Differenza tra paraplegico e tetraplegico

MEDICINA ONLINE CERVELLO CRANIO EMORRAGIA CEREBRALE ISCHEMIA EMORRAGICA ICTUS SANGUE EMATOMA EMIPARESI EMIPLEGIA TETRAPARESI TETRAPLEGIA MORTE COMA PROFONDO STATO VEGETATIVODECUBITO RECUPERO SUBARACNOIDEA PARALISICon paraplegia in medicina si intende una diplegia in cui la parte inferiore del corpo è affetta da paralisi motoria e/o carenza funzionale, associata a disturbi della sensibilità. La lesione midollare che provoca paraplegia è sottostante alla prima vertebra toracica (T1). Lesioni al di sopra di tale vertebra, provoca invece tetraplegia.

Con tetraplegia (anche chiamata quadriplegia) si intende una paralisi e perdita di sensibilità sia del torso che degli arti superiori ed inferiori, causato da svariate patologie e traumi, ad esempio in caso di incidenti stradali o sportivi. La lesione midollare che provoca tetraplegia è superiore alla prima vertebra toracica (T1), in modo particolare sono interessate le prime sette vertebre cervicali che sorreggono il cranio, identificate con le sigle C1- C2 – C3 – C4 – C5 – C6 – C7.

Semplificando la paraplegia interessa la parte inferiore del corpo ed è causata da lesioni al di sotto di T1 (sia lesioni lombari che sacrali), mentre la tetraplegia interessa tutto il corpo tranne la testa ed è causata da lesioni al di sopra di T1, in regione cervicale (da C1 a C8).

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Diagnosi differenziale

Per distinguere una paraplegia da una tetraplegia si effettua un test muscolare sull’abduttore del mignolo: se il test di forza è positivo significa che la lesione è inferiore a T1, poiché la radice nervosa che innerva tale muscolo, T1 è integra e funzionale.

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Differenza tra emiplegia destra e sinistra

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Nel caso di emiplegia (come nell’emiparesi), bisogna distinguere l’emiparesi destra da quella sinistra, sia perché i sintomi sono diversi, sia perché anche la riabilitazione dovrà essere diversa. Questo avviene principalmente perché gli emisferi destro e sinistro del cervello hanno funzioni diverse e specifiche quindi la lesione di un dato emisfero porterà a deficit specifici.

Quando parliamo di emiparesi destra ci riferiamo ad una paresi che investe la metà destra del corpo, determinata da lesione avvenuta ai danni dell’emisfero sinistro del cervello. Oltre al deficit motorio dell’emilato destro, in caso di danno all’emisfero sinistro, è possibile che si verifichino disturbi del linguaggio, a tal proposito, leggi:

Nell’emiparesi sinistra, la paresi è della metà parte sinistra del corpo mentre la lesione cerebrale ha coinvolto l’emisfero destro. In questo caso, oltre ai deficit motori dell’emilato sinistro, si possono verificare deficit di attenzione come il neglect e disturbi della coscienza del proprio stato patologico come l’anosognosia, a tal proposito leggi:

Da quanto detto appare chiaro che, in base alla localizzazione del danno, i sintomi dell’emiparesi possono essere diversi e quindi non è corretto trattare allo stesso modo un paziente emiplegico destro ed un paziente emiplegico sinistro, perché il danno nervoso ha alterato i processi cognitivi in modo diverso.

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Diplegia: definizione, cause e sintomi

MEDICINA ONLINE FISIOTERAPIA RIABILITAZIONE DISABILE SEDIA ROTELLE CERVELLO CRANIO EMORRAGIA CEREBRALE ISCHEMIA EMORRAGICA ICTUS PARAPLEGIA EMATOMA EMIPARESI EMIPLEGIA TETRAPARESI TETRAPLEGIA DECUBITO RECUPERO PARALISICon diplegia in campo medico si intende la paralisi di una parte del corpo, che colpisce due parti simmetriche del corpo, per esempio gli arti inferiori, ed in misura minore i superiori.

Essa è determinata da lesioni bilaterali della via nervosa motoria piramidale, che possono essere indotte da processi patologici di diversa natura (per es. disturbi vascolari, tumori o traumi). Il sintomo principale è appunto la paralisi della parte del corpo interessata e la cura dipende essenzialmente dalla causa che l’ha determinata.

