Raid liquido antizanzare: funziona? E’ nocivo? Le istruzioni per usarlo al meglio

MEDICINA ONLINE RAID LIQUIDO ANTIZANZARE FUNZIONA DAVVERO ZANZARA INSETTO TIGRE MALARIA VETTORE SANGUE SUCCHIA FEMMINE NOCIVO CHIMICA TOSSICO ISTRUZIONI FUNZIONAMENTO UCCIDE ESTATE CALDO UMIDO NOTTE TIMER 3 INTENSITA.jpgArriva l’estate, con le sue placide e calde notti, e purtroppo arrivano anche le terribili zanzare, ogni anno più agguerrite che mai. Non si scampa alla loro presenza molesta e alla loro famelica puntura.
Arrivano dopo il tramonto, e infestano le case, magari quelle prese in affitto per le vacanze al mare; si annidano dietro le tende, vicino ai punti luce, come lampade e abat-jour, e tra le piante che abbelliscono le nostre terrazze. Nascoste e pronte e colpire…

Ma se il solo pensiero del loro ronzio così fastidiosamente familiare vi genera ansia, se l’idea di trascorrere le notti estive a “stanarle” con la paletta in mano vi terrorizza, allora sappiate che l’arma a vostra disposizione è stata creata: si chiama RAID Liquido.
Prodotto da SC Johnson, questo prodotto repellente vi garantisce notti di tranquillità senza neppure l’ombra di una zanzara, semplicemente attaccando alla presa di corrente degli ambienti dove sostate più a lungo (camera da letto inclusa) il pratico fornelletto con la ricarica. Del tutto innocuo per l’uomo, ma letale per gli odiati insetti infestanti, che siano zanzare tigre o di altra specie, RAID Liquido è inodore, ed elimina sia le zanzare che vedi sia quelle che non riesci a vedere.

Niente più antiestetici bozzi arrossati a rovinare la vostra perfetta tintarella, né fastidiosi pruriti. RAID Liquido garantisce 30 notti di pace, ma una volta esaurito il suo effetto potete sostituirlo con un’altra ricarica da 45 notti. State partendo per le vacanze? Portatevelo dietro, è davvero poco ingombrante. Se poi le vostre ferie sono belle lunghe, oppure contate di restare in città e volete essere sicuri di trascorrere l’intera stagione al riparo dalle zanzare, potete acquistare la conveniente doppia confezione (due ricariche per un totale di 90 notti di protezione). Per un utilizzo corretto, dopo averlo inserito per qualche ora con finestre e porte chiuse, arieggiate la stanza prima di tornare a soggiornarvi, il prodotto continuerà a fare effetto comunque.

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La ricarica Raid liquido può essere acquistata in offerta qui: https://amzn.to/3QTOgNv

Prodotti per allontanare le zanzare

Non ne potete più delle zanzare? Personalmente io non le sopporto… Di seguito vi riporto una lista di altri prodotti estremamente efficaci, scelti e testati personalmente da me e dal mio Staff, per neutralizzare le zanzare, le mosche ed altri insetti fastidiosi:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Atto di forza – Total Recall (1990): trama e recensione del film

MEDICINA ONLINE FILM  ATTO DI FORZA TOTAL RECALL 1990 TRAMA RECENSIONE CINEMA.jpgUn film di Paul Verhoeven, con Arnold Schwarzenegger, Rachel Ticotin, Sharon Stone, Ronny Cox, Michael Ironside. Titolo originale: Total Recall. Fantascienza, durata 113 min. – USA 1990.

Ispirato dal racconto breve Ricordiamo per voi dello scrittore di culto Philip K. DickAtto di forza viene riportato sul grande schermo in modo straordinario dal regista olandese Paul Verhoven nel 1990 che, a distanza di soli tre anni dal film del 1987 Robocop, torna dietro la cinepresa per eseguire magistralmente un’altra cruenta avventura fantascientifica.

Anno 2084. Doug Quaid (Arnold Schwarzenegger) è un uomo comune, salvo qualche chilo di muscoli non tanto comuni, che sogna continuamente Marte. Sua moglie Lori (Sharon Stone) sembra non dare credito alle attività oniriche del proprio caro, così Doug si rivolge all’agenzia di viaggi virtuali Recall per provare l’esperienza di un fittizio ricordo di Marte. Durante l’innesto del ricordo però Quaid si risveglia improvvisamente convinto di essere un agente segreto, aggredisce il personale e scappa via. Una volta tornato alla propria abitazione viene violentemente aggredito dalla presunta moglie che in realtà si rivela essere a sua volta un agente sotto copertura con l’incarico di sorvegliarlo. L’uomo, una volta fuggito, riesce finalmente a raggiungere Marte dove incontra Melina (Rachel Ticotin), la donna che in modo ricorrente affollava i suoi sogni passati. Fra realtà e finzione, umani, mutanti e cospirazioni congeniate, Doug Quaid scoprirà di essere l’agente Hauser cercando così di prendere una giusta posizione nel conflitto.

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Realtà o…

I temi principali di Dick già analizzati ne Il cacciatore di androidi vengono nuovamente esposti in questo racconto: identità violate, percezione extrasensoriali, ricordi veri o indotti artificialmente. A questo subentra la bravura del regista, capace di lasciare il giusto spazio alla riflessione senza perdere di vista l’azione. Ed è proprio questo elemento unito agli ottimi effetti speciali a rendere il film scorrevole e godibile. Successivamente tali effetti hanno portato al raggiungimento di un Oscar Speciale nel settore tecnico nonché a creare un’esperienza visiva estrema, violenta, raccapricciante ma indispensabile.

Viaggio nell’ego

Lo spettatore – a lungo durante il film – non sa decidersi se quanto sta accadendo sia il viaggio nell’ego voluto dal protagonista o la sua avventura reale – un’avventura che si imprigiona e si snoda, nella migliore tradizione del film di azione, tra inseguimenti, sparatorie e disvelarsi dei personaggi. Un film stimolante, da vedere almeno due volte per apprezzarlo appieno. Un film che fa riflettere anche: dopo averci mostrato la città del futuro con i suoi comfort (gli schermi televisivi a parete, gli ologrammi per intrattenimento, i simpatici e cortesi robot taxi) ed i suoi lati oscuri (i quartieri bui, la violenza diffusa, la manipolazione delle coscienze) presenta nella colonia marziana una suggestiva riproposta futuribile delle ambite esotiche mete turistiche odierne – dalla Tunisia a Rio De Janeiro, dove – sotto il perenne controllo delle forze dell’ordine – accanto ai quartieri destinati ai “villeggianti facoltosi” convive la miseria della massa degli emarginati – nel caso specifico, dei coloni sfigurati dalle radiazioni, quasi fenomeni da baraccone per turisti in cerca di forti emozioni.

Film cult

Grazie ad una struttura a scatole cinesi, Atto di Forza è una suggestivo racconto narrativo – esplosivo. Paul Verhoven a differenza del romanzo, racconta la storia aumentandone i toni violenti, sottolineando le possibilità di un futuro artificiale, dove dei bei ricordi possono essere impiantati a pagamento e dove il povero attuale è diventato il mutante costretto a rimanere sotto terra per sopravvivere. Fino alle ultime battute il regista lascia il giusto spazio riflessivo allo spettatore, che si impersonifica nel protagonista domandandosi come lui su quale sia il vero confine fra sogno e realtà. 113 minuti di puro cult palpitante per un fanta-thriller pregno di contenuti che, grazie ai continui alleggerimenti grotteschi e talvolta erotici, non annoia mai mostrandoci uno dei migliori film sviluppati sul proibitivo pianeta rosso.

Remake

Nel 2012 ne è stato fatto un remake da Len Wiseman con Kate Beckinsale, Colin Farrell e Jessica Biel, ma al contrario di quello originale, secondo noi è da dimenticare. Due ore di azione, senza l’ironia di Arnold Schwarzenegger e con effetti speciali che – paradossalmente – sembrano più vecchi dell’originale di 22 anni prima, oltre alla presenza veramente troppo ingombrante della Beckinsale (forse perché sposata col regista?). Atto di forza, quello con Arnold, invece è assolutamente da vedere e rivedere!

