione del muscolo sottospinato;
  • muscolo sottoscapolare, anteriore, il cui tendine si inserisce sulla piccola tuberosità dell’omero.

Nel complesso la cuffia è composta da due muscoli extrarotatori (sottospinato e piccolo rotondo), un muscolo intrarotatore (sottoscapolare), e un muscolo adduttore (sovrascapolare).

A che serve la cuffia dei rotatori?

La cuffia dei rotatori si chiama in questo modo perché i grandi tendini che la compongono proteggono l’intera articolazione formando una vera e propria cuffia che avvolge la testa dell’omero; già potete intuire quindi quale sia l’importante compito di questa struttura: la contrazione tonica dei muscoli della cuffia stabilizzano la spalla impedendone la lussazione (fuoriuscita della testa omerale dalla cavità glenoidea). I tendini piuttosto vasti (circa cinque centimetri) proteggono l’intera articolazione formando una vera e propria cuffia che avvolge la parte superiore dell’omero. Tra i quattro muscoli che compongono la cuffia dei rotatori, il sovraspinato è quello che si lesiona più frequentemente. In realtà quando si parla di rottura della cuffia dei rotatori non si fa riferimento a lesioni di natura muscolare ma tendinea. Inoltre bisogna tenere ben presente che la lesione della cuffia dei rotatori è spesso associata a lesione del capo lungo del muscolo bicipite, attivo durante la flessione e l’abduzione della spalla. La borsite sub-acromiale invece, è un infiammazione dell’omonima borsa e anch’essa può essere un’importante causa di dolore alla spalla. Si tratta in sostanza di un piccolo sacchetto ripieno di liquido posto sotto l’acromion della scapola per impedire lesioni da sfregamento della cuffia dei rotatori sull’osso.
Quando questa borsa si infiamma (a causa di un trauma o di uso eccessivo) va a comprimere le strutture tendinee comprese nello spazio sotto-acromiale favorendone la degenerazione.

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Quali sono i sintomi della lesione della cuffia dei rotatori?

Il tipo di ferita può variare da un’infiammazione tendinea locale, senza alcun danno permanente, ad una lesione parziale o completa che potrebbe richiedere l’intervento di riparazione chirurgica. In entrambi i casi si registrerà un deficit più o meno marcato nella forza di abduzione del braccio (cioè il movimento di allontanare il braccio dal corpo). In particolare il soggetto faticherà a mantenere il braccio sollevato lateralmente tra i 60° ed i 120°. Un apposito test per diagnosticare la lesione della cuffia dei rotatori andrà proprio a testare la risposta muscolare del paziente in questi angoli di movimento. Oltre al dolore, che spesso si accentua durante il riposo notturno, e deficit della forza durante movimenti specifici, i pazienti spesso lamentano difficoltà e dolore legati ai normali movimenti della vita quotidiana, come la pettinatura dei capelli, il riposo notturno su un fianco, l’infilare la manica della giacca o l’allacciamento del reggiseno.

Leggi anche: Come viene effettuata una ecografia articolare (muscolo tendinea) ed a cosa serve?

Quali sono le cause di lesione della cuffia dei rotatori?

Tra i 60° ed i 120° di abduzione, lo spazio tra la testa dell’omero e l’acromion della scapola nel quale decorre il tendine del muscolo sovraspinato si riduce notevolmente. Per questo motivo movimenti frequenti in questo range articolare possono causare a lungo andare infiammazione e/o degenerazione del tendine del sovraspinato. Non a caso la lesione solitamente interessa il tendine in un’area ben precisa che si trova a circa un centimetro di distanza dalla sua inserzione sull’omero (trochite). Questa zona è piuttosto ricca di capillari che servono a fornire al tendine l’ossigeno ed i nutrienti. Già in condizioni normali, con l’invecchiamento e il disuso, l’afflusso di sangue al tendine si riduce, diminuendone l’elasticità ed aumentandone la fragilità. Ma se il braccio lavora proprio tra i 60 ed i 120°, l’apporto di sangue al tendine si riduce ulteriormente a causa della riduzione dello spazio tra la testa omerale e l’acromion. Questa compressione va ad intrappolare ed ostruire parzialmente i vasi sanguigni aumentando considerevolmente il rischio di lesione. Questo meccanismo è ancora più evidente se al disuso segue un improvviso uso esagerato e/o prolungato (sollevare carichi pesanti, tagliare la siepe, imbiancare il soffitto, lavare i vetri, movimenti bruschi ecc.). Spesso nell’anziano vi è assenza di sintomatologia dolorosa o questa è molto lieve nonostante la lesione.

