Lesioni del nervo vago, laringeo ricorrente ed accessorio spinale

MEDICINA ONLINE NERVO ACCESSORIO 11 NERVO CRANICO XI RADICE CRANICA NERVO VAGO RADICE SPINALE TRAPEZIO STERNOCLEIDOMASTOIDEO NERVI CRANICI NERVI ENCEFALICI ANATOMIA FUNZIONI SINTESI PATOLOGIA SPALLA

Nervo vago

Il nervo vago (X) parte dal midollo allungato e si porta, attraverso il foro giugulare, verso il basso nel torace e nell’addome. I 2 nervi vaghi destro e sinistro sono tra i più importanti del corpo nonché i più lunghi ed i più ramificati tra i Continua a leggere

Sincope vasovagale da defecazione, post prandiale, convulsiva: cura e significato

DOTT. EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO PSICHIATRIA MEDICINA DELLE DIPENDENZE DIRETTORE MEDICINA ONLINE INFARTO SVENIMENTO PERICOLO EMERGENZA URGENZA COMA SINCOPE DOLORE PERDERE I SENSI SONNO 112 PRONTO SOCCORSOCon “sincope vasovagale” o “vaso-vagale” si intende una mancanza di afflusso sanguigno nella zona del cervello da improvvisa ipotensione arteriosa (cioè da rapida riduzione della Continua a leggere

Infiammazione del nervo vago: cause, sintomi, diagnosi, stress, cure

MEDICINA ONLINE NERVO VAGO VAGUS NERVE X NERVO CRANICO DECIMO ANATOMIA FUNZIONI SISTEMA PARASIMPATICO PATOLOGIE INFIAMMAZIONE DECORSO FISIOLOGIA UMANA CERVELLO ENCEFALOIl nervo vago (o nervo pneumogastrico) è il decimo nervo cranico (X nervo cranico). Il nervo vago parte dal midollo allungato e si porta, attraverso Continua a leggere

Nervo vago: anatomia, funzioni e patologie in sintesi

MEDICINA ONLINE NERVI CRANICI ENCEFALICI ANATOMIA FUNZIONI SCHEMA TABELLA PATOLOGIE NUMERAZIONE DANNI OLFATTIVO OTTICO OCULOMOTORE TRIGEMINO ABDUCENTE FACCIALE VESTIBOLOCOCLEARE VAGO GLOSSOFARINGEO ACCESSORIO IPOGLOSSOIl nervo vago (chiamato anche nervo pneumogastrico o, in lingua inglese vagus nerve) è il decimo nervo appartenente al gruppo dei 12 nervi cranici (X nervo cranico). Il nervo vago parte dal Continua a leggere

Polipeptide pancreatico: cos’è, a che serve, perché aumenta o diminuisce?

MEDICINA ONLINE PANCREAS ADDOME TUBO DIGERENTE INTESTINO DUODENO DIABETE INSULINA GLUCAGONE SOMATOSTATINA POLIPEPTIDE PANCREATICO GHIANDOLA ENDOCRINA ESOCRINA ANFICRINA DOVE SI TROVA FUNZIONI DESTRA SINISTRACos’è il peptide pancreatico e dove viene prodotto?

Il polipeptide pancreatico (“PP”, in inglese “pancreatic polypeptide”), è un ormone prodotto principalmente dalle cellule PP del pancreas disposte alla periferia delle isole, localizzate in prevalenza a livello della porzione inferiore della testa del pancreas. Le cellule PP sono localizzate anche nella mucosa del duodeno, anche se in minor numero rispetto al pancreas. La struttura del polipeptide pancreatico è caratterizzata da Continua a leggere

Svenire durante la defecazione, minzione o deglutizione: è possibile?