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Enemy (2013): trama, recensione e spiegazione del film

MEDICINA ONLINE Un film di Denis Villeneuve. Con Jake Gyllenhaal, Mélanie Laurent, Isabella Rossellini, Sarah Gadon, Stephen R. Hart. Thriller psicologico, durata 90 min. - Canada, Spagna 2013.jpgUn film di Denis Villeneuve. Con Jake Gyllenhaal, Mélanie Laurent, Isabella Rossellini, Sarah Gadon, Stephen R. Hart. Thriller psicologico, durata 90 min. – Canada, Spagna 2013

Trama senza spoiler

Un inquieto ed insignificante insegnate di storia si imbatte nel suo perfetto doppione, notato casualmente nel ruolo di comparsa in un film. Dopo essersi incontrati, le vite di entrambi si avviano verso un tortuoso e terrificante incubo.

Recensione senza spoiler

Ciò che avviene per il resto del film è abbastanza enigmatico e di non facile interpretazione. Come se non bastasse, l’ultima scena arriva come un fulmine a ciel sereno: definito come “the scariest ending of any movie ever made”, il finale è di certo uno dei più grandi shock cinematografici di sempre. Non parlo del classico colpo di scena in cui, con una spiegazione sorprendente, si risolve il mistero, anzi. La situazione si complica ulteriormente, lasciando il pubblico in balia di uno dei più criptici ed inquietanti enigmi di sempre. Premetto che non si tratta di un giallo, piuttosto di un thriller psicologico: non ci sono assassini o omicidi, qui il mistero è tutto mentale. Seguendo la scia di Cronenberg, Lynch e perfino Kubrick (la scena iniziale richiama Eyes Wide Shut), Denis Villeneuve torna alla regia dopo l’acclamato “Prisoners” realizzando un film dalle tinte seppia, molto fosche e buie (sopratutto negli interni). Girato in una Toronto spettrale e solitaria (spesso immersa nella nebbia), Enemy vanta un’atmosfera angosciante e onirica di prima categoria, sostenuta da una regia davvero eccellente e da una colonna sonora sempre pronta a mantenere viva la tensione.
Nonostante il film tragga grande giovamento dalle performance di Isabella Rossellini (una delle muse di Lynch), Sarah Gadon (una delle muse di Cronenberg) e Melanie Laurent, quella che si fa davvero notare è la versatile ed indiscutibile bravura recitativa di Jake Gyllenhaal, interprete dei due antitetici personaggi principali di Adam e Anthony.

Spiegazione con spoiler

Prima di tornare al finale, è indispensabile parlare del rapporto tra i due protagonisti: quello che è sicuro (gli indizi seminati sono parecchi) è che si tratti della stessa persona. Uno dei due è la proiezione mentale dell’altro, ma quale sia “reale” e quale sia la proiezione è difficile da capire. Lo sdoppiamento psicotico da cui è affetto il personaggio di Adam/Anthony è un prodotto naturale della sua indole repressa.
Gran parte delle scene del film avvengono in realtà nel subconscio del protagonista: gli sporadici confronti tra Adam e Anthony sono da interpretare come “guerre” tra le due fazioni in cui è divisa la sua personalità (eco freudiana della teoria dell’Io, Super-Io ed Es). L’intera pellicola può essere vista come la battaglia mentale di un individuo in lotta con il suo “lato oscuro” (col suo “nemico” da cui il titolo del film), al fine di responsabilizzarsi verso gli obblighi sociali che gli spettano (la fedeltà alla moglie e i doveri di futuro padre). L’ultima scena conferma l’importanza simbolica del “ragno”, elemento ricorrente in tutto il film: lo vediamo uscire dal piatto d’argento nella sequenza iniziale, la donna nuda con la testa da ragno nell’incubo del protagonista Adam, il mastodontico aracnide che sovrasta la città, i cavi elettrici del tram e il vetro della macchina dopo l’incidente paragonati a ragnatele. E la tarantola alla fine.

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La teoria dei ragni reali

In parecchi sono dell’idea che i ragni siano effettivamente reali e non frutto dell’immaginazione contorta dei due protagonisti. Essendo l’uomo moderno distratto dal sesso e dalle pulsioni erotiche, gli aracnidi avrebbero sfruttato questa noncuranza per agire indisturbati, pianificando una silenziosa “invasione ultracorporea” che si realizza pienamente nella scena finale. Nonostante trovi solide fondamenta sul discorso che Adam tiene in classe riguardo ai totalitarismi nell’era antica, basati su un controllo delle menti instaurato tramite il famoso “panem et circensem” (che nell’era moderna è il proprio il sesso), questa prima teoria risulta troppo pretenziosa e fantascientifica, nonostante debba ammettere che riserva un certo fascino.

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Ragni come metafora del controllo sociale

Un’altra interpretazione (con cui mi trovo in sintonia perché decisamente più plausibile) è quella allegorica: la presenza dei ragni è la metafora del totalitarismo che a cui è soggetto l’individuo moderno, intrappolato in una ragnatela inconscia di ossessioni e frustrazioni. Non abbiamo aracnidi reali, bensì simboli psicanalitici desunti dagli incubi/visioni di Adam. Sia quest’ultimo che Anthony, il suo doppio, vivono un’esistenza frustata, soggetti ad un eccessivo controllo di loro stessi che li porta a voler evadere dalla routine: Adam sogna di fare l’attore (attenzione a questo particolare e alla scena con la Rossellini) perché lo annoia la vita da insegnante, Anthony persegue l’adulterio perché si sente oppresso dal matrimonio e terrorizzato dall’idea di avere una famiglia. I ruoli generalmente imposti dalla società in cui i due protagonisti sono confinati (marito, padre, lavoratore statale), vengono avvertiti come una sorta di violenza operata nei confronti di loro stessi.

Donne come ragni

A questo punto viene lecito chiedersi: se i ragni esprimono l’idea della tirannia del subconscio, chi è il vero tiranno? Chi tesse la ragnatela? La risposta è una sola: le donne, ecco cosa rappresentano davvero i ragni. Il protagonista teme la figura femminile, non riesce a stabilire con lei un rapporto intimo che sia fedele o duraturo e punisce se stesso per questo. La donna intrappola il protagonista nella ragnatela del matrimonio, della fedeltà, della paternità ma il personaggio di Adam/Anthony non è in grado di sostenere la responsabilità di tali obblighi. Dopo l’apparente riconciliazione finale, Adam trova la chiave che apre la porta del sex club (luogo di tentazione per eccellenza) in cui Anthony era stato all’inizio, manifestando il desiderio di volerci tornare lasciando di nuovo la moglie sola a casa. La donna non risponde, Adam entra nella stanza di lei è il ragno che gli impedisce il tradimento. Ciò non solo da conferma alla suddetta interpretazione della figura del ragno, ma spiega anche un’affermazione di Adam durante la lezione di storia: i totalitarismi sono un circolo che si ripete di continuo. Trovando la chiave, Adam ricade nel baratro della tentazione da cui credeva di essersi salvato sconfiggendo il suo “lato oscuro”. Ma a questo punto ci potremmo chiedere: il vero “nemico” del titolo è il lato oscuro dell’uomo o è la donna?