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Riflesso di Babinski positivo: sintomi, diagnosi, come evocarlo

MEDICINA ONLINE RIFLESSO SEGNO BABINSKI POSITIVO CORTICOSPINALE PIRAMIDALE SINTOMI CERVELLO EMORRAGIA CEREBRALE ISCHEMIA EMORRAGICA ICTUS TETRAPARESI TETRAPLEGIA MORTE COMA PROFONDO STATCon “fenomeno delle dita di Babinski” o “segno di Babinski” o “riflesso di Babinski” in semeiotica neurologica si intende una risposta anomala al riflesso cutaneo plantare, la quale indica la presenza di una lesione a carico del tratto corticospinale del sistema nervoso (che provvede ai movimenti volontari fini dei muscoli e che, in condizioni fisiologiche, esercita un’inibizione tonica del riflesso). Il segno di Babinski si può quindi notare in caso di lesioni corticospinali (o piramidali), mentre risulta assente nelle lesioni extrapiramidali; può comparire ad esempio nei pazienti con sclerosi laterale amiotrofica e nelle fasi terminali di malattie come rabbia, encefalopatia epatica e leucodistrofia metacromatica. Tale segno prende il nome dal celebre neurologo francese Joseph Babinski, che lo descrisse per primo nel 1898.

Riflesso di Babinski nei bambini

Il riflesso si verifica in bimbi al di sotto di un anno ed in questo caso NON è indice di patologia. Quando si verifica nei bambini tra 1 e 3 anni il segno positivo non è generalmente indice di patologia, ma potebbero essere necessari ulteriori accertamenti.

Come evocare il riflesso plantare ed il segno di Babinski

Il riflesso cutaneo plantare si evoca strisciando una punta smussata lungo il margine laterale della pianta del piede, partendo da sopra il tallone, e portandola verso la parte supero-interna fino al primo metatarso. Per ottenere il fenomeno di Babinski, è importante che i muscoli del piede e della gamba non siano contratti ; è perciò utile che la gamba sia lievemente flessa sulla coscia e che il piede appoggi sul letto lungo il suo margine esterno .

Cosa succede se il paziente è sano?

Nell’adulto, in condizioni di normalità, col riflesso plantare si induce la flessione plantare (o estensione dorsale) delle dita del piede. La normale risposta in flessione plantare/estensione dorsale è generalmente evocabile in soggetti di età superiore ad un anno (ma tale limite può essere esteso fino ai 3 anni).

Cosa succede in caso di danno del tratto corticospinale?

Nell’adulto, in presenza di lesioni a carico del sistema corticospinale, lo stesso stimolo evoca la flessione dorsale (o estensione plantare) dell’alluce (segno di Babinski). In alcuni casi solo l’alluce si estende, mentre le altre dita restano immobili, o si flettono plantarmente; in altri casi tutte le dita partecipano al movimento di estensione, mentre contemporaneamente si adducono: in quest’ultimo caso si parla di “segno del ventaglio” o di “fenomeno di Dupré” o di “segno di Dupré” in onore del medico che per primo lo descrisse: Giovanni Ciardi-Dupré.

Perché si verifica il segno di Babinski?

Il segno di Babinski sarebbe dovuto al mancato controllo, da parte dei centri nervosi superiori lesionati, del riflesso spinale di allontanamento dagli stimoli nocivi. In accordo con tale ipotesi, è da notare che – come appena accennato – tale segno si verifica nei bambini al di sotto di 1/3 anni di età, sebbene siano assolutamente sani: ciò accade perché nel bimbo lo sviluppo del sistema nervoso centrale non è ancora completo. Tale segno si verifica anche in individui sani, in alcune fasi del sonno in cui si allenta il controllo corticale sui riflessi.

