Differenza tra fibrillazione atriale ed aritmia

MEDICINA ONLINE CUORE ELETTROCARDIOGRAMMA SINUSALE DEFIBRILLATORE CARDIOVERSIONE SPONTANEA ELETTRICA SHOCK FARMACOLOGICA FARMACI URGENZA EMERGENZA MASSAGGIO CARDIACO ARRESTO RESPIRAZIONEIl cuore è un muscolo che ha come compito fondamentale quello di far circolare il sangue in tutto il corpo e per raggiungere tale obiettivo si contrae in maniera adeguata grazie ad un circuito elettrico, detto sistema eccito-conduzione, che attiva e regola la contrazione cardiaca. Tale contrazione è regolata, dal punto di vista temporale:

  • nella frequenza (cioè nel numero di contrazioni al minuto);
  • nel ritmo (cioè nella pari distanza temporale tra un battito ed il successivo, rispetto a tutti gli altri battiti, che si traduce nella regolarità delle contrazioni).

Normalmente la frequenza cardiaca varia tra i 60 e i 100 battiti al minuto e le contrazioni si susseguono in modo regolare e ritmico (ad esempio distanziate sempre da un secondo una dall’altro nel caso di una frequenza di 60 battiti al minuto), con solo leggere variazioni fisiologiche legate alla respirazione (i battiti tendono a rallentare durante una espirazione profonda). Alterazioni fisiologiche o ritardi/blocchi dell’impulso elettrico che si verificano in varie patologie, vanno ad alterare uno od entrambi questi fattori, determinando appunto aritmia. L’aritmia cardiaca è quindi un disturbo:

  • della frequenza cardiaca aumentata (tachicardia) in cui la frequenza supera i 100 battiti al minuto a riposo;
  • della frequenza cardiaca diminuita (bradicardia) in cui la frequenza è inferiore ai 60 battiti al minuto a riposo.
  • del ritmo cardiaco, in cui i battiti non sono ritmici (ad esempio: fibrillazione atriale).

Tali alterazioni sono riscontrabili semplicemente grazie al polso radiale o un elettrocardiogramma (ECG). E’ importante ricordare che non tutte le aritmie sono determinate da patologie. Un aumento fisiologico della frequenza cardiaca si verifica ad esempio compiendo un grosso sforzo o durante la gravidanza, mentre è abbastanza frequente riscontrare una bradicardia fisiologica in atleti e sportivi particolarmente allenati.

Con “fibrillazione atriale” in medicina si intende una aritmia cardiaca, cioè una alterazione del ritmo cardiaco normale (ritmo sinusale), che origina dagli atri del cuore. È una complessa patologia elettrica degli atri che presenta costantemente tre caratteristiche principali:

  • l’attivazione elettrica rapida ed apparentemente caotica del tessuto atriale, che provoca il caratteristico sintomo di cuore “palpitante” ed è riscontrabile con un comune elettrocardiogramma (ECG);
  • la diminuita efficienza dell’attività di pompa del cuore (diminuzione della gittata cardiaca);
  • se la fibrillazione atriale si prolunga nel tempo determina l’aumento del rischio tromboembolico, causato dal rallentamento del flusso ematico nel cuore che porta ad aumentato rischio di coagulazione. L’eventuale formazione di embolo può portare a ictus cerebrale o infarto del miocardio.

La fibrillazione atriale è il risultato di un gran numero di disordini cardiaci ed extracardiaci: da malattie strutturali, come le valvulopatie e le cardiomiopatie, all’ipertensione arteriosa, a malattie genetiche ereditarie, a ernia iatale, patologie della tiroide, ai distiroidismi, fino ai casi in cui non è possibile determinare la causa, detti idiopatici.

Da quanto detto appare chiara la differenza tra “aritmia” e “fibrillazione atriale”: quest’ultima è un tipo particolare di aritmia. Tutte le fibrillazioni atriali sono aritmie, ma non tutte le aritmie sono fibrillazioni atriali.

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Differenza tra fibrillazione atriale ed extrasistole

MEDICINA ONLINE CUORE ELETTROCARDIOGRAMMA SINUSALE DEFIBRILLATORE CARDIOVERSIONE SPONTANEA ELETTRICA SHOCK FARMACOLOGICA FARMACI URGENZA EMERGENZA MASSAGGIO CARDIACO ARRESTO RESPIRAZIONE BOCCA RIANIMAZIONE ECG FIBRILLATORE.jpgCon “fibrillazione atriale” in medicina si intende una aritmia cardiaca, cioè una alterazione del ritmo cardiaco normale (ritmo sinusale), che origina dagli atri del cuore. È una complessa patologia elettrica degli atri  che presenta costantemente tre caratteristiche principali:

  • l’attivazione elettrica rapida ed apparentemente caotica del tessuto atriale, che provoca il caratteristico sintomo di cuore “palpitante” ed è riscontrabile con un comune elettrocardiogramma (ECG);
  • la diminuita efficienza dell’attività di pompa del cuore (diminuzione della gittata cardiaca);
  • se la fibrillazione atriale si prolunga nel tempo determina l’aumento del rischio tromboembolico, causato dal rallentamento del flusso ematico nel cuore che porta ad aumentato rischio di coagulazione. L’eventuale formazione di embolo può portare a ictus cerebrale o infarto del miocardio.

In base alla durata dei sintomi la fibrillazione atriale si può classificare in parossistica, persistente e cronica. Generalmente in un soggetto sano e giovane la fibrillazione è parossistica, sporadica, di breve durata. In soggetti più anziani e con altre patologie cardiocircolatorie è invece più frequentemente persistente, di lunga durata.

Con “extrasistole” in medicina si intende un battito cardiaco prematuro, che avviene prima del previsto andando così ad alterare la fisiologica successione regolare dei battiti cardiaci tipici del ritmo sinusale (ritmo cardiaco normale). L’impulso cardiaco normale nasce dal nodo seno-atriale seno atriale (il pacemaker naturale del cuore), invece, nelle extrasistoli, l’impulso origina da sedi diverse dette sedi ectopiche e tale diversa origine dà avvio al battito prematuro. Tali contrazioni anomale, o extrasistoli, sono separate dalla successiva contrazione regolare da una pausa più lunga del normale. In mancanza di una conferma elettrocardiografica che permetta una diagnosi differenziale, un episodio di extrasistolia prolungata può essere scambiato per fibrillazione atriale (in questo caso il ritmo cessa di essere sinusale), anche se generalmente la seconda tende a durare più a lungo.