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Spiegazione in sintesi

Quello che avete visto è una trasposizione allegorica di ciò che avviene nella psiche di Adam. Non sta avvenendo veramente. Adam Bell è un docente di storia, vive da solo, ha una ragazza di nome Mary con cui ha una storia non stabile. In passato ha provato a fare l’attore, qualche comparsata in commedie da quattro soldi, nulla più. Si faceva chiamare David Saint Claire, ma il suo vero nome era Anthony. Adam ed Anthony sono la stessa persona. Anthony è il passato di Adam. Un passato rimosso che ritorna. Anthony aveva una moglie di nome Hellen, in attesa di un figlio. La tradiva partecipando a degli strani incontri orgiastici. Adam ritrova Anthony grazie ad una battuta del collega che lo invita a vedere un film in cui lui ha recitato da comparsa. Adam all’inizio è curioso, poi capisce che Anthony è la versione di sé del passato, quella vitale, libera, egocentrica, e decide di fuggire, si rende conto che è stato un errore rievocarla. Tuttavia Anthony vive dentro Adam, è una parte importante di sé, pertanto non sarà così facile farla tornare indietro. Anthony chiede ad Adam una notte di sesso con Mary, poi sparirà per sempre dalla sua vita. Adam invece si concede un ritorno nel passato, un modo per rivedere Hellen e chiederle scusa per il modo in cui ha fatto finire il loro matrimonio. In mezzo a tutto ciò vediamo ragni. Ragni all’inizio, ragni sul cielo di Toronto, ragni nel finale. I ragni rappresentano il controllo della società sugli esseri umani, che sono simboleggiate dalle donne e dal matrimonio. Nella scena iniziale Anthony/Adam vede una prostituta che schiaccia un ragno, è il segno che in quel momento la sua vitalità e la sua voglia di evadere da una vita piatta sta prendendo il sopravvento sul conformismo sociale. Un grande ragno nel cielo dimostra che il controllo agisce in maniera globale oltre che privato. Alla fine lo scambio di ruoli ha un esito tragico: Anthony, l’Adam del passato, ha una brusca lite con Mary che termina in un incidente stradale, in cui presumibilmente entrambi perdono la vita. Adam invece riesce a farsi perdonare da Hellen, la quale gli chiede di restare così, di restare con lei in quella sua versione, pacifica, controllata, conforme. Adam accetta, è tornato indietro nel tempo e decide di dedicarsi a Hellen, per una notte. La mattina seguente, al risveglio, trova l’invito per una di quelle feste orgiastiche a cui prendeva parte in passato. Avvisa Hellen che quella sera uscirà, deciso a partecipare ancora a quegli strani rituali a base di sesso. Hellen non risponde. Adam torna in camera e scopre che è diventata un ragno. Questo significa che Adam non è mai cambiato. Adam diventa Anthony, cioè un uomo infedele, instabile, bugiardo, nel momento in cui si trova sotto il controllo, il “ragno”, di una vita coniugale che lo annoia. Hellen, personificazione del matrimonio, è il ragno da cui Adam prova a fuggire, tornando ad essere Anthony, finalmente libero da vincoli.

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La scoperta (2017): trama, recensione e spiegazione del film

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Probabilmente è ancora presto per parlare di un vero e proprio “filone”, ma è indubbio che ultimamente la fantascienza indie americana sia caratterizzata da precise idee ricorrenti e da una matrice comune, che restituisce alla science fiction la sua dimensione più psicologica e anti-spettacolare: un assunto speculativo di natura fantascientifica genera un dramma, e questo avviene perché tale assunto rispecchia ansie e timori del nostro presente. Questo film conferma l’interesse di Netflix per queste tendenze off-Hollywood, e incarna molti tòpoi della sci-fi indipendente americana, a partire dall’ossessione di indagare il sovrasensibile – ed eventualmente giustificarlo – attraverso la scienza. Lo abbiamo già visto nell’interessante “I, Origins” e nella serie The OA, ma qui il discorso si fa ancor più radicale.

Trama senza spoiler

Al centro della trama c’è lo scienziato Thomas Harbor (un Robert Redford ancora in forma), che dimostra l’esistenza dell’aldilà grazie a una macchina che cattura la lunghezza delle onde cerebrali a livello subatomico, osservandone l’abbandono del corpo durante la morte. Oltre la vita ci sarebbe quindi un altro piano dell’esistenza (il paradiso?) e questa consapevolezza scatena un’ondata di suicidi da parte di uomini e donne che non vedono l’ora di raggiungere questo secondo livello di esistenza. Addirittura una malattia terminale diventa una buona notizia, perché l’aldilà ci attende dopo il nostro ultimo battito cardiaco. Il figlio maggiore di Thomas, il neurochirurgo Will (Jason Segel), non approva gli studi del genitore, che nel frattempo ha fondato un istituto per accogliere ed assistere gli aspiranti suicidi. Will, in visita da suo padre e da suo fratello Toby (Jesse Plemons), s’imbatte nella tormentata Isla (Rooney Mara), e la salva da un tentato suicidio nelle acque dell’oceano. Fra di loro nasce una complessa storia d’amore, mentre Thomas sperimenta un dispositivo che registra l’esperienza dei defunti nell’aldilà, e dovrebbe quindi mostrare ciò che vedono dopo la morte. Quello che il dispositivo permetterà di vedere, lascerà il neurochirurgo senza parole.

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Fantascienza, non religione

Il paradosso di esplorare l’ultraterreno con metodi scientifici può sembrare moralmente ambiguo (quante volte la pseudo-scienza ha tentato di giustificare antiche superstizioni?), ma il regista Charlie McDowell e il co-sceneggiatore Justin Lader hanno l’accortezza – dal mio punto di vista quasi essenziale in un film di questo tipo – di escludere ogni sfumatura divina, affidandosi esclusivamente alle speculazioni della scienza/fantascienza: non si parla infatti di un aldilà religioso, ma di un secondo livello di percezione delle cose da parte del nostro sistema nervoso. Niente angeli, luci in fondo al tunnel o santi ad aspettarci dall’altra parte, ma solo un secondo piano di realtà…

ATTENZIONE SPOILER

…una realtà alternativa che gioca con il concetto dei loop temporali e con le infinite diramazioni dei mondi paralleli. Il film ci dice che nel cosiddetto “paradiso” ogni individuo genera, laicamente, il proprio aldilà, basato sui rimpianti della sua vita passata e sul desiderio che ognuno ha, di poter correggere gli errori fatti in vita. L’idea è molto incisiva, anche perché insiste su risvolti fantascientifici più che sovrannaturali, senza propinarci una razionalizzazione di principi religiosi preesistenti.

FINE SPOILER

L’approccio intimista e le implicazioni romantiche, tipici di molta sci-fi indipendente, focalizzano l’attenzione sulla vicenda privata più che sullo scenario globale, mediamente trascurato se si escludono gli sporadici accenni ai suicidi di massa. Certo, rispetto al precedente “The One I Love” manca l’analisi entomologica del rapporto amoroso, qui ritratto senza particolari giustificazioni, soprattutto se consideriamo l’atteggiamento contraddittorio di Isla. Anche diversi snodi narrativi appaiono inverosimili, eppure il finale riesce a giustificarne l’assurdità per mezzo di un “ribaltamento” piuttosto canonico, seppure inaspettato: la sovrapposizione di piani alternativi stravolge il punto di vista sulla vicenda, ma risulta un po’ frettoloso e didascalico, relegato ai minuti conclusivi senza il supporto di un climax adeguato. È qui che “La scoperta” rivela il suo lato più fragile: McDowell sembra compiacersi dei principali cliché del cinema indie, e li nutre con dialoghi sussurrati, tecnologia retro-futuristica e un personaggio femminile che risponde a tutti i requisiti della categoria, con la sua personalità sfuggente e provocatoria. La rappresentazione dei tòpoi in una realtà parallela potrebbe denudarne l’artificiosità, ma questa lettura metanarrativa non regge alla prova dell’epilogo, dove il regista prende chiaramente sul serio gli strascichi emotivi della storia. Così, persino il brusco taglio di montaggio sul nero dei titoli di coda (altrove molto suggestivo: si pensi a Donnie Darko), appare qui un semplice manierismo, sin troppo prevedibile per coinvolgere davvero. Restano l’ottima idea del ragionare su quello che accadrebbe scoprendo con sicurezza che la morte non è la fine, e la sobrietà della messinscena, tutta concepita per sottrazione, ma l’impressione di assistere a un bigino della fantascienza indie è piuttosto forte. A conti fatti però a me è piaciuto, da vedere almeno una volta (o anche due per capirlo meglio!) specie se siete appassionati di fantascienza umana, quella senza esplosioni o alieni che invadono la terra, ma con una sfumatura di mondi paralleli per certi versi in stile “Moon“, che in un film di fantascienza non è mai fuori posto.

Spiegazione del finale (ovviamente spoiler)

Il protagonista, il neurologo Will, è già morto quando la storia inizia. Tutto quello che accade durante la narrazione del film non è reale, bensì è semplicemente una delle molte realtà alternative in cui è entrata la mente di Will dopo la sua morte.

