Si dice monolite o monolito? Dove va l’accento?

MEDICINA ONLINE MONOLITE MONOLITO ACCENTO DIFFERENZA DEFINIZIONE 2001 Odissea nello spazio 2001 A Space Odyssey è un film di Stanley Kubrick del 1968 basato su un soggetto di Arthur C. Clarke Keir Dullea David Bowman.jpgUn “monolito” è per definizione un grosso blocco di pietra di un solo pezzo. Questo termine è diventato famoso dopo essere stato usato nel celebre film di fantascienza “2001 Odissea nello spazio” dove era presente il famoso monolito nero (nel libro invece trasparente) che ancora oggi, dopo tanti anni, desta numerosi interrogativi tra gli appassionati del cinema di Stanley Kubrick (e non solo!) innescando accese discussioni su quale sia il suo reale significato.

Nel film del 1968 il termine usato per descrivere il misterioso oggetto, era “monòlito“, con l’accento sulla seconda “O”, udibile una unica volta nella registrazione del dottor Heywood R. Floyd che parte in automatico dopo la disattivazione di HAL 9000, intorno all’ora e 56 minuti di film (vedi immagine in basso).

MEDICINA ONLINE 2001 ODISSEA NELLO SPAZIO DISATTIVAZIONE HAL 9000 GIRO GIRO TONDO VIDEO DOTTOR FLOYD SEGRETO SCOPERTA GIOVE MONOLITO MONOLITE ACCENTO COMPUTER STANZA ROSSA FILM STANLEY KUBRICK.jpg

Nel seguito del 1984, chiamato “2010 L’anno del contatto”, il termine usato era invece “monolìto“, modo spesso utilizzato anche nella lingua italiana parlata.

Esiste inoltre un terzo termine, monolìte, comunemente usato.

Quale dei tre termini è corretto? Pur essendo tutti usati ed ormai accettati, il termine giusto è “monòlito“, con la O finale e con l’accento sulla seconda “O” e non sulla “I” come accade nel secondo film.

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Distopia in romanzi e film: cos’è e cosa significa

MEDICINA ONLINE MATRIX NEO MORPHEUS PILLOLA BLU ROSSA MACCHINE FILM CINEMA WALLPAPER TELEVISORE TRAMA SPEGAZIONE ROBOT FANTASCIENZACon il termine “distopia” (pronunciato “distopìa”) si intende invece un assetto politico, e/o sociale e/o religioso immaginario, che non trova riscontro nella realtà, ma che viene proposto come modello di società o comunità altamente indesiderabile o spaventosa. Sinonimi di distopia sono vari altri termini, tra cui: antiutopia, pseudo-utopia, utopia negativa o cacotopia. E’ esattamente l’opposto dell’utopia. La distopia è l’amplificazione di quel che c’è di negativo nella nostra società: ad esempio un poliziotto violento che ha malmenato un cittadino inerme col manganello, diventa – nella disopia – una polizia fatta interamente di persone violente che reprimono ogni minimo atto di ribellione al regime con atti aggressivi e sproporzionati nei confronti dei cittadini. La distopia porta quindi ad estremi ancora più negativi le tendenze sociali e politiche già avvertite come negative nel presente, ma può anche immaginare i risvolti negativi di una tendenza attualmente positiva, ad esempio immaginando come tecnologie che hanno migliorato la nostra vita possano in futuro crearci danno (televisori, smartphone, tablet, personal computer, robot…). Esempi classici di distopie sono presenti in numerose opere fantascientifiche, libri, film e serie tv, come ad esempio:

  • L’uomo che visse nel futuro (The Time Machine, 1960) scritto da Herbert George Wells, da cui è stato tratto anche un film;
  • Blade Runner, film del 1982, diretto da Ridley Scott e interpretato da Harrison Ford e Rutger Hauer;
  • Black Mirror, serie televisiva britannica prodotta da Charlie Brooker;
  • L’uomo che fuggì dal futuro (THX 1138), film del 1971 diretto da George Lucas;
  • 28 giorni dopo, film horror fantascientifico del 2002, diretto da Danny Boyle;
  • Equilibrium, film del 2002 scritto e diretto da Kurt Wimmer;
  • Io sono leggenda, romanzo del 1954 dello scrittore statunitense Richard Matheson, da cui è stato tratto il film omonimo con Will Smith;
  • Matrix, film del 1999 scritto e diretto dalle sorelle Larry ed Andy Wachowski;
  • Io, Robot, film del 2004 diretto da Alex Proyas;
  • Ritorno al futuro – Parte II, film del 1989 diretto da Robert Zemeckis;
  • Arancia meccanica (A Clockwork Orange) celebre film del 1971 diretto da Stanley Kubrick.

Il filone distopico è generalmente distinto in due grosse parti: c’è la tipologia dei “regimi politici totalitari” di cui è un chiaro esempio “1984” (Nineteen Eighty-Four, 1949) scritto da George Orwell, da cui è stato anche tratto il famoso film omonimo; l’altra tipologia è quella della “società post apocalittica” come quella di “The Road” film del 2009 diretto da John Hillcoat.

Regime totalitario distopico

Nel tipico regime totalitario distopico è presente una società gerarchica, in cui le divisioni fra le classi sociali sono rigide e insormontabili; la propaganda del regime e i sistemi educativi costringono la popolazione al culto dello Stato e del suo governo, convincendola che il proprio stile di vita è l’unico (o il migliore) possibile; il dissenso e l’individualità sono visti come valori negativi, in opposizione al conformismo dominante. Si assiste a una depersonalizzazione dell’individuo e le pene, in risposta a qualsiasi atto di ribellione, sono spropositate e non tengono conto dei diritti dell’individuo.
Lo Stato è spesso caratterizzato da corporazioni economiche o religiose al cui comando c’è  un leader carismatico adorato dalla gente e oggetto di culto della personalità, che non deve MAI essere messo in discussione. Notate come molte di queste caratteristiche sono presenti attualmente in una vera nazione del mondo, considerata in effetti una distopia reale: la Corea del Nord.

Società post apocalittica distopica

Nella distopia post apocalittica, le persone sono sopravvissute ad un qualche tipo di disastro (esplosione nucleare, meteorite che colpisce la terra, virus…) ma a che prezzo? La popolazione umana è infatti ridotta ai minimi termini. Pochissime persone sono riuscite a salvarsi dal cataclisma e le relazioni umane sono dettate esclusivamente dal dogma della sopravvivenza individuale in un mondo scarsissimo di risorse. I raggruppamenti umani esistono, ma soltanto in forme primitive e degradate che fanno spesso uso della forza bruta per sopravvivere. Non esiste più legge, non esistono forze dell’ordine. Gli individui sopravvissuti a disastri nucleari sono spesso malati a causa delle mutazioni indotte dalle radiazioni oppure sono diventati sorta di zombie a causa del propagarsi di un virus misterioso.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Coherence – Oltre lo spazio tempo (2013): trama e spiegazione

MEDICINA ONLINE Un film di James Ward Byrkit, con Emily Baldoni, Maury Sterling, Nicholas Brendon, Elizabeth Gracen, Alex Manugian. Genere fantascienza, durata 89 minuti - USA 2013..jpgUn film di James Ward Byrkit, con Emily Baldoni, Maury Sterling, Nicholas Brendon, Elizabeth Gracen, Alex Manugian. Genere: fantascienza, durata 89 minuti – USA 2013.

