Con “fibrillazione ventricolare” (FV o VF) in medicina si intende una gravissima aritmia che si caratterizza per un ritmo cardiaco rapidissimo, caotico e disorganizzato che origina dai ventricoli. La rapidità e la disorganizzazione dell’impulso elettrico rendono il cuore incapace di espellere il sangue all’interno del circolo arterioso, portando ad un arresto cardiaco. I tessuti corporei e cerebrali, durante un arresto cardiaco, non sono più perfusi da sangue ed ossigeno: questo comporta una veloce perdita di coscienza e delle capacità respiratorie. Un arresto cardiaco è una urgenza medica: se non si interviene immediatamente con la rianimazione cardiopolmonare e con un defibrillatore, nel giro di pochissimi minuti provoca danni permanenti al cervello e – successivamente – il decesso del paziente. L’arresto cardiaco improvviso è una delle principali cause di morte nel mondo industrializzato, dove la maggior parte delle volte è secondario ad infarto miocardico acuto.
Fibrillazione ventricolare: quali sono le cause?
La fibrillazione ventricolare è un ritmo cardiaco caotico e disorganizzato che origina dai ventricoli. La rapidità e la disorganizzazione dell’impulso elettrico rendono le contrazioni miocardiche inefficaci dal punto di vista emodinamico (il cuore non è in grado di espellere il sangue all’interno del circolo arterioso), portando pertanto a configurarsi il quadro di arresto cardiocircolatorio: la pressione arteriosa crolla a zero e il paziente perde coscienza. Questa aritmia, se non prontamente trattata con manovre rianimatorie e defibrillazione esterna, può portare rapidamente al decesso. La fibrillazione ventricolare può avere diverse cause. La causa più frequente – come già prima accennato – è l’ischemia miocardica acuta (infarto del miocardio, quello che comunemente è chiamato “attacco di cuore”): in una piccola percentuale di casi può rappresentare l’esordio dell’infarto miocardico. Secondariamente, la fibrillazione ventricolare può insorgere in pazienti affetti da cardiopatie strutturali predisposte alle aritmie ventricolari (come la cardiomiopatia dilatativa, la cardiomiopatia ipertrofica, displasia aritmogena del ventricolo destro, non compattazione ventricolare).
In alcuni casi può interessare pazienti con cuore strutturalmente normale ma affetti da malattie aritmogene ereditarie (come sindrome del QT lungo, sindrome di Brugada, tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica); quando la fibrillazione ventricolare non riconosce una causa scatenante specifica si parla di fibrillazione ventricolare idiopatica.
Diagnosi di fibrillazione ventricolare
La fibrillazione ventricolare, se non trattata, entro pochissimi minuti porta a morte. Quindi la diagnosi è possibile letteralmente solo nei pochi pazienti che presentano l’aritmia in ospedale e sono monitorizzati, oppure nei rarissimi casi in cui il paziente è rianimato in ambiente extraospedaliero e viene eseguito un elettrocardiogramma. In tutti gli altri casi è praticamente impossibile avere il tempo necessario per fare una diagnosi nel senso classico del termine.
Trattamenti della fibrillazione ventricolare
La cardioversione (cioè il ritorno ad un ritmo normale) può essere ottenuta da uno shock sincronizzato tramite scarica di corrente elettrica (scariche di defibrillatore a 100-250 joules). In alcuni casi, quando non sia disponibile un defibrillatore, una fibrillazione ventricolare può essere convertita in ritmo sinusale con un pugno precordiale, che spesso però è inefficace. Alcuni antiaritmici, come l’amiodarone e la lidocaina possono aiutare, ma a differenza della fibrillazione atriale, la FV raramente si risolve senza un defibrillatore, che tuttavia non è sempre efficace. In pazienti ad alto rischio di fibrillazione ventricolare si è dimostrato utile l’uso di un defibrillatore ICD impiantabile, un dispositivo elettrico che consente di prevenire la morte aritmica e che può permettere un controllo remoto costante delle condizioni del paziente.
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I tempi di intervento sono importanti
La fibrillazione determina arresto cardiaco ed il tempo massimo per intervenire in modo efficace su un arresto cardiaco è al massimo 10 minuti; ogni minuto perso equivale a una riduzione della sopravvivenza del 7-10%. Il tempo per cardiovertire un arresto cardiaco e “resuscitare” il paziente, prima che i danni al cervello siano irreversibili, è correlato all’efficacia della rianimazione cardiopolmonare.
IMPORTANTE: In caso vi ritroviate di fronte ad un probabile arresto cardiaco e non avete né nozioni di rianimazione, né defibrillatori esterni semiautomatici/automatici, non perdete neanche un secondo e chiedete IMMADIATAMENTE soccorso medico. Un minuto in più od in meno fanno letteralmente la differenza tra la vita e la morte del paziente.
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