La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo

Virginia Woolf

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Enter the Void (2009): trama, recensione e spiegazione del finale

MEDICINA ONLINE ENTER THE VOID 2009 GASPAR NOE TRAMA RECENSIONE SPIEGAZIONE FINALE PAZ DE LA HUERTA BROWN.jpgUn film di Gaspar Noé. Con Nathaniel Brown, Paz de la Huerta, Cyril Roy, Olly Alexander, Masato Tanno. Drammatico, durata 154 min. – Francia, Germania, Italia 2009

Trama
Oscar e la sorella Linda, orfani di padre e madre vivono da qualche tempo in un micro-appartamento a Tokyo e tirano avanti spacciando droga lui, e ballando in uno strip club lei. La loro situazione sembra alquanto problematica ma ciò che davvero conta è di esserci l’uno per l’altra. La sorte dei due ragazzi verrà stravolta una notte, quando carico di droga da smerciare, Oscar viene attirato per vendetta in un’imboscata ed ucciso da agenti di polizia dal grilletto troppo facile. Benché il trip surrealistico fosse già cominciato precedentemente, a causa dello sballo del protagonista fin dall’inizio del film, il vero viaggio australe inizia solo ora, cioè quando l’anima (o qualunque cosa sia) di Oscar si stacca dalle sue spoglie mortali e comincia a fluttuare per una sempre più vacua ed eterea Tokyo, così tramite lo sguardo onnipresente di questa entità, continuiamo a seguire le vicende degli altri personaggi, in particolare della sorella Linda.

Il balcone, stacci lontano. Tieni gli occhi aperti. Mi sta scoppiando la testa

Recensione
Rare volte nella storia del cinema si sono visti film talmente all’avanguardia e tanto coraggiosi da lasciare gli spettatori sbigottiti e deliziosamente confusi. Ebbene, anche se non raggiunge la grandezza delle opere più visionarie di Kubrick o Lynch, Enter the Void dell’argentino Gaspar Noé merita senza dubbio un posticino tra le avanguardie più coraggiose, perché di coraggio, questa pellicola, ne ha davvero da vendere. Quasi due ore e mezza per la maggior parte raccontate in modalità prima persona, al fine di far immedesimare lo spettatore con il protagonista Oscar, da quando vede i genitori mentre fanno sesso fino a quando vola dentro e fuori l’hotel “Love” (chiamato come uno dei successivi film di Noé).
Oscar lo vedremo in faccia pressoché unicamente quando si trova di fronte allo specchio, le altre volte o vediamo attraverso i suoi occhi o osserveremo la sua nuca. Ma questa non è certo la caratteristica più fulminante del film, ciò che veramente lascia senza parole è l’enorme lavoro artistico di tinte, colori, neon, riflessi e radiazioni luminose al limite dell’attacco epilettico che sommergono e stordiscono senza scampo lo spettatore per l’intera durata della vicenda, creando un vero e proprio viaggio sensoriale onirico eppure realistico, tra sesso esplicito, pianti di bambini disperati ricoperti dal sangue dei propri genitori e colori resi vividi dalle droghe. Impressionanti le inquadrature dall’alto, sia sulla città ipercromatica, che negli interni. Impressionante vedere la scena della “propria” morte e vedere il sangue che ci esce dal petto, mentre ci accasciamo in bagno e la nostra voce si fa sempre meno nitida. Impressionante vedere il frutto dell’aborto di Linda, e lo dico da medico. Impressionante l’ultima scena, in cui vediamo il mondo con gli occhi di un neonato. Emozionante, per il sottoscritto, sentire il “proprio” battito del cuore accelerato, fondersi con quello più lento di mia madre.

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Il libro tibetano dei morti
Il contenuto di Enter the Void non è affatto da prendere alla leggera, ciò di cui tratta, ciò a cui assisteremo durante la visione, viene esplicato in modo semplicemente geniale nei primi dieci minuti del film quando Alex, amico di Oscar, discute con lui del libro ‘The Tibetan Book of the Dead’, ovvero “Bardo Tödröl Chenmo” nel quale si parla del viaggio dell’anima dopo la morte. Oltre che una splendida esperienza surreale ed un tentativo di rappresentare ciò che avviene nell’aldilà, Enter the Void è anche un profondo ed appassionante dramma con al centro l’indissolubile legame dell’amore fraterno – diviso, poi ritrovato, poi di nuovo diviso – cullato dalle soavi note di un azzeccatissimo Bach, a volte modulato ottimamente. Un amore fraterno, velatamente incestuoso, che però fatalmente manca nella notte della morte di Oscar, perché Linda non risponde subito al telefono: in quel momento sta facendo sesso con il proprio capo, lo stesso capo che la farà in seguito abortire. Questo è un film sulle droghe usate “quasi come vitamine”, sul legame tra fratello e sorella, sull’amore. Ma più di ogni altra cosa, è un film sulla morte e su quello che potrebbe succedere a noi ed alla nostra coscienza, subito dopo l’ultimo respiro, nella nostra dimensione extracorporea. Stroncato da alcuni critici che – secondo il sottoscritto – dovrebbero davvero cambiare lavoro, io ve lo consiglio, ma solo se avete il coraggio di vedere qualcosa di diverso dal solito e siete pronti ad “entrare nel vuoto“, in una storia dove passato e presente si mischiano in modo destabilizzante.

Spiegazione del finale
Oscar, dopo la sua morte, nel finale vede Alex e Linda (sua sorella ed il suo amico), che hanno un rapporto sessuale che culmina in una gravidanza e nella nascita di un bimbo. Quel bimbo, i cui primi attimi di vita li viviamo in prima persona, è lo stesso Oscar che si è reincarnato in suo nipote.

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Trainspotting (1996): trama, recensione e curiosità del film di Danny Boyle

MEDICINA ONLINE FILM  MOVIE Trainspotting is a 1996 British black comedy directed by Danny Boyle, and starring Ewan McGregor, Ewen Bremner, Jonny Lee Miller, Kevin McKidd, Robert Carlyle, and Kelly MacdonaldUn film di Danny Boyle. Con Ewan McGregor, Robert Carlyle, Ewen Bremner, Kelly MacDonald, Jonny Lee Miller. Titolo originale Trainspotting. Drammatico, durata 115 min. – Gran Bretagna 1996.

Scegliete la buona salute, il colesterolo basso, la polizza a vita. Io ho scelto di non scegliere la vitacosì recita l’inizio dello straordinario monologo di Mark Renton, protagonista ed antieroe di Trainspotting, capolavoro visionario di ironia underground, tratto dall’omonimo splendido libro di Irvine Welsh del 1993, diretto da Danny Boyle nel 1996 e presentato fuori concorso al 49º Festival di Cannes del 1996. Ad oltre vent’anni di distanza ha avuto un seguito, T2 Trainspotting del 2017, sicuramente un fil interessante ma che ha diviso gli affezionati: l’unica certezza è che il sequel letteralmente scompare di fronte all’epicità del primo, ma di questo ci occuperemo un’altra volta.

Poche volte riportare la trama di un lungometraggio è così riduttivo come per Trainspotting: ventenne di Edimburgo, il vegetariano Mark Renton ha scelto per sé “un’onesta e sincera tossicodipendenza” in modo da non doversi preoccupare del sesso, del lavoro o dei rapporti sociali. Ha degli amici o meglio dei compari con cui rubacchiare, parlare a vuoto, bere birra e bucarsi le vene dimenticandosi del mondo attorno a loro: sono Sick Boy, tutto provocazioni e capelli ossigenati, Begbie, dalla imprevedibile violenza nonsense e alcolizzato, Tommy, che cerca di star fuori dal giro dell’eroina tenendosi in forma, e Spud, completamente fuori di testa ma forse l’unico di cui può fidarsi. Tra tentativi di disintossicazione, ricadute, corse all’ospedale ed un inatteso – improbabile – colpo che può cambiare la vita a tutti, l’irresponsabile Mark forse entrerà a far parte dell’odiata, ma rispettabile società… ma riuscirà a rimanerci dentro?

Quale migliore dichiarazione di nichilismo esistenziale e complessità concettuale: il bisticcio scegliere di non scegliere del famoso monologo di Mark denota il drammatico determinismo di fronte ad una vita e ad una società non-scelte (può bastare il conforto della buona salute, il colesterolo basso e lo scrupolo della polizza a vita?). Renton nega l’imposizione e preferisce l’eroina, come il suo amico Spud, goffo ma dall’animo candido; come Sick Boy, ossessionato dal mito di Sean Connery, del quale non perde occasione per citare i film (ironico contrappunto di conoscenza) ed il pacifico Tom, il più puro del gruppo al quale spetterà, tremenda nemesi, la sorte peggiore.