Altre manovre in semeiotica

In semeiotica esistono altre manovre che evocano l’estensione plantare (o dorsiflessione) dell’alluce, ed hanno lo stesso significato del segno di Babinski, ossia di dimostrare, attraverso l’inversione del riflesso plantare, un’alterazione della via piramidale, tra cui il segno di Oppenheim; il segno di Chaddock; il segno di Gordon; il segno di Schaefer. Nei casi dubbi, è possibile combinare in maniera sinergica la manovra di Babinski con quella di Oppenheim e le altre manovre.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Non riconoscere i volti dei propri cari: la prosopagnosia, cause, test e cure

MEDICINA ONLINE RICONOSCERE VOLTI CARI UMANI PROSOPAGNOSIA TEST CURE FACCIA  DANNO CERVELLO CRANIO EMORRAGIA CEREBRALE ISCHEMIA EMORRAGICA ICTUS SANGUE EMATOMA EMIPARESI EMIPLEGIA TETRAPARESI TETRAPLEGIA MORTELa prosopagnosia, (anche chiamata prosopoagnosia) è un deficit percettivo acquisito o congenito del sistema nervoso centrale che impedisce al paziente di riconoscere i tratti di insieme dei volti delle persone, causato da lesione bilaterale (o, più di rado, unilaterale destra) alla giunzione temporo-occipitale (giro fusiforme) dell’encefalo. In alcuni casi si ricorre al termine prosofenosia per indicare, in modo specifico, la difficoltà di riconoscimento dei volti umani in seguito al danneggiamento esteso dei lobi occipitale e temporale. Chi è colpito da questa patologia arriva – nei casi più gravi – a confondere la faccia dei propri cari (mariti, mogli, parenti, figli, amici, colleghi…) e non deve essere confusa con la normale difficoltà che a volte gli individui sani hanno quando non riescono a riconoscere un volto, magari perché non lo vedono da molto tempo. Gli individui sani possono provare una sorta di “assaggio” del disagio che provoca questa patologia quando hanno di fronte persone di una etnia diversa dalla propria, caso in cui il cervello riesce con più difficoltà a cogliere le differenze nei tratti somatici. Tipico esempio è quello degli individui orientali, che per un occidentale si somigliano tutti e viceversa (“i cinesi sembrano tutti uguali” oppure “i cinesi, i coreani ed i giapponesi sono tutti uguali”, per intenderci).

La prosopagnosia può avere risvolti drammatici. Nei casi più gravi, come prima accennato, il soggetto non riesce più a riconoscere il viso dei propri famigliari e ciò lo porta a non fidarsi più di nessuno, dal momento che chiunque potrebbe dire di essere un amico mentre in realtà è uno sconosciuto: ciò determina enorme ansia nel paziente e chiusura in sé stessi. Perfino la moglie, il marito o i figli, nei casi più gravi, potrebbero essere scambiati per sconosciuti e non essere riconosciuti; allo stesso tempo persone sconosciute potrebbero sostituirsi ai propri cari senza che il malato se ne accorga. Addirittura gli oggetti possono essere scambiati per persone e viceversa. Un caso famoso è quello descritto dal celebre neurologo Oliver Sacks (1985): nel famoso saggio “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” il medico descrive un paziente che non riconosceva le facce e arrivò una volta a scambiare la faccia della moglie per un cappello (“…si guardò intorno alla ricerca del cappello. Allungò la mano e afferrò la testa di sua moglie, cercò di sollevarla, di calzarla in capo”).

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Descrizione

Lo studio della prosopagnosia si è rivelato cruciale per lo sviluppo di teorie sulla percezione facciale. Non essendo la prosopagnosia un disordine unitario (ovvero, persone diverse possono mostrare tipi e livelli differenti di deficit) è stato proposto che la percezione dei volti coinvolga un certo numero di livelli, ognuno dei quali può risultare separatamente danneggiato. Ciò si riflette non soltanto sul numero di deficit presenti ma anche nelle differenze qualitative che una persona affetta da prosopagnosia può mostrare. Questo tipo di risultati si sono rivelati cruciali nel supportare la teoria che sostiene la presenza di un’area specifica dedicata al riconoscimento dei volti. Fatto contro-intuitivo per molte persone, in quanto non pensiamo ai volti come qualcosa di “speciale” o percepito in maniera diversa rispetto al resto del mondo. Esiste un certo dibattito riguardo alla specificità sia della percezione dei volti sia della prosopagnosia e alcune persone sostengono che si tratti solo di una sottospecie di agnosia. Nonostante la prosopagnosia si accompagni spesso a problemi di riconoscimento visivo degli oggetti, sono stati riportati casi in cui la percezione dei volti sembrava essere danneggiata in modo selettivo. La prosopagnosia potrebbe essere un deficit generalizzato nella comprensione di come i componenti della percezione individuale costruiscano la struttura o gestalt di un oggetto. In particolare, la psicologa Martha Farah si è fatta portavoce di questo punto di vista. Fino al XX secolo si pensava che la prosopagnosia fosse un disturbo molto raro e si presentarsi solo in associazione a danni cerebrali o a malattie neurologiche riguardanti specifiche aree del cervello. Ad ogni modo, alcuni dati suggeriscono che potrebbe esistere una forma di prosopagnosia congenita, per la quale alcune persone nascerebbero con un deficit selettivo nel riconoscimento e percezione dei volti. I casi che sono stati riportati suggeriscono che questa forma di disturbo potrebbe essere assai variabile e alcune ricerche recenti suggeriscono che potrebbe essere ereditabile e molto più comune di quanto si pensasse tempo addietro (circa il 2% della popolazione potrebbe esserne affetta).