Trama senza spoiler

Otto amici si trovano insieme per una cena in una serata come tante altre. In tale serata sta passando, una cometa, la cometa di Miller, come viene chiamata nel film. I protagonisti della vicenda vedono tale cometa ad occhio nudo: infatti, la cometa sta passando ad una distanza non molto ampia dal pianeta Terra. Cominciano ad accadere fatti alquanto strani: per prima cosa, si verifica un black-out nella zona dove si trova la casa nella quale si sta tenendo la cena. Poco prima di arrivare alla cena, Emily ha chiamato Kevin ma il suo telefono si è rotto. Non molto tempo dopo si rompe anche il telefono di Hugh. Essi, poi, si accorgono che non c’è la connessione ad internet ed anche il telefono fisso è fuori uso. Gli ospiti della cena, pian piano, cominciano ad andare in panico ed in paranoia. Specialmente quando, usciti di casa, faranno una scoperta inquetante.

Spiegazione (SPOILER)

Ad un certo punto alcuni personaggi del film escono dalla casa dove si stava tenendo la cena e vedono altre versioni di loro stessi e si rendono conto del fatto che sono in presenza di un fenomeno alquanto paradossale: non solo la presenza di UN solo mondo parallelo, bensì la coesistenza di MOLTI universi paralleli, ognuno di essi contenenti una copia della casa e di ciascuno protagonisti.

Quando i protagonisti escono dalla casa di partenza, finiscono in una zona “grigia” dello spaziotempo dove le realtà parallele si fondono e si intersecano tra di loro, quindi, quando un dato protagonista esce di casa, tornando indietro non tornerà necessariamente nella propria casa, bensì potrebbe “perdersi” nella zona grigia e tornare nella stessa apparentemente identica casa, ma appartenente ad un diverso mondo parallelo.

Emily ad un certo punto “si perde nella zona grigia” e tornando a casa entra nell’abitazione dell’universo parallelo nella quale gli otto amici non hanno mai lasciato la casa e sembra che stiano vivendo la serata completamente inconsapevoli del passaggio della cometa, come sono anche inconsapevoli degli effetti che sta causando il passaggio del corpo celeste. Emily induce gli altri ad uscire ed aggredisce la versione alternativa di se stessa, con lo scopo di prendere il suo posto, mettendo la sé stessa aggredita nella vasca da bagno per nasconderla e tornando nel salone dove sono i suoi amici. Poi la donna sviene. Ella si risveglia il mattino dopo e tutti sono preoccupati per lei dopo quello che è successo la sera prima. Inoltre, la versione alternativa di sé stessa è sparita, inspiegabilmente.

Nell’ultima scena, sembra tutto normale ma Kevin, vicino ad Emily, riceve una chiamata da un’altra versione di quest’ultima, ossia la Emily dell’inizio del film: si gira e vede però la ragazza di fronte a lui. Capisce solo in quel momento che le Emily sono due ed una delle due è la Emily “parallela”.

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Il mondo dei robot – Westworld (1973): trama e recensione del film

MEDICINA ONLINE IL MONDO DEI ROBOT WESTWORLD  1973 SCI FI Un film di Michael Crichton. Con James Brolin, Yul Brynner, Richard Benjamin, Victoria Shaw, Norman Bartold. continua Fantascienza.jpgUn film di Michael Crichton, con James Brolin, Yul Brynner, Richard Benjamin, Victoria Shaw, Norman Bartold. Titolo originale Westworld. Fantascienza, durata 88 min. – USA 1973

Trama senza spoiler

Siamo nell’anno 2000, un parco divertimenti di nome Delos propone ai clienti di vivere tre diverse esperienze in altrettante epoche storiche. Il parco è infatti diviso in tre sezioni: RomaWorld (in italiano reso con l’improbabile Romamundia), ambientata al tempo dell’Impero Romano e presentata come un epoca di “moralità allo sfacelo”; MedievalWorld (Medievonia), ambientata invece in un medioevo romantico; WestWorld (Westernlandia), con una scenografia prettamente americana dell’epoca del vecchio west, che promette ai turisti “violenza sfrenata”. A intrattenere gli ospiti provvedono dei sofisticati robot quasi indistinguibili dagli esseri umani e che offrono loro la possibilità di cimentarsi in duelli, rapine, risse da saloom, giostre medievali, non tralasciando l’aspetto più pruriginoso con avventure erotiche, se non vere e proprie orge. Tutto questo senza che nulla di male possa accadere ai visitatori. I robot infatti possono essere “uccisi” (venendo poi riparati e reinseriti nelle attrazioni), ma essi non possono nuocere ai veri esseri umani. Questo almeno fin quando una serie di guasti inizieranno a determinare strani comportamenti dei robot.

Recensione

“Il mondo dei robot” rappresenta l’ottimo esordio alla regia del celebre Michael Crichton quando ancora non era diventato il famoso “sacerdote dell’high concept” (definizione coniata da Steven Spielberg) quale è oggi ricordato. Fino ad allora aveva all’attivo una serie di libri scritti sotto pseudonimo e due romanzi di fantascienza, Andromeda (1969) e Il terminale uomo (The Terminal Man, 1972), il primo tradotto in film nel 1970 su sceneggiatura dello stesso autore e per la regia del veterano Robert Wise (The Terminal Man verrà invece adattato per lo schermo nel 1974). Con già qualche esperienza come soggettista e sceneggiature, Crichton decide di calarsi anche nei panni di regista, ma ebbe non pochi problemi per farsi accettare il progetto dalla casa di produzione, la MGM, poco propensa a impegnare tempo e fondi per un esordiente. Il film viene infatti girato in sole sei settimane e con pochissimi effetti speciali, cosa favorita anche da un’ambientazione da classico film western. Il film si focalizza su due amici, John e Peter, che decidono di passare una vacanza nell’ambiente western (WestWorld, da cui il nome originale del film) e che – tra scazzottate nei saloon ed evasioni dalla prigione – si trovano a sfidare più volte un pistolero dalle fattezze di Yul Brynner (interpretato dallo stesso attore) così come appariva nel film I magnifici sette (The Magnificent Seven, 1960) di John Sturges. Ogni giorno li sfida regolarmente a duello, venendo come da programmazione ucciso, ed altrettanto regolarmente tornando il giorno dopo a riproporre il copione.