Tutto è più semplice, quando si ha un’onesta dipendenza dall’eroina. Al contrario di quanto si può credere il film non denuncia né tanto meno prende posizioni moralistiche nei confronti del mondo della droga. Basta il tema. Film realistico: non ti dice che l’eroina fa schifo, ti dice che l’eroina ti fa stare bene per un po’ ma la tua vita diventa uno schifo ed uscirne è durissima. I “giovani” sono molto meno stupidi di quello che si vuole credere ed è più facile che siano convinti a non drogarsi da un film come questo piuttosto che dal sentirsi dire le solite cose trite e ritrite su quanto la droga faccia schifo. Almeno con il sottoscritto a suo tempo funzionò così. Alla sua uscita nelle sale era stato criticato per un suo presunto compiacimento verso l’eroina e per le sue immagini crude e troppo dettagliate, quali la preparazione e somministrazione di dosi di droga. In realtà non manca la condanna, ma è espressa in maniera ellittica rispetto alle normali prassi drammaturgiche.

I chose not to choose life: I chose somethin’ else. And the reasons? There are no reasons. Who needs reasons when you’ve got heroin?

Nella casa dello spacciatore chiamato Madre Superiora (per l’età della sua dipendenza), punto di riferimento logistico di Renton e compagni, una bambina di cui si conosce la madre Alison (una delle ragazze drogate) ma non il padre, si muove a gattoni in mezzo ai drogati abbandonati tra i materassi. In seguito, contemporaneamente ad uno dei momenti in cui tutto il gruppo è alienato dall’effetto della droga, la bambina viene trovata morta nella sua culla. La cosa porta alla disperazione la madre e soprattutto Sick Boy, che si rivela essere il padre. Tutto verrà risolto con altra eroina, per cancellare tutti i dolori e le colpe. Questa scena, uno dei cardini del film, mostra la dipendenza e l’annebbiamento totale di chi gira a vuoto nel circolo vizioso di una tossicodipendenza – non solo quella dell’eroina – che porta alla colpa primigenia: l’assassinio di un figlio. Per quanto non volontario. La bimba morta appare piena di lividi, e non per caso: sembra che in una scena – poi cancellata – del film, i nostri “eroi” sotto effetto della droga, si fossero messi a giocare a calcio usando la povera bimba coma pallone

Il mondo di Trainspotting è colto nei suoi più fervidi e striscianti meandri figurativi. Esemplare è la scena di Renton che si tuffa nel lurido water di un locale per recuperare delle supposte di oppio, vendutegli dallo spacciatore Mikey Forrester, impersonificato da Irvine Welsh, l’autore del romanzo da cui è tratto il fim. Supposte che dovrebbero servire a placare i dolori dell’astinenza da eroina, visto che Mark si è messo in testa di “smettere con quella roba”. Astrazione e lirismo alludono grottescamente a un parossistico quanto teatralmente contraddittorio tentativo di salvezza: al suono di un arrangiamento della Carmen, il drogato si getta tra la sua stessa merda e manifesta una scelta diversa da quella di infilarsi l’ago in vena. La scena è tratta esplicitamente da un brano del libro di Thomas PynchonL’arcobaleno della gravità (il protagonista del romanzo si immerge nel gabinetto di un bar per recuperare la fisarmonica perduta imbattendosi in varie tipologie di escrementi di cui elabora una vera e propria tassonomia), e ciò dimostra quanto il regista abbia voluto evidenziare il canone di un tentativo di trascendenza che sfida le leggi della superficie (terrena). Mark si immerge nel mare, e nel mare si nuota, sgravati da imposizioni e condizionamenti. Il nuotatore è essere sovrano che libera il proprio corpo (persona) dai lacci del dover essere (compreso il laccio emostatico). Non c’è altra rarefazione e indipendenza per il drogato.

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Trainspotting è un film che sottende una sottile critica politica che in italiano si perde (preferibile vederlo in lingua originale: lo scozzese, non l’inglese) come se Mery per sempre di Marco Risi fosse recitato dai giovani detenuti in perfetto italiano e non in siciliano, anzi in palermitano per essere precisi. Mark ed i suoi colleghi si muovono nella Edimburgo della fine del secolo scorso. L’identità nazionale sembra non bastare a creare un tessuto sociale forte; avere come unico riferimento Sean Connery dimostra la mancanza di fondamentali modelli comportamentali. Quando Tommy passeggia con gli amici in montagna, glorificando la natura scozzese, Spud dissente dai prestigi nazionali, mentre Renton urla che…

è una merda essere scozzesi. Siamo il peggio, i più disgraziati, i più servili, patetici avanzi che siano stati cagati nella civiltà

Per la cronaca: nonostante il film sia ambientato ad Edimburgo, quasi tutte le scene sono state girate a Glasgow tranne la scena di apertura, girata realmente ad Edimburgo, e quella finale, girata a Londra. La famosissima scena di apertura che vede Renton e Spud inseguiti da due store detective è stata girata lungo Princes Street, ad Edimburgo. La scena in cui termina l’inseguimento è invece stata girata a Calton Road, sempre ad Edimburgo, vicino all’entrata posteriore della Waverley Station.

Un discorso a parte merita l’amicizia. Mark Renton chiama i suoi compagni cosiddetti amici. Misura relativa. Tommy (un giovane Kevin McKidd, ora dottor Owen Hunt in Grey’s Anatomy) cade in depressione in seguito alla rottura con la fidanzata perché una videocassetta con delle riprese dei due che fanno sesso è stata da Mark indegnamente scambiata con dei filmati di calcio; Begbie è più temuto per la sua violenza che considerato per la sua amicizia. Non c’è un vero legame tra questi ragazzi se non quello sotteso creato dalla dipendenza dalla droga. E anche quando Mark, finalmente disintossicato, scapperà a Londra per iniziare una nuova vita si ritroverà tra i piedi tutti i cosiddetti amici: saranno loro ad impedirgli un’esistenza normale ed a trascinarlo nuovamente verso l’illegalità. In Trainspotting non c’è compiacimento né romanticismo. La dipendenza dalla droga viene rappresentata come puro atto narrativo, l’ironia impedisce alla vicenda toni insistentemente drammatici, o melodrammatici. Non occorre né il disgusto né una troppa didascalica morale: i personaggi sono rappresentati, non descritti, vale la narrazione non la spiegazione.

L’eroina distrugge tutto ciò che di bello ed innocente che tocca. Si è già citata la bambina, ma è il caso di ricordare l’innocenza traviata di Tommy, si fumatore ma comunque sportivo ed in forma, che in seguito all’abbandono da parte della fidanzata decide di provare l’eroina, unico alla fine a morire di AIDS. A parte la bambina si tratta di vittime assolutamente consapevoli del loro destino: HANNO SCELTO DI NON SCEGLIERE! Ma è davvero una scelta? L’eroina non è che la triste alternativa della non-scelta.

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Curiosità sul titolo

Il titolo Trainspotting si riferisce all’episodio del paragrafo Guardando i treni alla stazione centrale di Leith, del romanzo originale di Welsh, dove Renton e Begbie vengono avvicinati da un vecchio barbone mentre stanno urinando nell’ormai dismessa stazione centrale di Leith: costui chiede loro se stanno facendo del trainspotting, ossia se fossero disoccupati che per ingannare il tempo osservano i treni in arrivo ed in partenza dalla stazione. Renton rimane interdetto perché Begbie non risponde in malo modo né malmena il barbone, come ci si potrebbe aspettare, anzi sembra addirittura in imbarazzo: solo mentre si allontanano si rende conto che l’ubriacone è il padre dell’amico.