MEDICINA ONLINE BAGNO CACCA FECI WATER WC TOILETTE INTESTINO COLON STIPSI STITICHEZZA RETTO ANO EMORROIDI DOLORE COPROCULTURA ANALISI SANGUE FECI ANALISI INFEZIONE PESO DIETA DIMAGRIRE LASSATIVO URINA PIPI CISTITE BERE ACQUSi può svenire mentre si va in bagno o mentre si deglutisce? Si, è possibile. Leggete fino in fondo questo articolo e scoprirete come.

Cos’è uno svenimento?

Lo “svenimento”, che in medicina viene più correttamente chiamato “sincope”, è una condizione caratterizzata dalla improvvisa perdita transitoria della coscienza associata all’incapacità di mantenere la posizione eretta, fatti potenzialmente pericolosi se si sta guidando una vettura, si sta svolgendo un lavoro pericoloso o se nella caduta si sbatte la testa (o il femore, se il soggetto è anziano e/o con osteoporosi) con elevato rischio di trauma cerebrale e fratture ossee. Generalmente, in tempi variabili di circa poche decine di secondi, lo svenimento cessa e la persona torna vigile spontaneamente, in caso contrario si parla di coma. Non tutte le perdite di coscienza transitorie sono però sincopi: in alcune forme di epilessia, ad esempio, si perde coscienza ma non si tratta di sincope, perché non si ha diminuzione del flusso ematico cerebrale né perdita del tono posturale. Alcune perdite di coscienza con perdita di tono posturale possono essere inoltre determinate da ipoglicemia, ma in questo caso non si tratta di sincope perché la causa della perdita di coscienza dipende dall’abbassamento della concentrazione degli zuccheri nel sangue, e non dalla diminuzione del flusso cerebrale.

Cause di uno svenimento

La perdita di conoscenza della sincope è la conseguenza di interruzione totale o parziale temporanea del flusso di sangue al cervello, che si risolve spontaneamente in tempi molto rapidi. Per questo motivo, ad esempio, un calo glicemico repentino che pure può dar luogo a perdita di coscienza e caduta, non è classificabile come sincope in quanto la perfusione cerebrale (afflusso di sangue al cervello) rimane nella norma. Per approfondire, leggi: Differenza tra calo di zuccheri e calo di pressione: sono la stessa cosa?

Una delle tipiche cause di svenimento è l’ipotensione arteriosa, cioè quella condizione in cui la pressione del sangue arterioso diminuisce oltre un certo limite, tale per cui il sangue non riesce ad essere spinto in modo adeguato ai tessuti cerebrali, che sono estremamente “avidi” ed “esigenti” in fatto di fabbisogno ematico (il cervello ha necessità di ricevere almeno 50 millilitri di sangue al minuto per ogni 100 grammi del suo tessuto, altrimenti si rischia lo svenimento).

Ricorda: Si parla di ipotensione se la pressione arteriosa sistolica (pressione massima) è minore di 100 mmHg o se la pressione arteriosa diastolica (minima) è minore 60 mmHg. Per approfondire leggi: Ipotensione arteriosa: cause, rischi e cura della pressione bassa

Cause di ipertensione e sincope

Le cause di ipotensione che possono portare a svenimento sono molte. Una causa tipica è l’ipotensione ortostatica che si verifica nel passaggio rapido in posizione eretta partendo da sdraiato, fatto questo che diminuisce la pressione arteriosa sistolica di anche 20 mmHg: tale improvvisa diminuzione di spinta ematica, priva il cervello del sangue necessario e può determinare svenimento, specie in soggetti già ipotesi e/o in anziani. Per approfondire leggi anche:

Esistono poi le ipotensioni arteriose neuromediate, un gruppo alquanto eterogeneo di condizioni la cui caratteristica comune è una temporanea iperattività del sistema nervoso autonomo o simpatico che, indipendentemente dalla nostra volontà, regola la pressione arteriosa mediante vasodilatazione e frequenza dei battiti cardiaci. Per effetto di questa iperattività il fisiologico controllo del circolo arterioso viene alterata e si determina bradicardia (rallentamento della frequenza cardiaca) o vasodilatazione (allargamento del diametro dei vasi sanguigni ) o entrambe le cose. La conseguenza di bradicardia e vasodilatazione è una improvvisa diminuzione della pressione arteriosa che porta a minor afflusso di sangue al cervello e svenimento.

