L’influenza spagnola, conosciuta anche come la “spagnola” o la “grande influenza” (in inglese “1918 influenza pandemic” o “Spanish flu” o “Great Influenza epidemic“), fu una pandemia influenzale di natura virale ed insolitamente mortale, che fra il 1918 e il 1920 uccise dalle decine al centinaio di milioni di persone nel mondo. Fu la prima delle pandemie del XX secolo che coinvolgono il virus dell’influenza H1N1.
Perché si chiama così?
L’influenza spagnola deve il suo nome al fatto che la sua esistenza fu riportata dapprima soltanto dai giornali spagnoli: la Spagna non era coinvolta nella prima guerra mondiale e la sua stampa non era soggetta alla censura di guerra; mentre nei paesi belligeranti la rapida diffusione della malattia fu nascosta dai mezzi d’informazione, che tendevano a parlarne come di un’epidemia circoscritta alla Spagna (dove venne colpito anche il re Alfonso XIII). È conosciuta con questo nome (gripe española) anche in lingua spagnola. I dati storici ed epidemiologici sono inadeguati per identificare la vera origine geografica della pandemia.
Cosa ha causato l’influenza spagnola?
Il patogeno che ha scatenato l’influenza spagnola è il virus H1N1 che appartiene alla famiglia dei virus dell’influenza A, la stessa che si evolve provocando la classica influenza stagionale. Il virus si diffondeva per via aerea, ad esempio tramite tosse e starnuti, che emettevano nell’ambiente particelle di saliva contenenti il virus. Non c’è consenso universale sull’origine e patogenicità del virus. Gli studi condotti su campioni risalenti all’epoca della Spagnola avrebbero dimostrato che il virus H1N1 del 1918 non è stato originato da un riassortimento tra virus umani e animali. Il virus pandemico del 1918 avrebbe avuto origine prima del 1918, quando un virus H1 umano acquisì la neuraminidasi aviaria N1 e i geni delle proteine interne. Tutti gli 8 segmenti genetici sarebbero derivati da un virus aviario che, compiendo un “salto di specie”, si sarebbe adattato all’uomo, acquisendo anche una eccezionale capacità di trasmettersi da persona a persona. Indagini su colture tessutali ed esperimenti su topi hanno inoltre rivelato almeno altre due caratteristiche singolari: la possibilità di replicarsi in assenza di una proteasi, che è invece normalmente richiesta per attivare l’emoagglutinina e innescare l’infezione dei tessuti in coltura, e la letalità nel topo 100 volte superiore a quella degli altri virus dell’influenza umana. Queste peculiarità contribuiscono a spiegare la straordinaria gravità della prima grande pandemia del XX secolo. Il virus H1N1 del 1918, per di più, è stato all’epoca protagonista di un altro fenomeno anomalo: contemporaneamente alla pandemia umana, esso ha cominciato a circolare e si è diffuso anche tra i maiali. Questa specie era in precedenza indenne dall’influenza. Il lignaggio dell’H1N1 suino derivato dal virus umano della Spagnola, per riassortimento sarebbe poi riemerso nell’uomo dopo il 1922, iniziando un nuovo lignaggio H1N1 umano.
Dove si è sviluppato inizialmente il virus?
L’origine geografica della Spagnola non è stata ancora individuata con certezza e difficilmente lo sarà mai in futuro. Lo storico Alfred W. Crosby ha sostenuto che l’influenza abbia avuto origine nello stato americano del Kansas (USA) e lo scrittore popolare John Barry gli ha fatto eco nell’indicare la contea di Haskell come punto di partenza del focolaio, sebbene già alla fine del 1917 si fosse registrata una prima ondata in almeno 14 campi militari statunitensi. Il lavoro di ricerca condotto nel 1999 da un gruppo britannico guidato dal virologo John Oxford del St Bartholomew’s Hospital e dal Royal London Hospital ha identificato il centro della pandemia influenzale del 1918 nel campo militare e ospedale di Étaples, in Francia. Alla fine del 1917 i patologi militari riportarono l’insorgenza di una nuova malattia, caratterizzata da un’alta mortalità, che in seguito riconobbero come influenza. Il campo e l’ospedale sovraffollati, impegnati a curare migliaia di soldati vittime di attacchi chimici e altre ferite di guerra, erano un luogo ideale per la diffusione di un virus respiratorio: ogni giorno vi transitavano circa 100 mila soldati. Oxford e il suo team asserirono che un virus precursore, ospitato negli uccelli, fosse riuscito a mutare, tanto da infettare i maiali che erano tenuti nei pressi del fronte. Vi sono, tuttavia, varie ipotesi precedenti sull’origine dell’epidemia. Alcuni hanno ipotizzato che l’influenza abbia avuto origine in Asia orientale. Claude Hannoun, il principale esperto dell’epidemia per l’Istituto Pasteur, affermò che probabilmente era un virus proveniente dalla Cina e che fosse mutato negli Stati Uniti, vicino a Boston, per poi diffondersi a Brest, in Francia, nei campi di battaglia dell’Europa, utilizzando i soldati e marinai dell’Intesa come principali diffusori. Hannoun prese in considerazione altre possibili ipotesi di origine, come la Spagna, il Kansas e Brest, ma non le ritenne verosimili.