Alcune ambientazioni:

  • Il parco dove Sick Boy e Renton discutono di James Bond, Sean Connery, e Il nome della rosa è Rouken Glen Park, nei pressi di Thornliebank. Il parco è anche stato il luogo della tomba nel precedente film di Boyle Piccoli omicidi tra amici.
  • La stazione ferroviaria di Corrour è l’ambientazione per la grande scena in esterni del film.
  • L’appartamento che Renton mostra alla giovane coppia appena riceve il lavoro di agente immobiliare, dove in seguito nasconderà Begbie e Sick Boy, si trova a Londra, a Talgarth Road numero 78A, nei pressi della North End Road, di fronte alla stazione della metropolitana di West Kensington.
  • La scena in cui riescono a vendere la droga è girata a Bayswater; quella in cui fanno la parodia di Abbey Road dei Beatles parte da Smallbrook Mews e si completa nell’attraversamento di Craven Road fino all’Hotel Royal Eagle, ancora presente ai numeri 26–30 di Craven Road a Londra.
  • La scuola frequentata da Diane è la “Jordanhill School” di Glasgow.

Canzoni famose

Una delle componenti ad aver reso celebre questa pellicola, è senza dubbio la sua azzeccatissima colonna sonora. Alcune scene ormai appaiono imprescindibili dalla musica che le accompagnano. Nell’ultima scena, quando Mark scappa con i soldi, la canzone che apre la sua fuga dal Motel è Born Slippy .NUXX degli Underworld. Per la prima scena, quella della fuga dagli agenti, invece è stato scelto la mitica Lust for Life, storico brano del cantante statunitense Iggy Pop, che viene nominato numerose volte durante il film. Nella scena in cui Mark va in overdose, la musica scelta è Perfect Day di Lou Reed.

Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l’eroina?

Il successo in Italia

Nel lontano 1996 nessuno voleva distribuire Trainspotting in sala, un film così scottante e ritenuto scomodo per l’allora mercato cinematografico italiano. Ci pensò allora una neonata casa di distribuzione, formatasi l’anno prima dalla dissoluzione della Penta Film a comprare i diritti dell’opera di Danny Boyle e a distribuirla al cinema. Dopo alcuni “colpi di mercato” di assoluto livello come Il corvo, Stargate Johnny Mnemonic, la Medusa Film, si accaparrò la distribuzione italiana di Trainspotting e segnò un’epoca. Da quel momento in poi anche le major si resero conto che potevano puntare su film meno commerciali per raggiungere il successo in sala. Trainspotting fu distribuito in italia da Medusa il 4 ottobre del 1996 fu un gran successi. Nonostante il film venne inizialmente snobbato dalle major di distribuzione internazionali, l’opera di Boyle concquistò in poco tempo una popolarità tra i giovani senza uguali e si inserì nella top 20 dei film più visti nella stagione cinematografica italiana 1996/97. Nell’anno dominato da Il ciclone, Trainspotting fu 17° assoluto subito dietro a Sono pazzo di Iris Blond e davanti a film quali Jerry Maguire, Crash – Contatto fisico, Daylight – trappola nel tunnel e Ritratto di signora.

Alcune curiosità su Trainspotting:

  • Ewen Bremner (Spud) aveva precedentemente interpretato Renton in un adattamento teatrale del romanzo;
  • le feci nel water durante la scena del Peggior Bagno in Scozia erano in realtà cioccolato ma anche con la consapevolezza di ciò la scena del bagno risulta rivoltante comunque tanto che Ewan McGregor ebbe dei problemi a girarla;
  • Kelly Macdonald ha ottenuto la parte quando la crew di produzione del film stava distribuendo volantini in tutta Glasgow, per chiunque volesse fare un provino. Quando Danny Boyle ha posato per la prima volta gli occhi su di lei durante il provino ha capito che era la persona giusta per il ruolo di Diane. Voleva un volto sconosciuto, così nessuno si sarebbe accorto che l’attrice che stava interpretando la parte di una scolaretta avesse in realtà 19 anni. Macdonald conserva tutt’oggi il volantino promozionale del provino, come ricordo della sua prima parte in un film;
  • per interpretare la parte Ewan McGregor in soli due mesi ha perso 12 chili;
  • Kelly Macdonald ha compiuto 20 anni il giorno dell’uscita al cinema del film il 23 febbraio 1996;
  • le scritte sul muro del Vulcano Nightclub richiamano quelle del Korova Milk Bar in Arancia meccanica (1971). Sparsi per il locale ci sono anche dei posters di Robert De Niro Jodie Foster in Taxi Driver (1976);
  • per prepararsi al ruolo Ewan McGregor ha letto libri sul crack e l’eroina. Andò anche a Glasgow ad incontrare un gruppo di recupero di tossicodipendenti per parlare con loro e capire le sensazioni di chi ha provato l’eroina. Gli è stato poi insegnato a cucinare l’eroina con un cucchiaio utilizzando al posto della sostanza glucosio in polvere;
  • Per calarsi ancora meglio nel ruolo, McGregor ha anche preso in considerazione l’idea di sottoporsi a un’iniezione di eroina per comprendere meglio gli effetti così da interpretare il personaggio più verosimilmente, ma alla fine decise – fortunatamente – di non farlo;
  • tutto il film è stato girato in sole sette settimane e mezzo, cioè molto poche specie se consideriamo il fatto che sono state usate molte location differenti, costringendo tutta la produzione a mobilitarsi molto spesso;
  • per i primi piani di Ewan McGregor mentre si inietta l’eroina, è stato costruita una protesi del suo braccio, con le vene attraversate da del sangue finto che sarebbe apparso nel momento in cui la pelle fosse bucata all’ago;
  • dopo tre film assieme Piccoli Omicidi Tra Amici, Trainspotting e lo sfortunato Una vita esagerata, Danny Boyle decide, per il suo quarto film (The Beach del 2000) di puntare tutto sull’asso della cinematografia Leonardo DiCaprio reduce dallo stratosferico successo di Titanic. La star americana viene preferita all’amico e collega McGregor che non la manda giù e proprio per questo decide di troncare di netto i rapporti con il regista londinese. L’ipotesi di realizzare un sequel di Trainspotting venne quindi accantonata e dovettero passare oltre venti anni da quel 1996 anno di uscita del film. I due si riappacificheranno infatti solamente 15 anni dopo poco prima di dare il via al sequel del film T2 – Trainspotting, ecco cosa ha dichiarato l’attore scozzese a riguardo: “Fu tutto un malinteso. Mi rammarico grandemente che si sia protratto per così tanto tempo. Ho partecipato ai primi tre film di Danny e poi non mi fu chiesto di essere nel quarto, ma non era per il film, quanto per la nostra amicizia. Non partecipare al film mi fece un po’ sentire alla deriva e non lo mandai giù.”;
  • Trainspotting fu presentato fuori concorso al 49º Festival di Cannes del 1996 divenne in poco tempo un vero e proprio cult tanto che nel 1999il British Film Institute l’ha inserito al decimo posto della lista dei migliori cento film britannici del XX secolo. Nel 2004 il film è stato definito come il miglior film scozzese di tutti i tempi in un sondaggio di pubblico generale. A tutt’oggi non è difficile per le strade di Londra o in Gran Bretagna incontrare persone o negozi che vendano gadget legati al film, uno dei più popolari ed amati dai britannici assieme a The Italian Job, Momenti di gloria, Full Monty e This Is England;
  • In collaborazione con la Columbia Tristar e distribuito in Italia dalla Warner Bros. il sequel T2 – Trainspotting vide la luce nei cinema italiani il 23 febbraio del 2017. Anche il seguito è tratto parzialmente dal secondo romanzo di Irvine Welsh, chiamato “Porno” (2002).