SPOILER! (anche se è un film di 44 anni fa, non è detto che tutti lo abbiano già visto!)

Nell’ultimo duello, proprio quando la cosa cominciava a stancare i due amici, il pistolero uccide John per davvero davanti all’attonito amico. Peter, dopo lo smarrimento iniziale, fugge e inizia così una spietata caccia da parte del pistolero attraverso tutti gli ambienti del futuristico Luna Park ormai allo sfacelo. Mentre gli altri automi uno alla volta si arrestano per esaurimento energetico, il pistolero continua a lungo il suo inseguimento fino negli ambienti tecnici del luna park (vedi foto in alto), essendo un nuovo modello potenziato, fino al conclusivo duello vinto da Peter con l’aiuto di acido e fuoco.

FINE SPOILER

Westworld è indubbiamente un’opera consigliata e sicuramente uno dei migliori film sull’argomento robot e androidi, precursore e ben inserito nel panorama della fantascienza cinematografica adulta degli anni settanta prima della rivoluzione contenutistica portata al genere da Guerre Stellari (Star Wars, 1977). La tensione, il ritmo e l’atmosfera fredda come gli occhi dell’androide interpretato da Brynner, tengono lo spettatore inchiodato alla metaforica poltrona. Inquietanti le avvisaglie del malfunzionamento dei robot (come quando una cortigiana-robot di MedievalWorld non accondiscende ai desideri sessuali di un turista e lo schiaffeggia, o altre scene dove i robot non si trattengono più e fanno del male ai visitatori), così come è inquietante l’incedere implacabile e inarrestabile del pistolero in abito nero durante la caccia all’uomo, servito quasi certamente da modello per quello del cyborg interpretato da Arnold Schwarzenegger nel Terminator di James Cameron (1984). Inseguimento arricchito dalle immagini in soggettiva dell’assassino (una delle poche che presentino un qualche effetto speciale), non una novità per il cinema, questo tipo di ripresa si già vista in precedenza in altri film, come ad esempio in alcune opere dei nostri Mario Bava e Dario Argento, ma qui usata prima che John Carpenter e il suo Halloween (1978) la sdoganasse facendola diventare pratica usuale in un certo tipo di film prevalentemente horror. Ma ad apparire ancora più inquietante è l’assunto di base di un luogo di divertimento dove è possibile cedere alle proprie pulsioni più basse senza paure di conseguenze perché indirizzate verso entità artificiali ma molto somiglianti agli esseri viventi.

Il film ricorda un altro lavoro di Crichton realizzato circa vent’anni dopo, il romanzo Jurassic Park (1990). Un altra cattedrale del divertimento occidentale, un Luna Park high tech con i dinosauri al posto dei robot, ma con la stessa propensione a uscire dai binari imposti dall’essere umano. Come altri film sugli androidi e di fantascienza in generale, anche questo si interroga sullo sfruttamento delle nuove tecnologie e sul loro potere di replicare la realtà, rendendo difficile identificare il naturale dall’artificiale, artificiale che difficilmente starà buono a fare i compiti che gli sono stati assegnati (Matrix vi ricorda qualcosa?). Altro discorso è quello dell’invadenza silenziosa dei tecnici del parco che guardano in maniera quasi voyeuristica, entrando e registrando con le loro telecamere nascoste le esperienze dei vari visitatori, tema quantomai attuale nell’epoca di internet e dei reality, ma tutt’altro che scontato negli anni settanta.

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Curiosità sul film

Il soggetto fu rifiutato da tutte le compagnie cinematografiche: solo la MGM era interessata al soggetto, ma impose drastici tagli agli effetti speciali, concedendo a Crichton solo 6 settimane di tempo. Durante le riprese, un colpo a salve ustionò la cornea di Yul Brynner, che dovette rinunciare a portare le lenti a contatto lucide che davano lo sguardo speciale al robot del suo personaggio, così la produzione si dovette fermare per diverse settimane. Il film fu realizzato in anamorfico Panavision. L’unico effetto al computer fu quello ottenuto da John Whitney (esperto di effetti speciali) con le immagini in soggettiva del Robot/Brynner. Questo procedimento, molto difficoltoso per l’epoca, richiese mesi di lavoro per poche decine di secondi di girato. Finite le riprese, il primo montaggio a detta della produzione era un disastro e non distribuibile. Venne così chiamato David Bretherton (premio Oscar per Cabaret) e con l’apporto di nuove scene il film fu pronto per la distribuzione. Nonostante questo i dirigenti della MGM non erano soddisfatti del lavoro svolto ma fecero uscire ugualmente il film, che a dispetto di tutto ebbe un grande successo commerciale. Nonostante il contenuto palesemente fantascientifico (non sono ancora stati realizzati androidi con le capacità ipotizzate nel film, anche se siamo sulla buona strada), il tono cupamente drammatico che aleggia fin dall’inizio sul film lo rende inquietante anche oggi: vent’anni prima di Jurassic Park ed ancor più tempo prima di Matrix, lo spettatore è disturbato dal pensiero che una macchina creata dall’uomo possa prenderne il sopravvento, e non basta il – tutto sommato – finale positivo a rassicurarlo, perché il fatto che la ribellione sia accaduta una volta non esclude che possa ripetersi (cosa che avviene nel seguito). Crichton rielabora il tema classico della ribellione delle macchine mettendola in relazione con la complessità dei sistemi informatici, introducendo numerosi elementi che saranno poi citati in opere successive dello stesso genere (fra tutte Terminator), come l’idea di macchine progettate da macchine, che suggerisce un processo evolutivo che può andare fuori controllo e rivoltarsi contro gli esseri umani. Anche esplicitamente citata in Terminator è la sequenza finale dell’inseguimento, con riprese in soggettiva dal punto di vista del robot e la distruzione progressiva del robot (in particolare del suo volto) che ne rivela le interiora meccaniche e la sostanziale alienità.

Il film è rimasto fortemente impresso nella cultura popolare – soprattutto americana – ed è ampiamente citato; si pensi per esempio alla band britannica Westworld o ai numerosi riferimenti al film nella serie animata I Simpson e Futurama. Anche un episodio di Scooby Doo è esplicitamente ispirato all’ambientazione e alla trama di questo film.