Esistono varie tipologie di svenimento da ipotensione neuromediata, le più comuni sono:

Vasovagali. Sono varie sindromi che hanno in comune la mediazione del nervo vago e che conducono al temporaneo svenimento. I trigger ossia i grilletti che attivano questa condizione sono svariati ed eterogenei tra loro ed ad esempio: rimanere in piedi per tempi lunghi, emozioni intense…

Seno carotidee. Sono dovute ad una ipersensibilità del seno carotideo, che è una dilatazione nel tratto iniziale della arteria carotide interna in prossimità della regione in cui ha origine, cioè alla biforcazione con la carotide. Gesti comuni come radersi, allacciarsi il colletto della camicia o farsi il nodo alla cravatta possono attivare il riflesso seno-carotideo che determina una asistolia cardiaca transitoria (mancanza di sistole ovvero della contrazione del cuore) ed anche ipotensione. La conseguenza è ipoperfusione cerebrale e sincope.

Situazionali. Sono causate da un insieme di situazioni diverse tra loro ma che hanno in comune l’involontaria esecuzione di movimenti che portano a compiere quella che in medicina viene chiamata manovra di Valsalva: ovvero una  espirazione forzata con la glottide chiusa. Tutto ciò produce un aumento della pressione intra-toracica che contrasta il ritorno del sangue venoso al cuore. Ne consegue una riduzione della gittata sistolica e quindi della pressione arteriosa sistemica. I ricettori che sono posizionati nel seno carotideo rivelano il calo pressorio e per compensare lo squilibrio eccitano il sistema simpatico che induce aumento della frequenza cardiaca e vasocostrizione. Azioni che tendono a risollevare la pressione. La sincope in questa sequenza rapida di eventi può instaurarsi o per effetto del calo della pressione causato dalla diminuzione della gittata sistolica o per la successiva iperattivazione del sistema simpatico. Le situazioni che più comunemente attivano questo tipo di sincope sono: colpi di tosse, starnuti, sforzi durante la defecazione, minzione, deglutizione, esercizi fisici come il sollevamento di pesi, il post- prandiale, etc.

Terapia per l’ipotensione arteriosa

Essendo molte le cause dell’ipertensione arteriosa (in questo articolo ne abbiamo citate solo alcune), le terapie possibili sono diverse e sono legate alle cause a monte che hanno determinato l’ipotensione. C’è da dire che, se si eccettuano i casi di ipotensione secondaria a gravi patologie che richiedono il ricovero ospedaliero, in genere è sufficiente una buona idratazione per ripristinare una massa ematica adeguata. Nelle ipotensioni legate a farmaci antipertensivi, è spesso sufficiente modificare la dose del farmaco per evitare l’ipotensione. Negli altri casi l’ipotensione può essere risolta andando a causare la patologia a monte che la causa. La Diidroergotamina che causa aumento del tono venoso è il farmaco di prima scelta nella forma con prevalenza del tono simpatico e nella forma dinamicolabile dell’alterazione della regolazione circolatoria.

Consigli generali per minimizzare il rischio di ipotensione

  • maggiore apporto di sodio (ad es. al mattino panino con burro salato) e di liquidi; controindicazione: insufficienza cardiaca;
  • esercizi per la circolazione (attività sportiva);
  • massaggi, idroterapia (Kneipp);
  • la posizione a letto con busto più alto di 20o diminuisce la diuresi notturna e la reazione ortostatica al mattino;
  • alzarsi lentamente dalla posizione sdraiata;
  • calze elastiche.