Sottotipi di prosopagnosia

  • Prosopagnosia appercettiva: si pensa sia un disturbo di parte dei processi primari del sistema di percezione dei volti. Le persone che presentano questo disturbo non sono in grado di riconoscere i volti e sono incapaci di esprimere con successo giudizi del tipo simile-diverso, quando vengono loro presentate immagini di diversi volti. Potrebbero inoltre non essere in grado di riconoscere attributi quali l’età o il genere della persona dal volto. Ad ogni modo, potrebbero essere in grado di riconoscere le persone basandosi su indizi non-facciali come ad esempio i vestiti, l’acconciatura dei capelli o la voce.
  • Prosopagnosia associativa: si pensa essere un deficit dei collegamenti tra il processo primario di riconoscimento dei volti e quelle informazioni semantiche che riguardano le persone, conservate nella nostra memoria. Persone con questo tipo di disturbo possono essere in grado di dire se le foto dei volti delle persone sono identiche o differenti e dedurre l’età e il genere dal volto (il che suggerisce la loro capacità di riconoscere alcune informazioni del volto) ma possono non essere poi in grado di identificare le persone o fornire informazioni sul loro conto, come il nome, l’occupazione o l’ultima volta che le hanno incontrate. Possono essere in grado di riconoscere e produrre tali informazioni basandosi su indizi non-facciali come la voce, i capelli o anche qualche particolare caratteristico del volto (come ad esempio dei baffi particolari) che non richiedano la comprensione della struttura del volto. Tipicamente, queste persone non affermano che “i volti non hanno senso” ma solo che non paiono distintivi in alcun modo.
  • Prosopagnosia dello sviluppo: si pensa sia una forma di “prosopagnosia congenita” e che alcune persone nascano con un deficit selettivo nel riconoscimento e percezione dei volti. I casi riportati suggeriscono che questa forma di disturbo possa essere estremamente variabile e alcuni studiosi la considerano ereditaria.
  • Anche alcuni disturbi dello sviluppo come l’autismo, la Sindrome di Asperger, e la Sindrome di Williams presentano dei disturbi nella percezione dei volti, ma il meccanismo in base al quale ciò si verifica è ritenuto al disturbo bipolare.

Riconoscimento inconscio dei volti

Un aspetto particolarmente interessante della prosopagnosia è che essa presenta una dissociazione tra riconoscimento esplicito e riconoscimento implicito (covert recognition). Alcuni esperimenti dimostrano che se posti davanti a una serie di volti familiari e non, le persone affette da prosopagnosia potrebbero essere incapaci di identificare con successo le persone rappresentate nelle immagini, o anche dare un semplice giudizio di familiarità (“questa persona mi sembra familiare/non familiare”). Tuttavia, quando si effettua una misurazione del responso emotivo (tipicamente, una misurazione della risposta psicogalvanica), si registra una tendenza a una risposta emotiva davanti a immagini di persone familiari, anche se non si verifica nessun riconoscimento consapevole. Ciò suggerisce che le emozioni giocano un ruolo cruciale nel riconoscimento dei volti, cosa che in fondo potrebbe non stupire se si considera che la sopravvivenza (in particolare la propria sicurezza) dipende dalla capacità di riconoscere le persone che ci circondano. È stato quindi ipotizzato che ci possa essere, oltre alla via per il riconoscimento esplicito dei volti che coinvolge circuiti occipito-temporali, una seconda via per il riconoscimento implicito dei volti che coinvolgerebbe il sistema limbico, implicato nelle risposte emotive. Mentre nella prosopoagnosia sarebbe quindi danneggiata la via del riconoscimento esplicito ma non quella del riconoscimento implicito, al contrario per la sindrome di Capgras, in cui il soggetto riconosce correttamente un volto familiare ma ha la convinzione delirante che quella persona sia in realtà un sosia, è stato proposto da Young [1998] che a essere danneggiata sia la via del riconoscimento implicito (con assenza di emozioni alla vista del volto che pure viene riconosciuto) ma non la via del riconoscimento esplicito.