Il film ebbe un seguito nel 1976: Futureworld – 2000 anni nel futuro diretto da Richard T. Heffron Peter Fonda e Blythe Danner (con anche la presenza di Yul Brynner), film sicuramente godibilissimo e consigliato per i tanti fan del primo film e per gli appassionati di fantascienza in generale. Nel 1980 fu anche realizzata una miniserie di 5 puntate Alle soglie del futuro (Beyond Westworld); nel 2016 la HBO ha prodotto la serie Westworld – Dove tutto è concesso (Westworld), basato in parte sul film, una serie molto godibile in virtù dell’alto livello recitativo degli attori, delle splendide scenografie e degli effetti speciali decisamente sorprendenti.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Donnie Darko (2001): trama, recensione e spiegazione del film

MEDICINA ONLINE Donnie Darko film Richard Kelly Jake Gyllenhaal, Noah Wyle Drew Barrymore Patrick Swayze Holmes Osborne Drammatico, durata 108 min. - USA 2001 WALLPAPER HI RES PICTURE MOVIE PHOTODonnie Darko un film di Richard Kelly. Con Jake Gyllenhaal, Noah Wyle, Drew Barrymore, Patrick Swayze, Holmes Osborne. Drammatico, durata 108 min. – USA 2001

Trama senza spoiler

È il 2 ottobre 1988 e il motore di un aereo precipita sulla camera di Donnie, da allora la vita del ragazzo non sarà più la stessa: inizia a vedere Frank, il coniglio che lo ha salvato da morte certa, ma che gli ha anche vaticinato la fine del mondo. 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi, questo è il tempo che rimane per cercare di bloccare la profezia.

Recenzione

Questo film può non piacere a tutti, ma – se sei una di quelle persone a cui piace – probabilmente non ti piace soltanto: lo ami. Lo ami e lo avrai visto tante e tante volte ed in ogni volta forse ti sembra di aver colto qualcosa e di aver capito qualcosa che non eri mai riuscito a capire prima. Alla mia forse quindicesima visione del film pensai questa cosa:

Se Dio esiste, è nascosto da qualche parte in questo film.

Si, a chiunque questa può sembrare semplicemente una affermazione un po’ bizzarra, ma per me è valida ancora oggi, a distanza di anni. Donnie Darko è un mistero che nessuno può cogliere a pieno. Ha una storia davvero travagliata. Uscì nelle sale dopo gli attentati alle Twin Towers dell’11 settembre e sparì ben presto dalla circolazione, anche a causa della scena in cui è coinvolto un aereo che perde un reattore. Ma il passaparola ha fatto resuscitare questo film, che ormai conta stuoli di aficionados… Lo stato di cult di cui gode Donnie Darko è dovuto al fatto che molti giovani si sono riconosciuti nel personaggio principale. E’ il medesimo flash autoterapeutico che ha reso immortali James Dean, Il giovane Holden e Arancia Meccanica. Per un adolescente, certo, non è difficile sentirsi vicino a Donnie: in fondo il ragazzo è sì “matto”, ma appare come un matto abbastanza innocuo – oltre che quasi casto. La sua ribellione, a fronte di genitori che riescono ad esserci simpatici nonostante un modo di vivere ordinario e borghese e che dimostrano di amare i loro figli, nasce dallo scombussolamento interiore e non da una riflessione metafisica e/o sul sociale.
Alcuni critici stranamente ritengono Donnie Darko un film che mostra la protesta giovanile contro il sistema scolastico e, più in generale, contro gli adulti, ma in realtà tale presunta rivolta si limita ai soliti gesti di bullismo in classe e nel cortile scolastico, oltre che alle atroci – e sterili – mascherate di Halloween. Insomma, il telaio portante è apparentemente quello di un film sui teenagers. Viene tracciata anche una originale storia d’amore e il rischio latente era quello di creare un’ennesima fiaba moderna, imperdonabilmente stupida per via di un romanticismo sciatto e rimasticato da ragazzini stelle-e-strisce; per fortuna però Richard Kelly ha voluto rendere omaggio a Philip K. Dick e il film, dopo essere scivolato sul paludoso sentiero dell’horror (tramite le allucinazioni del protagonista borderline), si risolve in un bel rebus fantascientifico. E’ proprio la struttura narrativa ad affascinarci maggiormente. Anche se è individuabile una storyline o trama che dir si voglia, Kelly mima le acrobazie fabulanti di un Kurt Vonnegut e la vicenda finisce per rivelarsi un serpente che si mangia la coda o, per usare un termine matematico, un nastro di Möbius. Non può essere altrimenti, d’altronde, quando viene affrontato il tema dei viaggi temporali, i quali, come si sa, comportano uno o più paradossi, costringendo perciò gli scrittori a inventarsi una logica alternativa.

A questo proposito, abbiamo il sospetto che l’autore (e regista) di Donnie Darko abbia attinto da un altro maestro della fantascienza, ovvero da Murray Leinster (vedi soprattutto la “trovata” dell’Universo Tangente), che di viaggi e paradossi temporali fu uno dei primi specialisti, tanto da fondare su di essi la propria carriera scribatoria.

La recitazione di Jake Gyllenhaal è indimenticabile. Come già successe per Anthony Perkins in Psycho, Jake “è” Donnie Darko. Impossibile ormai per chiunque immaginarsi qualcun altro nello stesso ruolo. La sua addirittura non è nemmeno più un’interpretazione nel senso di “abile prestazione istrionica”, bensì una vera e propria incarnazione.

A Donnie/Jake appare un inquietante coniglio che è il capovolgimento orrifico di Harvey, la creatura che accompagna il docile matto James Stew. Ricordate? Il titolo di quella pellicola in bianco-e-nero è proprio Harvey. Là il protagonista, Elwood, alias James Stewart, è quasi uno stinco di santo e, sebbene gli manchi qualche rotella, non è privo di una certa saggezza filosofica. Ecco uno dei suoi monologhi:

Harvey e io sediamo nei bar… prendiamo un bicchierino o due, facciamo suonare il juke box. E subito tutte le facce si girano verso di me, e sorridono, e dicono ‘non sappiamo come ti chiami amico, ma sembri un tipo simpatico’. Harvey e io ci accendiamo in quei momenti d’oro. Siamo entrati come estranei… e subito abbiamo degli amici! E loro si avvicinano, e siedono con noi, e parlano con noi. Parlano delle grandi cose terribili che hanno commesso, e delle grandi cose meravigliose che faranno. Delle loro speranze, dei loro rimpianti, dei loro amori, dei loro rancori. E tutto in larga scala, perché nessuno porta mai nulla di piccolo dentro un bar. E poi io presento loro Harvey… e lui è più grande e più straordinario di qualsiasi cosa loro possano mai mostrare a me. E quando se ne vanno, se ne vanno impressionati. Le stesse persone raramente ritornano; ma questa è invidia, caro mio. C’è una piccola dose d’invidia in ciascuno di noi.

Invece Frank, la creatura dalle fattezze di coniglio in Donnie Darko, è cattivo. E’  l’antagonista dell’eroe/antieroe del film, non il suo compagno buono e comprensibile. Per Donnie, alle prese con la pazzia intus et foris, non c’è spazio per i discorsi o i gesti buonisti. Il motore di jet è precipitato sul suo letto quando lui era assente e dunque si è potuto salvare. Almeno questo è quello che vede o crede di vedere lo spettatore.