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Cause di svenimento improvviso: glicemia, pressione, neuromediate

MEDICINA ONLINE CERVELLO BRAIN TELENCEFALO MEMORIA EMOZIONI CARATTERE ORMONI EPILESSIA STRESS RABBIA PAURA FOBIA SONNAMBULO ATTACCHI PANICO ANSIA VERTIGINE LIPOTIMIA IPOCONDRIA PSICOLOGIA DEPRESSIONE TRISTE STANCHEZZA ROMBERGLo “svenimento”, che in medicina viene più correttamente chiamato “sincope”, è una condizione caratterizzata dalla improvvisa perdita transitoria della coscienza associata all’incapacità di mantenere la posizione eretta, fatti potenzialmente pericolosi se si sta guidando una vettura, si sta svolgendo un lavoro pericoloso o se nella caduta si sbatte la testa (o il femore, se il soggetto è anziano e/o con osteoporosi) con elevato rischio di trauma cerebrale e fratture ossee. Generalmente, in tempi variabili di circa poche decine di secondi, lo svenimento cessa e la persona torna vigile spontaneamente, in caso contrario si parla di coma. Non tutte le perdite di coscienza transitorie sono però sincopi: in alcune forme di epilessia, ad esempio, si perde coscienza ma non si tratta di sincope, perché non si ha diminuzione del flusso ematico cerebrale né perdita del tono posturale. Alcune perdite di coscienza con perdita di tono posturale possono essere inoltre determinate da ipoglicemia, ma in questo caso non si tratta di sincope perché la causa della perdita di coscienza dipende dall’abbassamento della concentrazione degli zuccheri nel sangue, e non dalla diminuzione del flusso cerebrale.

Cause di uno svenimento

La perdita di conoscenza della sincope è la conseguenza di interruzione totale o parziale temporanea del flusso di sangue al cervello, che si risolve spontaneamente in tempi molto rapidi. Per questo motivo, ad esempio, un calo glicemico repentino che pure può dar luogo a perdita di coscienza e caduta, non è classificabile come sincope in quanto la perfusione cerebrale (afflusso di sangue al cervello) rimane nella norma. Per approfondire, leggi: Differenza tra calo di zuccheri e calo di pressione: sono la stessa cosa?

Una delle tipiche cause di svenimento è l’ipotensione arteriosa, cioè quella condizione in cui la pressione del sangue arterioso diminuisce oltre un certo limite, tale per cui il sangue non riesce ad essere spinto in modo adeguato ai tessuti cerebrali, che sono estremamente “avidi” ed “esigenti” in fatto di fabbisogno ematico (il cervello ha necessità di ricevere almeno 50 millilitri di sangue al minuto per ogni 100 grammi del suo tessuto, altrimenti si rischia lo svenimento).

Ricorda: Si parla di ipotensione se la pressione arteriosa sistolica (pressione massima) è minore di 100 mmHg o se la pressione arteriosa diastolica (minima) è minore 60 mmHg. Per approfondire leggi: Ipotensione arteriosa: cause, rischi e cura della pressione bassa

Cause di ipertensione e sincope

Le cause di ipotensione che possono portare a svenimento sono molte. Una causa tipica è l’ipotensione ortostatica che si verifica nel passaggio rapido in posizione eretta partendo da sdraiato, fatto questo che diminuisce la pressione arteriosa sistolica di anche 20 mmHg: tale improvvisa diminuzione di spinta ematica, priva il cervello del sangue necessario e può determinare svenimento, specie in soggetti già ipotesi e/o in anziani. Per approfondire leggi anche:

Esistono poi le ipotensioni arteriose neuromediate, un gruppo alquanto eterogeneo di condizioni la cui caratteristica comune è una temporanea iperattività del sistema nervoso autonomo o simpatico che, indipendentemente dalla nostra volontà, regola la pressione arteriosa mediante vasodilatazione e frequenza dei battiti cardiaci. Per effetto di questa iperattività il fisiologico controllo del circolo arterioso viene alterata e si determina bradicardia (rallentamento della frequenza cardiaca) o vasodilatazione (allargamento del diametro dei vasi sanguigni ) o entrambe le cose. La conseguenza di bradicardia e vasodilatazione è una improvvisa diminuzione della pressione arteriosa che porta a minor afflusso di sangue al cervello e svenimento.