Le extrasistoli possono dare l’innesco, anche se raramente, ad aritmie sostenute: un’extrasistole atriale può dare inizio a una tachicardia parossistica sopraventricolare, a un flutter, a una fibrillazione atriale o a una tachicardia giunzionale; un’extrasistole ventricolare può scatenare una tachicardia da rientro AV o una tachicardia ventricolare. In rari casi, cioè quando sono presenti in numero estremamente elevato (molte migliaia al giorno), le extrasistoli potrebbero determinare lo sviluppo di una cardiomiopatia dilatativa. In tali casi, la riduzione o l’eliminazione delle extrasistole (ad esempio tramite ablazione radioelettrica) determina solitamente la progressiva regressione della cardiomiopatia, nelle fasi iniziali della patologia.

Cause

In entrambe le aritmie le cause possono essere molto varie. Si possono sviluppare entrambe in un cuore sano, in forma generalmente isolata, spesso legate a stress, abuso di caffè, droghe e fumo di sigarette. Possono anche presentarsi anche a causa di varie patologie come malattie strutturali, valvulopatie, cardiomiopatie, ipertensione arteriosa, malattie genetiche ereditarie, ernia iatale, patologie della tiroide. In alcuni casi la causa dell’aritmia non è nota e prende il nome di “idiopatica”.

Rischi

Le extrasistoli generalmente sono benigne, specialmente quando sono sporadiche e durano per periodi limitati non determinano alcuna complicanza. Anche le fibrillazione atriale – specie se parossistica e se scompare in modo autonomo nell’arco di tempi limitati – difficilmente può essere rischiosa per la salute. Diverso è il discorso per fibrillazione atriale prolungata, recidivante, cronica: in questo caso il paziente ha un più elevato rischio di eventi ischemici (ictus cerebrale, infarto del miocardio) ed arresto cardiaco.

  • Eventi ischemici: ictus ed infarto sono causati dal fatto che, durante una fibrillazione atriale prolungata, gli atri (le due cavità superiori del cuore) non riescono a pompare tutto il sangue nei ventricoli (le due cavità inferiori), quindi parte del sangue ristagna al loro interno. Tale rallentamento del flusso, determina un aumento della coagulazione del sangue, il che porta alla formazione di un coagulo che, messo in circolo diventa un embolo che può ostruire arterie cerebrali o coronarie. Per questo motivo gli anticoagulanti sono una parte importante della terapia dei pazienti affetti da fibrillazione atriale di lunga durata.
  • Arresto cardiaco: la fibrillazione atriale può causare l’arresto cardiaco perché i ventricoli battono molto più in fretta del normale e non riescono a riempirsi completamente di sangue, quindi possono non essere in grado di pompare una quantità sufficiente di sangue nei polmoni, nell’organismo e nel miocardio stesso. Nel caso di arresto cardiaco si rende necessario l’uso tempestivo di defibrillatore.

Sintomi 

Generalmente il paziente non ha sintomi premonitori in entrambe le aritmie. Entrambe le aritmie possono essere asintomatiche, specie se di breve durata. I sintomi sono comuni ad entrambe le patologie: sensazione di “tuffo al cuore”, palpitazioni, senso di malessere generale, stanchezza. Più raro (e potenzialmente indice di maggiore gravità) è il senso di dolore e debolezza a livello del torace.

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Diagnosi

In entrambe le aritmie è importante fare un elettrocardiogramma (ECG) per la conferma e la diagnosi differenziale. Si può successivamente procedere ad un’ecografia del cuore (ecocolordoppler cardiaco), ad una radiografia del torace ed a esami del sangue.

Terapia

In caso di extrasistole e di fibrillazione isolate, che recidivano raramente, spesso non è necessaria alcuna terapia. In caso invece di aritmie prolungate e recidivanti è necessario agire su due fronti:

  • trattare l’aritmia, per far ritornare il cuore ad un ritmo normale, in modo da minimizzare l’incidenza di embolie e di scompenso cardiaco che sono più probabili in caso di aritmia prolungata a causa della formazione di coaguli nel cuore e della diminuita gittata cardiaca;
  • fare diagnosi della patologia cardiaca o extracardiaca che causa l’aritmia.

Le raccomandazioni sulla scelta terapeutica, in senso strettamente aritmologico, si basano sull’alternativa tra:

  • il controllo del ritmo (cioè il recupero e il mantenimento del ritmo sinusale con farmaci antiaritmici o l’ablazione transcatetere);
  • il controllo della frequenza cardiaca con farmaci che regolano la conduzione degli stimoli atriali ai ventricoli associati alla terapia antitrombotica.

La scelta sulla condotta terapeutica viene quindi personalizzata basandosi su vari fattori, come stato del paziente, sua età, durata dei sintomi, probabilità di recidive e grazie ad eventuali altri esami sia di laboratorio che di immagine, come l’ecocolordoppler cardiaco. Le aritmie sporadiche tendono a scomparire in seguito a generiche cure sedative contro l’ansia, associate a misure igieniche e dietetiche, maggior riposo, pasti regolari e leggeri e un adeguato movimento fisico, oltre che a smettere di fumare e di abusare di droghe. La terapia nei casi più gravi fa uso di farmaci quali la chinidina, la procainamide, l’ajmalina. In caso invece di aritmie croniche e permanenti la terapia dovrà mirare il controllo della frequenza cardiaca con farmaci come la digitale, i betabloccanti, il verapamil o il diltiazem mentre il rischio di tromboembolia verrà ridotto con l’utilizzo di anticoagulanti orali, che fino ad ora erano rappresentati dal warfarin e l’acenocumarolo. Tali farmaci però richiedono il controllo periodico del livello di anticoagulazione attraverso dei prelievi di sangue. In alcuni casi, quando sia danneggiato il fascio di conduzione verso i ventricoli e quindi sia particolarmente bassa la frequenza cardiaca, si provvederà all’impianto di un pacemaker definitivo. In casi di FA cronica o recidivante in pazienti selezionati, nei quali non si riesce a mantenere nel tempo un ritmo sinusale, si propone, in questi ultimi anni, l’ablazione transcatetere con radiofrequenza.