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Trama di Donnie Darko (SPOILER)

Il personaggio che dà il titolo al film, un adolescente americano con problemi psichiatrici, durante un attacco di sonnambulismo che lo porta fuori di casa si imbatte in Frank, un coniglio gigante che gli predice la fine del mondo. E’ la notte del 2 ottobre 1988. In tivù viene trasmesso il duello elettorale dei due candidati alla Casa Bianca: il repubblicano George Bush senior e il democratico Michael Dukakis. Quella stessa notte avviene uno stranissimo incidente: il motore di un aereo precipita dai cieli sulla villetta dei Darko, distruggendo la camera di Donnie, che naturalmente non era a letto. Da questi due singolari episodi (il motore che precipita e l’incontro col coniglio) prende le mosse una vicenda che non fa che complicarsi passo dopo passo; tra le altre cose Donnie s’innamora, scopre che l’anziana vicina un po’ fuori di testa ha scritto un libro sui viaggi nel tempo, allaga e vandalizza la scuola e brucia la casa di un apprezzato guru locale. Intanto, la sua schizofrenia dilaga: i suoi occhi riescono a vedere fasci trasparenti simili a lunghi lombrichi che escono dal plesso solare delle persone (i famosi wormholes), proprio come aveva predetto Mother Death (il cui nome è stato tradotto in italiano con “Nonna Morte“), un’eccentrica scrittrice ora vecchissima e semidemente, autrice del testo The Philosophy of Time Travel. La vecchia conosce bene tali prodigi. Anzi, a quanto pare, solo la pazzia consente di poter viaggiare nel tempo. La psichiatra del ragazzo è sempre più preoccupata,ma non riesce ad avvertire i genitori che lasciano Donnie in casa con la sorella la notte di Halloween. I due organizzano una festa che culmina con la morte di Gretchen, la ragazza di Donnie, investita da tale Frank, un ragazzo in costume da coniglio, che Donnie uccide con un colpo di pistola. Mentre albeggia, Donnie porta il cadavere di Gretchen sulla collina e osserva il cielo, in cui un vortice si va formando e in cui vola l’aereo che riporta la madre e la sorellina a casa. Improvvisamente, dal velivolo si stacca un motore, che precipita sulla cittadina di Middlesex e sulla casa dei Darko… uccidendo Donnie nel suo letto, ventotto giorni prima. Ma ritorniamo a questa inquietante frase:

Il mondo finirà tra 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi

Questo l’inquietante avvertimento del coniglio. Quando Donnie si risveglia dopo aver ricevuto la previsione, scopre che la sua camera è stata devastata da un motore di aereo caduto letteralmente dal cielo. Si, ma da dove (o da quando?) arriva questo motore?

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Universo Primario e Tangente

“Alcuni nascono con la tragedia nel sangue” dice a un certo punto Gretchen, la ragazza di Donnie… Donnie Darko fa a lungo la spaccata tra horror e science fiction. Come detto, non si può non pensare a Philip K. Dick, il romanziere americano che così bene ha saputo descrivere la schizofrenia. Similmente a Dick, Richard Kelly rende “reali” le allucinazioni per poi coniugarle alla teoria della relatività (che, fino a prova contraria, è scaturita dalla mente di uno scienziato, non da quella di un appassionato di fenomeni paranormali). L’autore del film ci suggerisce che esista un Universo Primario e uno Tangente. Quando da quest’ultimo fuoriesce un artefatto (in questo caso, la turbina di un grosso velivolo), è come se si scoperchiasse il vaso di Pandora: la linea di confine spaziotemporale si spezza, le dimensioni a noi note non combaciano più… in pratica, la follia si fa normalità.
Il protagonista compie degli atti vandalici ma è, in fondo, una vittima innocente: non si può imputare a lui, difatti, la circostanza dello squilibrio chimico che avviene nel suo cervello. E, forse, il tunnel dentro cui lo ha spinto la malattia, dove il tempo si ripete uguale all’infinito e ogni cosa è già predestinata e ritorna, è l’unico luogo in cui si può arrivare veramente a comprendere la quintessenza delle cose del mondo.

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Accenni e allusioni “colte”

Oltre al richiamo al coniglio Harvey (che è una reprise di quello di Alice in Wonderland), il film è pieno di citazioni, associazioni di idee e microeventi che legano l’ieri all’oggi, un’opera letteraria e/o cinematografica all’altra. Così, uno dei personaggi è rappresentato da una vecchia pazza che risponde al nome di Roberta Sparrow. Ne abbiamo già accennato nella “Sinossi”: la Sparrow, detta “Mother Death”, è la fittizia autrice di un libro sui viaggi nel tempo.
Nel corso della campagna di pubblicità per il rilancio di Donnie Darko, deciso a distanza di un paio di anni dall’esordio fallimentare, qualcuno della produzione ha addirittura scritto il libro della Sparrow. Un altro libro, stavolta reale, di cui si parla nel film e che qualcuno vocifera sia stato tra le massime fonti d’ispirazioni di Anthony Burgess per il suo Arancia a orologeria (Arancia meccanica), è The Destructors, di Graham Green. La storia di The Destructors si svolge a Londra durante la Seconda Guerra Mondiale e tratta dell’impatto socio-psicologico che il conflitto armato ha su un gruppo di adolescenti, che scaricano le loro frustrazioni trasformandosi in vandali…

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Il sequel: S. Darko

Nel 2009, quindi 8 anni dopo il primo film, esce la “continuazione” di Donnie Darko. Il titolo è S. Darko. Nathan Atkins ne è l’autore. Ed è bravo nel suo mestiere, bisogna dirlo. Il primo film mai realizzato nato dalla sua penna è stato uno short dal titolo Cultivation (del 2003) che, guarda caso, parla di un mondo magico parallelo. Dunque, è lo sceneggiatore più qualificato per un sequel di Donnie Darko.
In S. Darko, sono trascorsi sette anni dalla morte di Donnie (7: cifra carica di significati…). Samantha, la sorellina del defunto (al suo nome si riferisce la S. del titolo), è intanto cresciuta. Ha 17 anni e, insieme al suo amico Corey, si mette in viaggio per una vacanza da trascorrere a Los Angeles. Durante il tragitto, entrambi vengono tormentati da strane visioni… Tornano qui gli wormholes o buchi di tempo.
S. Darko è stato scritto seguendo le direttive di Richard Kelly, ma questi si è dissociato dal film e la regia è stata affidata a Chris Fisher.
Impossibile dire se l’operazione-sequel sia riuscita. Diciamo semplicemente che si tratta di un  film diverso anche se bisogna ricordare al lettore che sia la critica sia il pubblico lo abbiano giudicato decisamente un brutto film. A me decisamente non ha fatto impazzire, anche perché scatta in automatico un (impietoso) paragone col primo film, paragone che – neanche a dirlo – vede il seguito pesantemente distrutto.