Esistono varie tipologie di svenimento da ipotensione neuromediata, le più comuni sono:

Vasovagali. Sono varie sindromi che hanno in comune la mediazione del nervo vago e che conducono al temporaneo svenimento. I trigger ossia i grilletti che attivano questa condizione sono svariati ed eterogenei tra loro ed ad esempio: rimanere in piedi per tempi lunghi, emozioni intense…

Seno carotidee. Sono dovute ad una ipersensibilità del seno carotideo, che è una dilatazione nel tratto iniziale della arteria carotide interna in prossimità della regione in cui ha origine, cioè alla biforcazione con la carotide. Gesti comuni come radersi, allacciarsi il colletto della camicia o farsi il nodo alla cravatta possono attivare il riflesso seno-carotideo che determina una asistolia cardiaca transitoria (mancanza di sistole ovvero della contrazione del cuore) ed anche ipotensione. La conseguenza è ipoperfusione cerebrale e sincope.

Situazionali. Sono causate da un insieme di situazioni diverse tra loro ma che hanno in comune l’involontaria esecuzione di movimenti che portano a compiere quella che in medicina viene chiamata manovra di Valsalva: ovvero una  espirazione forzata con la glottide chiusa. Tutto ciò produce un aumento della pressione intra-toracica che contrasta il ritorno del sangue venoso al cuore. Ne consegue una riduzione della gittata sistolica e quindi della pressione arteriosa sistemica. I ricettori che sono posizionati nel seno carotideo rivelano il calo pressorio e per compensare lo squilibrio eccitano il sistema simpatico che induce aumento della frequenza cardiaca e vasocostrizione. Azioni che tendono a risollevare la pressione. La sincope in questa sequenza rapida di eventi può instaurarsi o per effetto del calo della pressione causato dalla diminuzione della gittata sistolica o per la successiva iperattivazione del sistema simpatico. Le situazioni che più comunemente attivano questo tipo di sincope sono: colpi di tosse, starnuti, sforzi durante la defecazione, minzione, deglutizione, esercizi fisici come il sollevamento di pesi, il post- prandiale, etc.

Terapia per l’ipotensione arteriosa

Essendo molte le cause dell’ipertensione arteriosa (in questo articolo ne abbiamo citate solo alcune), le terapie possibili sono diverse e sono legate alle cause a monte che hanno determinato l’ipotensione. C’è da dire che, se si eccettuano i casi di ipotensione secondaria a gravi patologie che richiedono il ricovero ospedaliero, in genere è sufficiente una buona idratazione per ripristinare una massa ematica adeguata. Nelle ipotensioni legate a farmaci antipertensivi, è spesso sufficiente modificare la dose del farmaco per evitare l’ipotensione. Negli altri casi l’ipotensione può essere risolta andando a causare la patologia a monte che la causa. La Diidroergotamina che causa aumento del tono venoso è il farmaco di prima scelta nella forma con prevalenza del tono simpatico e nella forma dinamicolabile dell’alterazione della regolazione circolatoria.

Consigli generali per minimizzare il rischio di ipotensione

  • maggiore apporto di sodio (ad es. al mattino panino con burro salato) e di liquidi; controindicazione: insufficienza cardiaca;
  • esercizi per la circolazione (attività sportiva);
  • massaggi, idroterapia (Kneipp);
  • la posizione a letto con busto più alto di 20o diminuisce la diuresi notturna e la reazione ortostatica al mattino;
  • alzarsi lentamente dalla posizione sdraiata;
  • calze elastiche.

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Manovra di Valsalva in medicina (tachicardia e nervo vago)

MEDICINA ONLINE CUORE HEART INFARTO MIOCARDIO NECROSI ATRIO VENTRICOLO AORTA VALVOLA POMPA SANGUE ANGINA PECTORIS STABILE INSTABILE ECG SFORZO CIRCOLAZIONELa manovra di Valsalva (MV), dal nome del medico Antonio Maria Valsalva, è una manovra di compensazione forzata dell’orecchio medio, utilizzata principalmente in medicina, specialmente in campo cardiologico, ma anche in campo subacqueo.