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Differenza tra fibrillazione atriale e flutter

MEDICINA ONLINE ARITMIA TACHICARDIA BRADICARDIA ELETTROCARDIOGRAMMA NORMALE SANO PALPITAZIONI SEMEIOTICA CUORE CARDIACA ESAME OBIETTIVO AUSCULTAZIONE FONENDOSCOPIO ORECCHIO FOCOLAIO SUCULTAZIONECon “fibrillazione atriale” in medicina si intende una aritmia cardiaca, cioè una alterazione del ritmo cardiaco normale (ritmo sinusale), che origina dagli atri del cuore. È una complessa patologia elettrica degli atri  che presenta costantemente due caratteristiche principali:

  • l’attivazione elettrica rapida ed apparentemente caotica del tessuto atriale, che provoca il caratteristico sintomo di cuore “palpitante” ed è riscontrabile con un comune elettrocardiogramma (ECG);
  • se la fibrillazione atriale si prolunga nel tempo determina l’aumento del rischio tromboembolico, causato dal rallentamento del flusso ematico nel cuore che porta ad aumentato rischio di coagulazione. L’eventuale formazione di embolo può portare a ictus cerebrale o infarto del miocardio.

La fibrillazione atriale è il risultato di un gran numero di disordini cardiaci ed extracardiaci: da malattie strutturali, come le valvulopatie e le cardiomiopatie, all’ipertensione arteriosa, a malattie genetiche ereditarie, a ernia iatale, patologie della tiroide, ai distiroidismi, fino ai casi in cui non è possibile determinare la causa, detti idiopatici.

Con “flutter atriale” si intende una “aritmia ectopica sopraventricolare” cioè una: aritmia (alterazione del ritmo cardiaco sinusale) ectopica (che origina da un sito diverso dal normale pacemaker fisiologico, il nodo del seno atriale) sopraventricolare (cioè ad origine atriale) con contrazione degli atri estremamente rapida: la frequenza atriale in corso di flutter può arrivare anche a superare i 300 impulsi al minuto. Gli impulsi sono irregolari e compaiono all’improvviso, quasi sempre senza alcun sintomo premonitore. Generalmente si instaura un blocco nella conduzione atrioventricolare, per cui la frequenza percepita è normalmente di circa 150 battiti al minuto. A causa del rallentamento della conduzione dell’impulso attraverso il nodo atrioventricolare, non tutte le attività elettriche del flutter si trasmettono dagli atri ai ventricoli. Generalmente il rapporto tra l’attività elettrica degli atri e quella dei ventricoli è 2:1 (cioè due attività atriali ed una ventricolare), talvolta 3:1 o 3:2, molto raramente 1:1 (di solito quando la frequenza del flutter è stata portata, attraverso la somministrazione di farmaci, sotto i 200 battiti al minuto).

La fibrillazione atriale e il flutter atriale sono più comuni fra gli anziani e i soggetti affetti da una cardiopatia. La fibrillazione atriale è molto più comune del flutter atriale. Molti soggetti con flutter atriale manifestano altresì episodi di fibrillazione atriale. La fibrillazione atriale e il flutter atriale possono comparire e risolversi a intervalli alterni o essere continui.

Cause

In entrambe le aritmie le cause possono essere molto varie. Si possono sviluppare entrambe in un cuore sano, in forma generalmente isolata, spesso legate a stress, abuso di caffè, droghe e fumo di sigarette. Possono anche presentarsi anche a causa di varie patologie, come le cardiopatie o l’ipertiroidismo. In alcuni casi la causa dell’aritmia non è nota e prende il nome di “idiopatica”.

Caratteristiche dell’aritmia

Rispetto alla fibrillazione atriale, le modificazioni del ritmo del flutter atriale sono meno marcate. Infatti, se durante una fibrillazione atriale la frequenza del battito cardiaco atriale può raggiungere i 400 battiti al minuto, durante un flutter atriale la frequenza del battito cardiaco atriale si innalza solitamente tra i 200 ed i 200 battiti al minuto. Una frequenza inferiore si traduce in un numero inferiore di impulsi di contrazione. Pertanto, ciò che cambia rispetto ad una fibrillazione atriale è anche il maggior tempo concesso al muscolo del cuore (il miocardio) per “ricaricarsi” e tornare recettivo ad un nuovo stimolo (tempo di refrattarietà). Questo lasso di tempo permette al battito di risultare meno disordinato.
Un’altra importante differenza tra flutter e fibrillazione, riguarda l’impatto che hanno sul ventricolo. Durante queste due forme aritmiche, parte degli impulsi viene bloccata a livello del nodo atrioventricolare, che ferma parte degli impulsi diretti verso il ventricolo. Questo blocco è assai maggiore nel flutter atriale, tanto che la contrazione ventricolare può essere anche ¼ di quella atriale. Il medico, infatti, definisce il flutter con le dizioni di 2:1, 3:1 o 4:1, per indicare che può passare per il blocco atrioventricolare uno stimolo, rispettivamente, ogni 2, ogni 3 o ogni 4. Le conseguenze del blocco atrioventricolare riguardano la gittata cardiaca, che sarà più o meno influenzata in base al numero degli stimoli che raggiungono il ventricolo. Può apparire complicato comprendere questo dettaglio, ma è assai importante dal punto di vista sintomatologico: infatti, maggiore è la frequenza ventricolare, più evidenti sono i sintomi. In altre parole, la frequenza ventricolare può variare notevolmente, da 180 battiti per minuto a meno di 100. Il fatto che la frequenza ventricolare possa rientrare nell’intervallo di normalità, non deve stupire: spesso accade che il flutter passi inosservato proprio per questo motivo.

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Sintomi

I sintomi della fibrillazione o del flutter atriale dipendono in gran parte dalla velocità di contrazione ventricolare. Quando la frequenza ventricolare è normale o solo lievemente aumentata (inferiore a circa 120 battiti al minuto), il soggetto rimane generalmente asintomatico. Valori più alti causano fastidiose palpitazioni o sensazione di fastidio in sede toracica. Nei soggetti con fibrillazione atriale, il polso è irregolare e, solitamente, rapido. Nei soggetti con flutter atriale, il polso è generalmente rapido e può essere regolare o irregolare. La ridotta capacità di pompaggio del cuore può causare debolezza, svenimento e difficoltà respiratorie. Quando la frequenza cardiaca è molto aumentata, alcuni soggetti, specialmente gli anziani e i cardiopatici, sviluppano insufficienza cardiaca o dolore toracico. Molto raramente questa categoria di soggetti può sviluppare shock (pressione arteriosa molto bassa, Shock).

Complicanze

Le principali complicanze di entrambe le aritmie, comprendono:

  • aumento del rischio di formazione di coaguli di sangue negli atri;
  • elevata frequenza cardiaca, con conseguente ridotta gittata cardiaca

In caso di fibrillazione o flutter atriale, lo svuotamento atriale nei ventricoli non avviene in modo completo. Nel tempo, una certa quantità di sangue può ristagnare all’interno degli atri, rendendo possibile la formazione di coaguli. A volte il coagulo può frammentarsi, spesso poco dopo il termine della fibrillazione atriale e il ripristino del ritmo normale, avvenuto in modo spontaneo o grazie alla terapia. I frammenti possono passare nel ventricolo sinistro, viaggiare attraverso il torrente ematico (causando un’embolia) e ostruire una piccola arteria. Se i frammenti di un coagulo ostruiscono una coronaria, si verifica infarto del miocardio, se ostruiscono invece un’arteria cerebrale, si verifica un ictus cerebrale. Solo di rado, un ictus rappresenta il primo sintomo di una fibrillazione o di un flutter atriale.