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Spiegazione del film… forse

Come già per Mulholland Drive, e forse anche di più in questo caso, non esiste (è questo è il bello) un’interpretazione giusta o univoca, e lo scopo del film, e del regista, è proprio quello di lasciare all’immaginazione dello spettatore la possibilità di esplorare infinite strade e teorie; ma è anche vero che lo stesso Kelly più volte negli ultimi anni, sul sito web statunitense (altro puzzle misterioso e affascinante) come nel commento audio al dvd, fino ad arrivare al recentissimo Donnie Darko – The Director’s Cut, ha tentato di offrire al vasto pubblico di cultori del film una chiave di lettura tanto precisa quanto complessa.

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Sogno… o sono in un loop?

La forza del film non è in questa charada ma altrove; si può tentare, ad ogni modo, di dare un’interpretazione di questi fatti in modo da fare tornare i conti. In realtà le intepretazioni possono essere svariate, come del resto auspicato dallo stesso regista: una molto semplice vorrebbe Donnie in preda alle risa alla fine del film come al risveglio da un lungo ed intricato sogno… che però era il presagio della sua bizzarra morte. Un’altra, molto affascinante, vuole Donnie (e tutto il mondo) prigioniero di un loop temporale della durata di ventotto giorni, al termine dei quale si torna all’inizio: in questo senso il mondo sarebbe finito, perché intrappolato per sempre tra il 2 e il 31 ottobre. Donnie ne può uscire solo sacrificandosi: per “costringersi” a farlo creerà le visioni con Frank – la sua vittima e il suo Virgilio. Frank lo indurrà ad allagare la scuola perché questo renderà possibile l’incontro con Gretchen, nonché a bruciare la villa del guru Jim Cunningham: l’incendio fa sì infatti che si scopra che l’uomo è un pedofilo, e quindi la professoressa di educazione fisica della scuola, sua amica e ammiratrice, rinunci ad accompagnare il gruppo di danza della sorellina di Donnie per stargli vicino, così che la signora Darko sia costretta a sostituirla e a lasciare Donnie ed Elizabeth soli in casa e liberi di organizzare la festa di Halloween – con tutto ciò che ne consegue.

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Roberta Sparrow e la filosofia di Richard Kelly

Benché questa sembri una chiave di lettura pienamente convincente, ha ben poco a che vedere con quella proposta dall’autore, che ruota tutta intorno il libro scritto da Roberta Sparrow “La filosofia dei viaggi nel tempo“, che nella versione Director’s Cut è recitato quasi parola per parola e sparso in varie parti del film. Questo scritto, non c’è nemmeno bisogno di specificarlo, è assolutamente fittizio (anche se liberamente ispirato a teorie esistenti del famoso scienziato Stephen Hawking) e descrive come il tempo occasionalmente possa “corrompersi” per ragioni sconosciute e dare origine a realtà parallele, chiamate Universi Tangenti. Queste realtà altre sono delle dimensioni temporanee profondamente instabili, della durata di non più di qualche settimana e destinate quindi a collassare su sé stesse provocando la distruzione dell’esistenza. Allo stesso tempo, però, formano anche una sorta di vortice spazio-temporale che permette il viaggio nel tempo e che può ricondurre al punto di origine dell’Universo Tangente. Ne La filosofia dei viaggi nel tempo viene descritto tutto questo e altro: vi sono dettagli specifici su tutti gli elementi che concorrono alla “nascita” e alla “morte” di questo strano fenomeno, come per esempio l’Artefatto (The Artifact), il Ricettore Vivente (The Living Receiver), i Viventi Manipolati (The Manipulated Living) e i Morti Manipolati(The Manipulated Dead).
L’Artefatto è il segno della “nascita” di un Universo Tangente, è solitamente in metallo e la sua improvvisa apparizione non è spiegabile dal punto di vista razionale.
Il Ricettore Vivente è un normale essere umano scelto, non si sa per quale motivo, per riportare l’Artefatto nell’Universo Principale attraverso il vortice spazio-temporale che compare quando l’Universo Tangente sta per collassare. Per fare ciò il Ricettore Vivente ha il dono della telecinesi e vari altri poteri, ma è spesso tormentato da incubi e visioni per tutta la durata della vita dell’Universo Tangente. Naturalmente è Donnie il nostro Ricettore Vivente. Il tempo è stato corrotto dalla materializzazione inspiegabile del motore del jet (l’Artefatto) che cade su casa Darko, ed il nostro giovane eroe deve porvi rimedio prima che ciò causi la distruzione dell’universo. Il Morto Manipolato è ovviamente Frank: come spiega La filosofia dei viaggi nel tempo, chiunque muoia nell’Universo Tangente può tornare, con poteri anche superiori a quelli del Ricettore, ad aiutarlo nella sua impresa; ed è per farne la sua guida, infatti, che Donnie uccide Frank. Ogni accadimento, ogni gesto delle persone che gli sono accanto (i Viventi Manipolati) deve portare Donnie a completare la sua missione creando un motivo valido per l’apparizione del motore e permettendo così la chiusura indolore dell’Universo Tangente. Per ottenere questo risultato Donnie utilizza i poteri di cui è in possesso in quanto Ricettore e approfitta del varco che si crea mentre l’Universo Tangente agonizza per mandare il motore che si stacca dall’aeroplano su cui volano Rose e Samantha Darko indietro nel tempo fino alla notte di ventotto giorni prima, per cadere sulla villetta, uccidere Donnie e cancellare l’Universo Tangente.

Un sacrificio voluto

Ma davvero tutto è stato cancellato? Quello di Donnie è un sacrificio volontario? Kelly sembra suggerire che la risposta sia negativa alla prima di queste domande e positiva alla seconda: i volti dei vari personaggi che vediamo nella sequenza finale sembrano suggerire che essi in qualche modo ricordino quanto accaduto nell’Universo Tangente, e quindi probabilmente anche Donnie avesse percepito l’avvicinarsi del pericolo, scegliendo volontariamente di non evitare il proprio tragico destino. Per andare incontro a quel mistero che nessuna “guida alla comprensione” potrà mai provarsi ad interpretare.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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La scoperta (2017): trama, recensione e spiegazione del film

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Probabilmente è ancora presto per parlare di un vero e proprio “filone”, ma è indubbio che ultimamente la fantascienza indie americana sia caratterizzata da precise idee ricorrenti e da una matrice comune, che restituisce alla science fiction la sua dimensione più psicologica e anti-spettacolare: un assunto speculativo di natura fantascientifica genera un dramma, e questo avviene perché tale assunto rispecchia ansie e timori del nostro presente. Questo film conferma l’interesse di Netflix per queste tendenze off-Hollywood, e incarna molti tòpoi della sci-fi indipendente americana, a partire dall’ossessione di indagare il sovrasensibile – ed eventualmente giustificarlo – attraverso la scienza. Lo abbiamo già visto nell’interessante “I, Origins” e nella serie The OA, ma qui il discorso si fa ancor più radicale.