Test per la prosopagnosia

Per aiutare chi pensa di soffrire di questo disturbo, dei ricercatori inglesi hanno messo insieme 10 situazioni tipo. A ogni frase deve essere dato un punteggio da 1 a 5, a seconda di quanto effettivamente descriva ciò che accade nella vita del paziente. Qui potete trovare il quiz.

Un test “casalingo” per individuare una possibile prosopagnosia è l’immagine in basso. Guardate per alcuni secondi la faccia dell’uomo raffigurato in alto in tre diverse angolazioni. Successivamente guardate i tre volti presenti in basso: sapreste riconoscere fra i tre uomini raffigurati nella seconda striscia in basso, l’uomo raffigurato da tre differenti angolazioni nella striscia in alto? Se lo individuate facilmente allora siete sani (la risposta è il primo volto a sinistra). Se invece avete problemi ad individuarlo, o non ci riuscite affatto, potreste soffrire di prosopagnosia (anche se la diagnosi vera e propria spetta solo al medico).

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Cura della prosopagnosia

Al momento non esistono cure per questa patologia neurologica. I pazienti, per sopperire alla mancata capacità di riconoscimento del volto, sono invitati ad usare una serie di accortezze, ad esempio imparare a ricordare e riconoscere alcuni particolari delle persone care, come voce, capelli, barba e vestiti. Terapie chirurgiche sono attualmente in fase di studio.

Prosopagnosia nel cinema

Nel film del 2011 “Faces in the Crowd – Frammenti di un omicidio” la protagonista (Milla Jovovich) soffre di questa patologia. Il celebre attore e produttore cinematografico statunitense Brad Pitt ha pubblicamente ammesso di soffrire di prosopagnosia.

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Anosognosia e Sindrome neglect: significato, test e trattamento

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Caratteristiche della anosognosia

Nei casi di cecità corticale si osserva una convinzione del paziente di vedere efficientemente, convinzione mantenuta anche quando non riesce a descrivere oggetti che gli sono presentati tramite canale visivo. Si può verificare anosognosia anche per afasia, emiplegia, e altre sindromi da lesione cerebrale. L’anosognosia è un disturbo selettivo: in pazienti affetti da diverse sindromi, per esempio cecità corticale ed emiplegia, può verificarsi una dissociazione ad esempio tra consapevolezza per la prima ed anosognosia per la seconda, oppure un paziente emiplegico può essere anosognosico riguardo soltanto ad uno degli arti paralizzati. Questi fatti suggeriscono che la consapevolezza non sia un processo monolitico e sovraordinato rispetto alle varie funzioni cerebrali, ma al contrario potrebbe risultare dall’integrazione di diversi moduli con domini distinti. Il deficit di consapevolezza può manifestarsi in assenza di disturbi di memoria, del ragionamento o di degenerazione cognitiva, cioè le altre capacità critiche dei pazienti sono intatte.

Valutazione e test della anosognosia

La valutazione dell’anosognosia si è basata, fin dalla metà dell’800, sull’osservazione del comportamento del paziente e su interviste più o meno strutturate, nelle quali l’esaminatore pone domande, dapprima generali e poi sempre più circostanziate ed esplicite. Un esempio di intervista prevede una valutazione da 0 (assenza di anosognosia) a 4 (deficit anosognosico), dove l’esaminatore valuta quanto segue:

  1. Il paziente riferisce il deficit spontaneamente;
  2. Il paziente riconosce il deficit solo dopo una domanda generale relativa al distretto compromesso;
  3. Il paziente riconosce il deficit dopo domanda specifica relativa al distretto compromesso;
  4. Il paziente riconosce il deficit dopo dimostrazione con esame neurologico;
  5. Il paziente non riconosce il deficit.