Quando la fibrillazione o il flutter atriale induce un eccessivo aumento della frequenza cardiaca, i ventricoli non hanno tempo sufficiente per riempirsi completamente di sangue. Il mancato completo riempimento provoca una riduzione della quota ematica pompata dal cuore. Questo calo può indurre un abbassamento della pressione arteriosa con conseguente insorgenza di insufficienza cardiaca.

Diagnosi

I sintomi suggeriscono la diagnosi di fibrillazione o flutter atriale e l’elettrocardiogramma (ECG) la conferma. Si procede a un’ecografia del cuore (ecocardiogramma). Questo esame consente ai medici di valutare le valvole cardiache e verificare l’eventuale presenza di coaguli di sangue negli atri. In genere, si prescrivono anche esami del sangue finalizzati a verificare eventuale ipertiroidismo.

Terapie

La terapia di una aritmia va scelta caso per caso in base alla causa che la determina.
Come intervento immediato nel flutter è utile la cardioversione sincronica con corrente diretta a bassa energia, sempre minori di 50 joule; come terapia farmacologica si usano generalmente farmaci betabloccanti e calcioantagonisti per rallentare l’alta frequenza. I pazienti con fibrillazione atriale traggono giovamento dall’impianto di un pacemaker definitivo o dall’ablazione transcatetere con radiofrequenza: questa metodica attualmente è efficace in circa il 70% dei casi.

Rallentamento della frequenza cardiaca

Di solito, il primo passo nel trattamento della fibrillazione o del flutter atriale consiste nel rallentare la frequenza ventricolare in modo tale che il cuore pompi sangue in modo più efficace. Spesso, il primo tentativo di terapia farmacologica si compie con la somministrazione di un bloccante dei canali del calcio, come il diltiazem o il verapamil, che potrebbe rallentare la conduzione degli impulsi ai ventricoli. Può trovare impiego un beta-bloccante, come propranololo o atenololo. Nei soggetti con insufficienza cardiaca, può essere somministrata la digossina.

Ripristino del ritmo

La fibrillazione o il flutter atriale possono convertirsi spontaneamente in un ritmo cardiaco normale. In alcuni soggetti, queste aritmie devono essere convertite attivamente in un ritmo normale. In questa particolare popolazione sono compresi i soggetti in cui la fibrillazione atriale o il flutter atriale provochi insufficienza cardiaca o altri sintomi di bassa gittata cardiaca. Prima della conversione, la frequenza cardiaca deve essere rallentata su un valore inferiore a 120 battiti al minuto. Inoltre, poiché esiste un alto rischio di frantumazione di un coagulo di sangue con conseguente provocazione di ictus in corso di conversione, devono essere adottate misure volte a prevenire la formazione di coaguli. Se la fibrillazione o il flutter atriale è presente da oltre 48 ore, i medici somministrano un anticoagulante, come il warfarin, per 3 settimane prima di tentare la conversione. In alternativa, possono somministrare un anticoagulante ad azione breve, come l’eparina, e sottoporre il paziente a ecocardiogramma. Se l’ecocardiogramma non mostra la presenza di coaguli nel cuore, il paziente può essere sottoposto a immediata conversione. Se il ritmo è chiaramente presente da meno di 48 ore, il paziente non necessita di terapia anticoagulante prima della conversione. Tuttavia, l’anticoagulante deve essere assunto per almeno 4 settimane dopo la conversione in tutti i soggetti. I metodi di conversione comprendono:

  • shock elettrico (cardioversione sincronizzata);
  • farmaci.

Lo shock elettrico al cuore è l’approccio più efficace. Lo shock elettrico è sincronizzato per essere erogato solo a un punto determinato dell’attività elettrica cardiaca (cardioversione sincronizzata), in modo tale che non induca fibrillazione atriale. La cardioversione è efficace nel 75-90% dei casi.

Anche certi farmaci antiaritmici (più comunemente, l’amiodarone, il flecainide, il propafenone o il sotalolo) possono ripristinare il normale ritmo. Tuttavia, questi farmaci sono efficaci solo nel 50-60% dei soggetti e spesso causano effetti collaterali.  La conversione a un ritmo normale con qualunque mezzo, diventa meno probabile con il passare del tempo (in special modo, dopo 6 mesi o più dalla comparsa dell’aritmia), la dilatazione progressiva degli atri e l’aggravamento della patologia di base. Quando la cardioversione avviene con successo, il rischio di recidiva resta alto, anche quando i soggetti assumono un farmaco specifico per la prevenzione (ovvero, uno dei farmaci utilizzati per convertire l’aritmia ad un ritmo normale).

Distruzione del nodo atrioventricolare

Raramente, quando tutti gli altri trattamenti per la fibrillazione atriale sono inefficaci, parte del nodo atrioventricolare può essere distrutta mediante ablazione a radiofrequenze (erogazione di energia a una specifica frequenza mediante l’impiego di un elettrocatetere inserito nel cuore). Questa procedura induce un arresto totale dell’attività di conduzione dagli atri ai ventricoli e rallenta la frequenza ventricolare. In tal caso, si rende necessario l’impianto di un pacemaker artificiale permanente per riattivare successivamente i ventricoli. Un altro tipo di procedura ablativa distrugge il tessuto atriale adiacente alle vene polmonari (isolamento venoso polmonare). L’isolamento venoso polmonare risparmia il nodo atrioventricolare ma è meno efficace (60-80%) e il rischio di serie complicanze è significativo (1-5%). Di conseguenza, questa procedura è spesso riservata ai soggetti associati a una maggiore probabilità di risposta, ovvero a pazienti giovani con fibrillazione atriale che non rispondono al trattamento farmacologico e che non presentano altre serie cardiopatie. Nel flutter atriale, è possibile utilizzare l’ablazione con radiofrequenze per interrompere il circuito di flutter e ristabilire un ritmo normale permanente. Tale procedura è efficace nel 90% circa dei soggetti.