In cosa consiste la manovra di Valsalva?

La manovra di Valsalva consiste in una inspirazione relativamente profonda seguita da un’espirazione forzata a glottide chiusa della durata di circa 10 secondi.

Cos’è la glottide?

La “glottide” è il segmento superiore della laringe in corrispondenza delle corde vocali, posto al di sotto dell’epiglottide ed al di sopra della cartilagine cricoide. La glottide è, in parole semplici, l’apertura della laringe e corrisponde allo spazio naturale che può formarsi in mezzo alle corde vocali ed alle loro rispettive cartilagini aritenoidi; non è uno spazio permanente e fisso dal momento che essa risente delle attività e dei movimenti di cui è protagonista la laringe: durante la respirazione la glottide assume la forma di un triangolo, mentre durante la fonazione (emissione di voce) la glottide diviene una linea sottile interposta tra le corde vocali. La glottide ha tre funzioni: permette una corretta fonazione; isola l’apparato respiratorio da quello digerente, permettendo il passaggio del cibo nell’esofago e dell’aria nella trachea. Per approfondire: Glottide: anatomia, funzioni, infiammata, tumore, immagini

A cosa serve la manovra di Valsalva?

Inizialmente tale manovra veniva adoperata per rimuovere suppurazione e corpi estranei dall’orecchio. Successivamente, l’attenzione si è spostata sulle variazioni emodinamiche prodotte dalla sua esecuzione che si sono rivelate utili nell’iter diagnostico di numerose condizioni patologiche, cardiologiche e non. Risulta inoltre utile nel controllo della tachicardia.

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Manovra di Valsalva nella tachicardia

La manovra di Valsalva viene insegnata dai cardiologi ai pazienti soggetti a crisi di tachicardia parossistica per bloccarla, in quanto viene stimolato il nervo vago (X nervo cranico), provocando quindi una stimolazione vagale parasimpatica che rallenta la frequenza cardiaca.

La dinamica della MV contempla quattro fasi:

  1. fase di inizio della tensione,
  2. fase di tensione,
  3. fase di rilasciamento,
  4. fase di recupero.

Normalmente, la fase I è caratterizzata, durante l’espirazione a glottide chiusa, dall’aumento della pressione intratoracica e della pressione arteriosa sistolica a causa della compressione dell’aorta. Successivamente, durante la fase II, si assiste alla diminuzione del ritorno venoso e della pressione arteriosa sistolica secondarie al permanere, a livello intratoracico, di una pressione positiva. Contemporaneamente, si assiste all’incremento della frequenza cardiaca. Durante le fasi successive di rilasciamento e di recupero, la rapida riduzione della pressione intratoracica determina l’attivazione di una serie di meccanismi di compenso fisiologici. Specificamente, la rapida modifica del volume ematico presente nel sistema vascolare polmonare determina una brusca riduzione della pressione arteriosa sistolica (fase III) e, successivamente, l’aumento della portata cardiaca, la vasocostrizione
periferica da iperattività simpatica e la riduzione della frequenza cardiaca, determinano l’incremento della pressione arteriosa sistolica (fase IV).

La Manovra di Valsalva è ancora utile?

La MV è stata largamente utilizzata nella semeiotica “classica” per la valutazione dei pazienti con scompenso cardiaco e per una più approfondita valutazione dei soffi cardiaci. L’avvento di metodiche di imaging più moderne quale è l’ecocardiografia,
ha ridotto l’utilizzo di tale manovra nella pratica clinica. Tuttavia, essa rappresenta ancora un valido aiuto nel laboratorio di ecocardiografia nella valutazione della funzione  diastolica del ventricolo sinistro, nella valutazione dell’entità dell’ostruzione all’efflusso del ventricolo sinistro nella cardiomiopatia ipertrofica, e nella diagnosi di pervietà del forame ovale (PFO) per la valutazione dello shunt destro-sinistro ad esso
associato. Inoltre, la MV conserva una discreta utilità nella valutazione semeiotica classica di numerose condizioni cliniche cardiovascolari come la diagnostica dei soffi cardiaci sistolici, la dis-funzione autonomica, le aritmie e lo scompenso cardiaco.