Nello sport invece tali lesioni si verificano più frequentemente in discipline che prevedono movimenti ripetitivi che richiedono una abduzione associata ad extrarotazione del braccio (baseball, lancio del giavellotto, tennis, pallavolo, alcune specialità del nuoto, a volte la pallacanestro). L’uso ripetitivo dei tendini può infatti condurre ad un loro significativo ispessimento riducendo ancor di più lo spazio subacromiale. Nei giovani un singolo movimento particolarmente violento, può andare a ledere uno o più tendini già compromessi dall’utilizzo eccessivo.

Nelle persone sedentarie, alcuni difetti posturali associati ad attività lavorative che impongono posizioni viziate, possono causare a lungo andare un aumento della cifosi dorsale (incurvamento in avanti del tratto toracico della colonna vertebrale). Tale vizio di posizione, che genera quella che volgarmente viene chiamata gobba, proietta in avanti le spalle sottoponendo la cuffia dei rotatori a tensioni eccessive. Non a caso il dolore alla spalla rappresenta la seconda causa più frequente di assenteismo dal lavoro dopo la  lombalgia.

L’indebolimento delle strutture tendinee che compongono la cuffia dei rotatori aumenta, a lungo andare, l’instabilità dell’intera spalla favorendo la risalita verso l’alto della testa omerale. Questa risalita diminuisce ulteriormente lo spazio a disposizione dei tendini causando dolore. Se la condizione cronicizza si parla di “Sindrome da conflitto” proprio per indicare “l’intrappolamento” dei tessuti molli nello spazio subacromiale. Negli anziani la sindrome da conflitto è piuttosto frequente e causata dalla perdita di elasticità dei tendini associata ad una loro parziale calcificazione e alla presenza di piccoli speroni ossei nella superficie subacromiale.

Una lesione dei tendini di uno o più muscoli che compongono la cuffia dei rotatori può avvenire anche a causa di un trauma (caduta sulla spalla) o di una borsite sub-acromiale. Quando una persona cade sbattendo la spalla, l’acromion subisce una pressione che lo fa picchiare sulla cuffia dei rotatori. Se l’impatto è abbastanza violento l’osso può ledere i tendini. L’entità del trauma, la forma della superficie inferiore dell’acromion (più o meno tagliente; acromion uncinato), ma anche l’elasticità dei muscoli e dei tendini che compongono la cuffia dei rotatori, andranno ad incidere sull’entità della lesione (completa o parziale). Anche una caduta all’indietro in appoggio su un braccio extrarotazione (istintivamente con la mano in fuori in modo da creare un punto di appoggio per proteggere il resto del corpo) o in avanti, su un braccio intraruotato e addotto (cioè vicino al corpo) può andare a lussare anteriormente o posteriormente la spalla danneggiando i tendini della cuffia. Spesso a tale lesione si associa una rottura dei capillari tendinei che riempiendo di sangue i tessuti intorno ai tendini, li gonfiano provocando dolore. Dopo il trauma il dolore può persistere per alcuni mesi accentuandosi o diminuendo in base al tipo e all’intensità dell’attività fisica praticata.

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Diagnosi

Molto spesso per far diagnosi basta una visita accurata da un medico esperto, che sottopone la spalla ad alcuni test di valutazione funzionale.