Prevenzione di coaguli di sangue

L’adozione di misure volte a prevenire la formazione di coaguli di sangue (e quindi l’ictus) si rende necessaria in caso di conversione della fibrillazione o del flutter atriale al ritmo normale. La maggioranza dei pazienti necessita, in genere, di questo tipo di procedure in corso di trattamento a lungo termine. I medici somministrano di norma un anticoagulante come il warfarin, il dabigatran o un inibitore del fattore della coagulazione Xa. Ai soggetti cui non possa essere somministrato l’anticoagulante può essere prescritta l’aspirina, che però non è efficace quanto il warfarinSoggetti altrimenti sani che avevano manifestato un solo episodio di fibrillazione atriale convertita al normale ritmo (spontaneamente o con trattamento) devono assumere il trattamento anticoagulante per sole 4 settimane. I soggetti che abbiano manifestato più episodi di fibrillazione o flutter atriale, o che mantengono ritmi alterati nonostante il trattamento, devono essere sottoposti a terapia farmacologica volta a prevenire la formazione di coaguli a tempo indefinito. I medici prescrivono il warfarin e altri anticoagulanti per soggetti che presentano uno o più fattori di rischio per sviluppo di ictus. Tali fattori di rischio sono età pari o superiore ai 65 anni, ipertensione arteriosa, diabete, insufficienza cardiaca, pregresso ictus o attacco ischemico transitorio, cardiopatia reumatica (specialmente valvulopatie mitraliche) e valvola cardiaca artificiale. Ai soggetti senza fattori di rischio viene somministrata aspirina. Anche dopo la conversione da fibrillazione o flutter atriale a ritmo normale, i medici generalmente proseguono il trattamento anticoagulante, spesso per il resto della vita del soggetto. Questo trattamento anticoagulante è necessario perché l’aritmia può ripresentarsi senza che il soggetto ne sia consapevole. Durante questi episodi possono formarsi coaguli pericolosi.

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Differenza tra tachicardia e fibrillazione atriale e ventricolare

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  • nella frequenza (cioè nel numero di contrazioni al minuto);
  • nel ritmo (cioè nella pari distanza temporale tra un battito ed il successivo, rispetto a tutti gli altri battiti, che si traduce nella regolarità delle contrazioni).

Normalmente la frequenza cardiaca varia tra i 60 e i 100 battiti al minuto e le contrazioni si susseguono in modo regolare e ritmico (ad esempio distanziate sempre da un secondo una dall’altro nel caso di una frequenza di 60 battiti al minuto), con solo leggere variazioni fisiologiche legate alla respirazione (i battiti tendono a rallentare durante una espirazione profonda). Alterazioni fisiologiche o ritardi/blocchi dell’impulso elettrico che si verificano in varie patologie, vanno ad alterare uno od entrambi questi fattori, determinando appunto aritmia. L’aritmia cardiaca è quindi un disturbo:

  • della frequenza cardiaca aumentata (tachicardia) in cui la frequenza supera i 100 battiti al minuto a riposo;
  • della frequenza cardiaca diminuita (bradicardia) in cui la frequenza è inferiore ai 60 battiti al minuto a riposo.
  • del ritmo cardiaco, in cui i battiti non sono ritmici (ad esempio: fibrillazione atriale o ventricolare).

Tali alterazioni sono riscontrabili semplicemente grazie al polso radiale o un elettrocardiogramma (ECG). E’ importante ricordare che non tutte le aritmie sono determinate da patologie. Un aumento fisiologico della frequenza cardiaca si verifica ad esempio compiendo un grosso sforzo o durante la gravidanza, mentre è abbastanza frequente riscontrare una bradicardia fisiologica in atleti e sportivi particolarmente allenati.

Con “fibrillazione atriale” in medicina si intende una aritmia cardiaca, cioè una alterazione del ritmo cardiaco normale (ritmo sinusale), che origina dagli atri del cuore. È una complessa patologia elettrica degli atri che presenta costantemente tre caratteristiche principali:

  • l’attivazione elettrica rapida ed apparentemente caotica del tessuto atriale, che provoca il caratteristico sintomo di cuore “palpitante” ed è riscontrabile con un comune elettrocardiogramma (ECG);
  • la diminuita efficienza dell’attività di pompa del cuore (diminuzione della gittata cardiaca);
  • se la fibrillazione atriale si prolunga nel tempo determina l’aumento del rischio tromboembolico, causato dal rallentamento del flusso ematico nel cuore che porta ad aumentato rischio di coagulazione. L’eventuale formazione di embolo può portare a ictus cerebrale o infarto del miocardio.

La fibrillazione atriale è il risultato di un gran numero di disordini cardiaci ed extracardiaci: da malattie strutturali, come le valvulopatie e le cardiomiopatie, all’ipertensione arteriosa, a malattie genetiche ereditarie, a ernia iatale, patologie della tiroide, ai distiroidismi, fino ai casi in cui non è possibile determinare la causa, detti idiopatici.

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Con “fibrillazione ventricolare” (FV o VF) in medicina si intende una gravissima aritmia che si caratterizza per un ritmo cardiaco rapidissimo, caotico e disorganizzato che origina dai ventricoli. La rapidità e la disorganizzazione dell’impulso elettrico rendono il cuore incapace di espellere il sangue all’interno del circolo arterioso, portando ad un arresto cardiaco. I tessuti corporei e cerebrali, durante un arresto cardiaco, non sono più perfusi da sangue ed ossigeno: questo comporta una veloce perdita di coscienza e delle capacità respiratorie. Un arresto cardiaco è una urgenza medica: se non si interviene immediatamente con la rianimazione cardiopolmonare e con un defibrillatore, nel giro di pochissimi minuti provoca danni permanenti al cervello e – successivamente – il decesso del paziente. L’arresto cardiaco improvviso è una delle principali cause di morte nel mondo industrializzato, dove la maggior parte delle volte è secondario ad infarto miocardico acuto.

Da quanto detto entrambi i tipi di fibrillazione sono aritmie – una ad origine dagli atri, l’altra ad origine dai ventricoli, entrambe ben visibili con un elettrocardiogramma – tuttavia la differenza è sostanziale: mentre la fibrillazione atriale, pur di lunga durata, può rappresentare un problema di aumentato rischio di formazione di emboli, è la fibrillazione ventricolare ad essere estremamente più grave dal momento che in essa la capacità del cuore di pompare sangue è totalmente inefficiente (mentre nella fibrillazione atriale è – pur se in parte – conservata). La fibrillazione ventricolare porta di fatto ad un arresto cardiaco che è una urgenza medica: il mancato ritorno ad un ritmo sinusale (tramite cardioversione con defibrillatore, massaggio cardiaco o pugno precordiale) porta al decesso del paziente.