Errori presenti nel film:

  • Primissima scena del film. Renton corre con ai piedi un paio di Adidas. Qualche scena più tardi ai piedi porta un paio di All Star, lo avevate notato?
  • All’inizio di Trainspotting, Swanney prepara la dose di Sick Boy, ma quando poi va ad inniettarla si nota chiaramente che la siringa e’ vuota!
  • Quando in Trainspotting il gruppo di drogati fissa la bambina morta, si nota chiaramente che è un pupazzo.
  • Quando Ewan McGregor cerca di disintossicarsi stando chiuso nella sua camera e ha le allucinazioni, si vede benissimo la guida che fa camminare il pupazzo della bambina sul soffitto.
  • In Trainspotting, prima della rissa nel bar, scatenata gettando un boccale di birra, quando il tipo va a prendere gli stessi boccali, urta un avventore (con maglietta a strisce nere e azzurre) e ciò causa una fuoriscita di birra dai boccali sulla camicia, dallo sterno in giù. Quando si rigira, possiamo notare come la camicia sia sporca dal colletto in giù…
  • Begbie colpisce l’incauto avventore del bar che aveva osato “distrarlo”…ma si vede chiaramente che con la stecca da biliardo da’ un forte colpo alla sedia, non al malcapitato cliente del pub!
  • In Trainspotting i ragazzi dividono i soldi della droga (16000 sterline) equamente, prendendo quindi 4000 sterline a testa. Ma in realtà Mark e Sick boy avrebbero dovuto recuperare i soldi per l’aquisto, ovvero 1000 sterline a testa, e poi dividere le rimanenti 14000 con gli altri, come mai ciò non avviene? Mistero…
  • Spud è fuori dal locale con la sua ragazza. Nella mano sinistra tiene una bottiglia di birra. Nel primo piano la tiene per il collo, nel campo lungo la tiene più in basso.
  • In Trainspotting il protagonista parla con Diane a letto, mentre lei sta fumando. Ad un certo punto si porta lo spinello alla bocca, ed è quasi finito, nello stacco successivo è più lungo.
  • La mazzetta che Mark lascia nell’armadietto è in una posizione diversa quando Spud va a prenderla: quando Mark la inserisce è parallela alle pareti, nella scena dopo è obliqua.
  • In Trainspotting quando Mark Renton va da Madre Superiora per bucarsi (subito dopo che Spud è finito in carcere) si toglie la cintura per legarsela intorno al braccio, ma dopo, quando ha l’overdose e Swanney lo trascina dentro al taxi la cintura è di nuovo attorno alla vita.
  • In Trainspotting Renton va da Madre Superiora dopo la sentenza, si vede chiaramente che si prepara il braccio sinistro per iniettarsi l’eroina, ma dall’inquadratura ravvicinata della siringa sembra che sia il braccio destro.

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Another Earth (2010): trama senza spoiler e recensione del film

MEDICINA ONLINE ANOTHER EARTH FILM MOVIE CINEMA WALLPAPER PLANET SCIFI SKY PHOTO PICD PICTURE HD HI RESOLUTION TRAMA RECENSIONE 2010 Mike Cahill William Mapother Brit Marling DEAD  CARS SON NUDE BEST SCENE.jpgUn film di Mike Cahill, con William Mapother, Brit Marling, Jordan Baker, Flint Beverage, Robin Taylor. Drammatico, durata 92 min. USA 2010 – 20th Century Fox – Uscita italiana venerdì 18 maggio 2012.

Trama senza spoiler

Un’altra Terra, chiamata semplicemente Earth 2, viene avvistata nel nostro stesso sistema, copia perfetta del nostro mondo e abitata da persone che sono la replica dei terrestri. La stessa notte dell’avvistamento, la brillante e promettente studentessa Rhoda, un’aspirante cosmonauta interpretata dalla stessa Brit Marling (una vera rivelazione), distratta dal nuovo pianeta e probabilmente dall’avere bevuto qualche bicchiere di troppo, va a scontrarsi con la propria auto contro la macchina su cui viaggiano il musicista John Burroughs (William Mapother, uno degli altri della serie televisiva “Lost”) e la sua famiglia. Il bilancio dell’incidente è tragico: Burroughs finisce in coma, la moglie (incinta) e il figlioletto muoiono.
Per la protagonista si aprono le porte del carcere, dal quale esce quattro anni dopo profondamente segnata dai sensi di colpa. Niente più stimoli, niente più ambizioni, Rhoda si lascia vivere e trascorre le sue giornate svolgendo un modesto lavoro di addetta alle pulizie in una scuola (incontrando per caso un ragazzo con cui aveva flirtato la notte della tragedia, si vede costretta in maniera alquanto imbarazzante a specificare che nell’istituto dove lavora non fa l’insegnante). Due sole cose la scuotono dal grigiore della sua nuova quotidianità: la partecipazione a un concorso che mette in palio un viaggio sull’altra terra e la notizia che l’uomo al quale ha rovinato la vita ha ripreso conoscenza. Decisa a parlargli, Rhoda si presenta a casa sua senza però trovare il coraggio di dirgli la verità. Si offre invece di pulirgli la casa, come dimostrazione a titolo gratuito. Inizialmente diffidente, l’uomo accetta l’offerta e per Rhoda andare a pulire l’abitazione (in un raffinatissimo stile dagli echi shabby chic) diventa un appuntamento settimanale.

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Recensione

Dopo il pianeta Melancholia firmato Lars von Trier, un nuovo evento planetario dalle influenze drammatiche è destinato a imporsi nella mia cineteca personale. Another Earth è una pellicola indipendente diretta dall’esordiente Mike Cahill e accolta con grandi lodi al Sundance Film Festival (dove ha vinto il premio speciale della Giuria e il premio Sloan). Laddove ormai le pellicole action a tema fantascientifico sembrano vivere un periodo di stasi a livello di idee, il genere si contamina sempre di più con visioni intimiste e drammatiche appartenenti al cinema d’autore. Come per Melancholia quindi, e per il bellissimo Moon di Duncan Jones, ci troviamo dinanzi ad un’opera che usa il mezzo fantastico per raccontarci una storia interiore ricca di bruciante umanità. Sin dal Solaris originale, capolavoro firmato dal maestro Andreij Tarkovskij nel lontano 1969, la figura di un nuovo pianeta che improvvisamente compare nel cielo è ricca di una grande carica simbolica, non solamente per ciò che concerne il versante visivo, ma soprattutto per quello umano. In questo caso poi il racconto offre diversi spunti di riflessione, visto che il corpo celeste che appare improvvisamente nelle fasi iniziali di Another Earth, è nientemeno che una versione identica della nostra Terra. Il destino, come spesso accade più tragico di ogni pessimistica fantasia, vuole che sia proprio la comparsa di questo nuovo astro la causa di un terribile incidente nel quale rimane coinvolta Rhoda, brillante studentessa appena ammessa al MIT (Massachusetts Institute of Technology) che uccide un bimbo e sua madre incinta: la peggiore tragedia immaginabile.

Un incidente stradale

Altri film hanno preso piede da un incidente stradale. Ne troviamo uno nell’incipit di The Descent – Discesa nelle tenebre (Neil Marshall, 2005) o all’inizio di Ore 11:14 – Destino fatale (Greg Marcks, 2003), anche se quello più spettacolare resta quello di Final Destination 2 (David R. Ellis, 2003). Questi sono tutti film horror, però. Another Earth non lo è: è una storia d’amore e di introspezione. Di possibilità sfiorate con la punta delle dita e perse in una miriade di altre possibilità che si sdoppiano all’infinito e costituiscono varianti possibili/impossibili di realtà, come nella teoria dei quanti di Plank. E così, ecco moltiplicarsi atomi di vita, come granuli di energia indivisibili. Niente romance amara alla Sliding doors (Peter Howitt, 1998), ma una riflessione sul passato (che non cambia) e sulle ripercussioni, nell’universo, di ogni azione. Dopo aver trascorso alcuni anni in carcere, la giovane è costretta ad abbandonare, almeno apparentemente, i propri sogni, proprio come spesso succede nella vita vera, dove al protagonista va tutto sempre bene.

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Catarsi

Another Earth è un’opera emblematica, non di facile assimilazione, ma ricca di un silente fascino che pervade questa storia di espiazione e rimorsi narrata all’ombra di una nuova era per l’umanità intera. Una catarsi personale, raccontata con delicatezza e sobrietà, osservando da vicino gesti ed emozioni della protagonista, anima inquieta in cui ora l’unico sogno è quello di raggiungere la nuova Terra, nella quale la vita sembra seguire parallelamente la nostra in maniera speculare anche per quanto riguarda gli esseri umani (con dei veri e propri “doppi”), per poter iniziare nuovamente a vivere. Cahill è bravo a giocare sul filo dell’ambiguo, dei segreti, delle realtà difficili da affrontare e delle possibili vie di fuga, dove il reale collide con l’irreale, il dolore con la gioia, la vita con la morte. L’apice emotivo raggiunto nei minuti finali, pregni di un’intensa tensione emotiva, e lo splendido colpo di scena dell’epilogo, rendono Another Earth una pellicola misteriosa, sospesa proprio come la sua protagonista (una grande Brit Marling, che reciterà anche nel successivo film di Cahill, I Origins) tra due mondi simili ma distanti.