  • Test della cuffia dei rotatori: In realtà il test diagnostica una lesione del sovraspinato, ma questo tendine è di gran lunga il più frequentemente implicato in una lesione; ad ogni modo il paziente viene invitato a sollevare lateralmente il braccio (tenendolo lievemente in avanti ) con il pollice rivolto verso il basso. Il medico contrasta il movimento spingendo verso il basso. Il test è positivo se viene provocato dolore o se c’è una importante perdita di forza rispetto all’altro braccio. Se il tendine è completamente leso sarà impossibile mantenere il braccio fermo con una inclinazione inferiore a 120°.
  • Test del sottospinato: Si tiene il gomito flesso a 90°, e lo punta verso il fianco. Il test consiste nel ruotare verso l’esterno il braccio. Anche qui se vi è dolore o deficit di forza il test è positivo. (il test è positivo anche in caso di lesioni del piccolo rotondo).
  • Test del sottoscapolare: Il dorso della mano deve appoggiare sulla parte bassa della schiena, come ad infilare la manica di una giacca. Bisogna riuscire ad allontanare la mano dalla schiena spingendo verso l’indietro mentre il medico oppone resistenza. Il dolore o il deficit di forza denunciano lesione.
  • Test di conflitto (di Neer): Indica conflitto con la superficie inferiore dell’acromion. Bisogna sollevare in avanti il braccio (tenendo il pollice verso il basso), mentre la scapola viene tenuta ferma dalla mano del medico. Il dolore nella parte finale del movimento indica positività.

Le più importanti indagini strumentali sono:

  • Radiologia tradizionale: I normali raggi X non sono in grado di visualizzare chiaramente i tendini, ma solo di dare una indicazione indiretta del loro stato di salute (calcificazioni, restringimenti articolari, osteofiti etc.).
  • Ecografia: Visualizza con molta accuratezza le lesioni tendinee e danni alla borsa subacromiale.
  • Risonanza magnetica: localizza con precisione la lesione e la sua estensione.

In ogni caso il ricorso ad indagini strumentali avverrà solo su richiesta di un medico esperto, onde evitare spese e irradiazioni inutili (radiologia tradizionale), mentre la diagnosi, lungi dall’essere solo una diagnostica per immagini, dovrà tener conto della esatta interpretazione dei test di valutazione funzionale eseguiti durante la visita.

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Terapia non chirurgica

Se ci colpisce un dolore alla spalla in conseguenza di una caduta o di un movimento: applicare del ghiaccio (2-3 volte al giorno per 20 minuti: NON DI PIU’ per i primi 2 giorni), e mettere a riposo l’articolazione. Se il dolore è particolarmente accentuato e se limita in modo importante i movimenti e soprattutto se i sintomi non scompaiono dopo qualche giorno consultare lo specialista, il quale dopo una attenta diagnosi prescriverà la terapia adeguata. Molto utile la Tecarterapia, nelle fasi acute in modalità atermica, poi via via sempre più intensa. Così come utili, nelle fasi acute, gli ultrasuoni: un intelligente connubio tra ultrasuoni e crioterapia. Eccellenti le Onde d’urto sia in fase acuta, sia, ancor più, in tempi successivi. Essenziale e complementare a tutte le altre è la Rieducazione Funzionale in sala di riabilitazione, consiste in ginnastica attiva e passiva sotto la guida vigile del medico e del fisioterapista; se possibile aiutata da un sapiente “Pompage” dell’articolazione.

Terapia chirurgica

Vi sono due categorie di interventi chirurgici. In passato esisteva solo la metodica “aperta”, che richiede una incisione sulla spalla lunga circa 6-8 cm. Per raggiungere la cuffia è necessario passare attraverso il muscolo deltoide, che perciò viene inciso e alla fine suturato. Da oltre venti anni si sono sviluppate le metodiche artroscopiche, che utilizzano un sofisticato sistema basato su una piccola telecamera collegata ad uno schermo mediante fibre ottiche. Sono necessarie alcune piccole incisioni da 0,5-1 cm dietro, di lato e davanti alla spalla e non è necessario “aprire” il deltoide. I progressi di tecnica chirurgica e di tecnologia degli strumenti hanno fatto sì che anche in artroscopia si possano eseguire reinserzioni del tendine all’osso altrettanto sicure quanto quelle che si ottengono in chirurgia aperta.
Sebbene i tempi necessari per il recupero e i risultati delle riparazioni con tecniche aperte e artroscopiche siano uguali, queste ultime hanno guadagnato via via il favore dei chirurghi e dei pazienti e attualmente rappresentano lo “standard” della chirurgia della cuffia.
L’obiettivo dell’intervento di riparazione è di riportare il lembo di tendine strappato alla sua sede di inserzione all’osso della testa omerale e fissarvelo. Per far questo esistono diversi sistemi di ancoraggio, i più comuni sono rappresentati da “ancorette” di vari materiali che si avvitano o si impiantano a pressione nell’osso e a cui sono attaccati dei fili con i quali si sutura e si riporta in sede il tendine.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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