Dovrebbe ora essere anche chiara la differenza tra “aritmia” ed i tue tipi di fibrillazione: questi ultimi sono un tipo particolare di aritmia. Tutte le fibrillazioni (atriali e ventricolari) sono aritmie, ma non tutte le aritmie sono fibrillazioni.

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Fibrillazione ventricolare: cos’è, terapia, cause scatenanti, frequenza

rbhc_08Con “fibrillazione ventricolare” (FV o VF) in medicina si intende una gravissima aritmia che si caratterizza per un ritmo cardiaco rapidissimo, caotico e disorganizzato che origina dai ventricoli. La rapidità e la disorganizzazione dell’impulso elettrico rendono il cuore incapace di espellere il sangue all’interno del circolo arterioso, portando ad un arresto cardiaco. I tessuti corporei e cerebrali, durante un arresto cardiaco, non sono più perfusi da sangue ed ossigeno: questo comporta una veloce perdita di coscienza e delle capacità respiratorie. Un arresto cardiaco è una urgenza medica: se non si interviene immediatamente con la rianimazione cardiopolmonare e con un defibrillatore, nel giro di pochissimi minuti provoca danni permanenti al cervello e – successivamente – il decesso del paziente. L’arresto cardiaco improvviso è una delle principali cause di morte nel mondo industrializzato, dove la maggior parte delle volte è secondario ad infarto miocardico acuto.

Fibrillazione ventricolare: quali sono le cause?

La fibrillazione ventricolare è un ritmo cardiaco caotico e disorganizzato che origina dai ventricoli. La rapidità e la disorganizzazione dell’impulso elettrico rendono le contrazioni miocardiche inefficaci dal punto di vista emodinamico (il cuore non è in grado di espellere il sangue all’interno del circolo arterioso), portando pertanto a configurarsi il quadro di arresto cardiocircolatorio: la pressione arteriosa crolla a zero e il paziente perde coscienza. Questa aritmia, se non prontamente trattata con manovre rianimatorie e defibrillazione esterna, può portare rapidamente al decesso. La fibrillazione ventricolare può avere diverse cause. La causa più frequente – come già prima accennato –  è l’ischemia miocardica acuta (infarto del miocardio, quello che comunemente è chiamato “attacco di cuore”): in una piccola percentuale di casi può rappresentare l’esordio dell’infarto miocardico. Secondariamente, la fibrillazione ventricolare può insorgere in pazienti affetti da cardiopatie strutturali predisposte alle aritmie ventricolari (come la cardiomiopatia dilatativa, la cardiomiopatia ipertrofica, displasia aritmogena del ventricolo destro, non compattazione ventricolare).
In alcuni casi può interessare pazienti con cuore strutturalmente normale ma affetti da malattie aritmogene ereditarie (come sindrome del QT lungosindrome di Brugadatachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica); quando la fibrillazione ventricolare non riconosce una causa scatenante specifica si parla di fibrillazione ventricolare idiopatica.

Diagnosi di fibrillazione ventricolare

La fibrillazione ventricolare, se non trattata, entro pochissimi minuti porta a morte. Quindi la diagnosi è possibile letteralmente solo nei pochi pazienti che presentano l’aritmia in ospedale e sono monitorizzati, oppure nei rarissimi casi in cui il paziente è rianimato in ambiente extraospedaliero e viene eseguito un elettrocardiogramma. In tutti gli altri casi è praticamente impossibile avere il tempo necessario per fare una diagnosi nel senso classico del termine.

Trattamenti della fibrillazione ventricolare

La cardioversione (cioè il ritorno ad un ritmo normale) può essere ottenuta da uno shock sincronizzato tramite scarica di corrente elettrica (scariche di defibrillatore a 100-250 joules). In alcuni casi, quando non sia disponibile un defibrillatore, una fibrillazione ventricolare può essere convertita in ritmo sinusale con un pugno precordiale, che spesso però è inefficace. Alcuni antiaritmici, come l’amiodarone e la lidocaina possono aiutare, ma a differenza della fibrillazione atriale, la FV raramente si risolve senza un defibrillatore, che tuttavia non è sempre efficace. In pazienti ad alto rischio di fibrillazione ventricolare si è dimostrato utile l’uso di un defibrillatore ICD impiantabile, un dispositivo elettrico che consente di prevenire la morte aritmica e che può permettere un controllo remoto costante delle condizioni del paziente.

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I tempi di intervento sono importanti

La fibrillazione determina arresto cardiaco ed il tempo massimo per intervenire in modo efficace su un arresto cardiaco è al massimo 10 minuti; ogni minuto perso equivale a una riduzione della sopravvivenza del 7-10%. Il tempo per cardiovertire un arresto cardiaco e “resuscitare” il paziente, prima che i danni al cervello siano irreversibili, è correlato all’efficacia della rianimazione cardiopolmonare.

IMPORTANTE: In caso vi ritroviate di fronte ad un probabile arresto cardiaco e non avete né nozioni di rianimazione, né defibrillatori esterni semiautomatici/automatici, non perdete neanche un secondo e chiedete IMMADIATAMENTE soccorso medico. Un minuto in più od in meno fanno letteralmente la differenza tra la vita e la morte del paziente.

Per approfondire: Massaggio cardiaco: quando farlo e come farlo [LINEE GUIDA]

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Fibrillazione atriale: parossistica, persistente e cronica

MEDICINA ONLINE ARITMIA TACHICARDIA BRADICARDIA ELETTROCARDIOGRAMMA NORMALE SANO PALPITAZIONI SEMEIOTICA CUORE CARDIACA ESAME OBIETTIVO AUSCULTAZIONE FONENDOSCOPIO ORECCHIO FOCOLAIO SUCULTAZIONECon “fibrillazione atriale” in medicina si intende una aritmia cardiaca, cioè una alterazione del ritmo cardiaco normale (ritmo sinusale), che origina dagli atri del cuore. È una complessa patologia elettrica degli atri che presenta una caratteristica principale: l’attivazione elettrica rapida ed apparentemente caotica del tessuto atriale, che provoca il caratteristico sintomo di cuore “palpitante” ed è riscontrabile con un comune elettrocardiogramma (ECG).