La vera arte

Mike Cahill, che il film lo ha diretto, montato, fotografato e scritto (in tandem con la brava protagonista, sua compagna di studi), si misura col genere fantascientifico, nella sua accezione più colta ed anche se questa piccola produzione non può certo vantare i budget che di solito caratterizzano i prodotti di questo genere, è ammirevole il risultato che il regista raggiunge coi suoi pochi mezzi a disposizione, anzi, forze proprio grazie ai pochi mezzi: fatto questo che costringe i veri artisti a tirar fuori la vera arte, senza facili scappatoie di volti superpagati o effetti speciali strepitosi. Molto interessante la tavolozza cromatica utilizzata per raccontare la storia, studiata per meglio evocare il gelo nella vita di questa giovane donna che ama e sente disperatamente il bisogno di pulire… metafora fin troppo convenzionale, si dirà, ma funzionale al racconto. Altro punto a favore del film il commento musicale elettronico della band newyorkese Fall On Your Sword, che regala alla vicenda l’ideale tessuto sonoro. Un film che agli appassionati di fantascienza di alieni e di esplosioni nucleari, può probabilmente apparire lento. Io l’ho apprezzato molto e ve lo consiglio.

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Resident Evil (2002): trama e recensione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma RESIDENT EVILTRAMA RECENSIONE FILM Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgResident Evil, un film di Paul W.S.Anderson. Con Milla Jovovich, Michelle Rodriguez, Eric Mabius, James Purefoy, Martin Crewes. Fantascienza, durata 100 min. – Gran Bretagna, Germania, Francia 2002.

Trama senza spoiler
Qualcosa di tremendo si nasconde all’interno dell’Alveare, vasto e supertecnologico laboratorio sotterraneo gestito dalla multinazionale “Umbrella Corporation”. Qualcuno ha introdotto al suo interno un virus micidiale che ha indotto la Regina Rossa – supercomputer che controlla l’intera struttura – a sigillare l’intera area, intrappolando fatalmente al suo interno tecnici e ricercatori. Una squadra di militari viene inviata sul posto a ricostruire l’accaduto: scoprirà presto cosa sia successo e quale tremenda sorte sia toccata a tutto il personale dell’Alveare.

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Trama e recensione CON SPOILER
XXI secolo, Racoon City è uno dei tanti centri urbani tranquilli d’America, con bella gente e paesaggi carini, la città ideale per impiantare il nucleo di una delle più grandi multinazionali del mondo, l’Umbrella Corporation. Si tratta di una mastodontica potenza commerciale degli Stati Uniti, nove case su dieci utilizzano i suoi prodotti, la sua influenza politica e finanziaria si fa sentire ovunque. Ufficialmente l’Umbrella è il maggior fornitore di tecnologia per computer e di prodotti medici e sanitari, ma – all’insaputa dei suoi stessi impiegati – i suoi profitti più consistenti derivano da tecnologia militare, sperimentazione genetica e armi batteriologiche.
L’Alveare, il loro laboratorio top secret, è situato ad una notevole profondità sotto le strade di Racoon City ed ospita più di 500 dipendenti che studiano, lavorano e vivono sotto terra. Qui è stato dato alla luce il “Virus T”, un potente micro organismo in grado di rigenerare le cellule morte. A protezione di tutto questo c’è “la Regina Rossa”, il top dell’intelligenza artificiale, un computer che controlla tutto e tutti.
Quando una delle provette del virus viene rotta, dando il via alla sua diffusione per tutto l’Alveare, l’intervento della Regina Rossa è immediato: la versione “bambina” di HAL 9000 sigilla tutto il laboratorio e, senza farsi troppi scrupoli, stermina con il gas ed altre trappole qualsiasi essere vivente potenzialmente contaminato dal Virus T (cioè tutti i presenti nell’Alveare), questo perché la sua priorità è di evitare che il virus arrivi in superficie.
L’Umbrella decide di intervenire, mandando sul luogo del disastro un Team di soldati specializzati che però, a loro spese, saranno i primi testimoni dell’efficacia del Virus T: gli ex dipendenti dell’Umbrella, uccisi dal gas della Regina Rossa, resusciteranno diventando dei veri e propri zombie, molto difficili da uccidere. Nel corso del film, dove non mancano colpi di scena, si scoprirà chi e perché ha diffuso il Virus T. Questa è in sostanza la trama del film basato sull’omonimo e famosissimo videogame della Capcom e possiamo proprio considerarlo un tributo a tutti gli appassionati della versione videoludica.

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Differenze con il videogioco
Il film, affidato a Paul W.S. Anderson, già autore di pellicole come “Mortal Kombat” e “Alien vs Predator”, si discosta parecchio dalla storia e dai personaggi del primo capitolo del videogioco, ma riprende alcuni caratteri del secondo capitolo, come il famoso essere senza pelle e i “dolcissimi” dobermann con la carne a brandelli che tanto hanno tormentato i miei incubi da adolescente.
Potremmo quasi considerare questo “Resident Evil” cinematografico come una sorta di prequel della versione ludica. I personaggi, come già accennato, sono tutti diversi rispetto al videogame, introducendo così il fattore imprevedibilità da parte del regista. Buona la scelta della protagonista, la bellissima Milla Jovovich nella parte di Alice, accompagnata da un bravissimo Eric Mabius (Matt). Il film si svolge interamente sotto terra e non ci sono i famosi enigmi da decifrare come nel gioco. Questa mancanza è comunque compensata da dosi massicce di azione: il ritmo è incalzante sin dalla prima scena, aiutato anche da una colonna sonora grandiosa, che vede in prima linea Marilyn Manson.

Il ritorno degli zombie
Il merito del regista sta nel aver dato nuova linfa vitale al tema degli zombie che, abbandonati i buffi e statici movimenti che li hanno caratterizzati dagli anni ’70 a oggi, in “Resident Evil” si muovono come se seguissero una coreografia (da notare lo zombie con il camice e l’ascia in mano) e si rivelano molto reattivi al momento dell’attacco. La pellicola è conosciuta anche con altri titoli: Resident Evil 1, Resident Evil: Ground Zero, e Resident Evil: Genesis. Il film ha cinque seguiti: Resident Evil: Apocalypse, uscito il 10 settembre 2004, Resident Evil: Extinction, uscito il 12 ottobre 2007, Resident Evil: Afterlife, uscito nelle sale italiane il 10 settembre 2010 e Resident Evil: Retribution, uscito il 28 settembre 2012. Il sesto e ultimo capitolo è Resident Evil: The Final Chapter, uscito nel 2017.
I difetti di questa pellicola sono pochi, forse il regista in alcuni momenti avrebbe potuto impegnarsi di più e avere meno fretta nel girare alcune scene, mentre ogni tanto affiora un piccolo errore dovuto alla fase di montaggio.
Si tratta insomma di un action-horror a tutti gli effetti: la tensione c’è, la paura pure. Lo spettatore normale non rimarrà tranquillo, perché almeno una volta sobbalzerà dalla poltrona, lo spettatore che conosce il gioco rimarrà forse deluso da alcuni lati del film, ma non potrà non riallacciarsi al videogame, finendo per credere di avere in mano il Joypad anziché i pop-corn. Il film, pur arricchito da un paio di colpi di scena interessanti, ha un canovaccio collaudato, già visto in molti film del genere, come ad esempio Aliens – Scontro finale del 1986 diretto da James Cameron: una squadra di militari armati fino ai denti, con a seguito una superdonna come protagonista, che giunge in un posto “infetto” per risolvere i problemi (c’è anche la donna “maschiaccio” latina armata fino ai denti in entrambi i film!).
Questo primo capitolo della saga cinematografica di Resident evil ha incassato in tutto il mondo 102,400,000 dollari riscuotendo un grande successo al botteghino. Un film che piacerà ovviamente soprattutto agli appassionati di fantascienza, azione ed horror, con qualche scena splatter memorabile, come quella del laser che fa letteralmente a pezzi parte del gruppo di militari nel corridoio che porta alla stanza del supercomputer.

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Lo staff di Medicina OnLine

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