Quando ha iniziato a colpire il virus?
La spagnola iniziò a mietere vittime nel 1918, ma si suppone che alcuni casi si fossero verificati già nel 2017.
Quali sono i sintomi?
I principali sintomi dell’influenza spagnola, erano:
- mal di testa;
- dolori muscolari;
- mal di schiena;
- stanchezza;
- difficoltà nella memoria;
- incapacità di concentrazione;
- apatia;
- brividi;
- tosse secca, lancinante o tosse convulsa, talvolta con grave irritazione nella zona della gola;
- febbre, con temperatura elevata, anche oltre i 40 °C per un giorno o due;
- frequenza cardiaca ridotta a 60 battiti al minuto o meno;
- diarrea;
- nausea;
- colorazione bluastra-nera (cianosi) della pelle;
- sintomi di insufficienza respiratoria acuta.
I sintomi e segni erano simili ad altre malattie influenzali. I sintomi insorgevano rapidamente; la durata della malattia in media tre giorni, meno spesso cinque o più. La morte di solito si verificava l’ottavo o il nono giorno di malattia, principalmente a causa dell’infezione batterica secondaria.
Quante persone ha infettato nel mondo?
L’influenza spagnola arrivò a infettare circa 500 milioni di persone in tutto il mondo (secondo alcuni anche più persone), inclusi alcuni abitanti di remote isole dell’Oceano Pacifico e del Mar Glaciale Artico.
Quante persone ha ucciso nel mondo?
L’influenza spagnola provocò il decesso stimato di 50 milioni di persone (secondo alcuni 100 milioni) su una popolazione mondiale di circa 2 miliardi. La mortalità totale le valse la definizione di più grave forma di pandemia della storia dell’umanità: ha infatti causato più vittime della terribile peste nera del XIV secolo, che pur avendo un tasso di mortalità più alto (≈ 30%) si riferiva ad una popolazione mondiale che nel XIV secolo era nettamente inferiore rispetto a quella degli inizi del XX secolo. La malattia ridusse notevolmente l’aspettativa di vita dell’inizio del XX secolo che, nel primo anno dal diffondersi della pandemia, risultava diminuita di circa 12 anni. La maggior parte delle epidemie influenzali uccide quasi esclusivamente pazienti anziani o già indeboliti; al contrario, la pandemia del 1918 stroncò prevalentemente giovani adulti precedentemente sani.
Perché ha ucciso così tante persone?
Sono state formulate diverse possibili spiegazioni per l’alto tasso di mortalità di questa pandemia. Alcune ricerche suggeriscono che la variante specifica del virus avesse una natura insolitamente aggressiva. In aggiunta, ricercatori Italo-Americani dell’Harvard University hanno documentato un’estrema anomalia climatica che interessò l’Europa durante la pandemia e che causò condizioni ideali per la trasmissione e replicazione del virus, nonché aggravanti nella depressione del sistema immunitario di soldati e altre vittime esposte alle rigide temperature e pioggia incessante. Un gruppo di ricercatori, recuperando il virus dai corpi delle vittime congelate, ha scoperto che la trasfezione negli animali (particolarmente vettori aviari immobilizzati dall’anomalia climatica) causava una rapida insufficienza respiratoria progressiva e la morte attraverso una tempesta di citochine (una reazione eccessiva del sistema immunitario dell’organismo). Si è quindi ritenuto che nei giovani adulti l’elevata mortalità fosse legata alle forti reazioni immunitarie; mentre la probabilità di sopravvivenza, in alcune aree, paradossalmente sarebbe stata più elevata in soggetti con sistema immunitario più debole, come bambini ed anziani. Una volta ritrovato e ricostruito il virus responsabile della Spagnola, è stato possibile studiarlo più approfonditamente, ma le proprietà che lo hanno reso così devastante non sono state ben comprese. Studi più recenti, basati principalmente su referti medici originali del periodo della pandemia, hanno rilevato che l’infezione virale stessa non era molto più aggressiva di altre influenze precedenti, ma che le circostanze speciali (guerra, malnutrizione, campi medici e ospedali sovraffollati, scarsa igiene) contribuirono spesso anche ad una conseguente superinfezione batterica nelle persone già duramente debilitate dal virus e che uccise la maggior parte degli ammalati, in genere dopo un periodo prolungato di degenza. In sostanza, in Europa, il diffondersi della pandemia fu favorito dalla concomitanza degli eventi bellici relativi alla prima guerra mondiale. Nel 1918, il conflitto durava ormai da quattro anni ed era diventato una guerra di posizione: milioni di militari vivevano quindi ammassati in trincee sui vari fronti favorendo così la diffusione del virus. Alcuni studi ritengono che l’influenza spagnola abbia avuto un’implicazione nella comparsa, negli anni ’20 del XX secolo, dell’encefalite letargica.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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