La fibrillazione atriale si può classificare principalmente in base alla durata dei sintomi:

  • Fibrillazione atriale di nuova insorgenza: fibrillazione documentata per la prima volta, indipendentemente dalla presenza di sintomi o da eventuali precedenti episodi non documentati.
  • Fibrillazione atriale parossistica: fibrillazione che termina spontaneamente entro 48 ore o 7 giorni dall’insorgenza (a seconda delle linee guida: il limite di 48 ore è stato posto perché è considerato il massimo periodo di tempo che consente la cardioversione immediata con basso rischio embolico; il limite di 7 giorni è stato posto perché è il periodo in cui più frequentemente avviene la remissone spontanea dell’aritmia).
  • Fibrillazione atriale persistente: fibrillazione atriale continua di durata superiore a 48 ore o a 7 giorni, (a secondo delle linee guida) o che è interrotta con cardioversione farmacologica o elettrica dopo questo limite.
  • Fibrillazione atriale persistente di lunga durata: fibrillazione atriale continua di durata superiore a 12 mesi. Questa durata è importante perché correlato alla probabilità di successo della cardioversione o dell’ablazione trans catetere.
  • Fibrillazione atriale cronica (anche chiamata “permanente”): il termine è usato quando paziente e medico decidono congiuntamente di accettare la fibrillazione atriale e desistere da ulteriori tentativi di ripristinare e mantenere il ritmo sinusale. Non si riferisce quindi alle caratteristiche fisiopatologiche dell’aritmia poiché la decisione dipende dalla malattia cardiaca sottostante, dai sintomi, dall’efficacia delle terapie e dalla preferenza del paziente e del medico.

A seconda del tipo, la fibrillazione atriale assume diverse ulteriori nomenclature:

  • Fibrillazione atriale non valvolare: fibrillazione atriale in assenza di stenosi mitralica reumatica, di protesi valvolare meccanica o biologica o di riparazione della valvola mitralica (la distinzione da quella associata a malattia valvolare è importante per la scelta della terapia anticoagulante).
  • Fibrillazione atriale silente (o asintomatica): fibrillazione atriale che non si associa a sintomi, indipendentemente da altre caratteristiche. Può essere diagnosticata a seguito di una complicanza correlata alla FA, come l’ictus ischemico o la tachicardiomiopatia, o incidentalmente con l’esecuzione di un elettrocardiogramma.
  • Fibrillazione atriale secondaria: fibrillazione atriale in cui è possibile individuare la causa dell’aritmia o una condizione favorente, cardiaca o extracardiaca.
  • Fibrillazione atriale primitiva o isolata (Lone atrial fibrillation): fibrillazione atriale non associata a patologia cardiovascolare, compresa l’ipertensione arteriosa, o altro fattore causale noto. La diagnosi è quindi di esclusione e richiede l’esecuzione delle indagini cliniche e strumentali indicate per il caso. In generale riguarda individui giovani, o con età< 60 anni, apparentemente sani. L’assenza di reperti patologici negli esami non invasivi non esclude completamente patologie pregresse o in atto. In biopsie multiple del miocardio atriale di questi pazienti sono frequenti alterazioni istologiche di tipo prevalentemente infiammatorio o fibrotico.

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Bradicardia: sintomi, conseguenze, rimedi, notturna e grave

MEDICINA ONLINE CUORE HEART INFARTO MIOCARDIO NECROSI ATRIO VENTRICOLO AORTA VALVOLA POMPA SANGUE ANGINA PECTORIS STABILE INSTABILE ECG SFORZO CIRCOLAZIONELa bradicardia o brachicardia è una condizione in cui la frequenza cardiaca è ridotta rispetto al normale, fino a scendere al di sotto del valore di 60 battiti per minuto. E’ importante ricordare che nel feto la frequenza cardiaca è fisiologicamente più elevata (110-160 bpm), per cui si parla di “bradicardia fetale” in caso di frequenza inferiore a 100 battiti al minuto. La bradicardia negli adulti solitamente non è una condizione pericolosa, tuttavia a volte può essere la causa di una riduzione notevole dell’apporto di sangue agli organi periferici o centrali (come il cervello), con pericolo di perdita della coscienza e morte nei casi più gravi.

La bradicardia non indica necessariamente patologia

Non necessariamente una bradicardia è indice di patologie, ad esempio può manifestarsi fisiologicamente negli atleti professionisti o in sportivi ben allenati (a causa di un’aumentata stimolazione da parte del nervo vago), negli anziani, in sub esperti, durante il sonno (bradicardia notturna), in individui che praticano attività come lo yoga. In questi casi la frequenza cardiaca a riposo può essere inferiore ai 50 battiti al minuto, ed essere assolutamente normale. La velocità di scarica del nodo seno-atriale (il pacemaker naturale del cuore che regola la frequenza cardiaca) può essere modificata da diversi fattori, tra i più importanti c’è la regolazione nervosa da parte del sistema nervoso:

  • simpatico (tono adrenergico e noradrenergico): determina un aumento della frequenza cardiaca;
  • parasimpatico (tono vagale): determina una riduzione della frequenza cardiaca.

Una eccessiva stimolazione vagale (ad esempio in caso di asfissia) può determinare una bradicardia transitoria.

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Patologie che sono legate alla bradicardia

In alcuni casi però la bradicardia può essere un campanello di allarme di una patologia o può determinare essa stessa una patologia, è il caso ad esempio del blocco atrioventricolare di II grado e di III grado, della malattia del nodo del seno atriale o dell’ipertensione endocranica: in questi casi si parla di bradiaritmie. Anche farmaci e droghe possono causare bradicardia. Per approfondire, leggi anche: Bradiaritmia: tipi, cause, sintomi, prevenzione e trattamenti

Anche l’ipertensione intracranica può dare avvio a bradicardia patologica (bradiaritmia), per approfondire, leggi: Ipertensione endocranica: valori, cause, bradicardia, terapie

Sintomi della bradicardia

I sintomi sono correlati al ridotto apporto ematico all’organismo e possono manifestarsi come

  • malessere;
  • vertigini;
  • astenia;
  • ipotensione arteriosa;
  • lipotimia;
  • sincope;
  • shock.

In alcuni casi la bradicardia può essere del tutto asintomatica (cioè può non dare alcun sintomo).

Diagnosi

La bradicardia sinusale è una condizione clinica facilmente diagnosticabile, infatti il paziente stesso può percepire la propria frequenza palpando il numero di pulsazioni al minuto dell’arteria radiale (al polso), o carotidea (al collo). A tal proposito, leggi anche: Come, dove e quando si misura la frequenza cardiaca?

In presenza di bradicardia cronica, o che spesso si alterna senza alcun motivo con una frequenza normale, è consigliabile consultare il cardiologo per scoprire una possibile causa patologica scatenante. In tal caso gli strumenti diagnostici più utili sono:

  • visita cardiologica;
  • elettrocardiogramma;
  • Holter ECG 24 ore;
  • prove sotto sforzo;
  • ecografia cardiaca con colordoppler;
  • esami ematici.