L’anosognosia può essere esaminata anche attraverso un’autovalutazione con l’ausilio di scale Likert, nelle quali le domande possono essere come quella che segue: “Rispetto a dieci anni fa, come sono le sue capacità complessive, di vestirsi da solo, cucinare da solo?”. L’autovalutazione del paziente viene in genere confrontata con quella di un familiare informato e la differenza tra i due punteggi, indica se il paziente sovra-stima o sotto-stima le proprie prestazioni. La valutazione può essere anche esaminata chiedendo al paziente di assumere una prospettiva in terza persona.

Anosognosia e Sindrome neglect

La “Sindrome neglect”, anche chiamata negligenza spaziale unilaterale, è spesso associata ad anosognosia: il paziente riferisce che vede, esplora, ed effettua movimenti corretti nello spazio controlaterale rispetto al lato della lesione (controlesionale), mentre ciò non si verifica. Per approfondire, leggi: Sindrome neglect (negligenza spaziale unilaterale): cura e riabilitazione

Trattamento e riabilitazione nella anosognosia

Non esiste ad oggi un trattamento farmacologico o chirurgico che possa risolvere definitivamente il problema, tuttavia tale patologia non è necessariamente irreversibile: si può verificare recupero dell’anosognosia in maniera spontanea o anche tramite riabilitazione. Quest’ultima – per la verità – è resa spesso estremamente difficoltosa dal fatto che il paziente anosognosico è meno motivato a recuperare deficit dal momento che non sono, né riescono facilmente a diventare, consapevoli della propria malattia e dei relativi deficit. La riabilitazione deve essere svolta da personale medico, psicoterapico e fisioterapico altamente specializzato. In altri casi invece l’anosognosia non viene recuperata, o è recuperata solo in modo superficiale. La presenza di anosognosia ha tuttavia un valore prognostico negativo e può interferire con gli eventuali trattamenti riabilitativi.

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Cause della anosognosia

Le anosognosie sono un fenomeno molto complesso, ancora non chiaramente compreso dalla medicina e dalla psicologia. Da una parte, può risultare difficoltosa la comprensione della malattia; d’altra parte, queste mettono direttamente in collegamento un fenomeno di alto livello cognitivo (la coscienza) con disturbi che di solito sono di natura organica.

  • Secondo la neurobiologia, alcuni autori suggeriscono che una copia dell’informazione in ingresso (ossia una percezione) è inviata direttamente a un centro di coscienza. Nonostante il fatto che la percezione non sia realmente elaborata dalla zona cerebrale lesionata, il paziente reagirebbe come se ci si trovasse in questo caso.
  • Secondo Antonio Damasio i pazienti sarebbero impossibilitati dal danno cerebrale ad accedere agli input corporei attuali e farebbero affidamento alle rappresentazioni dello stato dell’organismo premorboso. La sua teoria risulta esplicativa per anosognosia e anosodiaforia, ma anche per l’affettività inadeguata alla propria condizione che si osserva nei pazienti, in quanto secondo James-Lange, a cui Damasio si rifà, le emozioni non sono altro che percezioni dello stato attuale del corpo.
  • Un’altra spiegazione è possibile dal punto di vista psicodinamico: l’ipotesi sarebbe che un meccanismo di difesa entri in gioco per preservare il paziente. Ciò non rende, però, conto dell’asimmetria emisferica, per la quale il disturbo neurologico con concomitante anosognosia è associato più spesso a lesioni destre e raramente a lesioni sinistre; inoltre non spiega la selettività dell’anosognosia.

Etimologia della anosognosia

Il termine, che deriva dal greco, significa letteralmente mancanza di conoscenza sulla malattia. Per la precisione, nosos significa malattia, e gnosis sta per conoscenza. Il prefisso a- privativo dona al tutto il significato di assenza. La parola fu coniata da Joseph Babinski nel 1914.