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LA MANOVRA DI VALSALVA NELLA DIAGNOSI CLINICA

Manovra di Valsalva e soffi cardiaci

Le modifiche emodinamiche indotte dalla MV sono di aiuto, all’auscultazione, nella diagnostica tra i diversi tipi di soffi cardiaci. Quando la gittata sistolica e la pressione arteriosa sistemica si riducono, i soffi sistolici della stenosi aortica e polmonare e dell’insufficienza mitralica e tricuspidale si riducono e i soffi diastolici dell’insufficienza aortica e polmonare e della stenosi tricuspidale e mitralica riducono la propria intensità. Inoltre, l’aumento di intensità dei soffi durante l’esecuzione della MV in pazienti con cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva distingue questo tipo di soffio da altri tipi di soffi sistolici, mentre il soffio telesistolico e il click del prolasso della valvola mitrale vengono
anticipati.

Manovra di Valsalva e disfunzione autonomica

La MV è adoperata nello studio della disfunzione autonomica fornendo informazioni sia sulla funzione del sistema simpatico che del sistema parasimpatico4, andando a valutare la risposta pressoria alla MV per lo studio della funzione adrenergica ed adoperando un indice, il Valsalva ratio, per lo studio della funzione vagale. Il Valsalva ratio è un indice che permette un’individuazione precoce della disfunzione vagale anche in pazienti che ancora devono sviluppare una cardiopatia evidente. Esso è dato dal rapporto tra la frequenza cardiaca durante la fase IV della MV e la frequenza cardiaca durante la fase II. Di norma si riscontra un incremento della frequenza cardiaca durante la fase II come
risposta alla caduta della pressione arteriosa, mentre come risposta baroriflessa durante la fase IV si apprezza un aumento della pressione arteriosa associata ad una bradicardia transitoria. In pazienti con disfunzione autonomica si verifica la perdita dell’incremento dei valori pressori e della bradicardia riflessa indotti dalla MV.

Manovra di Valsalva e aritmie

La MV determina aumento del tono vagale e rallenta la conduzione e la refrattarietà del nodo atrioventricolare. In tal modo questa manovra consente di: a) ridurre transitoriamente la frequenza cardiaca in casi di tachicardia sinusale agendo sulla frequenza di scarica del nodo seno-atriale; b) interrompere episodi di tachicardia da rientro a livello del nodo atrioventricolare e rientro atrioventricolare; c) slatentizzare (senza interrompere) casi di tachicardia parossistica sopraventricolare, flutter e fibrillazione atriale. Al contrario, la MV non esercita alcun effetto in corso di tachicardia ventricolare.

Manovra di Valsalva e scompenso cardiaco

Nella valutazione del paziente con scompenso cardiaco l’esecuzione della MV a letto del paziente risulta di grande aiuto permettendo di documentare l’eventuale presenza di disfunzione ventricolare. Difatti la risposta della pressione arteriosa si correla bene alla capacità funzionale, ai livelli plasmatici di neurormoni e all’emodinamica cardiaca, fornendo anche utili informazioni prognostiche. Inoltre, la MV può anche essere adoperata a letto del paziente in associazione al’ecografia vascolare valutando le variazioni dell’area della sezione trasversa della vena giugulare interna al fine di ottenere una misura indiretta della pressione venosa centrale. In tal modo è possibile limitare significativamente l’utilizzo di procedure invasive di misurazione della pressione atriale destra e monitorizzare la gestione del paziente con scompenso cardiaco.

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