Trama senza spoiler

Al centro della trama c’è lo scienziato Thomas Harbor (un Robert Redford ancora in forma), che dimostra l’esistenza dell’aldilà grazie a una macchina che cattura la lunghezza delle onde cerebrali a livello subatomico, osservandone l’abbandono del corpo durante la morte. Oltre la vita ci sarebbe quindi un altro piano dell’esistenza (il paradiso?) e questa consapevolezza scatena un’ondata di suicidi da parte di uomini e donne che non vedono l’ora di raggiungere questo secondo livello di esistenza. Addirittura una malattia terminale diventa una buona notizia, perché l’aldilà ci attende dopo il nostro ultimo battito cardiaco. Il figlio maggiore di Thomas, il neurochirurgo Will (Jason Segel), non approva gli studi del genitore, che nel frattempo ha fondato un istituto per accogliere ed assistere gli aspiranti suicidi. Will, in visita da suo padre e da suo fratello Toby (Jesse Plemons), s’imbatte nella tormentata Isla (Rooney Mara), e la salva da un tentato suicidio nelle acque dell’oceano. Fra di loro nasce una complessa storia d’amore, mentre Thomas sperimenta un dispositivo che registra l’esperienza dei defunti nell’aldilà, e dovrebbe quindi mostrare ciò che vedono dopo la morte. Quello che il dispositivo permetterà di vedere, lascerà il neurochirurgo senza parole.

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Fantascienza, non religione

Il paradosso di esplorare l’ultraterreno con metodi scientifici può sembrare moralmente ambiguo (quante volte la pseudo-scienza ha tentato di giustificare antiche superstizioni?), ma il regista Charlie McDowell e il co-sceneggiatore Justin Lader hanno l’accortezza – dal mio punto di vista quasi essenziale in un film di questo tipo – di escludere ogni sfumatura divina, affidandosi esclusivamente alle speculazioni della scienza/fantascienza: non si parla infatti di un aldilà religioso, ma di un secondo livello di percezione delle cose da parte del nostro sistema nervoso. Niente angeli, luci in fondo al tunnel o santi ad aspettarci dall’altra parte, ma solo un secondo piano di realtà…

ATTENZIONE SPOILER

…una realtà alternativa che gioca con il concetto dei loop temporali e con le infinite diramazioni dei mondi paralleli. Il film ci dice che nel cosiddetto “paradiso” ogni individuo genera, laicamente, il proprio aldilà, basato sui rimpianti della sua vita passata e sul desiderio che ognuno ha, di poter correggere gli errori fatti in vita. L’idea è molto incisiva, anche perché insiste su risvolti fantascientifici più che sovrannaturali, senza propinarci una razionalizzazione di principi religiosi preesistenti.

FINE SPOILER

L’approccio intimista e le implicazioni romantiche, tipici di molta sci-fi indipendente, focalizzano l’attenzione sulla vicenda privata più che sullo scenario globale, mediamente trascurato se si escludono gli sporadici accenni ai suicidi di massa. Certo, rispetto al precedente “The One I Love” manca l’analisi entomologica del rapporto amoroso, qui ritratto senza particolari giustificazioni, soprattutto se consideriamo l’atteggiamento contraddittorio di Isla. Anche diversi snodi narrativi appaiono inverosimili, eppure il finale riesce a giustificarne l’assurdità per mezzo di un “ribaltamento” piuttosto canonico, seppure inaspettato: la sovrapposizione di piani alternativi stravolge il punto di vista sulla vicenda, ma risulta un po’ frettoloso e didascalico, relegato ai minuti conclusivi senza il supporto di un climax adeguato. È qui che “La scoperta” rivela il suo lato più fragile: McDowell sembra compiacersi dei principali cliché del cinema indie, e li nutre con dialoghi sussurrati, tecnologia retro-futuristica e un personaggio femminile che risponde a tutti i requisiti della categoria, con la sua personalità sfuggente e provocatoria. La rappresentazione dei tòpoi in una realtà parallela potrebbe denudarne l’artificiosità, ma questa lettura metanarrativa non regge alla prova dell’epilogo, dove il regista prende chiaramente sul serio gli strascichi emotivi della storia. Così, persino il brusco taglio di montaggio sul nero dei titoli di coda (altrove molto suggestivo: si pensi a Donnie Darko), appare qui un semplice manierismo, sin troppo prevedibile per coinvolgere davvero. Restano l’ottima idea del ragionare su quello che accadrebbe scoprendo con sicurezza che la morte non è la fine, e la sobrietà della messinscena, tutta concepita per sottrazione, ma l’impressione di assistere a un bigino della fantascienza indie è piuttosto forte. A conti fatti però a me è piaciuto, da vedere almeno una volta (o anche due per capirlo meglio!) specie se siete appassionati di fantascienza umana, quella senza esplosioni o alieni che invadono la terra, ma con una sfumatura di mondi paralleli per certi versi in stile “Moon“, che in un film di fantascienza non è mai fuori posto.

Spiegazione del finale (ovviamente spoiler)

Il protagonista, il neurologo Will, è già morto quando la storia inizia. Tutto quello che accade durante la narrazione del film non è reale, bensì è semplicemente una delle molte realtà alternative in cui è entrata la mente di Will dopo la sua morte.

La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo

Virginia Woolf

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Non sapevo per quanto tempo saremmo stati insieme

MEDICINA ONLINE BLADE RUNNER RACHAEL SEAN YOUNG fantascienza 1982 diretto Ridley Scott Harrison Ford Rutger Hauer, Sean Young Edward James Olmos Daryl Hannah.jpg“Non sapevo per quanto tempo saremmo stati insieme. Ma chi è che lo sa?”

Deckard – Blade Runner 

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Another Earth (2010): trama senza spoiler e recensione del film

MEDICINA ONLINE ANOTHER EARTH FILM MOVIE CINEMA WALLPAPER PLANET SCIFI SKY PHOTO PICD PICTURE HD HI RESOLUTION TRAMA RECENSIONE 2010 Mike Cahill William Mapother Brit Marling DEAD  CARS SON NUDE BEST SCENE.jpgUn film di Mike Cahill, con William Mapother, Brit Marling, Jordan Baker, Flint Beverage, Robin Taylor. Drammatico, durata 92 min. USA 2010 – 20th Century Fox – Uscita italiana venerdì 18 maggio 2012.