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Emorragia cerebrale da caduta e trauma cranico: sintomi, diagnosi e cure

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L’emorragia cerebrale (in inglese conosciuta come intracranial hemorrhage, intracranial bleed o ICH), corrisponde ad una fuoriuscita più o meno abbondante di sangue da un vaso arterioso o venoso dell’encefalo. La fuoriuscita di sangue ha la principale conseguenza di un danno alle cellule celebrali, a causa sia della privazione del nutrimento garantito dal flusso sanguigno, che della compressione dell’ematoma sul tessuto cerebrale che si crea all’interno del cranio dal momento che quest’ultimo è inespandibile. Tale fuoriuscita di sangue è provocata dalla rottura di un vaso sanguigno che può essere sia il risultato di un picco ipertensivo che è andato a rompere un vaso cerebrale già dilatato (aneurisma cerebrale), oppure la conseguenza di un trauma, ad esempio una caduta o un incidente stradale in cui la testa viene sottoposta ad una forte decelerazione ed impatto.

Leggi anche: Ictus, emorragia cerebrale cerebrale e TIA: cosa fare e cosa assolutamente NON fare

Tutti i traumi cranici determinano emorragia cerebrale?

Fortunatamente no. Non tutti i traumi cranici hanno come conseguenza una emorragia cerebrale: ciò dipende principalmente dal tipo di trauma e dalla presenza o meno di alcuni fattori di rischio che possono favorire la rottura del vaso sanguigno, come ad esempio la presenza di:

  • malformazioni vascolari (aneurismi, malformazioni artero-venose);
  • depositi di sostanza amiloide all’interno delle pareti vasali (angiopatia amiloide);
  • neoplasiecerebrali.

Inoltre il trauma ha un maggior rischio di determinare un maggior danno emorragico, in caso di:

  • presenza di coagulopatie (malattie della coagulazione del sangue);
  • impiego di alcuni farmaci (come gli anticoagulanti);
  • paziente con pregresso ictus cerebrale o infarto del miocardio;
  • uso cronico di sostanze stupefacenti;
  • presenza di ipertensione arteriosa;
  • paziente già debilitato (anziano, con altre patologie come il diabete).

Leggi anche: Che cos’è un attacco ischemico transitorio (TIA)? Impara a riconoscerlo e potrai salvare una vita, anche la tua

Quali sono i sintomi dell’emorragia cerebrale?

I sintomi di norma compaiono all’improvviso subito dopo il trauma e possono evolvere anche molto rapidamente. Essi sono:

  • cefalea intensa ed improvvisa (descritta spesso come un colpo di pugnale alla nuca);
  • vomito;
  • nausea;
  • compromissione dello stato di coscienza e del controllo degli sfinteri;
  • emiparesi o emiplegia;
  • disturbi del linguaggio (disartria o afasia);
  • disturbi della sensibilità;
  • disturbi della coordinazione.

In alcuni casi tuttavia l’emorragia da traumi può essere lieve e rimanere asintomatica, cioè non determinare alcun sintomo, motivo per cui, in caso di urti alla testa, è comunque importante tenere sotto controllo medico il soggetto.

Il decorso poi può essere complicato da:

  • crisi comiziali
  • irregolarità respiratorie
  • instabilità o aumento della pressione arteriosa
  • anomalie della temperatura corporea che peggiorano la prognosi del paziente.

Vi può poi essere la comparsa di edema cerebrale che determina un peggioramento del quadro neurologico fino al coma.

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Diagnosi

Per la diagnosi di emorragia cerebrale vengono utilizzati – in emergenza – i seguenti esami diagnostici per immagini:

  • tomografia computerizzata (TC) cerebrale, che in fase di urgenza può essere eseguita anche senza mezzo di contrasto, che permette di visualizzare il sanguinamento e permette la diagnosi differenziale nei confronti di un ictus ischemico;
  • la risonanza magnetica dell’encefalo, con gadolinio come mezzo di contrasto, viene utilizzata per escludere la presenza di malformazioni sottostanti, pregresse emorragie e microsanguinamenti (che possono suggerire la presenza di angiopatia amiloide);
  • lo studio angiografico con angio-TCangio-RM permette infine di evidenziare eventuali malformazioni vascolari.

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Trattamenti

L’intervento chirurgico di riduzione dell’ematoma è solitamente richiesto per i pazienti con ematoma lombare e deterioramento progressivo delle condizioni neurologiche e per i pazienti con ematoma del cervelletto (cerebellare) di dimensioni superiori ai tre centimetri.
Nei pazienti per i quali non è necessario l’intervento chirurgico è fondamentale un attento e continuo monitoraggio dello stato neurologico e dei parametri vitali: particolare attenzione deve essere rivolta al controllo dell’ipertensione arteriosa. In caso di importante edema cerebrale può essere richiesta la somministrazione di diuretici osmotici. In caso di emorragia cerebrale in concomitanza con una terapia anticoagulante si fa solitamente uso di preparati in grado di ripristinare la normale coagulazione del sangue (vitamina K, protamina, concentrati piastrinici).