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Terapia della bradicardia

Il più delle volte la bradicardia non richiede alcun trattamento, però nei casi sintomatici o gravi è possibile che debba essere necessario intraprendere una terapia mirata (particolarmente con farmaci simpaticomimetici). Se la saturazione dell’ossigeno è bassa, occorre fornire ossigeno supplementare, specie nei bambini. Inoltre:

  • Se le bradiaritmie si presentano in corso di terapia con farmaci che possono esserne responsabili, la sospensione della terapia può risolvere il problema.
  • A seconda della sede e della gravità della bradicardia, nonché alla presenza di sintomi associati, può essere indicato l’impianto di un pacemaker.

Prevenzione

Le bradiaritmie sono prevalentemente l’espressione di un invecchiamento del “sistema elettrico” del nostro cuore, per tale motivo non esistono programmi di prevenzione particolari. È tuttavia necessario effettuare una valutazione aritmologica periodica qualora ci fosse una certa familiarità per difetti del battito cardiaco o fosse nota una preesistente condizione di bradicardia, inoltre il paziente è invitato a perdere peso (se sovrappeso od obeso), alimentarsi in modo adeguato, fare attività fisica e smettere di fumare e/o assumere droghe.

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Differenza tra cardioversione spontanea, elettrica e farmacologica

MEDICINA ONLINE DEFIBRILLATORE CARDIOVERSIONE SPONTANEA ELETTRICA CON SHOCK FARMACOLOGICA FARMACI URGENZA EMERGENZA MASSAGGIO CARDIACO ARRESTO RESPIRAZIONE BOCCA RIANIMAZIONE FIBRILLATORE.jpgCon cardioversione si intende è una particolare procedura che si esegue in campo medico quando un soggetto ha una aritmia, cioè una alterazione del ritmo cardiaco normale (ritmo sinusale), al fine di ripristinarlo evitando pericolose complicazioni che possono portare anche a decesso del paziente. La cardioversione può essere:

  • spontanea: quando l’aritmia si interrompe spontaneamente, entro poche ore dall’insorgenza;
  • non spontanea: quando l’aritmia NON si interrompe spontaneamente, in questo caso il personale sanitario deve intervenire al più presto per ripristinare il ritmo sinusale.

La cardioversione può essere effettuata in tre modi:

  • cardioversione meccanica: è una tecnica di defibrillazione meccanica manuale, caratterizzata dalla somministrazione di un pugno (pugno precordiale) sullo sterno all’altezza del cuore;
  • cardioversione farmacologica: vengono somministrati farmaci che hanno l’obiettivo di ripristinare il ritmo sinusale;
  • cardioversione elettrica: si tenta di ripristinare il ritmo normale tramite l’erogazione di impulsi elettrici, che vengono somministrati tramite defibrillatore esterno o interno (ICD), a tal proposito leggi: Differenza tra pacemaker e defibrillatore ICDI dubbi su pacemaker e ICD: carica, impulsi, cellulare, banca ed aereo

Cardioversione con pugno precordiale

L’operatore somministra il pugno precordiale sullo sterno all’altezza del cuore, ritirando immediatamente la mano (non lasciandola posata sul torace del paziente). L’energia meccanica impressa dal pugno dovrebbe convertirsi in energia elettrica sufficiente per una cardioversione. Questa manovra va effettuata in caso di arresto cardiaco ove non sia disponibile un defibrillatore, cioè in situazioni di emergenza estrema. In rari casi ha effettivamente permesso di convertire la fibrillazione ventricolare o la tachicardia ventricolare in un ritmo cardiaco efficace, ma più frequentemente non ha alcuna efficacia o addirittura può causare una conversione opposta, provocando in ultimo un’asistolia che aggrava ulteriormente la situazione.

Cardioversione tramite farmaci

Questo procedimento comporta una relativa latenza di effetto, cioè prevede che tra la somministrazione del farmaco e la scomparsa dell’aritmia intercorra un certo periodo di tempo. Pertanto viene riservato alle aritmie ben tollerate, o per la benignità dell’aritmia stessa, o per le buone condizioni fisiche del paziente. Il farmaco, scelto in funzione del meccanismo che sostiene l’aritmia, può essere somministrato per via orale o per iniezione endovenosa, secondo dosaggi prestabiliti.

Cardioversione elettrica

Soprattutto nei casi in cui l’aritmia è pericolosa per la vita (ad esempio nella fibrillazione ventricolare che si verifica nell’arresto cardiaco) perché produce una grave compromissione emodinamica, alla cardioversione farmacologica si preferisce quella elettrica, estremamente rapida ed efficace in molti casi per interrompere il malfunzionamento cardiaco, che se protratto porterebbe al decesso del paziente. Il ripristino del normale ritmo sinusale è determinato dall’applicazione di uno stimolo elettrico, che ha un effetto virtualmente immediato. Come già prima accennato, gli impulsi elettrici vengono somministrati in due modi, tramite:

  • defibrillatore esterno: viene somministrata una scarica elettrica singola molto intensa, che può essere somministrata nuovamente se il ritmo sinusale non è stato ripristinato. In questo caso si parla di cardioversione con shock, quella che siamo abituati a vedere nei film quando c’è una urgenza medica;
  • defibrillatore cardiaco impiantabile (ICD): è un dispositivo elettrico utilizzato nei pazienti a più alto rischio di morte cardiaca improvvisa, ad esempio chi soffre cronicamente di aritmie o nei pazienti con Wolff-Parkinson-White. L’ICD viene impiantato chirurgicamente sottocute nella regione pettorale, preferibilmente a sinistra, posizionando gli elettrodi negli atri e nei ventricoli per via transvenosa.L’uso si fonda sulla generazione di piccoli impulsi elettrici ripetitivi in grado non solo di eseguire una defibrillazione efficace nel 95% dei casi, ma anche di fornire una stimolazione cardiaca bicamerale fisiologica e di monitorare a distanza l’attività ritmica del cuore discriminando tra aritmie sopraventricolari e aritmie ventricolari.

Cardioversione con shock ed anestesia

Nella pratica comune, la scarica elettrica somministrata con defibrillatore esterno, può venire applicata in modo sincronizzato con l’attività ventricolare del paziente, come ad esempio per la fibrillazione atriale persistente: in questo caso, visto che il paziente è cosciente e la scarica elettrica è estremamente fastidiosa, la procedura viene eseguita solo dopo aver effettuato una anestesia generale. Nei casi di emergenza invece, ad esempio in caso di fibrillazione ventricolare (arresto cardiaco) il paziente è già incosciente e la scarica viene somministrata in modo non sincronizzato e senza dover effettuare alcuna anestesia: in tal caso si parla di defibrillazione.

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