Trama senza spoiler

Un’altra Terra, chiamata semplicemente Earth 2, viene avvistata nel nostro stesso sistema, copia perfetta del nostro mondo e abitata da persone che sono la replica dei terrestri. La stessa notte dell’avvistamento, la brillante e promettente studentessa Rhoda, un’aspirante cosmonauta interpretata dalla stessa Brit Marling (una vera rivelazione), distratta dal nuovo pianeta e probabilmente dall’avere bevuto qualche bicchiere di troppo, va a scontrarsi con la propria auto contro la macchina su cui viaggiano il musicista John Burroughs (William Mapother, uno degli altri della serie televisiva “Lost”) e la sua famiglia. Il bilancio dell’incidente è tragico: Burroughs finisce in coma, la moglie (incinta) e il figlioletto muoiono.
Per la protagonista si aprono le porte del carcere, dal quale esce quattro anni dopo profondamente segnata dai sensi di colpa. Niente più stimoli, niente più ambizioni, Rhoda si lascia vivere e trascorre le sue giornate svolgendo un modesto lavoro di addetta alle pulizie in una scuola (incontrando per caso un ragazzo con cui aveva flirtato la notte della tragedia, si vede costretta in maniera alquanto imbarazzante a specificare che nell’istituto dove lavora non fa l’insegnante). Due sole cose la scuotono dal grigiore della sua nuova quotidianità: la partecipazione a un concorso che mette in palio un viaggio sull’altra terra e la notizia che l’uomo al quale ha rovinato la vita ha ripreso conoscenza. Decisa a parlargli, Rhoda si presenta a casa sua senza però trovare il coraggio di dirgli la verità. Si offre invece di pulirgli la casa, come dimostrazione a titolo gratuito. Inizialmente diffidente, l’uomo accetta l’offerta e per Rhoda andare a pulire l’abitazione (in un raffinatissimo stile dagli echi shabby chic) diventa un appuntamento settimanale.

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Recensione

Dopo il pianeta Melancholia firmato Lars von Trier, un nuovo evento planetario dalle influenze drammatiche è destinato a imporsi nella mia cineteca personale. Another Earth è una pellicola indipendente diretta dall’esordiente Mike Cahill e accolta con grandi lodi al Sundance Film Festival (dove ha vinto il premio speciale della Giuria e il premio Sloan). Laddove ormai le pellicole action a tema fantascientifico sembrano vivere un periodo di stasi a livello di idee, il genere si contamina sempre di più con visioni intimiste e drammatiche appartenenti al cinema d’autore. Come per Melancholia quindi, e per il bellissimo Moon di Duncan Jones, ci troviamo dinanzi ad un’opera che usa il mezzo fantastico per raccontarci una storia interiore ricca di bruciante umanità. Sin dal Solaris originale, capolavoro firmato dal maestro Andreij Tarkovskij nel lontano 1969, la figura di un nuovo pianeta che improvvisamente compare nel cielo è ricca di una grande carica simbolica, non solamente per ciò che concerne il versante visivo, ma soprattutto per quello umano. In questo caso poi il racconto offre diversi spunti di riflessione, visto che il corpo celeste che appare improvvisamente nelle fasi iniziali di Another Earth, è nientemeno che una versione identica della nostra Terra. Il destino, come spesso accade più tragico di ogni pessimistica fantasia, vuole che sia proprio la comparsa di questo nuovo astro la causa di un terribile incidente nel quale rimane coinvolta Rhoda, brillante studentessa appena ammessa al MIT (Massachusetts Institute of Technology) che uccide un bimbo e sua madre incinta: la peggiore tragedia immaginabile.

Un incidente stradale

Altri film hanno preso piede da un incidente stradale. Ne troviamo uno nell’incipit di The Descent – Discesa nelle tenebre (Neil Marshall, 2005) o all’inizio di Ore 11:14 – Destino fatale (Greg Marcks, 2003), anche se quello più spettacolare resta quello di Final Destination 2 (David R. Ellis, 2003). Questi sono tutti film horror, però. Another Earth non lo è: è una storia d’amore e di introspezione. Di possibilità sfiorate con la punta delle dita e perse in una miriade di altre possibilità che si sdoppiano all’infinito e costituiscono varianti possibili/impossibili di realtà, come nella teoria dei quanti di Plank. E così, ecco moltiplicarsi atomi di vita, come granuli di energia indivisibili. Niente romance amara alla Sliding doors (Peter Howitt, 1998), ma una riflessione sul passato (che non cambia) e sulle ripercussioni, nell’universo, di ogni azione. Dopo aver trascorso alcuni anni in carcere, la giovane è costretta ad abbandonare, almeno apparentemente, i propri sogni, proprio come spesso succede nella vita vera, dove al protagonista va tutto sempre bene.

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Catarsi

Another Earth è un’opera emblematica, non di facile assimilazione, ma ricca di un silente fascino che pervade questa storia di espiazione e rimorsi narrata all’ombra di una nuova era per l’umanità intera. Una catarsi personale, raccontata con delicatezza e sobrietà, osservando da vicino gesti ed emozioni della protagonista, anima inquieta in cui ora l’unico sogno è quello di raggiungere la nuova Terra, nella quale la vita sembra seguire parallelamente la nostra in maniera speculare anche per quanto riguarda gli esseri umani (con dei veri e propri “doppi”), per poter iniziare nuovamente a vivere. Cahill è bravo a giocare sul filo dell’ambiguo, dei segreti, delle realtà difficili da affrontare e delle possibili vie di fuga, dove il reale collide con l’irreale, il dolore con la gioia, la vita con la morte. L’apice emotivo raggiunto nei minuti finali, pregni di un’intensa tensione emotiva, e lo splendido colpo di scena dell’epilogo, rendono Another Earth una pellicola misteriosa, sospesa proprio come la sua protagonista (una grande Brit Marling, che reciterà anche nel successivo film di Cahill, I Origins) tra due mondi simili ma distanti.

La vera arte

Mike Cahill, che il film lo ha diretto, montato, fotografato e scritto (in tandem con la brava protagonista, sua compagna di studi), si misura col genere fantascientifico, nella sua accezione più colta ed anche se questa piccola produzione non può certo vantare i budget che di solito caratterizzano i prodotti di questo genere, è ammirevole il risultato che il regista raggiunge coi suoi pochi mezzi a disposizione, anzi, forze proprio grazie ai pochi mezzi: fatto questo che costringe i veri artisti a tirar fuori la vera arte, senza facili scappatoie di volti superpagati o effetti speciali strepitosi. Molto interessante la tavolozza cromatica utilizzata per raccontare la storia, studiata per meglio evocare il gelo nella vita di questa giovane donna che ama e sente disperatamente il bisogno di pulire… metafora fin troppo convenzionale, si dirà, ma funzionale al racconto. Altro punto a favore del film il commento musicale elettronico della band newyorkese Fall On Your Sword, che regala alla vicenda l’ideale tessuto sonoro. Un film che agli appassionati di fantascienza di alieni e di esplosioni nucleari, può probabilmente apparire lento. Io l’ho apprezzato molto e ve lo consiglio.

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