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Conseguenze dell’emorragia cerebrale

L’emorragia cerebrale è un evento grave, in alcuni casi gravissimo, che mette a rischio la sopravvivenza di chi lo subisce e le sue conseguenze possono essere irreversibili o solo lievemente reversibili e rappresentare il motivo di serie disabilità per il resto della vita. In alcuni casi, purtroppo, il paziente colpito da emorragia cerebrale, può entrare in coma e rimanere in stato di incoscienza fino alla morte, che può sopraggiungere in tempi estremamente variabili in base all’età, alla gravità del danno cerebrale ed allo stato di salute generale del paziente. In altri casi il paziente rimane cosciente, ma può avere dei danni molto variabili, che riflettono la zona e la gravità del danno cerebrale, come ad esempio disturbi del linguaggio (afasie), anosognosia, disturbi del movimento, della vista… Sono comunque disponibili dei trattamenti riabilitativi che riducono, per quanto possibile, le invalidità del paziente.

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Emorragia cerebrale: operazione e tempi di riassorbimento

ChirurgiaL’emorragia cerebrale (in inglese conosciuta come intracranial hemorrhage, intracranial bleed o ICH), corrisponde ad una fuoriuscita più o meno abbondante di sangue da un vaso arterioso o venoso dell’encefalo. La fuoriuscita di sangue ha la principale conseguenza di un danno alle cellule celebrali, a causa sia della privazione del nutrimento garantito dal flusso sanguigno, che della compressione dell’ematoma sul tessuto cerebrale che si crea all’interno del cranio dal momento che quest’ultimo è inespandibile. Tale fuoriuscita di sangue è provocata dalla rottura di un vaso sanguigno che può essere sia il risultato di un picco ipertensivo che è andato a rompere un vaso cerebrale già dilatato (aneurisma cerebrale), oppure la conseguenza di un trauma, ad esempio una caduta o un incidente stradale in cui la testa viene sottoposta ad una forte decelerazione ed impatto.

L’intervento chirurgico in caso di emorragia cerebrale

Le reazioni dell’organismo ad una emorragia sono estremamente variabili e vanno da lievi alterazioni motorie fino al come ed alla morte. Ciò dipende non solo dallo stato di salute generale del paziente e dal danno nervoso (luogo di insorgenza, tipo di vaso coinvolto…), ma anche molto dalla tempestività in cui si effettuano i trattamenti medici. L’intervento chirurgico effettuato in tempi rapidi ha lo scopo di interrompere l’emorragia e di ridurre dell’ematoma che, come prima accennato, comprime il tessuto cerebrale contribuendo al danno sia direttamente, con la compressione, sia indirettamente perché determina un aumento della pressione intracranica che impedisce a nuovo sangue in arrivo dal cuore, di raggiungere il cervello.

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Dopo l’intervento chirurgico

Dopo l’intervento chirurgico è fondamentale un attento e continuo monitoraggio  dello stato neurologico e dei parametri vitali: particolare attenzione deve essere rivolta al controllo dell’ipertensione arteriosa. Può essere richiesta la somministrazione di diuretici osmotici per ridurre l’edema (riassorbimento dell’ematoma) e ridurre la possibilità di danni al tessuto cerebrale. In caso di emorragia cerebrale in concomitanza con una terapia anticoagulante si fa solitamente uso di preparati in grado di ripristinare la normale coagulazione del sangue (vitamina K, protamina, concentrati piastrinici).

Tempi di riassorbimento dell’ematoma

I tempi del riassorbimento di un ematoma non sono purtroppo prevedibili: ogni paziente fa letteralmente storia a sé. Il sangue tende a riassorbirsi rientrando e defluendo nella circolazione locale e poi generale, ma la velocità con cui il processo avviene è strettamente collegato alla quantità della lesione ed allo stato generale di salute del paziente. L’ematoma va tenuto sotto controllo con TC (tomografia computerizzata o TAC) ripetute che possono dare indicazioni al medico sui possibili tempi di riassorbimento.

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